26. Cuore 🌶️

La tiepida e dorata luce del mattino, filtrando tra il denso e mantello di alberi sempreverdi che circondava la casa, mi svegliò dolcemente.

Aprii lentamente gli occhi, mentre il calore del sole timido di gennaio scaldava gradualmente la pelle del mio viso, e il mio corpo era ancora avvolto nelle morbidi e pesanti coperte del letto.

Guardai alla mia sinistra, ma al posto di Riven trovai soltanto il suo cuscino stropicciato e le coperte raggrumate. Erano appena le nove e mezza di mattina, e pensai che sicuramente era già al piano di sotto a preparare la colazione.

Mi girai di nuovo dall'altra parte, e guardando fuori dalla finestra vidi gli alberi mossi da un leggero venticello.

Sospirai, e con un po' di coraggio riuscii ad uscire dalle coperte.

Appena mi misi seduta e appoggiai i piedi sul pavimento gelido, un brivido di freddo scosse il mio corpo. Indossai immediatamente la felpa che avevo lasciato appesa dal cappuccio allo spigolo della testiera del letto.

Il pavimento in legno scricchiolò sotto ai miei piedi scalzi non appena mi alzai, e io infilai subito le ciabatte morbide e pelose recuperandole da sotto al letto.

Aprii la finestra con riluttanza per far arieggiare la camera, e sentii subito il vento frizzante, fresco e pungente sfiorarmi il volto.

«Buongiorno, Spina» disse Riven alle mie spalle, con voce dolce e calma.

Mi voltai di scatto, colta di sorpresa, e lo vidi appoggiato con una spalla allo stipite della porta, con le braccia conserte e un tenue sorriso stampato sul volto. Aveva i capelli umidi, che gli ricadevano sulla fronte unendosi in piccole ciocche appuntite.

«Buongiorno. Non ti ho sentito arrivare» farfugliai, mettendomi subito le mani nei capelli per cercare di sistemarli almeno un po'.

«Non volevo spaventarti» rispose lui, venendomi incontro. «Il pavimento ha fatto rumore, perciò ho immaginato ti fossi svegliata».

Mi avvicinai anche io a lui, e lui si sporse verso di me per darmi un tenero bacio. I suoi capelli umidi e freddi sfiorarono la mia fronte, facendomi il solletico.
«Hai fatto la doccia?» gli chiesi, mettendogli una mano tra i capelli e scompigliandoglieli.
«Si. Vai anche tu, ti ho lasciato un asciugamano pulito» rispose, facendomi l'occhiolino e rimettendosi in ordine.

Uscì dalla stanza, e poco dopo lo sentii scendere a passo svelto le scale.

Sorrisi spontaneamente, era incredibile come fossero cambiate le cose nel giro di poche settimane, e poi di pochi giorni. Fino a tre mesi fa non ci potevamo nemmeno vedere da tanto che non ci sopportavamo, quasi una settimana fa ci eravamo timidamente confessati i nostri sentimenti a vicenda, e ora stavamo ufficialmente insieme, passando le nostre giornate come due perfetti innamorati, scambiandoci sorrisi dolci, teneri baci, momenti passionali e attenzioni affettuose.

Ridacchiai tra me e me, incredula di ciò che eravamo diventati: da acerrimi nemici ad innamorati pazzi.

Dopo aver sistemato un po' i cuscini e le coperte sul letto, mi diressi in bagno per farmi la doccia, portando con me un cambio di intimo e vestiti puliti.

Il bagno era ancora saturo di vapore caldo, e lo specchio e i vetri della doccia erano appannati. Accesi l'acqua per farla scaldare, mi tolsi il pigiama e lo piegai con cura, appoggiandolo poi sulla cassettiera insieme al cambio pulito, ed entrai nella doccia. Appena l'acqua sfiorò la mia pelle un brivido di freddo scosse il mio corpo, ma poi mi buttai sotto il getto e quella sensazione passò.

Chiusi gli occhi, concentrandomi sul tepore dell'acqua e del vapore. Ma non feci in tempo a rilassarmi nemmeno per mezzo minuto, che sentii bussare alla porta.

«Riven?» domandai, senza aprire gli occhi e continuando a bagnarmi i capelli.

«Sono io, chi vuoi che sia?» rispose lui, e dal suo tono di voce riuscii a percepire il suo sorriso. «Posso entrare?» domandò, senza timidezza.

A sentire la sua voce così decisa e sicura, ad immaginarlo nel bagno con me, a guardarmi nuda, una sensazione di formicolio si impadronì del mio basso ventre.

«Si, entra pure» farfugliai.

