32. Casa
«Ti amo anche io, Spina» rispose lui.
E il nodo che avevo allo stomaco si sciolse, il mio cuore smise di tremare, e un sorriso nacque sul mio volto.
Mi ama ancora.
Ma poi un dubbio si fece strada nella mia mente. E allora, perché sparire e poi atteggiarsi in quel modo?
«Lo so che pensavi non volessi più stare con te, e ti chiedo scusa. Mi sono comportato da vero idiota» disse, accarezzandomi la guancia.
Doveva essersi accorto del mio improvviso cambio di espressione.
«Perché lo hai fatto?» gli domandai, aggrottando le sopracciglia.
«È una storia lunga. E tu mi devi ancora raccontare un bel po' di cose» ribatté con un ghigno.
«Mi sembra sia domenica, e mi sembra che abbiamo tempo a disposizione».
«E allora parla».
«No, prima tu. O io non ti dirò proprio un bel niente».
Lui sbuffò rassegnato. «E va bene, accetto la sconfitta».
Sorrisi, e gli diedi un piccolo pugno sulla spalla.
«Due settimane dopo la tua partenza i miei genitori hanno provato a contattarmi. È incredibile, lo so, sembra quasi che i miei e i tuoi si siano messi d'accordo. Non so come, ma hanno trovato il mio numero di cellulare. Mi hanno bombardato di telefonate e messaggi dicendomi che erano cambiati, che volevano avere una seconda occasione, che infondo se la meritavano... Insomma, volevano che tornassi a vivere con loro. Sono stato tanto male per questo, ho passato dei momenti davvero orribili: mi sono tornati in mente tutti i brutti ricordi, tutte le loro parole piene d'odio, le loro botte e la loro cattiveria. Continuavo a fare incubi, ad avere attacchi d'ansia, non stavo per niente bene. Mirca mi ha aiutato molto. E prima che tu me lo dica, non volevo parlartene perché pensavo tu fossi felice con tua madre e tuo padre, e non volevo crearti problemi. E poi, con questo ritorno improvviso dei miei genitori, ho pensato che sparire dalla tua vita fosse la cosa migliore da fare. Loro erano tornati, e con loro anche tutti i ricordi, e credevo che contattandoti in continuazione tu non saresti mai riuscita a separarti dalla tua vita a Dawnguard. Avresti pensato a me, avresti pensato che non saresti mai riuscita ad adattarti a vivere in un posto nuovo, saresti rimasta bloccata nel passato, in un certo senso. Io volevo solo proteggerti, volevo farti vivere in pace. E quando ti sei presentata qui, credevo fossi tornata per me. Ho pensato che comportarmi da stronzo ti avrebbe fatta allontanare e che saresti tornata a vivere la tua vita insieme ai tuoi genitori, dimenticandoti di me una volta per tutte. Ma quando ho visto quanto stavi male, quando ho capito che non eri tornata per me, ma perché con loro non ti sentivi a casa, ho ceduto. Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto. Io ti amo, e non ho mai smesso di farlo nemmeno per un secondo. Scusa se ti ho fatto credere il contrario».
Lo ascoltai a bocca aperta. Ora, tutto aveva molto più senso.
«Riven, io... Non so che cosa dire» farfugliai.
«Non serve che tu dica nulla. Capisco che tu sia arrabbiata, insomma...».
«Non sono arrabbiata» lo interruppi bruscamente. «Lo ero, ma ora non più. Sono preoccupata a dire la verità. Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto quanto da solo».
«Non fa niente. Ora va tutto bene. Li ho rispediti da dove erano venuti a calci in culo, quei bastardi» esclamò con un sorriso soddisfatto. «E comunque ora tocca a te, signorina».
«Va bene, va bene. Ma prima, signorino... Eri davvero convinto che fossi tornata qui solo per te? Non sei il centro del mio mondo, carino» dissi scherzosamente, prendendolo in giro.
