24. Nuovo inizio

Andare a Redwood insieme a Riven nel weekend diventò un'abitudine.
Ogni sabato mattina lui veniva a prendermi in moto, andavamo a Redwood, e la domenica tornavamo a Dawnguard.

Per le prime volte continuammo a portarci uno zaino con le cose necessarie da casa, a fare e disfare i letti, a fare piccole spese per cercare di non lasciare nulla in frigorifero che potesse andare a male, ma poi un po' per volta, con spontaneità e senza che ci dicessimo nulla, le cose cambiarono: ormai avevamo capito che saremmo sempre tornati in quella casa per ogni fine settimana. Avevamo iniziato a mettere le lenzuola su un solo letto, quello matrimoniale, perché dopo l'ennesima notte di incubi, per noi due era diventata un'abitudine anche dormire insieme. Non disfacevamo più il letto, ma lo sistemavamo e basta, sapendo che ci avremmo dormito di nuovo la settimana seguente. Facevamo spese più grandi e lasciavamo delle cose in frigo e nella dispensa, senza la paura che rimanessero abbandonate. Comprammo due spazzolini da tenere in bagno, degli shampoo e altri prodotti per non portarci più tutto da casa. Lasciammo lì alcuni dei nostri vestiti, qualche libro e dei nostri materiali da disegno e pittura. Appendemmo i quadri fatti insieme nelle giornate piovose di quei weekend, e iniziammo a decorare ed abbellire la casa a nostro piacimento.

Con la nostra routine, stava cambiando anche il nostro rapporto: eravamo sempre più legati, sempre più inseparabili, e ovviamente di questo se ne stavano accorgendo anche le persone attorno a noi.

Matilda e Lila mi domandavano incessantemente e con insistenza che cosa stesse succedendo tra me e Riven, nonostante io continuassi a ripetere loro che io e lui eravamo soltanto amici.

Thomas e Mike continuavano a lanciarci frecciatine e sguardi ammiccanti alludendo ad un rapporto ben più stretto di un'amicizia, e mentre io avvampavo per l'imbarazzo, Riven ricambiava sempre con qualche occhiataccia minacciosa.

Le nostre zie ci sottoponevano ad interrogatori infiniti ogni volta che cenavamo tutti insieme, e si scambiavano sguardi complici quando noi negavamo che tra noi ci fosse più che una bella amicizia.

E la parte peggiore di tutte quelle domande e battutine non era sopportare o rispondere, ma era negare. Perché, settimana dopo settimana, avevo capito che ciò che continuavo a ripetere agli altri e a me stessa era soltanto una bugia.

Non era vero che Riven per me era soltanto un amico. Non era vero che tra di noi non c'era nulla di più di una stretta amicizia, o almeno, sicuramente non da parte mia.

In quelle settimane passate insieme a lui avevo imparato ad ascoltarlo, capirlo, conoscerlo, accettarlo, e per quanto mi costasse ammetterlo a me stessa, anche ad amarlo. Mi ero innamorata di lui, perdutamente e follemente, e non c'era nulla che potessi fare per ignorare quel sentimento forte, puro e travolgente.

Mi aveva abbracciata nelle notti gelide e cupe, e mentre nella mia testa c'erano solo mostri e tormenti dai quali temevo di non riuscire a scappare, lui mi stringeva a sé e mi guidava con tenerezza, dandomi la forza per affrontare l'oscurità dentro di me e per vedere la luce delle stelle e della luna.

Gli avevo stretto la mano quando gli incubi tormentavano il suo cuore e deformavano il suo viso in un'espressione amara e sofferente, e avevo lottato insieme a lui contro quelle tenebre che minacciavano di avvolgerlo ancora una volta e di trascinarlo sul fondo di un lago scuro e tetro.

Avevamo passato più e più notti seduti sulla riva di quel lago, che quando eravamo insieme non faceva più così paura, e non sembrava più così gelido, e avevamo ripensato con nostalgia al passato, avevamo riso con spensieratezza, scaldandoci a vicenda e dimenticandoci per attimi infiniti di tutte le nostre debolezze e delle agonie delle nostre anime.

