23. Ricordi
Arrivammo a Redwood in poco meno di un paio d'ore, e quando entrammo nella vecchia casa di Riven e Mirca la trovammo come l'avevamo lasciata il weekend prima: spoglia, ordinata, pulita, e sapeva un po' meno da chiuso.
«Sei stanca? Ti vuoi riposare?» mi chiese Riven, non appena mi sedetti sul divano abbandonando lo zaino a terra.
«No, mi fa solo male la schiena» risposi, appoggiandomi le mani sui fianchi e inarcando la schiena all'indietro per cercare di alleviare il fastidio.
«Risposati e rilassati un po'. Più tardi avrò del lavoro da fare, e tu mi aiuterai» disse lui, in tono serio e deciso, come se non fosse disposto ad accettare il minimo compromesso.
Appoggiai la testa all'indietro sullo schienale del divano, guardai il soffitto e sbuffai.
«Vado in città a prendere qualcosa da mangiare. Hai voglia di qualcosa?» domandò, prendendo il cellulare della tasca.
«Mh...» mugugnai pensierosa, picchiettandomi l'indice sul mento. «Facciamo gli spaghetti aglio, olio e peperoncino per cena?».
Lui aggrottò le sopracciglia, perplesso e stupito, e iniziò a scrivere sul telefono. Probabilmente si stava segnando una lista della spesa.
«Hai altre richieste, puzzona?» disse ridacchiando.
Spalancai la bocca in un'ironica espressione offesa e incrociai le braccia. «Scusami?» gli domandai in finto tono indignato.
Lui scoppiò a ridere, e io feci lo stesso.
«Va bene così, non voglio altro. Scegli tu che cosa prendere per il pranzo e per domani».
«Ti porterò l'aglio buono, quello del contadino del paese. Se proprio dobbiamo puzzare, almeno facciamolo bene» disse sorridendo.
Ricambiai il sorriso e poi arricciai il naso in una smorfia, facendo una linguaccia.
Lui ride di nuovo, e tornò ad annotare altre cose sul telefono, e io rimasi a guardarlo.
«Bene, torno tra poco» disse alzando lo sguardo su su me e infilando il cellulare nella tasca. «A dopo».
«A dopo» risposi, mettendomi più comoda sul divano.
Riven raccolse il suo zaino da terra, se lo mise in spalla, e uscì di casa lasciandomi sola.
Sospirai, pensando a quanto fosse surreale quella situazione.
Era bastata una notte al lago a parlare a cuore aperto per far cambiare drasticamente il nostro rapporto e la nostra vita, e ancora non riuscivo a crederci.
I nostri pomeriggi di studio erano ancora di routine, ma non erano più ore e ore lente e noiose passate tra le mie spiegazioni apatiche e il suo silenzio attento, erano ore di leggerezza, di sorrisi ricambiati e di risate, con pause tra un argomento e l'altro fatte di chiacchiere a volte frivole e a volte più profonde.
A scuola aveva iniziato ad essere più amichevole con Lila e Matilda, cosa che mi riempiva il cuore di gioia, e anche con Thomas e Mike riuscì ad iniziare ad instaurare un'amicizia.
Riven mi aveva detto che già il martedì mattina, Ethan gli aveva mandato un messaggio per annunciargli che si sarebbe trasferito in un'altra città e avrebbe cambiato scuola. Temevo che con l'improvviso cambio di città di Ethan, Thomas e Mike sarebbero stati molto diffidenti nei nostri confronti, e invece Ethan doveva aver confessato loro ciò che era successo, perché furono loro ad avvicinarsi a noi per primi e a comportarsi come se nulla fosse successo.
La mia vita aveva preso una piega totalmente inaspettata, ma andava bene così, perché mi sembrava quasi di star iniziando a guarire da tutte le mie ferite del passato: con Riven al mio fianco, che mi ricopriva di piccole attenzioni e gesti che mi scaldavano il cuore, era semplice non pensare ad Ethan e a ciò che mi aveva fatto, ed era diventato facile non precipitare nella sensazione di vuoto che prima avevo sempre nel petto quando ripensavo ai miei genitori, perché sapevo benissimo che anche lui aveva avuto un passato difficile e molto simile al mio, e che dentro stava soffrendo tanto quanto me.
