Diciottesimo
Becky e Steph si erano trovate nel 1939, esattamente il venticinque luglio, e fin a quel momento avevano tenuto nascosto il loro rapporto, con estrema maestria. Recentemente, poi, Pety aveva proposto a Steph di provare ad avere un bambino, dopo quasi due anni di matrimonio. Steph aveva confessato a Becky dell'enorme paura ed immaturità di diventare madre.
«Io non voglio un figlio da lui. Se dovessi partorirne uno dovrebbe essere solamente il tuo. Ma non potrà mai accadere, quindi non voglio e basta. Come posso spiegare questo a Pety?»
«Steph non puoi, assolutamente. Giuro che se potessi fare qualcosa, qualsiasi cosa per impedirti di essere fertile per lui, io...»
«Tu cosa?» aveva mormorato Steph al nervosismo di Becky.
«Io non ci posso fare niente.» le aveva risposto Beck, con le lacrime agli occhi. Steph, abbracciandola, disse che nessuno avrebbe potuto farci niente.
Probabilmente, però, le sue preghiere furono così forti da arrivare fino a quel Dio a cui lei non aveva mai creduto del tutto. Aveva si implorato di impedire a Pety di ingravidarla, ma non in quella maniera talmente drastica. A quel punto avrebbe preferito avere un figlio piuttosto che perdere Becky.
Ma facciamo qualche passo indietro, senza giungere di getto alla fine.
La storia ricca e piena delle due ragazze di Brooklyn durò dal 1939 fino al 1941, quando iniziò a scemare per cause di forza maggiore. Difatti il loro paese iniziò a partecipazione al secondo conflitto mondiale facendo fuoco in primis contro l'impero del Giappone, poi con la Germania nazista e l'Italia fascista. Tutto cominciò con l'attacco a Pearl Harbor all'alba del 7 dicembre 1941, anche se il paese aveva già risentito della catastrofica situazione nel resto del mondo. Tirava un vento di tensione, come se la guerra sarebbe arrivata anche lì da un momento all'altro, ma nessuno riusciva a crederci fino in fondo.
In quel periodo gli uomini iniziarono ad arruolarsi per dare un aiuto comune all'intera nazione. Pety non venne di certo tagliato fuori.
Steph non immaginava che avrebbe pianto tanto. Insomma, qualche lacrima l'avrebbe versata a prescindere, perché vedere andar via quell'uomo gentile e buono con lei in un campo di battaglia senza sapere se un giorno sarebbe tornato era un'immagine davvero dolorosa, ma ad aggravare il suo dolore era il senso di colpa, come se avesse pregato e sperato così tanto di non avere più fra i piedi Pety per impedirgli di andare a letto con lei che in qualche modo l'universo l'aveva accontentata.
Steph rimase a casa da sola, dopo aver stretto forte a se Pety come non aveva mai fatto, così piccola e fragile in confronto a lui, vestito da sergente, con il berretto sul capo e una sacca in spalla con qualche cambio d'abito. Lui l'abbracciò con un amore così puro e sofferto che Steph provò pena per lui. Lei quel tipo di sentimento lo riservava a Becky, era triste sapere che Pety l'amava davvero e Steph non avrebbe mai ricambiato.
Lui le baciò la fronte, e poi le labbra, non riuscendo a dirle "ti amo". Steph gli strinse una mano fino a quando lui non dovette varcare la porta di casa per andare via. Lei aveva imparato a leggergli nel pensiero durante quei brevi anni assieme, e sapeva sempre a cosa pensava suo marito. In quel momento, con gli occhi lucidi, Pety aveva lo stomaco martoriato perché non sapeva se un giorno sarebbe tornato ed avrebbe potuto finalmente dare un bambino a Steph.
«Tornerò.» disse «Te lo prometto.»
Steph sorrise con le lacrime silenziose a rigargli le guance; «Voglio credere alla tua promessa.»
A Steph servì una notte in solitudine per elaborare tutto quel dolore e quel senso di colpa, passando in rassegna lacrime e singhiozzi senza chiudere occhio tra le lenzuola bollenti.