La nostra connessione era diventata prima una lucciola nel buio, poi una lampadina, e infine un fuoco indomabile. Era diventata un ago delicato e sottile che ricuciva gli strappi dei nostri cuori, e poi un morbido ma robusto filo di seta che ne teneva uniti i pezzi con dolcezza. Era diventata un sentimento che bruciava come un sole ardente e inarrestabile, eppure allo stesso tempo era così fragile e prezioso che temevo potesse spegnersi da un momento all'altro.

La paura che lui non provasse le stesse cose per me mi attanagliava, mi distruggeva.

L'idea che lui potesse non sentire la stessa connessione tra le nostre anime e i nostri cuori mi tormentava, e sentivo una voragine aprirsi dentro di me al solo pensiero di poter rovinare il rapporto tra me e Riven esprimendo i miei sentimenti.

Perciò mentivo a lui, mentivo agli altri e mentivo a me stessa, tenendo per me tutte quelle emozioni burrascose. Era complicato tenerle a bada, ma nulla sarebbe mai stato tanto difficile quanto vivere senza di lui, ora che lo avevo fatto entrare nella mia vita.

Ero innamorata di lui, lo amavo con tutta me stessa, e sentivo che quell'amore profondo e sincero era talmente legato alla mia anima che mi avrebbe accompagnata per l'eternità.

E infondo, speravo ogni giorno che lui provasse le stesse cose, che mi confessasse i suoi sentimenti a cuore aperto, che lui avesse la forza e il coraggio di parlare che io invece non avevo e che probabilmente non avrei mai avuto.

I giorni passavano e sembrava che quel momento da me tanto atteso non sarebbe mai arrivato, eppure le mie certezze non vacillarono mai e i miei sentimenti non smisero di brillare neanche per un secondo.

Quelle emozioni, ricambiate o meno, erano troppo forti per svanire o affievolirsi, e mi sarebbero rimaste cucite addosso per sempre.

***

Passando tutto quel tempo in compagnia di Riven, i mesi sembrarono scorrere più velocemente.

Il freddo arrivò anche a Dawnguard, e in un batter d'occhio fu Natale.

Le nostre zie erano emozionatissime all'idea di passare il Natale tutti e quattro insieme, e passarono tutta la settimana a parlarne.

Alla fine decidemmo di festeggiarlo a casa di Mirca e Riven, a patto che io e zia Iris andassimo da loro la mattina presto per aiutarli a cucinare, e così facemmo.

Dopo aver cucinato per tutta la mattina, all'ora di pranzo ci sedemmo finalmente a quella tavola imbandita e decorata come se si trattasse del pranzo di Natale di una famiglia reale, e mangiammo di gusto fino a scoppiare.

Restammo a tavola fino alle cinque di pomeriggio, e una volta mangiato il pandoro, fu finalmente ora di scambiarsi i regali.

«Beh, direi che è arrivata l'ora dei regali! Inizio io!» trillò zia Iris, mettendosi sulle gambe un sacchettino di carta pieno di pacchetti colorati e curati nei minimi dettagli.

Porse a Mirca un pacchettino rettangolare e fucsia, con un bellissimo fiocco d'oro. Lei lo aprì, e dentro c'era un mazzo di Tarocchi oro e nero, che zia Iris le aveva preso pensando che, vista la colorazione dorata e luccicante come quella dei gioielli che creava, sarebbe finalmente riuscita a farla appassionate alla lettura delle carte. Poi, porse a me e Riven due pacchetti uguali, della stessa dimensione, con lo stesso fiocco, e li scartammo insieme. Erano due libri, due copie di "Un giorno questo dolore ti sarà utile" di Peter Cameron. La ringraziammo tutti quanti, e poi fu il turno di Mirca, che regalò a zia Iris un bracciale creato da lei, a me un set di pennelli e a Riven una nuova mascherina per il suo casco.

«Tocca a me!» Esclamai io, e diedi a zia Iris e a Mirca un pacchetto a testa.

Quando loro due li afferrarono e si distrassero a scartarli, mi voltai verso Riven e gli feci l'occhiolino, sperando che capisse che avevo un regalo anche per lui, ma che avrei voluto darglielo in privato.

Lui annuì in maniera quasi impercettibile, e io non riuscii a trattenere un sorrisetto.

Non ci eravamo mai scambiati dei regali, ma quell'anno era diverso.