Meglio mettersi a fare qualcosa, pensai, alzandomi dal divano con un balzo.
Presi il mio zaino da terra, me lo misi in spalla e salii al piano di sopra, diretta alla vecchia camera da letto di Riven.
Entrai nella stanza e appoggiai lo zaino accanto al letto, e poi tornai subito in corridoio.
Mi fermai davanti all'armadio incassato, aprii l'anta scorrevole e presi le lenzuola pulite per entrambi i letti e degli asciugamani puliti. Erano gli stessi della settimana scorsa, che avevamo lavato, asciugato in asciugatrice e poi rimessi a posto.
Aprii tutti gli scuri e le finestre per far arieggiare le stanze, sistemai le lenzuola sul mio letto e su quello di Riven, riposi gli asciugamani in bagno, e tornai al piano di sotto.
Riven tornò a casa poco dopo, con due sacchetti della spesa straripanti di cose da mangiare e una teglia di focacce ai pomodorini avvolta in un incarto tutto unto.
«Bene, ora che le cose più importanti sono state fatte...» disse chiudendo il frigorifero, «È il momento di dedicarci a qualcosa di decisamente più interessante».
Lo guardai con un'espressione perplessa, ancora non avevo capito di che cosa stesse parlando.
«Maya ha qualche problemino e ha bisogno di una giornata al centro benessere» dichiarò lui incrociando le braccia e appoggiandosi al frigo dietro di lui.
«E io che cosa dovrei centrare in tutto questo?» risposi in tono confusi, alzando un sopracciglio.
«Centri eccome. Pensi che i passaggi a scuola siano gratis? Devi aiutarmi a darle una sistemata» ribatté con tono sfacciato e un sorrisetto beffardo.
Sbuffai, e con un balzo mi sedetti sul tavolo tutta indispettita.
«Ma io non sono capace».
«Imparerai, come ho imparato io da ragazzino» rispose passandomi accanto, prendendo le chiavi della moto dalla tasca e lasciandomele cadere sulle cosce, mentre continuava a camminare. «Seguimi».
Scesi dal tavolo, alzai gli occhi al celo e sbuffai di nuovo, ma un po' più piano per non farmi sentire.
Quando uscii di casa, lo trovai già accanto alla moto ad aspettarmi, e aprì le mani davanti a se facendomi segno di lanciargli le chiavi.
Gliele lanciai, e lui le prese al volo.
Le inserì, sbloccò il manubrio della moto e senza accenderla e iniziò a spostarla verso il retro della casa, dove c'era un piccolo garage già aperto.
Con un po' di sforzo sollevò la parte anteriore della moto, e appoggiò la parte centrale su una specie di sgabello in ferro.
Vidi i muscoli delle sue braccia tendersi sotto la sua pelle traslucida, e le sue vene ingrossarsi e inscurirsi.
Una volta sistemata la moto ed essersi assicurato che fosse stabile, fece un passo indietro e si guardò attorno con fare sognante, riprendendo fiato.
«Qui è dove Maya ha iniziato a prendere vita. Quando zia Mirca me l'ha comprata era quasi nuova, ma sembrava una cucciola smarrita» disse ridacchiando tra sé e sé. «Ovviamente me ne ero innamorato immediatamente, ma era un po' bruttina. Aveva delle grafiche orribili, e dei pezzi che andavano assolutamente cambiati. E poi piano piano, in questo garage, Maya è diventata quella che è ora».
«Ti piace proprio tanto, eh?» gli dissi io, avvicinandomi alla moto e girandoci attorno per osservarla nei minimi dettagli, come non avevo mai fatto.
