3. Spina nel fianco
Per tutta la lezione sentii gli occhi di Matilda e Lila puntati su di me.
Chissà a che cosa stanno pensando, mi domandai.
Il comportamento che aveva avuto Riven non era minimamente coerente con ciò che avevo sempre raccontato loro. Gli avevo parlato di un ragazzo freddo, rude, maleducato, e invece si era dimostrato amichevole, sorridente e gentile.
Lui era troppo bravo a nascondere agli altri la sua vera essenza. Persino zia Iris e Mirca, che lo conoscevano molto bene, non sapevano nulla di quel suo lato cupo e irritante.
Guardandomi attorno colsi anche qualche sguardo invidioso delle mie compagne di classe, ma tra tutti quello che spiccava era sicuramente quello di Ambra.
Lei era una delle ragazze più belle della scuola, se non la più bella. Aveva i capelli biondi e sempre messi in piega, ogni giorno si vestiva con cura e alla moda, indossava un profumo buonissimo, e aveva gli occhi di colore diverso: uno azzurro e uno marrone.
Non c'era un ragazzo in tutto il liceo che non avesse desiderato almeno una volta di invitarla ad uscire, e i pochi temerari che ci provavano venivano rifiutati in un millesimo di secondo. Ambra era troppo piena di sé per accettare l'invito di un ragazzo qualunque. Ma quando lei desiderava qualcuno, riusciva a farlo cadere ai suoi piedi senza il minimo sforzo. E poi, quando lei si stufava, spezzava il cuore del povero malcapitato senza nessuna pietà.
Non avevo bisogno di indagare per conoscere il motivo di quelle occhiate frustrate.
Riven, per quanto fosse insopportabile, era davvero bello e affascinate, ed ero sicura che in molte avrebbero voluto essere al mio posto.
Durante tutte le estati passate insieme a lui avevo avuto molto tempo a disposizione per osservarlo, e dettaglio dopo dettaglio mi rendevo conto di quanto fosse magnetico ed intrigante il suo aspetto.
I capelli bronzei lisci e spettinati che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi verdi smeraldo dal taglio allungato, incorniciati da delle folte e lunghe ciglia scure che rendevano il suo sguardo affilato, elegante e carismatico, le lentiggini sul naso, le labbra lisce, rosee e carnose, i lineamenti definiti e simmetrici. Ogni centimetro del suo volto era perfetto.
Era antipatico e sgradevole, questo era certo, ma non gli si poteva negare il fatto che fosse davvero bello. Peccato però che la sua interiorità non fosse coerente con il suo aspetto esteriore.
Era difficile prestare attenzione alle spiegazioni della professoressa Miller avendo gli sguardi penetranti di un'intera classe puntati addosso e provenienti da ogni lato, ma il mio vero problema era essere seduta accanto a Riven, mentre l'unica cosa che desideravo con tutta me stessa era che lui scomparisse da un momento all'altro.
Quando campanella suonò segnalando la fine della lezione mi alzai rapidamente dal banco, prendendo le mie cose e infilandole frettolosamente nella borsa.
Scappai dalla classe, e corsi in bagno.
Spalancai la porta che si richiuse con uno scatto alle mie spalle, abbassai la tavoletta del wc e mi ci sedetti, portandomi le ginocchia al petto.
Ero davvero sconvolta da quella situazione. Avrei tanto voluto che si trattasse solo di un incubo, o di un brutto scherzo.
E invece no. Riven era realmente lì.
Feci un respiro profondo. «Non essere codarda» sussurrai a me stessa, rialzandomi in piedi con uno scatto.
Non mi sarei fatta rovinare la giornata da lui. E non mi sarei fatta rovinare nemmeno l'ultimo anno di scuola.
L'avrei affrontato, gli avrei ringhiato addosso tutta la mia frustrazione, come si meritava.
Uscii dal bagno e tornai nel corridoio.
«Non mi accompagni alla prossima aula, Spina?» disse Riven, con voce pungente.
Vedendolo lì, appoggiato di peso al muro con le braccia conserte, tutta la mia ferocia scomparve.
Che stupida, pensai. Come avevo potuto anche solo pensare di provare ad ingaggiare uno scontro con lui? Non avrei mai vinto.
Mentre lui era abituato a bilanciare l'esternazione della sua rabbia e il teatrino da bravo ragazzo che teneva impeccabilmente in piedi, io non ero per niente solita a far trasparire le mie emozioni negative quali ira e nervosismo.