Zia Iris e Mirca furono felici dei libri che avevo scelto per loro, e mi abbracciarono per ringraziarmi.

Riven, invece, regalò alle zie profumi, che aveva scelto ispirandosi ai loro caratteri e alla loro personalità.

Ci ringraziammo di nuovo tutti quanti a vicenda, e quando Mirca si alzò per preparare il caffè, io e Riven capimmo che quello era il momento in cui dovevamo scappare per evitare di sorbirci le chiacchiere delle nostre zie e l'ennesimo interrogatorio sul nostro rapporto.

«Noi andiamo in camera mia» disse Riven tutto d'un fiato, alzandosi dal tavolo.

Mi alzai anche io, e seguii Riven al piano di sopra.

Ci sedemmo sul suo letto e io, impaziente, tirai fuori dalla borsa il regalo per Riven.

Ma lui mi batté sul tempo, e appoggiò davanti a me una piccola scatolina rossa, con dei dettagli dorati.

«Ti ho fregata. Apri prima tu» disse lui, con uno sguardo di giocosa sfida.

Sospirai sorridendo, e tolsi il fiocco dalla scatolina con il cuore che già iniziava ad accelerare per la tensione. Non mi aveva mai fatto un regalo, e anche solo il fatto che avesse pensato di farmene uno mi riempì di gioia.

La aprii, e rimasi a bocca aperta: dentro quel piccolo scrigno c'era una collanina d'oro, con appesa dallo stelo pieno di minuscole spine una piccola rosa a farle da ciondolo.

«Riven, ma è... stupenda, davvero» farfugliai, cercando di togliere la collana dalla scatolina con le mani tremanti per l'agitazione.

«Ferma» disse lui, appoggiando le sue mani sulle mie e calmando il tremore, «Ti aiuto io».

Con delicatezza, tolse la collanina dal piccolo scrigno e me la mise al collo.

Guardai verso il basso, e rimasi senza fiato un'altra volta per la bellezza di quel gioiello. «È meravigliosa, grazie».

«L'ha fatta Mirca. L'ho disegnata io, ma è venuta meglio di quanto pensassi» disse lui, sfiorandola con le dita.

Ebbi un sussulto quando il ciondolo si spostò, e la punta del suo indice sfiorò il mio petto.

«Ora posso darti il mio regalo?» gli dissi frettolosamente, prima di poter avere il tempo di avvampare per l'imbarazzo.

«Non aspetto altro» rispose lui, sorridendo impaziente.

Presi il pacchetto rettangolare, sottile e fragile che avevo appoggiato sul letto, e glielo porsi con la mano tremolante. Gli sarebbe piaciuto?

Lui aprì il pacchetto, guardò le due cornici di vetro in cui avevo incorniciato i miei due disegni, e non disse nulla.

«Sei tu» farfugliai, pensando che fosse non avesse capito il senso di quei disegni.

Lui, ancora una volta, restò in silenzio.

«Pochi giorni dopo il tuo arrivo a Dawnguard, una notte non riuscivo a dormire e ho fatto questo disegno. Ti ho ritratto con uno sguardo cattivo, con un'espressione sprezzante, con l'ostilità che avevi sempre nei miei confronti dipinta sul volto. Ma tu non sei più questo, ora sei così» dissi togliendogli dalle mani la seconda cornice, e mettendola sopra a quella che conteneva il ritratto che avevo fatto di lui quella notte, presa dalla rabbia e dallo sconforto. «Sei sorridente, premuroso, attento, affettuoso, dolce. Sei te stesso, sei reale, sei sincero» continuai, mentre lui osservava il ritratto che gli avevo fatto lo scorso sabato pomeriggio, in cui entrambi avevamo voglia di disegnare e ci eravamo messi sul divano con i nostri blocchi e matite.

In quel ritratto c'era tutto l'affetto che avevo iniziato a provare per lui, tutte le sfumature del suo carattere che avevo imparato a conoscere, tutta la sua bellezza e tutta la sua dolcezza.

«Non so che cosa dire. Sono bellissimi, grazie» disse lui, continuando a guardare i miei disegni.

«Non devi dire niente» risposi, allungando la mano verso di lui e accarezzandogli la guancia.