Entrò, e dai vetri opachi e appannati della doccia vidi i contorni sfumati del suo corpo seminudo, aveva addosso soltanto i pantaloni.

La sensazione di formicolio aumentò. La ignorai, e mi versai una noce di shampoo sulla mano, per poi spalmarmelo sui capelli.

«Scusa se ti ho disturbata» disse aprendo un cassetto e iniziando a frugarci dentro. «Ho dimenticato di mettere la crema in faccia».

«Ti metti la crema viso? Ma da quando?» gli chiesi incredula, massaggiandomi la testa piena di schiuma sotto al getto d'acqua per sciacquare via lo shampoo, con gli occhi strizzati.

«Da sempre. Secondo te come faccio ad essere così bello e perfetto?» rispose pavoneggiandosi in tono sarcastico.

Ridacchiai, e con un gesto fulmineo lui aprì la porta della doccia e mi stampò un rapido bacio sulle labbra.

«Ma tu sei pazzo! Chiudi, ho freddo!» esclamai ridendo, con ancora l'acqua che scorreva sulla mia testa e le palpebre serrate.

Lo sentii ridere, ma non richiuse la porta, e poi restò in silenzio.

«Riven, ho freddo» ripetei, con voce più seria. «Chiudi la doccia, perf...».

Non feci in tempo a finire la frase, che le sue labbra furono di nuovo sulle mie. Iniziò a baciarmi lentamente, a sfiorarmi le labbra con la lingua, e poi lo sentii afferrarmi il fianco e tirarmi verso di lui.

Quando la mia pelle bagnata incontrò la sua e iniziò a baciarmi con più intensità, un forte brivido di desiderio sostituì il formicolio alla pancia di poco prima.

Mi lasciai sfuggire un piccolo gemito, e proprio in quel momento, lui si staccò da me con velocità e richiuse la doccia.

«Ti aspetto di sotto» disse lui, e se ne andò.

Sospirai sconsolata, ma sorrisi sorpresa da quella sua presa di posizione. In quei giorni avevamo sperimentato parecchio con la nostra intimità, cercando di scoprire il corpo e i piaceri l'uno dell'altra, e forse lui aveva scoperto un po' troppo presto della mia fantasia per la tensione e per l'essere stuzzicata.

Continuai a lavarmi, con ancora le farfalle nello stomaco, senza riuscire a togliermi il sorriso dalla faccia.

***

Una volta scesa in cucina, ancora con i capelli umidi, mi sedetti a tavola davanti al piatto di pancakes ai frutti di bosco che aveva preparato Riven per colazione, ed era parecchio invitante.

Lui era ancora senza maglietta, e aveva giustificato la cosa dicendo che non voleva macchiarla cucinando e mangiando, ma sapevo benissimo che lo stava facendo solo per provocarmi.

«Oggi è il 5 gennaio, comunque» disse Riven, infilzando un pezzo di pancake e un lampone con la forchetta.

«Purtroppo» risposi con un sospiro, mettendo in bocca un mirtillo.

«Già. Partiamo domani pomeriggio, giusto?».

«In realtà, forse è meglio se partiamo di mattina. Dovremmo fare qualche veloce ripasso di alcuni argomenti prima di tornare a scuola» obbiettai, tagliando i miei pancakes in piccoli quadratini.

Lui assunse un'espressione riflessiva, e io nel mentre iniziai a mangiare la mia colazione.

«Detesto dirlo, ma hai ragione» constatò lui poco dopo, con un sospiro.

Mangiò l'ultimo boccone e si alzò per mettere il piatto vuoto nel lavabo.

«Potremmo almeno goderci queste ultime ore insieme, e...» iniziò lui, avvicinandosi a me.

«"E", cosa?» ribattei io, assottigliando le palpebre in una fessura e sorridendo con fare sospettoso.

Si mise in piedi accanto a me, sovrastandomi con la sua presenza imponente.

Trovai il suo addome nudo a pochi centimetri del mio viso e lui, sollevandomi il mento con due dita, mi indusse a guardarlo negli occhi, dal basso verso l'alto.

«E divertirci un po' insieme» concluse lui.

«Io l'ho detto che avresti pensato solo al sesso per settimane» dissi sottovoce, con un sorrisetto serrato e sfacciato.

Lui si abbassò lentamente, fino ad arrivare con il viso all'altezza del mio, a pochi centimetri di distanza.

«Vedo quanto ti dispiace» sussurrò.

Sentii il calore del suo respiro sfiorarmi le labbra. Il mio cuore accelerò, e dentro di me pregai affinché lui si sporgesse un po' di più per darmi un bacio.