«Ah ah, divertente» rispose fingendo una risata. «E comunque non pensavi lo stesso poco fa, mentre gridavi il mio nome con quel tono implorante... Riven, Riven!» esclamò imitando la mia voce e le mie espressioni durante il nostro momento di intimità.
Io gli diedi un altro pugno sulla spalla, questa volta un po' più forte, mentre lui ridacchiava divertito.
«Fammi sapere quando hai finito!» sbottai, facendomi scappare un sorrisetto.
«Va bene, la smetto» disse cercando di ricomporsi.
Quando fu di nuovo concentrato, iniziai a raccontargli dei miei due mesi passati a Solarenda in compagnia dei miei genitori.
Lui continuò ad interrompermi commentando con esclamazioni scurrili, che resero il tutto più leggero e divertente. Ma alla fine del mio sproloquio, lui si fece più serio.
«Non posso credere che si siano comportati in questo modo. E ancora non ti hanno chiesto che fine hai fatto?».
«Mamma mi ha mandato un messaggio ancora oggi pomeriggio chiedendomi dov'ero. Ma niente di più. Forse si sono accorti che le mie cose non sono più lì e hanno capito».
«Che teste di cazzo» commentò, scuotendo la testa con disapprovazione. «Mi dispiace sia andata a finire così. Pensavo sarebbe stato diverso».
«Lo pensavo anche io. Ma va bene così».
«Già. Almeno ora sei di nuovo qui» disse, e mi strinse a lui.
Passammo la serata insieme a casa sua. Ci rivestimmo, cenammo con pizza d'asporto, guardammo un film, il tutto senza staccarci nemmeno per un secondo. Gli raccontai anche di Jake, Kyle e Lara, dicendogli che un giorno sarei voluta tornare a Solarenda insieme a lui per farglieli conoscere, e lui reagì con entusiasmo. Era felice di sapere che, anche se soltanto per l'ultimo giorno passato sull'isola, avevo trovato qualcuno che mi desse un po' di supporto.
«Devo tornare a casa, purtroppo non posso restare qui a dormire. Devo sistemare le mie cose» dissi quando scattò la mezzanotte.
«Ne sei proprio sicura?» rispose, stritolandomi in un'abbraccio.
«Si, lo sono! Lasciami andare!» esclamai, cercando di liberarmi dalla sua stretta.
Mi alzai in piedi, stirandomi un po' i vestiti con le mani.
«Guastafeste» borbottò, facendomi una linguaccia.
«Mi vieni a prendere domani? Andiamo a scuola insieme?» gli chiesi, infilandomi la giacca.
«Va bene» rispose, con un sorriso stampato sulla faccia. «Ti vengo a prendere alle otto meno cinque».
«Mentre non c'ero hanno cambiato orario alle lezioni? Non sono più alle otto?» dissi confusa, allacciandomi le scarpe.
«No, sono sempre alle otto. Ma tu non ti preoccupare. Otto meno cinque, sarò sotto casa tua. E metti una giacca pesante».
Io lo guardai perplessa, ma lui ricambiò il mio sguardo smarrito con un sorrisetto beffardo.
Feci spallucce, gli stampai un bacio sulle labbra, e uscii.
Una volta tornata a casa mia, mi misi a sistemare tutte le ultime cose rimaste in valigia, e a preparare lo zaino per il giorno dopo. Poi mi lavai i denti, indossai uno dei miei pigiami invernali ben piegati e sistemati nell'armadio, misi il telefono in carica sopra al comodino e mi infilai nelle coperte.
Era davvero strano ritornare alla routine di sempre: la mia stanza, le mie cose, il mio letto, la mia finestra con la vista sul cielo.
Quel cielo non erano minimamente paragonabile a quello senza minima traccia di inquinamento luminoso che si vedeva a Solarenda, ma era il mio cielo. Ed era quello che amavo più di tutti.
Sospirai e sorrisi, mi tirai le coperte fin sopra le orecchie, e mi addormentai.