«Sta' zitto. Mi vuoi spiegare che cosa diavolo ci fai qui? Perché non sei a Redwood?» sbottai con voce tremante.
Probabilmente gli ero sembrata ridicola. Avrei tanto voluto non essere così emotiva.
Lui fece una risatina, notando le mie parole spezzate dall'agitazione.
«Mirca ha trovato lavoro in città. Siamo partiti ieri sera, poco dopo di voi. Ma io non sapevo che saremmo venuti qui a Dawnguard, e non sapevo nemmeno che mi avesse iscritto alla tua stessa scuola. Se lo avessi saputo mi sarei opposto, ovviamente».
«Non ho parole, davvero!» esclamai frustrata. «Sei contento adesso? Il tuo squallido teatrino che hai tanto voluto tenere in piedi per anni ci si è ritorto contro. E sei talmente tanto idiota da volerlo portare avanti anche qui! Non starò al tuo gioco questa volta, Riven. Non ci sto più».
«Avanti, Spina. Non vorrai addossarmi tutta la colpa, vero?».
Si piegò su di me, fulminandomi con il suo sguardo mordace.
Odiavo quando lo faceva, quando si avvicinava così tanto a me per parlarmi sottovoce e fare in modo che lo sentissi solo io. Era infido e perfido.
«Io l'ho iniziato, ma tu mi hai sempre dato corda».
Vidi il suo sorriso malizioso, e le mie guance si scaldarono per la rabbia.
Decisi che quello era il momento giusto per dargli le spalle e andarmene verso la classe per l'ora successiva.
Lo vidi staccarsi dal muro e iniziare a seguirmi a passo lento.
Sbuffai spazientita, sentendo il sangue salirmi alla testa per la tensione.
***
Le quatto ore di lezione successive trascorsero senza troppi problemi.
Io ero ancora in banco con Riven, ci sarei stata per tutto l'anno, e i nostri compagni continuavano ad osservarci confusi.
Ogni volta che mi giravo verso Matilda e Lila, le vedevo fremere dalla voglia di parlarmi e farmi mille domande.
Lila aveva anche provato a lanciarmi un bigliettino nell'ora di filosofia, ma il professore se ne accorse prima che potesse farlo volare fino al mio banco e le disse di buttarlo.
Almeno il professor Hale non era il tipo da farsi i fatti degli altri e non le fece leggere il biglietto ad alta voce.
A lui interessava solamente spiegare, e non si preoccupava molto di noi alunni. Sembrava quasi che facesse lezione per se stesso più che per noi.
All'ultima ora, quando la campanella della fine della giornata stava per suonare, vidi le mie due amiche guardarmi con occhi imploranti, chiedendomi con lo sguardo di spiegare loro tutto quanto.
Stavano morendo dalla voglia di sapere che cosa stava succedendo.
Io alzai gli occhi al cielo e annuii infastidita, ma la verità era che non vedevo l'ora di sfogarmi con loro.
La campanella suonò rumorosamente, io riordinai in velocità le mie cose nella borsa e corsi fuori dall'aula, sicura che Matilda e Lila mi avrebbero seguita senza indugiare.
E infatti fu così.
«Rose, fermati! Devi dirci tutto!» esclamò Lila, mentre eravamo ancora nel corridoio della scuola.
«Vi dirò ogni cosa e risponderò a tutte le vostre domande, ma prima fatemi allontanare da questa scuola e da lui prima che io diventi del tutto pazza!».
«Rose! Dove vai?» urlò Ethan dal cancello della scuola ormai distante, vedendomi scappare via.
«Ti chiamo dopo!» gridai di rimando, sperando che non si arrabbiasse.
Quello non era il momento giusto per mettermi a parlare anche con lui.
Conoscendo l'astio che Ethan provava nei confronti di Riven -a causa del fatto che mi faceva sempre stare male e che aveva l'opportunità di passare l'estate con me mentre lui non mi poteva vedere per mesi-, sapere che il ragazzo nuovo di cui si era tanto chiacchierato era proprio lui e che non solo era anche nella mia classe, ma che avrei dovuto anche aiutarlo con il programma al di fuori dell'orario scolastico, lo avrebbe fatto andare fuori di testa.