«Hai un po' di marmellata sulla faccia» bisbigliò lui, abbassando lo sguardo sulle mie labbra, ma senza allontanarsi.

Prima che potessi portarmi la mano al viso per pulirmi, lui si avvicinò e leccò via lentamente la marmellata da accanto al mio labbro, senza spingersi oltre.

«Stai più attenta la prossima volta» disse sottovoce, con un tono quasi di rimprovero.

Sorrise e mi voltò le spalle, lasciandomi lì, appesa e in tensione, per un'altra volta.

Prese la maglietta dallo schienale della sua sedia e se la infilò, e tornò a comportarsi come pochi istanti prima, come se nulla fosse successo.

Mi stava facendo impazzire.

«Quindi, che si fa oggi pomeriggio?» mi domandò, con totale naturalezza.

«Non lo so» risposi facendo spallucce e continuando a mangiare. «Pensavo volessi "goderti" le ultime ore di vacanze» constatai, parlando a bocca piena.

«Ho cambiato idea, a quello ci penseremo questa sera» rispose lui, incrociando le braccia.

Ancora una volta a bocca asciutta. Si stava proprio divertendo a punzecchiarmi quel giorno.

«Ti va di dipingere qualcosa insieme?» disse, illuminandosi in un sorriso.

Sorrisi anche io, e guardandolo negli occhi trovai la gioia di un bambino. «Mi sembra un'ottima idea».

«Bene, allora abbiamo deciso. Abbiamo tutto, vero?».

«Si, se non sbaglio dovremmo avere ancora un paio di tele vuote».

«Finisci la colazione. Vado a prendere tutto e a sistemare le tele nel salotto» disse lui, alzandosi e andando via.

Continuai a mangiare i pancakes, ma con più fretta.

***

«Abbiamo un problema» esordì Riven appena entrai in salotto.

Davanti al divano, dove ci sedavamo solitamente per dipingere, c'era soltanto un cavalletto con una tela.

«C'è solo quella?» domandai sconsolata, conoscendo già la risposta.

«Si, e penso che nessuno dei due abbia intenzione di fare il Picasso della situazione e ridipingere su una sua tela» rispose deluso, sbuffando.

«Allora fai tu, io ti guardo e leggo un libro».

«Perché non proviamo a dipingere sulla stessa tela?» mi chiese lui, con lo sguardo di chi aveva appena avuto un'idea geniale.

«E come facciamo?» gli domandai confusa.

«Semplice: un pezzetto lo faccio io, uno tu, poi di nuovo io, e poi tu, e avanti così. Vediamo cosa ne esce fuori» esclamò lui, già esaltato da quell'idea a cui io non avrei mai pensato.

«Che cosa strana» constatai, sedendomi sul divano accanto a lui e guardando la tela vuota con un'espressione riflessiva. «Ma mi piace! Dai, iniziamo, vai prima tu» esclamai, ricambiando la sua emozione.

«Va bene, va bene».

Prese dalla valigetta in legno aperta sul pavimento una piccola tavolozza, e ci mise sopra un po' di rosso, poi del viola, e qualche goccia di nero. Prese anche un pennello con la punta sottile, lo intinse nel viola e iniziò a tracciare i contorni di una forma non ben definita.

«Che disegni?» gli chiesi, senza staccare gli occhi dal pennello che continuava a tracciare linee apparentemente casuali.

«Se te lo dico non è più divertente» rispose con fare ammiccante.

«Effettivamente» concordai.

Continuò a disegnare, a sfumare un po' i bordi con il rosso e il nero, mentre io cercavo di concentrarmi per capire che cosa stesse cercando di raffigurare.

«Fatto. È il tuo turno» disse passandomi la tavolozza e il pennello, e girando un po' il cavalletto verso di me.

«Mh» mugugnai, osservando la tela quasi scarabocchiata e tentando di cogliere qualche forma familiare.

Capii che forse ci stavo pensando troppo, che era meglio seguire il mio istinto e farmi guidare dalla creatività. Chiusi gli occhi per un secondo, e quando li riaprii riuscii a vedere le cose da una prospettiva diversa.

Intinsi il pennello nel rosso, ci aggiunsi una punta di viola e una di nero per scurirlo, e iniziai a dipingere anche io.

Lentamente, pennellata dopo pennellata, iniziai a rendere più chiari e definiti i contorni di quello che avevo capito essere un cuore anatomico.

Quando tracciai il contorno di un'aorta che lui aveva solo abbozzato, con la coda dell'occhio lo vidi illuminarsi in un sorriso. Ci avevo azzeccato.

«Ecco qua. Tocca a te» dissi, dopo qualche altra pennellata.

Lui riprese tavolozza e pennello, e continuò da dove io mi ero interrotta.