Quello sarebbe stato un ottimo momento per confessare i miei sentimenti, per dirgli quanto lo amassi, per raccontargli di quanto amore c'era in quel secondo disegno.

«Spina, io...» farfugliò lui, alzando gli occhi su di me.

Mi guardò con i suoi occhi smeraldini, luccicanti di dolcezza e affetto, di sincerità e purezza.

Il mio cuore perse un battito e mi balzò dritto in gola. Stava per farlo lui? Quel giorno era forse arrivato? Restai in silenzio, con occhi speranzosi e imploranti.

Ma lui distolse lo sguardo e si alzò in piedi, dandomi le spalle e creando una distanza tra noi due che ruppe in mille pezzi ogni mia speranza.

Sospirai delusa e affranta, e per un attimo mi sembrò di sentire sospirare con sconsolatezza anche Riven.

Infilai la scatolina rossa e oro nella borsa, mi alzai dal letto e gli stampai un rapido e schivo bacio sulla guancia mettendomi in punta di piedi.

«Ci vediamo domani. Dobbiamo decidere gli ultimi dettagli per la festa di capodanno» gli dissi con freddezza ed evitando di guardarlo negli occhi.

«A domani» rispose lui, con lo stesso distacco.

Il calore e la tenerezza di pochi minuti prima si erano trasformate in gelo e rigidità, e provai una sensazione di vuoto al petto.

Saremmo mai riusciti a guarire i nostri cuori abbastanza da riuscire a liberarli da tutte le nostre paure e a metterli a nudo l'uno davanti all'altra?

***

I cinque giorni tra Natale e l'ultimo giorno dell'anno trascorsero come al solito: il velo di distacco e imbarazzo che era calato su di me e Riven la sera di Natale sembrava essere svanito nel nulla, e nessuno dei due si azzardò a parlare di quel che era successo. Era tornato tutto come prima, come se quel momento non fosse mai esistito, e a me andava bene così.

Mi bastava l'illusione che Riven, forse, volesse dirmi quello che io avrei voluto urlargli e volesse confessarmi di provare lo stesso amore che bruciava anche dentro di me, per mettermi l'anima in pace.

Ma più i giorni passavano, più mi rendevo conto che quelle emozioni forti e tumultuose che mi riempivano il cuore non sarebbero potute rimanere imprigionate ancora a lungo. Graffiavano per uscire allo scoperto, mordevano per farsi spazio, urlavano per farsi sentire, e io non potevo continuare a sopprimerle.

Non sapevo nemmeno se Riven provasse le stesse cose per me, ma che fosse o non fosse così, avevo capito che dovevo essere io a farmi coraggio e parlare, perché lui, magari, non avrebbe mai avuto la forza per tirare fuori dal suo cuore avvolto da rovi pieni di spine dei sentimenti così forti.

Forse, in quel caso, lui aveva bisogno di me più di quanto io avessi bisogno di lui.

«Allora, Mirca ci ha dato delle indicazioni per la festa...» disse Riven. «Spina, mi stai ascoltando?» continuò lui, distraendomi dai miei pensieri e riportandomi alla realtà.

Ormai era la vigilia del capodanno, e dovevamo definire gli ultimi dettagli della festa che stavamo organizzando. Avevamo a Mirca il permesso di farla nella loro casa a Redwood ancora prima di Natale, e lei aveva accettato senza problemi a patto che non ci fossero troppi invitati.

«Si, si» farfugliai, mettendo sulla tavola la matita con cui stavo tamburellando su un blocco per gli appunti e guardandolo negli occhi. «Ti ascolto, ci sono».

«Che ti prende? In questi ultimi giorni sembri... pensierosa» mi chiese, aggrottando le sopracciglia.

«Niente, sono solo agitata per la festa» risposi, accampando una scusa in velocità per non dirgli che stavo pensando incessantemente a come dirgli quanto lo amavo.

«Mh» mugugnò incerto, ma non sembrò intenzionato ad approfondire la cosa.

«Dicevamo?» dissi, prima che potesse farmi ulteriori domande.

«Stavo dicendo che Mirca ci ha lasciato delle indicazioni per domani: niente bicchieri di vetro, vietati petardi o cose del genere, e si sta sempre in gruppo. Per il resto, possiamo fare quello che vogliamo, ovviamente senza distruggere la casa».

