9. Gentilezze e cattiverie

Quella mattina c'era un filo di aria fresca che finalmente, dopo giorni di afa soffocante, ci stava facendo respirare un po'.

Camminai verso la scuola con lentezza, ammirando gli alberi e i cespugli curati e fioriti attorno a me mossi da quel venticello fresco, che per quanto fossero belli e colorati, per me che ero abituata alla natura fitta, incolta e brillante di Redwood, sembravano un po' troppo finti. Ma ero comunque fortunata a vivere in un quartiere come quello, pensando a tutti gli altri fatti solo di cemento e asfalto.

Quando arrivai a scuola, come sempre trovai Ethan ad accogliermi con un dolce abbraccio, e Matilda e Lila già pronte a chiedermi tutti i dettagli riguardo al mio pomeriggio passato con Riven, conversazione che iniziavano solo ed esclusivamente quando Ethan si allontanava, per non dargli maggiori preoccupazioni.

Ethan, in quegli ultimi tre giorni in cui Riven era venuto a casa mia per studiare insieme a me, era molto irrequieto. Continuava a mandarmi messaggi durante il pomeriggio per chiedermi come stavano andando le cose, a farmi le stesse domande a scuola e mentre mi accompagnava a casa, a lanciare occhiatacce a Riven quando lo vedeva. E nonostante io continuassi a rassicurarlo, a dirgli che non era mai successo nulla e che non sarebbe mai successo nulla, che Riven non mi avrebbe fatta arrabbiare o soffrire più del normale e che non mi avrebbe mai fatto del male, lui smetteva di comportarsi in quel modo per qualche ora, e poi ricominciava. Stavo provando con tutta me stessa ad essere comprensiva, sapevo che per lui quella era una situazione parecchio impegnativa da gestire, ma allo stesso tempo non riuscivo a non infastidirmi per i suoi modi assillanti.

«Ragazze!» esclamò Ethan, interrompendo la conversazione che stavamo avendo, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa. «Vi va di venire al mare domani? Con me, Mike e Thomas. Posso prendere il minivan di mio padre, così ci stiamo tutti in una sola auto».

Gli occhi di Matilda e Lila si illuminarono.

La Sunset Bay, la spiaggia in cui andavamo sempre per passare una giornata al mare, era un posto davvero meraviglioso. Gli anni precedenti ci andavamo in treno, ma quest'anno saremmo potuti andarci in auto, e ci sarebbe voluta solamente un'ora per raggiungerla. E la cosa più bella di quella spiaggia, era che era nascosa e poco frequentata: i turisti non la conoscevano, perché per arrivarci bisognava fare mezz'ora di camminata nel bosco, e le persone del posto non ci andavano perché preferivano andare più a sud, verso le spiagge più grandi, comode e facili da raggiungere. Ci eravamo andati parecchie volte nel corso degli anni, ed era sempre bellissima.

«Assolutamente si!» rispose Lila, accettando euforicamente la proposta di Ethan.

Anche Matilda accettò, anche se non con la stessa enfasi di sua sorella.

In quel momento, si aggiunsero al nostro gruppetto anche Thomas e Mike, che sorpresero Ethan alle spalle saltandogli addosso e mettendogli le braccia attorno al collo.

«Buongiorno, bellezze. Ethan vi ha chiesto di venire alla Sunset Bay con noi? O vuole continuare a tenervi tutte per sé?» disse Thomas scherzosamente, facendoci l'occhiolino.

Thomas era il migliore amico di Ethan, si erano conosciuti da bambini all'asilo, e da lì avevano sempre frequentato le stesse scuole, diventando inseparabili. Lui era sempre allegro, quel tipo di amico a cui piace fare battute e commenti scomodi per metterti in imbarazzo. Ma in realtà era un ragazzo davvero gentile e rispettoso.

«Gliel'ho chiesto proprio ora» rispose Ethan, dandogli una gomitata nel fianco, alla quale lui reagì fingendo di aver subito un colpo letale.