E io non ero sicuramente nelle condizioni di affrontare un litigio con il mio ragazzo.
Camminai a passo svelto per qualche minuto, con Lila e Matilda al mio seguito che continuavano a chiedermi di rallentare.
Quando arrivammo al parco della città, a mezza via tra la scuola e casa mia, mi sedetti su una panchina e mi appoggiai con le mani al bordo, stringendo il legno secco e consumato fino a farmi diventare le nocche bianche.
Il cuore mi batteva all'impazzata per lo sforzo della camminata e il respiro si era fatto sempre più corto.
Ma poco dopo, mi rialzai e iniziai a camminare avanti e indietro. Ero troppo agitata e in preda ad un momento di affanno per rimanere seduta.
Le altre mi raggiunsero, e si sedettero sulla panchina.
«Rose! Ti vuoi calmare?» ringhiò Matilda, afferrandomi il mio braccio per bloccarmi. «Ci vuoi dire che diamine sta succedendo? Non ci stiamo capendo niente!».
«Non ci sto capendo niente neanche io! Pensavo di non doverlo rivedere fino all'estate prossima, e invece eccolo qui! Venuto da Redwood solo per continuare a rovinarmi la vita!».
«A me non è sembrato poi così male» disse Lila, sorridente.
Ma quando la incenerii con lo sguardo, sul suo volto si fece immediatamente strada il pentimento per ciò che aveva appena detto.
«Voi non capite! Quel ragazzo fa l'angioletto, fa il cucciolo. Ma è falso e infido! Ora tutti a scuola lo adoreranno, dato che è un attore coi fiocchi. Ma io so la verità, io so com'è lui realmente! Non gli bastava rovinarmi le estati, no! Deve piombare qui dal nulla e rovinarmi anche la vita! Lo odio!».
Quella situazione mi stava facendo saltare i nervi, ero su tutte le furie.
«Rose, vieni qui, siediti con noi» mi invitò Matilda, con voce tranquilla e rassicurante.
Sbuffai, abbandonando le braccia sui fianchi.
Lila si fece più in là e creò un posticino per me in mezzo a loro due.
Mi sedetti, e loro mi abbracciarono affettuosamente.
«Fai un bel respiro. Ci siamo noi qui per te» disse Lila, stringendomi più forte.
Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, e sentii il cuore che iniziava gradualmente a rallentare.
«Sei più tranquilla ora?» mi chiese Matilda dopo un po'.
«Si, grazie ragazze» risposi, con il cuore e il fiato che finalmente avevano ripreso un ritmo normale.
Sciolsi l'abbraccio, e loro mi strinsero le mani.
«Ti va di spiegarci che cosa è successo?» domandò Lila, con tono pacato.
Era evidente che stessero fremendo dalla voglia di sapere ogni minimo dettaglio su quella situazione, ma la loro voglia di rispettare le mie emozioni e i miei spazi prevaleva.
Erano davvero delle amiche speciali.
«A dir la verità, non lo so. Io non ne sapevo nulla, e prima mi ha detto che non sapeva niente nemmeno lui. Sono state le nostre zie ad organizzare tutto quanto, non ho dubbi. Come vi avevo già raccontato in passato, Riven ha sempre voluto fingere che fossimo grandi amici davanti alle nostre zie, e loro ci sono sempre cascate. Mi ha detto che sua zia ha trovato un nuovo lavoro in città, quindi probabilmente hanno pianificato ogni cosa a nostra insaputa».
Appoggiai i gomiti sulle cosce e lasciai cadere la testa sulle mani, coprendomi il viso e sospirando.
«Ora è tutto più chiaro» disse Matilda, con tono riflessivo. «Ma perché fingere in quel modo anche a scuola? Perché mentire ancora?».
«Non lo so. Io credo che lui semplicemente si diverta a farmi diventare matta!» risposi scuotendo la testa e massaggiandomi le tempie.
«Oh cavolo, zia Iris! Devo mandarle un messaggio e dirle che farò tardi. Se non vi dispiace, vorrei rimanere qui con voi un altro po'» dissi frugando nella borsa che avevo abbandonato ai piedi della panchina per trovare il telefono.
«Lo sai che restiamo volentieri, Rose» rispose Lila, stringendomi di nuovo in uno dei suoi affettuosi abbracci.
Matilda annuì sorridendo per confermare le parole di lei.