Andammo avanti così, e piano piano il cuore prese forma e carattere. Era straordinario vedere il mio stile di pittura e quello di Riven unirsi in un solo quadro: il mio, delicato e dettagliato, connesso al suo, graffiato e grezzo. Era un po' come se quel cuore fosse la rappresentazione di ciò che avevamo dentro.

Quando fu di nuovo il mio turno, non riuscii a trattenermi dal tracciare una cicatrice ben distinta proprio al centro del soggetto. La resi più dettagliata, e poi passai il testimone a Riven.

Lui aggiunse alla tavolozza del verde scuro, lo scurì ancora di più con un po' di nero, e poi tracciò due linee incrociate che attraversavano il cuore da una parte all'altra, come due spade.  Le inspessì, rendendole un po' ricurve e non perfettamente rette, e fu di nuovo il mio turno.

Non mi servì rifletterci molto, per capire qual era la sua intenzione. Aggiunsi qualche dettaglio a quelle spade sghembe, e con il rosso fuoco, dipinsi due rose sulle estremità superiori di quelle linee.

Riven sorrise di nuovo. Aggiunse qualche goccia di sangue secco attorno ai buchi provocati da quei gambi, un paio di foglie, e infine, le spine.

Due rose rosse e bellissime, ma piene di spine affilate, che trafiggevano un cuore già ferito da una parte all'altra, ma con quei fori già rimarginati.

«Wow» sussurrai io, non riuscendo a dire nient'altro.

«Siamo noi» disse Riven, con voce decisa.

Era vero: quel dipinto, quell'unione della nostra arte, parlava di noi. Era un racconto silenzioso delle nostre anime, di come si erano incontrate, di come avevano trovato un modo speciale di conoscersi e capirsi. Il cuore di entrambi era così: ferito, cicatrizzato, vulnerabile. Quei due gambi pieni di spine erano le spade con cui ci eravamo allontanati e scontrati per anni, erano la rappresentazione delle ferite che ci eravamo inflitti l'un l'altra. Ma quelle rose fiorite, quelle ferite rimarginate, erano il simbolo di come ci eravamo aiutati a guarire a vicenda. E infondo, quelle spine tanto appuntite, proteggevano le rose, proprio come Riven e io ci proteggevamo a vicenda dalle durezze e cattiverie del mondo esterno. Quel dipinto era una dichiarazione di responsabilità e perdono, un modo per accettare il passato, e guardare al nostro futuro insieme.

«Siamo io e te» risposi, appoggiando la testa sulla sua spalla e continuando ad osservare il quadro davanti a noi.

«Ti amo, Spina» disse lui, dandomi un tenero bacio sulla testa.

Spina.

Ancora quel nomignolo con il quale mi chiamava da sempre. Eravamo innamorati, non eravamo più dei bambini, non eravamo più in rapporti ostili. Perché continuare ad usarlo?

«Riven?».

«Dimmi» rispose lui, in tono preoccupato.

«Perché continui a chiamarmi così?» gli domandai, quasi sottovoce.

Lui si ammutolì.

Per un attimo pensai che fosse tornato quello di un tempo, che non mi avrebbe risposto come faceva quando gli facevo domande sul nostro rapporto, e quella sensazione di rassegnazione che non provavo da tanto sembrò tornare a galla.

Ma poi, mi sollevò la testa dalla sua spalla con la mano, tenendomi il mento tra le dita, e mi guardò dritto negli occhi con uno sguardo liquido, intenso e sincero.

«Spina» disse di nuovo, con tono riflessivo, e fece una pausa di qualche secondo. «Lo sai perché ho iniziato a chiamarti così: perché per me, più che una rosa, Rose, come ti chiamavano tutti e come volevi farti chiamare, eri una spina. La mia spina nel fianco. Eri una rosa bella e profumata per tutti, ma per me eri una spina affilata e fastidiosa. Ora, anche se ti amo, sei ancora la mia spina, ma lo sei in modo diverso. Non sei più una spina nel fianco, ma sei una spina nel mio cuore. Sei quella piccola e pungente sensazione che mi ricorda che non sono da solo, che sono vivo, che sono ancora in grado di provare qualcosa di bello. Con te ho capito che l'amore è complicato, ma che è proprio questa complessità che rende l'amore ancora più affascinate. Non mi sarei innamorato di te se fossi stata soltanto un fiore perfetto, se fosse stato tutto facile... "Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali" scrisse Johnny Welch. Io di lacrime ne ho versate talmente tante che un giorno ho pensato di non averne più. Per te ne ho versate delle altre, mi avevi punto ancora una volta facendomi provare sentimenti che non riuscivo nemmeno a spiegarmi, ma poi mi hai accarezzato con i tuoi petali di velluto, e hai guarito la mia anima e il mio cuore, rimasto buio e freddo per troppo tempo. Eppure, più che un fiore delicato, rimani una spina appuntita, perché mi ricordi che l'amore non è solo una dolce e calda melodia, ma anche un struggente groviglio di emozioni contrastanti. Continuerò a chiamarti Spina, perché non voglio dimenticare da dove veniamo: infondo, quei momenti di conflitto e sfida che ci hanno portato fin qui. Sei il mio amore complicato, il mio piccolo tormento, ma anche la mia emozione più grande. Amo la rosa, ma prima ne ho amato le spine, e le amerò per l'eternità».