Ridemmo tutti, e Lila gli rivolse un timido sorriso. Lei aveva sempre covato un interesse nascosto verso Thomas, ma non era mai stata abbastanza coraggiosa da farglielo capire, anche se noi, da quando lei ci aveva confessato i suoi sentimenti per lui, avevamo provato a spronarla in tutti modi.

«E allora? Venite o no? Sono stufo di stare solamente con questi trogloditi» disse Mike, e ricevette anche lui una gomitata da Ethan e una pacca dietro al collo da Thomas.

Mike invece, al contrario di Thomas, era un ragazzo molto tranquillo, dai modi eleganti e delicati. Era sempre composto ed educato, tranne per quando si trattava di insultare i suoi amici per gioco.

«Matilda e Lila hanno detto di sì» esordì Ethan, scatenando i sorrisi compiaciuti dei suoi due amici. «Rose, tu vieni?».

«Certo!» risposi istintivamente. Ma poi, dovetti ripensarci. «Oh, aspettate, domani è sabato...».

«Si, è sabato, e quindi? Non c'è scuola!».

«Devo sistemare il giardino con zia Iris» risposi ad Ethan, che mi stava guardando con delusione.

«Dai, Rose! Lo puoi fare anche di domenica!» disse lui, con occhi imploranti.

«Ethan, lo sai quanto ci tiene, non posso darle buca. Mi dispiace, ragazzi, sarà per il prossimo weekend» dissi sorridente, ma con voce ferma e decisa, facendo capire loro che non avrei cambiato idea.

Mi dispiaceva saltare la giornata a Sunset Bay con i miei amici, ma sapevo che zia Iris si sarebbe arrabbiata molto se non avessi rispettato quell'impegno preso con lei.

Ethan sbuffò, e gli altri assunsero un'espressione rassegnata.

Stavamo per avviarci dentro la scuola, quando il potente rombo di una moto attirò la nostra attenzione e quella di tutti gli altri studenti nel parcheggio della scuola.

Quel ruggito mi sembrò incredibilmente familiare. Mi guardai attorno, come stavano facendo tutti, per cercare di capire da dove provenisse quel suono.
Poi, lo vidi.

In sella ad una moto da cross nera, alta e dall'aspetto aggressivo, c'era lui.
Riven.

Parcheggiò la sua moto, e poi si tolse il casco, scuotendo la testa per togliersi i capelli spettinati dal viso. Tenne il casco sottobraccio e scese dalla moto, venendo verso di noi e ignorando gli sguardi affascinati e increduli dei nostri compagni di scuola.

«Quella è... sua?» chiese Thomas, con gli occhi sbarrati e puntati su quella moto imponente.

«Si, è sua» risposi seccamente.

Riven amava talmente tanto quella moto da averle dato un nome, si chiamava Maya. Gliela aveva regalata Mirca quando lui aveva sedici anni. In quel periodo, secondo ciò che mi aveva detto zia Iris, Mirca stava avendo un importante litigio con i genitori di Riven. Lui era a conoscenza della situazione, stava molto male, era spento e apatico. I suoi dipinti, già normalmente bui e tristi, erano ancora più cupi e tenebrosi, e Mirca, per farlo stare meglio e distrarlo dal suo malessere, aveva provato a farlo appassionare qualcosa di diverso: la motocross. A lei le moto erano sempre piaciute, ma i suoi genitori non le avevano mai permesso di coltivare quella passione. Quindi, quando venne a conoscenza del fatto che un suo amico che abitava nel piccolo centro città di Redwood stava vendendo la sua moto da cross ad un prezzo più che conveniente dato che era quasi nuova, la comprò immediatamente facendo una sorpresa a Riven, alla quale lui reagì con grande entusiasmo. Mirca lo iscrisse a scuola guida, e nel giro di pochi mesi prese la patente per guidare la sua nuova moto. Patente che, a mio parere, non era nemmeno così necessaria dato che guidava solamente nel bosco, dove non c'era nessuno a controllare che lui potesse davvero guidare quel mezzo, e non andava mai in città.