***
La mattina dopo, mi svegliai alle sette e mezza, per farmi trovare pronta poco prima delle otto come mi aveva chiesto di fare Riven.
Ancora non avevo capito cosa diamine aveva in mente, ma non mi feci più di tante domande.
Indossai un paio di jeans neri, un maglione rosa a collo alto, i gioielli appariscenti che tanto mi erano mancati, che non avevo potuto portare a Solarenda per mancanza di spazio in valigia. Mi truccai, cosa che non facevo da mesi, e indossai il profumo.
Quando mi guardai allo specchio, sorrisi al mio riflesso. Mi sentivo di nuovo me stessa. Quelli erano solo oggetti e frivolezze, ma erano l'espressione di ciò che ero, e mi facevano stare bene.
Infilai i soliti stivali, misi lo zaino in spalla, e mi trattenni per qualche minuto in cucina con zia Iris mentre attendevo di sentire il rombo del motore della moto di Riven fuori di casa.
Ed esattamente alle 7:55, un forte rumore echeggiò nella via. Ma non era quello della solita moto, era diverso.
Guardai zia Iris con perplessità, e lei mi sorrise salutandomi con la mano. Lei sapeva che cosa stava succedendo, mentre io non stavo capendo proprio niente.
La salutai anche io, misi lo zaino in spalla, presi il casco, e uscii di casa.
Quando aprii la porta, spalancai gli occhi per lo stupore e restai a bocca aperta.
Riven era davanti al vialetto, ma sopra ad una moto diversa, enorme e luccicante.
«Sorpresa» disse lui a voce alta, cercando di sovrastare il rumore.
Andai verso di lui, senza staccare gli occhi da quel gioiellino.
«Ma che sta succedendo?» domandai confusa.
«Ti piace? È nuova, non è bellissima? Il mese scorso...».
«È fantastica, e lo vedo che è nuova! Ma mi spiegherai dopo, siamo in ritardo!» dissi, indossando il casco.
«Nah» rispose lui. «Fidati, non siamo in ritardo. Comunque, stavo dicendo, il mese scorso ho preso la patente per guidare moto più potenti, ci ho messo soltanto una settimana. E Mirca, dato che ha avuto un grosso aumento a lavoro e io ero un po' giù di morale, come sai, ha pensato di regalarmi una moto. E non una moto qualsiasi, ma quella che sogno da quando sono un bambino. È una Kawasaki Ninja».
«Wow» dissi, continuando a guardare quella moto tutta nera e brillante.
«Già, wow. Si chiama Livia» esordì in tono soddisfatto.
«E Maya?» domandai, un po' dispiaciuta.
«Lei è la mia bambina, rimarrà con me per sempre! È in garage, continuerò ad usarla».
«Menomale, per un attimo ho avuto paura» dissi sospirando, sollevata nel sapere che la moto con la quale avevamo costruito dei bellissimi ricordi fosse ancora con lui.
Lui si tolse un guanto, e tirò fuori il telefono dalla tasca della giacca. Solo in quel momento mi accorsi che aveva anche dei guanti e una giacca da moto in pelle nuovi.
Restò a fissare lo schermo per qualche secondo, fino a quando non scattarono le 7:58.
«Bene, ora possiamo partire» disse, e mi fece cenno di salire sulla moto.
Salii, ed era decisamente più comoda dell'altra.
«Tieniti stretta» si raccomandò, e mi strinsi più forte a lui.
Tolse il cavalletto, iniziò ad accelerare, e in un secondo raggiungemmo una velocità incredibile.
Spalancai gli occhi, sentendo lo stomaco andarmi sottosopra, e strinsi la sua vita ancora di più.
Lo sentii ridere, e accelerò ancora di più.
Sfrecciò nelle vie di Dawnguard, e pochissimo tempo dopo ci fermammo nel parcheggio della scuola, ancora popolato da qualche studente.