Restai in silenzio, totalmente ammaliata da quelle sue parole sincere piene d'affetto.

Era tutto più chiaro, e una sensazione di calore e tenerezza si diffuse in tutto il mio corpo. Mi persi in quei suoi occhi smeraldini pieni di amore, emozione e di dolcezza.

Lo abbracciai, unendo il mio cuore accelerato al suo, e ci stringemmo in quell'abbraccio che valeva più di mille altre parole.

«Ti amo anche io, Riven» sussurrai nel suo orecchio, e una piccola lacrima di conforto e gratitudine mi rigò la guancia.

***

La mattina dopo partimmo per tornare a Dawnguard. In casa lasciammo le cose com'erano, dando solo una veloce sistemata qua e là, sapendo che saremmo comunque tornati a Redwood per il weekend successivo.

Quei viaggi di andata e ritorno in moto, con il freddo, stavano diventando un'incubo. Mi vestivo a strati e mi mettevo sempre pantaloni e maglia termiche, ma non era mai abbastanza per contrastare l'aria gelida.

«Ho freddo» mi lamentai, gridando per farmi sentire da Riven.

«Lo so» rispose lui con un tono di voce altrettanto alto. «Siamo quasi arrivati. Aggrappati più forte a me e vedrai che avrai meno freddo».

Anche se sapevo che non avrebbe migliorato la situazione, lo feci lo stesso.

Arrivati a Dawnguard, parcheggiò la moto di fronte a casa mia e mi fece scendere.

«Allora ci vediamo domani mattina. Ti vengo a prendere, come sempre» mi disse lui, sollevando la mascherina a specchio e facendomi l'occhiolino.

«Che rottura, non voglio tornare a scuola... Ma ci tocca. A domani» borbottai, togliendomi il casco.

Lui mi mandò un bacio e ripartì, sfrecciando verso casa sua.

Sospirai, con un senso di malinconia nel petto.

Avevamo passato più di una settimana insieme a Redwood, senza mai separarci, ed era strano non averlo più accanto a me, mi ero abituata troppo bene alla sua costante presenza.

«Sono tornata!» esclamai entrando in casa, e togliendomi subito gli stivali all'ingresso.

Mi diressi verso le scale per andare al piano di sopra a mettere giù lo zaino, ma quando passai nel corridoio, con la coda dell'occhio vidi alla mia sinistra tre persone sedute sul divano e sulle poltrone in salotto.

Feci un paio di passi indietro per verificare ciò che avevo visto, e quando mi fermai di fronte alla porta del salotto e misi a fuoco le tre figure, mi sentii le gambe molli.

Tutti e tre si alzarono in piedi, sorpresi, quasi allarmati, mentre le mia testa girava e le mie ginocchia cedevano.

C'era zia Iris. Ma accanto a lei c'erano due persone che mai avrei riconosciuto se non fosse stato per i loro sguardi.

Negli occhi di quella donna e di quell'uomo, ci vidi i miei.

Erano mia madre e mio padre.

Mamma e papà. Che mai avrei pensato di rivedere in vita mia.

Mamma e papà. A fissarmi. Nel salotto di casa mia. Dove mai avrei pensato di incontrarli di nuovo.

Sentivo l'intero peso del mondo appoggiarsi lentamente sulle mie spalle, schiacciarmi senza pietà, e allo stesso tempo una voragine immensa, enorme, aprirsi dentro di me e lacerarmi l'anima con una violenza terrificante.

Erano tornati.

----------------[ spazio autrice ]----------------

Ciu :3 come va?
Quindi, quanto siete arrabbiati? Sconvolti? Basiti? Io tanto.
Ma scrivere la scena del dipinto è stato troppo troppo bello!
Vi aspetto nel prossimo capitolo per scoprire che diamine ci fanno i genitori di Rose a Dawnguard... so che siete curiosi!
Un abbraccio e alla prossima! :3

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