«Tutto chiaro. Facciamo un piccolo recap prima di pensare alla lista della spesa» dissi tornando alla pagina precedente del blocchetto ad anelli e rileggendo i miei appunti. «Hanno confermato tutti la loro presenza, quindi saremo in sei: Io, te, Lila, Matilda, Thomas e Mike. Io e te andremo a Redwood a preparare tutto per la festa domani mattina, mentre gli altri arriveranno prima di cena. Mangeremo la pizza al taglio che andremo a prendere a piedi in centro città, e poi inizierà la festa. Hai scritto agli altri di ricordarsi di portare cuscini e sacchi a pelo? Il giorno dopo gli altri torneranno a casa dopo pranzo, e noi invece resteremo a Redwood fino alla fine delle vacanze. Giusto?».

«Tutto perfetto, capo» rispose lui, prendendo in mano al telefono. «Avevo già ricordato a tutti di portarsi le cose per dormire, ma conoscendoli, soprattutto i ragazzi, meglio non rischiare» disse ridacchiando.

«Bene, allora adesso pensiamo alla lista della spesa» enunciai tornando alla pagina vuota, «Patatine, pop corn, tramezzini...» bisbigliai, mentre scrivevo tutto in un elenco puntato.

Definimmo tutti gli ultimi dettagli inerenti alla festa e li comunicammo ai nostri amici, e poi Riven tornò a casa sua, con la promessa di venirmi a prendere la mattina seguente alle otto in punto per andare a Redwood.

***

La mattina del 31 dicembre io e Riven sistemammo la casa a Redwood per la festa, la addobbammo con qualche palloncino colorato e dei festoni, aggiungemmo due sedie in più al tavolo prendendo quelle del portico, e spostammo il divano verso il fondo del salotto per fare più spazio.

Andammo a fare la spesa per la serata in centro a Redwood, a piedi dato che in moto sarebbe stato impossibile portare tutto quanto, e prendemmo anche qualche bottiglia di vino e di superalcolici.

Entrambi fummo d'accordo sull'aggiungere una nuova regola, ovvia ma non scontata: non si beve alcol fino a stare male.

Alle otto di sera ci dirigemmo a piedi verso la pizzeria del centro, che avevamo scelto come punto di ritrovo per far parcheggiare la macchina agli altri e poi accompagnarli fino alla casa a piedi, dato che l'auto di Mike era troppo grande per passare nel sentiero asfaltato che usavamo di solito io e zia Iris.

Si gelava, perciò potevamo scordarci un capodanno di vestiti eleganti: io avevo una maglietta e pantaloni termici sotto a jeans, felpa e giacca, e avevo consigliato anche a Lila e Matilda di vestirsi allo stesso modo.

Mi avevano presa in giro dicendo che era impossibile che ci fosse così tanto freddo, ma sapevo che appena messo piede fuori dalla macchina si sarebbero ricredute. E infatti, così fu: arrivammo alla pizzeria e li trovammo già lì ad aspettarci, e non appena scesero dalla macchina iniziarono a tremare tutti quanti come delle foglie.

«Quindi, chi aveva ragione?» dissi con un sorriso sfacciato, non appena vidi Lila e Matilda stringersi nei giacconi.

«Taci. Lila, ringrazia il cielo che sono intelligente e che ho messo nello zaino i vestiti termici sia per me che per te» borbottò Matilda, lanciando un'occhiataccia a me e alla sorella.

Scoppiammo tutti a ridere, e senza indugio entrammo nella pizzeria, più per la voglia di ripararci dal freddo che per la fretta di cenare.

Prendemmo le pizze, andammo a piedi fino a casa e Lila e Matilda corsero subito al piano di sopra ad infilarsi i vestiti termici, mentre io e Riven incastravamo le pizze nel forno per riscaldarle e Thomas e Mike preparavano la tavola.

Finimmo tutti e quattro i cartoni di pizza al taglio che avevamo preso, accompagnandole con della birra ambrata, e poi iniziò la vera festa. Sparecchiammo tutto per lasciare posto a ciotole di patatine e pop corn, bottiglie di vino bicchieri di plastica e caraffe colme di miscugli di superalcolici.