Scendemmo dalla moto, e con calma ci togliemmo i caschi.
Quando lo vidi sfilarsi il guanto per prendere il cellulare, mi ricordai che eravamo in ritardo.
«Dai, andiamo!» gli dissi, prendendolo per il polso e trascinandolo verso l'ingresso.
Lui rimase immobile, e poi mi strattonò all'indietro. Mi voltai, e vidi che stava tenendo il telefono in mano. Erano le 7:59.
Sorrisi, e scossi la testa.
«Te lo avevo detto» disse facendo spallucce, tirandomi ancora verso di sé e dandomi un bacio.
«Ora andiamo davvero, però» dissi ridacchiando.
Entrammo a scuola e, strano ma vero, mi sentii felice nel ritornare in quel posto.
Andammo verso la nostra classe, e iniziai ad agitarmi un po'. Non avevo visto Lila e Matilda nel parcheggio e non avevo detto loro nulla del mio ritorno improvviso, perciò non si sarebbero aspettate di vedermi di nuovo in classe.
«Bene, ora che ci siamo tutti...» disse la professoressa Morris appena vide entrare Riven.
Ma poi, si bloccò. Entrai anche io, e ci fu un attimo di silenzio generale.
«Rosaspina, non ti aspettavamo qui!» esclamò lei, confusa.
«Sono tornata prima del previsto» risposi sorridendo.
Lila e Matilda erano sedute sempre al solito posto, e i due banchi accanto ai loro erano ancora vuoti.
Loro due si alzarono di scatto, correndo verso di me con degli urletti emozionati.
«Signorine! Un po' di contegno!» le rimproverò la professoressa. Ma poi si mise a ridere, e le lasciò fare.
«Ma che ci fai qui?!» trillò Lila, abbracciandomi.
«Non mi sembra vero!» esclamò Matilda, unendosi all'abbraccio.
«Vi spiegherò tutto» dissi, tentando di farle calmare. «Ma ora è meglio che ci sediamo, prima che la professoressa Morris decida di bocciarci in anticipo».
«Forza, sedetevi!» ci incitò lei.
Sciogliemmo il nostro abbraccio, e andammo a sistemarci ai nostri posti.
Continuammo a scambiarci sguardi complici ed emozionati per tutto il resto della giornata, in trepidante attesa della fine delle lezioni.
Quando la campanella suonò ci prendemmo subito per mano e uscimmo da scuola correndo.
Arrivate nel parcheggio ci abbracciammo di nuovo, saltellando e ridendo. Probabilmente sembravamo fuori di testa.
«Siete proprio tristi di rivedervi, eh?» commentò Riven alle nostre spalle.
«Rose?» disse un ragazzo vicino a noi.
Ci separammo, e vidi che anche Thomas e Mike si erano uniti a Riven.
«Ragazzi!» esclamai abbracciando anche loro.
«Ma da quanto sei qui?» domandò Mike, sorpreso.
«Da ieri» risposi, lasciandoli andare.
«E per quanto rimarrai?» mi chiese Matilda.
«Non me ne andrò di nuovo. Starò qui!» risposi senza riuscire a trattenere l'emozione.
«Non ci posso credere!» trillò Lila. «Ma perché? Che è successo?».
«Andiamo alla Lumos questo pomeriggio, vi dirò tutto quanto. Voglio raccontarvi le cose con calma».
«Mi sembra un'ottima idea» esordì Matilda.
«Ovviamente, ragazzi, siete invitati anche voi» precisai riferendomi a Thomas e Mike.
Loro sorrisero, e poi ci accordammo tutti insieme per l'orario di ritrovo.
«Allora alle quattro alla Lumos» disse Matilda.
«Ottimo! Ci vediamo dopo!» li salutai, infilandomi il casco.
Ci salutammo, e io e Riven andammo verso la moto.
Quando partimmo riguardai i nostri amici, e mi resi conto che tutti e quattro avevano delle facce sbalordite.