Poi la mattina seguente fece il bagno, mangiò pane e marmellata e andò a cercare Becky.
La città era già cambiata, si respirava un clima opprimente, ansiogeno e desolato. Per la maggior parte i cittadini in strada erano cittadine.
Steph bussò freneticamente alla porta di Becky, che le aprì con lo spazzolino da denti ancora in bocca. La più piccola non le diede il tempo di dire nulla, ammonendo: «Adesso siamo sole entrambe. Vieni a stare da me, il letto è troppo grande di notte.»
Becky sorrise, precipitandosi a stringere al petto Steph, incurante di chi in quel momento avrebbe potuto vederle. Fece i bagagli immediatamente, portando con se quelle poche cose che riteneva di valore, per prima la macchina fotografica e le foto che aveva scattato a Steph fino a quel momento. Lasciò una lettera al proprietario di casa avvisandolo che sarebbe andata via, e poi sparì da quel postaccio.
La casa di Steph non era di certo roba da ricconi, ma in confronto all'appartamento in cui aveva vissuto Becky pareva una reggia ricca di ogni cosa necessaria.
Erano entrambe piene di emozione, anche se tentavano di trattenerla per i fatti gravi e pericolosi che stavano accadendo nel loro periodo storico.
Era indicibile che una convivenza da loro sognata nel profondo potesse realizzarsi soltanto in una situazione di guerra.
Nessuno avrebbe avuto da ridire sul fatto che due ragazze vivessero assieme, ognuno, contrariamente ai soliti pettegolezzi del quartiere, faceva i fatti propri pensando come priorità a mantenere il medesimo lavoretto e a portare il pane a casa.
Proprio Becky il lavoro lo perse. Steph la consolò però, dicendole che per qualche settimana avrebbero potuto tirare avanti con i risparmi che Pety le aveva lasciato. Non erano un capitale, ma per le due giovani donne quei soldi andavano più che bene.
E così fu, la loro convivenza semplice ed estremamente intima sembrò una luna di miele, proprio mentre da qualche parte uomini si trucidavano con le armi e bombe squarciavano la terra.
Erano in simbiosi su ogni cosa, e la libertà di poter svolgere le azioni più semplici di una coppia nelle mura di quell'appartamento dava speranza ad entrambe. Speranza che gli uomini smettessero di litigare per la conquista e la dittatura improponibile, il loro amore dava loro speranza che presto tutto sarebbe finito e anche al meglio.
Facevano il bucato insieme, cucinavano, si pettinavano a vicenda, facevano il bagno nella stessa vasca, dormivano abbracciate assieme nel letto e facevano l'amore, dove e quando gli pareva.
Sul letto, in bagno, sul divano, sul tavolo, con la crema pasticcera da leccare sui seni e gli oli profumati da spalmarsi nella schiena e nelle cosce.
Facevano l'amore edificando quella casa con gli orgasmi e gli sguardi carichi di ardore.
Non si sarebbero separate mai, Becky lo sapeva quanto Steph.
Ma poi i loro risparmi iniziarono a finire, e Becky per prima si prese l'incarico di provvedere alla baracca. Aveva trovato un piccolo impiego alla stazione ferroviaria, la sera, a fare le pulizie. Lo aveva detto a Steph, contraria a quel lavoro che la sfruttava solamente per una miseria di stipendio. Becky la pensava come lei, ma in giro non c'erano altre alternative e in qualche modo dovevano avere delle entrate per mantenersi il pane in casa.
Con un clima di astio tra loro due, Becky decise di rimediare e in qualche modo di farsi perdonare per una colpa che non era sua. Prima di iniziare il proprio turno quella sera in città c'era un'esposizione, Becky l'aveva fatta vedere a Steph sul giornale quando lei le aveva chiesto:
«Dove stiamo andando?»
Becky si stava già preparando, indossando la collana di perle che le aveva regalato sua madre. Steph stava allacciando le scarpe quando ricevette la risposta di Becky;
«Nel futuro.»
Si trattava dell'esposizione mondiale del futuro, una sorta di regalo a tutti i soldati prossimi alla partenza, sponsorizzata dai progetti automobilistici di un certo Stark.