Alzammo il volume della musica, bevemmo, ridemmo, giocammo a carte, e fumammo anche qualche sigaretta: le aveva portate Thomas, l'unico del gruppo che fumava, e ne approfittammo per fare qualche tiro.

Io e le ragazze avevo già fumato qualche volta, ma Riven e Mike non lo avevano mai fatto. Riven sembrava non essere interessato né all'alcol né al fumo, ma poi sfilò una sigaretta dal pacchetto aperto appoggiato sul tavolo e prese l'accendino.

La avvicinò al suo viso tenendola tra l'indice e il medio, la appoggiò sulle sue labbra rosee e carnose, la accese, inspirò e allontanò la sigaretta, per poi far uscire tutto il fumo denso e grigio dal naso. Lo aveva fatto con una tale naturalezza che non sembrava minimamente essere la sua prima volta.

Io alla mia prima sigaretta avevo tossito tantissimo e non ero nemmeno riuscirà a far andare nei polmoni tutto il fumo.

«Non sapevo fumassi» gli disse Thomas, guardandolo con un'espressione stranita.

«Nemmeno io» commentai.

«È solo che non mi avete mai visto farlo. Lo faccio solo raramente, di notte, quando sono da solo» rispose lui, sorridendo e facendo un altro tiro.

Thomas fece spallucce e tornò a discutere con Lila del fatto che secondo lui stesse barando a carte, mentre Mike e Matilda chiacchieravano continuando a ridere.

Ormai mancava poco a mezzanotte, stavamo bevendo già da qualche ora, e l'alcol iniziava a fare effetto. Io guardai Riven sbuffare altro fumo, e mi avvicinai con la sedia verso di lui.

«Ma veramente fumi? E io non me ne sono mai accorta» gli dissi.

Bevvi l'ultimo sorso di gin tonic che mi rimaneva nel bicchiere, presi una sigaretta dal pacchetto e la accesi tenendola stretta tra le labbra.

«Se è per questo nemmeno io sapevo che tu fumassi» ribatté lui con un sorrisetto beffardo.

«Solo alle feste, quando me le danno gli altri. E tu? Da quanto lo fai?».

«Da quando avevo sedici anni. Il tabaccaio di Redwood non mi ha mai fatto storie e me le dava anche se ero minorenne, sembravo già più grande. Mirca non l'ha mai scoperto».

«Terrò il tuo segreto al sicuro, se tu terrai al sicuro il mio» gli sussurrai.

Mi avvicinai ancora di più a lui, fino a trovarmi a pochi centimetri dal suo viso, e gli soffiai lentamente il fumo in faccia.

Quando la nube grigia si dissolse, sul suo viso vidi un'espressione che non riuscii a comprendere.

«Ora basta» ringhiò a denti stretti, ma sottovoce. «Vieni con me».

Con un gesto scattante mi prese la mano intrecciando le sue dita alle mie, mi fece alzare e mi portò verso le scale.

«Non credo di star capendo» dissi, mentre lo seguivo gradino per gradino.

Guardandomi indietro, vidi che i nostri amici erano talmente impegnati nelle loro conversazioni che nemmeno si erano accorti del nostro improvviso allontanamento.

«Taci e seguimi, Spina» ringhiò di nuovo.

Arrivammo nella stanza da letto che ormai eravamo abituati a condividere, e lui chiuse immediatamente la porta alle nostre spalle.

«Non ce la faccio più» disse in un tono rabbioso, ma quasi disperato.

Io restai in silenzio e immobile.

Pensai a che cosa potevo aver detto o fatto che potesse scatenare una reazione simile in lui, cercai di capire che cosa poteva essere successo che lo avesse fatto arrabbiare così tanto, mentre mi dava le spalle e stringeva tra le dita i suoi capelli bronzei.

«Non resisto» mormorò lui, in maniera quasi sottomessa.

E in una frazione di secondo mi trovai con le sue labbra stampate sulle mie.

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Ciu :3 come state? Tutto bene
Altro capitolo un po' lunghetto, ma non sono proprio riuscita a trattenermi!
Siamo finalmente arrivati al baciooooo che non vedo l'ora di approfondire nel prossimo capitolo! Vi lascio sulle spine per un po'...
Un abbraccio e al prossimo capitolo! :3

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