Inviai un messaggio a zia Iris dicendole che sarei rimasta al parco con Matilda e Lila per il pomeriggio, e che non sapevo a che ora sarei rincasata.
Come al solito, visualizzò il messaggio senza rispondere. Anche lei, come me, non era molto amante della tecnologia.
Restammo al parco per tre ore.
Lila e Matilda mi lasciarono parlare a vanvera ascoltandomi pazientemente, interrompendomi soltanto per fare qualche domanda nel corso dei miei racconti.
Per l'ennesima volta, raccontai loro di come era stato il mio primo incontro con Riven, e provai ancora a fargli capire che io non avevo fatto nulla, era stato lui ad odiarmi fin da subito.
***
La prima volta che lo incontrai avevo otto anni, ed erano passati solo pochi mesi da quando i miei genitori se n'erano andati.
Nella mia mente da bambina, ancora pensavo che sarebbero tornati a riprendermi e che mi avrebbero riportata a casa.
«Rose, non preoccuparti. Vedrai che Redwood ti piacerà moltissimo, e adorerai Mirca e Riven!» mi rassicurò zia Iris durante il viaggio in macchina, la prima volta in cui mi portò con lei in vacanza. «Riven ha la tua stessa età, è un bambino dolcissimo, ma è sempre da solo, povero. Lui fa scuola da casa con un'insegnante amica di Mirca, quindi non ha nessun amico. Sono certa che diventerete subito grandi amici!».
Quando arrivammo, Mirca si presentò stringendomi in un dolce abbraccio. «È un vero piacere, Rosaspina. La tua zia mi ha parlato tante volte di te!».
Arricciai il naso sentendola pronunciare il mio nome per intero. «Chiamami pure Rose».
«Oh, scusami! Allora va bene, Rose» disse rivolgendomi un caldo sorriso.
Ero felice di aver fatto la conoscenza di Mirca, sembrava una donna gentile e sincera.
Ma poi, arrivò Riven alle sue spalle.
Anche a otto anni aveva già lo sguardo tagliente che lo aveva sempre caratterizzato.
Non sembrava molto disponibile, ma io ero contenta di poter avere un bambino della mia stessa età con cui fare amicizia passare quelle lunghe vacanze.
«Ciao!» lo salutai con un grande sorriso, agitando la mano.
«Ciao» rispose con un'espressione sorridente, ma fredda e distaccata.
«Ora andate a sistemare le vostre cose con calma, più tardi passeremo a trovarvi!» disse Mirca.
Entrando in quella casa, non provai nessuna sensazione in particolare. Era una piccola villetta normalissima, su due piani, con lo stretto necessario. Aveva il pavimento in legno, i muri in pietra a vista. Nonostante fosse vecchia e piena di cianfrusaglie, era molto accogliente.
Zia Iris mi indicò la mia stanza, al piano di sopra accanto alla sua, e mi disse che potevo organizzarla e decorarla come volevo.
In quel momento tutto ciò mi sembrò solo una perdita di tempo e lasciai la stanza com'era, ma anno dopo anno, quando iniziavo a realizzare che i miei genitori non sarebbero tornati mai e che avrei passato lì tutte le mie prossime estati, piano piano cominciai a rendere più mia quella stanza. Prima qualche foto appesa al muro, poi dei pupazzi che mi portavo da casa, una farfalla disegnata sul muro, le tende levate dalla finestra...
Mirca e Riven vennero a farci visita nel pomeriggio, e mentre le nostre zie erano in casa a bere un caffè insieme, io e lui restammo in giardino, seduti sul prato fresco e umido.
Inizialmente restammo in silenzio.
Pensai che anche lui come me non sapeva bene cosa dire per iniziare la conversazione. Non ci conoscevamo, ma avremmo dovuto passare tutta l'estate insieme.
«Facci l'abitudine» sbottò lui seccamente, rompendo il nostro silenzio.
Io lo guardai confusa. «A cosa?».
«A questo silenzio, Spina» ringhiò.
«Perché? È perché mi chiami così?».
«Perché io non ti voglio qui e perché sei una spina nel fianco. Io e te non siamo amici e non lo diventeremo mai» disse lui con un sorriso infido.
«Ma perché? Siamo qui con le nostre zie, non possiamo non essere amici!» esclamai io, sorpresa e perplessa dalle sue affermazioni.