Appena Riven venne verso di noi, i miei amici mi guardarono sconcertati.

«Non ci avevi mai detto di quella moto» disse Matilda.

«Già» concordò seccamente Ethan, lanciando delle occhiate di rimprovero a Thomas e Mike, che sembravano star trattenendo la bava davanti a quella moto luccicante.

«Ciao» ci salutò Riven, sorridendo compiaciuto vedendo gli sguardi ammaliati dei miei amici.

In quegli ultimi giorni si era dimostrato più amichevole, e ci aveva sempre salutati prima di entrare a scuola. Ma quella mattina non continuò ad avanzare verso l'entrata dopo averci salutati, e si fermò insieme a noi.

«Cosa ci fa Maya qui?» gli chiesi, senza preoccuparmi di trattenere il mio sgomento.

«Maya?» ripeté Ethan, confuso.

«È la mia moto, si chiama Maya» rispose Riven, con tono acido e uno sguardo pungente.

«Hai dato un nome alla tua moto?» ribatté Ethan, con una risatina di scherno.

«Si, esatto» rispose lui, con un ghigno di sfida.

Avevo già capito che cosa stava per succedere.

Riven Si avvicinò a lui, abbassando leggermente la testa per guardarlo negli occhi. Era più alto e muscoloso di Ethan, e così vicino a lui lo sovrastava completamente.

«Ti fa così tanto ridere? La mia moto ha un nome perché ha una personalità, cosa di cui tu sei privo. Tu hai solo invidia» ringhiò.

Ethan rimase impassibile, non si spostò nemmeno di un centimetro, ma non rispose alla provocazione di Riven.

«Riven!» lo rimproverai, ma lui reagì soltanto con una risata.

Fece un passo indietro, e tornò davanti a noi.

«Me l'ha portata ieri zia Mirca. Ci ho messo un po' a convincerla a farmela guidare in strada, ma alla fine ha ceduto» disse per rispondere alla mia domanda. «Ci vediamo in classe, ragazze» ci salutò, senza rivolgere neanche uno sguardo ai tre ragazzi, e se ne andò.

«Stronzo» bisbigliò Ethan, e io lo fulminai con lo sguardo.

«È meglio se andiamo anche noi» disse Mike, imbarazzato dalla situazione che si era creata.

Ethan e Thomas lo seguirono, e poco dopo andammo in classe anche noi.

***

Quando entrai nell'aula, proprio in quel momento vidi Ambra sedersi sul banco di Riven, mentre lui seduto sulla sedia.

«La tua moto è bellissima, mi ci porti a fare un giro?» la sentii dire, mentre si rigirava tra le dita una ciocca dei suoi capelli luminosi e dorati.

«No. Non faccio salire nessuno sulla mia moto. E non faccio salire nessuno nemmeno sul mio banco. Scendi immediatamente» ringhiò lui.

Io, Matilda e Lila non riuscimmo a non farci scappare una risatina, vedendo quella scena.

Ambra scese dal banco, e si accorse di noi. Ci lanciò un'occhiata minacciosa, alla quale noi rispondemmo con un altro sorriso divertito, e lei se ne andò sbuffando e facendo ticchettare sul pavimento i tacchi dei suoi sandali argentati.

In quei giorni, Ambra si stava proprio rendendo ridicola con i suoi atteggiamenti. Continuava ad assillare Riven, che però non sembrava minimamente intenzionato a cedere alle sue provocazioni, e non mostrava neanche una briciola di interesse verso di lei, cosa che la faceva arrabbiare parecchio, e di conseguenza anche intestardire. Più giorni passavano, più rifiuti otteneva, e più la sua determinazione nel conquistare Riven cresceva instancabilmente. Ormai la conoscevo, e sapevo che per lei era diventata una sfida personale.

«Non ti molla neanche un secondo, eh?» dissi a Riven, sedendomi accanto a lui.

«Non la sopporto» rispose lui con voce pacata, ma serrando la mascella in preda alla collera.

Guardai Matilda e Lila, nel banco accanto al mio, e le vidi ridacchiare ancora.