«Perché ci hanno guardati così?» chiesi a Riven, urlando per farmi sentire.
«Perché ancora non avevano visto Livia» rispose, e accelerò improvvisamente.
In un minuto arrivammo a casa mia, e io ero ancora incredula da quanto potesse andare veloce quella moto.
«Non volevo usarla per andare a scuola. Oggi è stata la prima volta» disse togliendosi il casco.
«E perché oggi l'hai voluta usare?» gli domandai confusa.
«Perché ora ci sei di nuovo tu. E perché farti salire su una BMW quando posso portarti in giro con una Lamborghini? Non so se mi spiego» disse pieno di sé.
«Ho afferrato» dissi facendo schioccare la lingua.
«Ti vengo a prendere dopo».
«Alle quattro meno cinque?» dissi con una risatina.
«Quattro meno cinque» ripeté lui, facendomi l'occhiolino.
E sfrecciò verso casa sua.
***
Quando arrivammo alla gelateria ancora non era arrivato nessuno dei nostri amici, ma era già piena di gente.
Ci sedemmo ad uno dei pochi tavoli rimasti liberi, e li aspettammo.
Nell'attesa, mandai un messaggio a Lara.
"Ciao Lara, sono Rose. Volevo dirvi che va tutto bene, sono tornata a casa e sono felice. E comunque, io e Riven stiamo ancora insieme. C'è stato solo un grande malinteso tra noi due. Lui vorrebbe conoscervi. Fatemi sapere quando i miei genitori levano le tende, che magari veniamo a trovarvi!" le scrissi, sapendo che probabilmente non mi avrebbe risposto per un bel po' di ore.
Sicuramente era impegnata a fare qualcosa di spericolato insieme a Kyle e Jake. Sorrisi pensando a loro correre liberi su quella bellissima isola, che non avevo avuto l'occasione di godermi come avrei dovuto.
«Ciao!» esclamò Lila, sedendosi insieme a Matilda al nostro tavolo.
«Stanno arrivando anche Thomas e Mike, sono fuori a fumare una sigaretta e a sbavare sulla moto di Riven» disse Matilda, alzando gli occhi al cielo.
«Bella, eh?» disse Riven, dondolandosi sulla sedia.
«Si, mi piace di più di quella che avevi prima» rispose lei.
«Immagino vada velocissimo! Sembra proprio pazzesca!» esclamò Lila, particolarmente esaltata.
«Decisamente. Da dove diavolo l'hai tirata fuori?!» disse Thomas sbigottito, avvicinandosi anche lui al tavolo e dando un bacio sulla fronte a Lila prima di sedersi.
«Ciao anche a voi» disse Riven, rimettendosi composto. «Ce l'ho da qualche settimana. È un vero gioiello, è nuova di zecca».
«Lo abbiamo notato» disse Mike, trascinando una sesta sedia da un tavolo accanto verso il nostro.
«Beh, siamo qui per parlare di qualcos'altro» disse Lila, guardandomi.
«Mi ci vorrà un po'» mi giustificai in anticipo.
Tutti mi osservarono con sguardi impazienti, e dopo aver ordinato i nostri gelati, io iniziai a raccontare per l'ennesima volta quello che era successo.
Anche loro, come aveva fatto Riven la sera prima, commentarono con qualche parolaccia, e quando finii di parlare rimasero senza parole.
«Mi dispiace molto» disse Lila, allungando la mano verso la mia e stringendomela.
«Dispiace anche a me» concordò Matilda.
«Hai fatto bene ad andartene» commentò Mike, con sguardo triste.
«Già. E sei stata davvero cazzuta a fare a loro quello che hanno fatto a te! Così si fa!» esclamò Thomas, facendo ridere tutti quanti e smorzando la tensione del momento.
«Ma ora abbiamo un'altra cosa importante di cui parlare» disse Matilda, incupendosi.
«No, no, no! Finché non lo dici non si realizza!» piagnucolò la sorella.