La serata procedeva piuttosto bene, anche se l'entusiasmo di Becky era di gran lunga maggiore di quello di Steph, pensierosa. Due ragazzi gli ronzarono intorno, ma le due fecero per evitarli e continuarono il loro giro tra le attrazioni come se nulla fosse.
Ad un certo punto Steph non riuscì più a fingere di essere contenta. Apprezzava quello che Becky aveva fatto per lei portandola fin lì, ma guardandosi intorno vide solamente ragazzi vestiti come lo era Pety prima di andare, raggianti ed impazienti di prendere parte alla lotta. Lei tutto ciò lo trovava da matti, e si infuriava ancora di più pensando che di lì a poco Becky sarebbe dovuta andare al lavoro spezzandosi la schiena.
«Che ti prende?» le chiese la mora, notando la sua espressione scontenta.
«Voglio trovare un lavoro anch'io.»
«Oh Stephie, ti ho già detto di non preoccuparti per questo, ci penso io. E poi il tuo problema con l'asma...non devi cercare di migliorare qualcosa se poi ne peggiori un'altra.»
«Non è affatto un problema quello, io posso farcela.»
«Appunto, non devi dimostrare niente a nessuno.» Becky abbassò la voce, sussurrando con fare autoritario.
Becky sospirò, guardando l'ora dal suo orologio da polso. Era il momento di andare al lavoro, forse sarebbe anche arrivata tardi. Steph odiava doverla lasciare andare. Becky le fece capire che stava per incamminarsi verso la stazione. Sapeva che era da incoscienti lasciar tornare Steph a casa da sola, ma il suo appartamento non era per niente lontano dall'evento in cui si trovavano. Percorrendo il viale illuminato di certo sarebbe arrivata a destinazione sana e salva. Il contrario spettava a lei, lontana dalla stazione.
«Non fare nulla di stupido finché non torno.» Becky lo disse a bassa voce, scrollando leggermente la testa, e lanciandogli un'occhiata stanca e preoccupata.
«Come potrei? La stupidità la porti tutta con te.» rispose Steph alzando la voce con un lieve pizzico di spiritosaggine, vedendola allontanare di fretta.
Becky era così bella. Steph non poté fare a meno di incantarsi sui suoi lunghi capelli bruni sciolti sulla schiena, mossi e voluminosi. L'abito che indossava quella sera metteva in risalto le sue natiche sode, e quelle scarpe le conferivano un'aria elegante.
Steph strinse contro la pancia la sua borsa. I capelli biondi li aveva raccolti in un'acconciatura ordinata, elaborata con una treccia appuntata a crearle un taglio corto.
Iniziò a far strada per tornare a casa. Quando arrivò si vestì comoda e slegò i morbidi capelli biondi. Si preparò una tazza di tè e guardò l'orologio in cucina scandendo le ore per il ritorno a casa di Becky.
Normalmente un turno di Becky durava soltanto due ore, al massimo mezz'ora in più. Solitamente ritardava per colpa dei mezzi pubblici in ritardo. Ma quella sera Steph aveva l'ansia che le stava attaccata alla gola, perché Becky stava ritardando di quasi due ore.
Iniziò subito a preoccuparsi, sentendosi impotente. Non aveva come rintracciarla, Becky non le aveva dato il numero della stazione perché credeva che se Steph l'avesse telefonata qualche volta avrebbe potuto metterla nei guai. Becky la rassicurava che tutto andava sempre bene, che far le pulizie la stancava ma che nessuno la importunava.
Steph non diede ascolto alle solite rassicurazioni di Becky che le ronzavano in testa, qualcosa era successo, qualcosa di veramente serio, Stephanie lo sentiva, e non poteva perdere altro tempo. Mise il suo cappotto blu ed uscì di casa.
In strada non ronzava neanche una mosca, a quell'ora della notte le strade erano deserte, e sebbene Steph fosse terrorizzata di cacciarsi nei guai, avesse la costante ansia che qualcuno da un momento all'altro la potesse aggredire alle spalle, continuava a camminare imperterrita verso la stazione, cercando Becky.