«Riven...» dissi tornando a guardarlo, sapendo che ciò che gli stavo per domandare sarebbe stata una richiesta impossibile da accontentare.

Quando lui si voltò verso di me, i suoi occhi profondi e penetranti mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso, e pensai di tirarmi indietro. Ma mi feci coraggio, e parlai.

«Potresti... smetterla di comportarti in modo così spavaldo quando c'è Ethan? O almeno cercare di contenerti...» farfugliai, «Sta diventando un po' troppo apprensivo, e mi sta infastidendo. Se solo potessi essere un po' meno...».

«No» rispose schietto, interrompendomi.

Come pensavo. E non osai proseguire oltre con la mia richiesta.

Sospirai, e mi rassegnai all'idea che avrei dovuto continuare a scontrarmi con il mio ragazzo, per colpa del suo atteggiamento.

Almeno, Riven non sembrava più essere un problema così grande. Anche se a scuola continuava a comportarsi in maniera ostile e antipatica sia con me che con i nostri compagni, soprattutto con Ethan, e sembrava voler continuare a rovinarmi la vita, a casa non facevamo nient'altro che studiare, e in quei momenti sembrava che lui riuscisse a mettere da parte tutto l'odio che provava nei miei confronti.

Sapevo che non era così, che il suo astio non era calato per davvero, che si stava comportando come se fosse indifferente alla mia presenza perché glielo avevo chiesto io, quella sera a casa sua, o per chissà quale altro motivo, ma a me andava bene così.

Mi confondeva, e avrei voluto che la piantasse di comportarsi in modo così crudele una volta per tutte, ma forse in quel modo sarei riuscita a sopportare per tutto l'anno scolastico quella routine che mi costringeva a passare del tempo con lui.

Il professor Weber, il nostro insegnante di matematica, arrivò in perfetto orario con il suo solito fare burbero e severo. Lui era il nostro professore più rigido e pretenzioso, una figura molto rispettata da noi studenti, ma nonostante ciò, piaceva a tutti. Era bravo nel suo lavoro, era paziente e si impegnava affinché tutti riuscissimo a stare al passo anche con gli argomenti più complessi. E anche se la matematica non era di certo la mia materia preferita, mi aveva insegnato ad apprezzarla.

Terminate le due ore di matematica, in cui dovetti concentrarmi parecchio per capire le contorte spiegazioni del professor Weber, la giornata passò in fretta.

Alla fine delle lezioni, Riven uscì frettolosamente da scuola, probabilmente impaziente di tornare dalla sua amata moto.

Io, Matilda, Lila uscimmo con più calma, e andammo nel parcheggio dove trovammo Ethan, Thomas e Mike lì ad aspettarci, accanto all'auto di Ethan.

La moto di Riven già non c'era più.

Ci salutammo, chiacchierammo un po' delle lezioni della giornata, e poi gli altri iniziarono a discutere dei dettagli per la giornata al mare dell'indomani.

«Ragazzi, io vado» dissi, quando capii che non c'era più spazio per me in quella conversazione.

«Aspetta, ti accompagno a casa» rispose Ethan, aprendo la portiera dell'auto.

«Oggi non c'è poi così caldo, preferisco andare a piedi» dissi, sperando di non farlo rimanere male.

«Va bene, allora ci sentiamo dopo» rispose sorridendo e richiudendo la portiera.

Mi diede un affettuoso bacio sulla guancia, e poi uno sulle labbra.

Salutai tutti quanti, lasciandoli conversare su che cosa sarebbe stato meglio portare via per il pranzo al sacco, e mi incamminai verso casa.

***

Dopo pranzo, mi sedetti sul divano con il mio libro iniziato da poco, "Il processo" di Kafka, ad aspettare che Riven suonasse il campanello.

Anche quel pomeriggio, zia Iris non era a casa.
Nei giorni scorsi aveva aiutato Mirca con il trasloco, e invece quel giorno erano andate insieme nel centro di Dawnguard per fare delle commissioni.