«Matilda, abbiamo ancora tempo, dai...» farfugliò Thomas, agitandosi.
«Gli esami!» esclamò lei.
E tutti quanti ci lasciammo andare ad un lamentoso «No!» di gruppo.
«Non sembra, ma il tempo scorre, cari miei! Ormai la fine dell'anno è alle porte, e dobbiamo diplomarci tutti quanti!» esordì Matilda.
Riven sbuffò. «Mi duole ammetterlo, ma la ragazza ha ragione. Dobbiamo metterci sotto con lo studio e organizzarci come si deve».
Tutti annuimmo per concordare, tranne Lila.
«Siete tutti dei rompiscatole» borbottò lei.
«Tra qualche settimana ci ringrazierai, fidati!» esclamò Mike, dandole una gomitata.
Lei sbuffò, ma non disse nulla.
«Allora, io direi che possiamo fare così: scegliamo due giorni della settimana per trovarci in biblioteca il pomeriggio e studiare tutti insieme. Se ci aiutiamo a vicenda, sarà più facile per tutti. Ripassiamo tutto il programma dell'anno fino a quando i professori non inizieranno a darci indicazioni più precise. Che ne dite?» disse Matilda.
«Mi sembra un ottimo programma. Che ne dite del martedì e del giovedì? Così poi ci teniamo il weekend libero» risposi, cercando l'approvazione degli altri.
Tutti annuimmo.
«Io direi che possiamo anche raccogliere tutti i nostri appunti e scambiarceli, così possiamo vedere se nei nostri manca qualche argomento che qualcun altro invece ha scritto» disse Thomas.
«Io ve lo dico subito, non ho quelli di matematica perché non ci ho mai capito un tubo!» si lamentò Lila, incrociando le braccia sul tavolo e appoggiandoci sopra la testa.
«Non ti preoccupare» la rassicurai, «Riven è un genio in matematica! Ti aiuterà lui, vero?».
«Certo» disse lui, rivolgendole un sorriso. «A questo proposito, io direi che potremmo muoverci anche in questo modo: ognuno sceglie la materia in cui è più bravo, e prepara degli schemi semplici per chi invece è meno ferrato su quegli argomenti».
«Ottimo, ottimo!» esclamò Matilda soddisfatta. «Bravi, così vi voglio! Vedrete, con tutti questi trucchetti e questo entusiasmo sarà una passeggiata, e in men che non si dica ci lasceremo alle spalle questo liceo!».
Tutti esultammo, ma poi tornò il silenzio.
«A dire la verità, a me mancherà il liceo. Sono stati degli anni bellissimi» disse Lila, con un po' di malinconia nella voce.
«Anche a me» concordai, «E dato che ho perso due mesi di scuola in vostra compagnia, voglio che queste ultime settimane siano fantastiche!».
«Guarda che anche se finirà la scuola, non finirà mica la nostra amicizia!» commentò Thomas con un sorriso.
«Lo spero» risposi, sospirando.
«Sarà così» esordì Riven, con voce decisa.
«Vi voglio bene, ragazzi. Mi siete mancati tantissimo»
«Si, si. Anche tu ci sei mancata, stellina. Ma ora ordiniamo un secondo gelato?» domandò Mike, scocciato.
Tutti scoppiammo a ridere, e ordinammo effettivamente un secondo giro di gelati per tutti.
Con la compagnia delle persone che amavo, con il loro affetto e il loro supporto, sapevo che sarei riuscita a lasciarmi alle spalle quella brutta storia e a rimettere insieme tutti i pezzi del mio cuore.
----------------[ spazio autrice ]----------------
Ciu :3 come state?
Ragazzi miei, mi dispiace dirvi che manca poco alla fine di questa storia! Ma chissà come andranno gli esami... Anche se, mi sa che voi non avete dubbi sui risultati dei nostri cari amici!
Un abbraccio e al prossimo capitolo! :3
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