Quando finalmente giunse a destinazione trovò solamente il guardiano, che le disse che da quando aveva iniziato il turno non aveva visto neanche nei paraggi Becky. Ciò significava, almeno Steph ipotizzò, che la sua ragazza fosse arrivata a finire il lavoro ed avesse iniziato a far strada per ritornare da lei. Quindi si avviò frettolosamente di nuovo in strada, setacciando il percorso che Becky faceva di solito. Il respiro di Steph tremava, soprattutto quando iniziò a camminare a passo più veloce, agitata e quasi nel panico. Con le lacrime agli occhi, incoscientemente chiamò Becky.
«Beck! Becky dove sei?!» all'ennesimo tentativo, ripetendo il suo nome quasi all'infinito, Steph si piantò con i piedi per terra, cercando di sentire meglio nel silenzio. Era certa di aver udito qualcosa.
«Becky?» ripeté ancora, a voce bassa. Un mugugno si sentì provenire da un vicolo, e allora Steph non esitò per raggiungere quel lieve rumore.
Con il cuore in gola in un attimo pensò alle mille possibilità in cui sarebbe potuta intaccare. Se fosse stato un barbone? O un gatto? E se invece si trattava di Becky? Era ferita, cosciente?
Steph giunse nell'umidità del vicolo buio, notando immediatamente una sagoma sdraiata per terra. Si trattava di una donna, e quando Steph si chinò più vicina a questa si rese conto subito che si trattava della sua Becky.
Aveva i capelli scompigliati ed il viso tumefatto, probabilmente era stata colpita nel tentativo di difendersi. Il suo bel vestito era strappato dal colletto, mostrandole un seno scoperto, mentre la gonna aderente era stata alzata. Ai piedi di Becky, ancora annotate alle caviglie c'erano le sue mutandine. In mezzo alle cosce del sangue rosso era colato fino all'altezza delle ginocchia. Becky non era mai andata con nessun uomo, e seppur i rapporti intimi con Steph arrivassero in certe profondità chi le aveva fatto quel terribile torto non aveva avuto scrupolo di nessun tipo, usando la forza bruta che solo un animale possiede.
Steph si inginocchiò al suo fianco, prendendole la testa e cercando di coprirla con il proprio cappotto blu. Toccò Becky nel panico, insistentemente, rendendosi contro che poco a poco stava tornando più lucida.
Becky squadrò Steph dalla testa ai piedi per quanto riuscì con quella penombra, aggrottando la fronte, confusa ed ancora sotto shock.
«Tu sei...» bisbigliò riconoscendo quei lineamenti, quegli occhi, quei capelli chiari che si erano tutti scompigliati.
«Sono io, sono Steph.» le disse Steph, piangendo, mettendosi difronte a lei, rispondendogli affannosamente e terrorizzata, con un lieve sorriso.
«Steph.» la voce di Becky era sopraffatta dalla dolcezza, concentrandosi non più su ciò che le era accaduto, su quello che le avevano fatto, ma esclusivamente su quella bellezza salva vita.
«Steph.» Becky continuò a ripetere il suo nome con il tono infantile, travolta dall'incoscienza del trauma appena subito.
«Credevo fossi morta.» le disse Steph, piangendo ancora. La toccò tutta, per assicurarsi davvero che fosse viva.
«Credevo fossi più piccola.» l'esclamazione di Becky era insensata, ma Steph la interpretò nel senso che la sua ragazza la credesse fragile e non talmente coraggiosa da venirla a cercare fin lì.
Steph con enorme fatica, dopo svariati tentativi, riuscì a mettere in piedi Becky, che zoppicava, costretta a reggersi su di lei.
Dopo quella notte tremenda le due riuscirono a tornare a casa. Steph fece il bagno a Becky, che per tutto il tempo tenne lo sguardo fisso sul vuoto più totale.
Cercarono di dormire, in silenzio e con gli occhi bel aperti direzionati al soffitto.
Da quel momento non ci sarebbero state più fotografie, buon cibo in cucina, belle parole e tanto amore nel letto.
Becky era già cambiata e Steph ancora non lo sapeva.
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