«Senti, Spina...» disse a bassa voce, avvicinandosi lentamente a me. «Io non voglio amici e non voglio compagnia, tantomeno quella di una come te. Ma davanti alle nostre zie faremo finta di nulla, e ci comporteremo come due grandi amici. Chiaro? Non ho intenzione di deludere zia Mirca e di farmi rimproverare».
Io annuii, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi cupi e pungenti.
«Puoi almeni chiamarmi Rose anche tu?» domandai con voce flebile.
«No, Spina».
E da quel giorno in poi, tutte le estate a Redwood funzionavano allo stesso modo: io arrivavo, aggiungevo qualche decorazione nuova alla mia stanza per sentirmi più a casa, zia Iris e Mirca passavano insieme tutte le giornate, e quando io e Riven eravamo da soli rimanevamo in silenzio facendo ognuno le proprie cose, e quando invece eravamo insieme alle nostre zie ci scambiavamo sorrisi fasulli e chiacchieravamo allegramente, mentre tra un momento di distrazione delle due e un altro lui mi lanciava delle occhiatacce piene di odio.
«Perché mi odi così tanto?» gli chiesi quando ormai avevamo sedici anni, in una sera di luglio.
Mentre le nostre zie erano al piano di sotto a chiacchierare, io e Riven eravamo in camera mia in religioso silenzio, io seduta sul letto a leggere un libro, e Riven sdraiato a pancia in giù sul tappeto, anche lui con un libro in mano.
Se di solito ignoravo il suo atteggiamento ostile, al quale ormai mi ero abituata, quel giorno i suoi sguardi incendiati di avversione mi pesavano particolarmente.
A pranzo zia Iris aveva parlato con Mirca di mia madre, e sentendo il suo nome, Viola, sentii un nodo allo stomaco.
Smisi di ascoltarle per cercare di proteggermi dai miei ricordi dolorosi, e quando zia Iris si accorse della mia espressione sofferente e distante, cambiò discorso.
Ma comunque, la ferita si era aperta di nuovo lasciandomi in balia dei miei pensieri tormentati, che non se ne andarono per tutto il giorno.
«Ci conosciamo da otto anni, e ancora non hai capito perché voglio che tu mi stia alla larga, Spina?» aveva risposto lui, con voce acida e graffiante.
No, non lo avevo capito.
Non me lo aveva mai spiegato, e io non avevo mai avuto il coraggio di chiederglielo.
Forse perché non volevo ascoltare la risposta, e non volevo sentirmi sputare addosso troppa cattiveria che non pensavo di meritare.
***
Restai a parlare di Riven con Matilda e Lila per parecchie ore, e loro mi ascoltarono pazientemente, abbracciandomi nei momento di totale sconforto.
Andammo anche a prendere una piadina per pranzo, dato che quel discorso stava andando per le lunghe.
Ero davvero bello sapere che potevo contare su di loro. Fin dal primo anno di liceo, quando ci eravamo conosciute, avevamo creato un trio inseparabile.
«Scusate se vi ho trattenute per tutto il pomeriggio» dissi quando arrivammo al bivio tra i nostri due quartieri.
«Rose, lo sai che puoi contare su di noi. E non ti preoccupare, sono certa che andrà tutto bene. Ora vai a casa, parla con tua zia e riposati» disse Matilda, dandomi un bacio sulla guancia.
«E ricordati di chiamare Ethan, o quello va fuori di testa!» aggiunse Lila, ridacchiando.
Risi anche io, le salutai e mi avviai verso casa.
Come mi avevano consigliato di fare loro due, ero pronta a parlare con zia Iris per cercare di capire sia che cosa diamine ci facevano Riven e Mirca a Dawnguard, sia che cosa spingeva Riven ad odiarmi così tanto.
La parte difficile sarebbe stata chiederle informazioni su di lui senza sembrare sospetta.
Per quanto ne sapeva lei, io e lui eravamo ottimi amici da dieci anni, e sarebbe stato strano farle domande su di lui come se non lo conoscessi affatto, anche se la verità era quella.
Arrivai sulla soglia di casa, feci un respiro profondo per calmare la tensione, ed entrai.
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Ciu :3 come va?
Vi è piaciuto il capitolo?
Piano piano stiamo scoprendo un po' di cose sul particolare rapporto di Riven e Rosaspina, e chissà che cosa dirà zia Iris!
Un abbraccio, al prossimo capitolo! :3
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