Non feci in tempo a leggere nemmeno una pagina, che Riven arrivò. Gli aprii la porta, e andammo subito in camera mia a studiare.

Quel pomeriggio ripetemmo la lezione di matematica di quel giorno, e anche quelle di inglese e di filosofia. Riven, come aveva fatto nei giorni precedenti, mi ascoltò con attenzione e prese appunti, e il pomeriggio passò in totale tranquillità.

Quando chiudemmo libri e quaderni, lui si alzò sospirando e si buttò sul mio letto, guardando il soffitto. Rimasi un po' confusa da quel suo gesto, totalmente inaspettato.

«Perché fai così?» gli domandai, e non mi riferivo al fatto che si fosse sdraiato lì.

«Così, come?» rispose lui, guardandomi perplesso, con i suoi occhi smeraldini che sembrarono scrutarmi l'anima, e un sorriso beffardo. Aveva capito benissimo a che cosa mi stessi riferendo.

«Quando siamo qui a studiare, ti comporti come se la mia presenza ti fosse totalmente indifferente. Quando siamo a scuola, o quando siamo insieme ma non stiamo pensando allo studio, ricominci con il tuo atteggiamento insopportabile e meschino. Lo fai perché te l'ho chiesto io? Mi spieghi che diavolo ti passa per la testa?» sbottai, sapendo già che quello era fiato sprecato, e che non avrei ricevuto nessuna risposta soddisfacente.

I suoi occhi si fecero mordaci e taglienti. «Lo faccio perché so che non posso dimostrarti quanto ti odio per tutto il giorno e tutti i giorni, altrimenti prima o poi esploderai e farai saltare tutto quanto. E dato che so quanto lo studio sia un tasto sensibile per te, ho pensato di comportarmi da bravo cucciolo, così non corro il rischio di farti andare a piagnucolare dalle nostre zie o dalla professoressa Morris» rispose lui, con un sorriso compiaciuto.

Mi alzai di scatto a andai a passo feroce verso di lui. «Pensi che io abbia bisogno della tua gentilezza? Della tua compassione? Ti ho sopportato per anni, Riven. Posso continuare a farlo senza problemi».

Riven alzò le sopracciglia, incurante del mio folle sfogo. «Oh, no, Spina. Non credo proprio di essere gentile o compassionevole nei tuoi confronti. Anzi, sto solo cercando di evitare che tu faccia un disastro. Sai, per il bene della nostra stessa sopravvivenza qui a Dawnguard. Se sto cercando di essere meno insopportabile per te, è solo per un tornaconto personale».

Sapevo che ciò che mi stava dicendo era la verità, ma quando le sue parole mi colpirono come una freccia, mi resi conto che dentro di me stavo sperando in un'altra risposta.

Speravo che quei suoi momenti di pace, in cui non mi feriva con le sue cattiverie e con i suoi sguardi brucianti di odio, non fossero un altro teatrino. Speravo che lui stesse cambiando, che stesse iniziando ad apprezzare la mia compagnia, e invece non era cambiato nulla.

«Sei una persona vile, Riven. Un vigliacco, un codardo a cui piace giocare con le persone per sentirsi superiore» sbottai, delusa da quella sua risposta.

Lo guardai negli occhi, e per un attimo vidi la sua maschera scivolare via. In quel frammento di secondo, riuscii a vedere nel suo sguardo una scintilla di afflizione, provocata dalle mie dure parole. Ma feci appena in tempo a notarla, che lui riprese il controllo sulle sue emozioni.

Si alzò in piedi con noncuranza, e si piazzò di fronte a me, con il suo viso a pochi centimetri dal mio.

Questa volta non mi lascerò intimorire, pensai.

Puntai i piedi per terra e restai immobile, a guardarlo negli occhi, sperando che si allontanasse presto da me, perché non sarei riuscita a reggere quello sguardo smeraldino penetrante e intenso ancora per molto.

«Non sto cercando di sentirmi superiore, so di esserlo. E sai una cosa, piccola Spina? Tu mi dai un ottima dimostrazione» disse con voce bassa e profonda.

Sentii il cuore iniziare a martellare nel mio petto e il sangue pulsare nelle orecchie. Era difficile ignorare le sue provocazioni.

Volevo rispondere, tirare fuori tutte le parole taglienti che avevo in serbo per distruggere la sua barriera fatta di superbia e cinismo, per vederlo crollare e farmi dire una volta per tutte il motivo che lo spingeva ad odiarmi così tanto, ma non lo feci. Restai lì, a guardarlo dritto negli occhi. Non avrei dato a Riven la soddisfazione di vedermi scappare, non un'altra volta.

«Che c'è? Ti sei morsa la lingua per la paura e ora non riesci più a parlare?» disse lui, stringendo gli occhi in una fessura e mostrandomi un ghigno di scherno.

Sentii l'ira crescere dentro di me, ma mi sforzai di trattenere la rabbia che stava prendendo il sopravvento. Tentai con tutta la mia forza di volontà di mantenere la compostezza, nonostante il suo sguardo mordace e provocatorio.

«Perché continui a tenerti appiccicata addosso questa maschera di odio e superiorità? Ti senti al sicuro, vero? Così nessuno può guardarti dentro» dissi in tono pacato.

Non gli avrei permesso di vedermi perdere il controllo.

«E tu vorresti farlo, Spina? Vorresti guardarmi dentro? Scapperesti da me, come fai sempre» ringhiò lui, tornando serio.

«Non voglio più scappare da te, Riven. Voglio capire perché ti comporti così, perché ti senti in dovere di essere così crudele con me. Io non ti ho mai fatto nulla».

Riven sembrò sorpreso dalla mia risposta, e per un istante la sua maschera si incrinò di nuovo. Forse non si aspettava una risposta così sincera e aperta.

Poi, il suo viso si rabbuiò nuovamente e sembrò tornare sulla difensiva. «Ti ho già detto abbastanza volte che di questo non voglio parlare. E ti ho già detto che proverò ad odiarti di meno e a non rovinarti la vita, ma non mi rendi le cose semplici se fai così, Spina».

«Se non ne vuoi parlare, allora continuerai a portarti dentro questa pesantezza che ti rende così amaro e freddo, e niente cambierà mai tra di noi» dissi con determinazione.

Riven distolse lo sguardo da me, e scosse la testa come se stesse rinunciando a qualcosa. Si sedette sul letto, guardando in basso.

Per la prima volta, non ero stata io a fuggire dal nostro scambio di sguardi, ma era stato lui. E io tirai un sospiro di sollievo.

«Non mi interessa cambiare le cose tra di noi. Per l'ennesima volta: non voglio essere tuo amico. Ma troviamo un compromesso: io ti prometto che mi impegnerò veramente per essere meno crudele con te, sia a casa che a scuola, ma tu devi smetterla di scavare nel passato e di cercare di capire tutto. Non sono affari tuoi» disse con voce decisa, ma molto più calma.

Non mi sembrava vero. Finalmente, avevo ottenuto una piccola vittoria, una minuscola apertura verso un cambiamento.

«Va bene. E promettimi che non mi ferirai più gratuitamente e che smetterai di comportarti male con Ethan, sono stanca di sopportare tutto questo. Ci metterò un secondo a rovinare tutto il teatrino che hai faticosamente costruito in questi anni, se non manterrai la promessa» gli dissi, facendogli capire che non avrei accettato ulteriori soprusi ancora a lungo.

«Vedremo cosa riesco a fare» rispose lui, con un sorrisetto enigmatico.

Finita quella conversazione scendemmo al piano di sotto, e Riven tornò a casa sua.

----------------[ spazio autrice ]----------------

Ciu :3 come state?
Capitolo bello lungo e intenso, eh? Finora è stato quello che mi ha messo più in crisi di tutti, è stato davvero difficile da scrivere!
Fatemi sapere che cosa ne pensate!
Un abbraccio, ci vediamo al prossimo capitolo! :3

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