«Dire che mi piace è troppo poco: la amo. Ho tanti bei ricordi insieme a lei, e mi aiuta a farmi stare bene» rispose, tirando a sé una sedia di legno appoggiata al muro e sedendosi accanto alla moto. «Quando Mirca me l'ha regalata, stavamo passando un brutto periodo. I miei genitori continuavano a litigare con lei, volevano riprendere la mia custodia. Stavo male perché i miei genitori erano tornati un'altra volta, mentre io desideravo solo che sparissero per sempre, ma stavo più male a vedere quanto stesse soffrendo mia zia. Eppure lei, nonostante tutto quel dolore, pensò a me e mi regalò questa moto. Io ero felice di quel regalo, ma lo ero di più nel vedere quando lo fosse lei. Mi insegnò tutto sulle moto, e vedere luccicare nei miei occhi la stessa passione che aveva brillato nei suoi quando era una ragazzina, sembrò farla splendere di nuovo. Maya non è solo un oggetto per me, è un'amica su cui posso sempre contare e che mi aiuta sempre, anche nei momenti più bui».
Mi fermai accanto a lui e gli appoggiai una mano sulla spalla. «Grazie per aver condiviso questa cosa con me. E grazie che mi ci lasci salire, immagino sia una cosa molto importante per te» gli dissi.
Lui alzò la testa, i suoi capelli si spostarono all'indietro e scoprirono i suoi occhi smeraldini, che si incastrarono nei miei.
«Lo è» confermò, con un tenue sorriso.
Sentii il sangue scaldarsi nelle guance, e mi voltai per non darlo a vedere.
«Bene, mettiamoci al lavoro» disse lui, sospirando e alzandosi in piedi.
Iniziò ad osservare la moto, scrutandone i dettagli. «Per prima cosa dobbiamo lavarla, poi serve qualche ritocchino di vernice qui e là, e bisogna anche mettere un po' di lana di vetro nello scarico per attutire il rumore di qualche decibel... Ah, e c'è da sistemare la freccia posteriore destra, ma magari le cambiamo tutte e quattro e ne mettiamo di un po' più carine».
Lo guardai con gli occhi spalancati, confusa e perplessa da quella marea di informazioni.
«Non guardarmi così. Lo so che queste sono tutte cose nuove per te, ma se dobbiamo passare così tanto tempo insieme, devi impararle. E so che ci riuscirai» mi rassicurò lui, con sguardo ammiccante.
Sorrisi e scossi la testa fingendo disappunto, e anche lui sorrise.
«Allora? Cosa facciamo ancora qui impalati? Dammi una spugna, un secchio, qualcosa!» esclamai, battendo le mani per mettergli fretta in maniera giocosa.
«Mi sembra un'ottima partenza» ribatté lui, lanciandomi una spugna azzurra e morbida che aveva preso dall'armadietto in metallo dietro di lui.
Prese anche un secchio, lo riempì d'acqua nel lavabo in pietra vecchio e pieno di ragnatele del garage, e ci versò dentro anche del sapone.
Prese anche lui una spugna, ci mettemmo uno da un lato della moto e una dall'altro, e iniziammo a lavarla con cura e attenzione.
«Ehi! Hai visto cosa c'è la sopra?» trillò lui preoccupato dopo minuti di completo silenzio, indicando un angolo del soffitto.
Mi voltai di scatto verso quel punto, e meno di un secondo dopo mi trovai il lato sinistro della faccia pieno di acqua e schiuma.
Mi girai di nuovo verso di lui, con un'espressione sconvolta e indignata.
Almeno, nonostante fossero gli ultimi giorni di ottobre, quella era una giornata sorprendentemente tiepida: anche se all'ombra c'era freddo, il sole scaldava abbastanza da rendermi più divertita che arrabbiata per quel suo gesto.
Lui mi guardò sorridendo con le labbra serrate, riuscendo a trattenere appena una risata.
«Sei un maledetto!» gridai, e lanciai verso la sua faccia la mia spugna zuppa d'acqua.
Lui scoppiò a ridere, e con un gesto fulmineo si nascose dietro alla moto, schivando il mio colpo.
Quando tornò di fronte a me, mi colpì con la spugna che gli avevo appena lanciato sulla spalla, bagnandomi la maglietta.
«Non lo accetto!» esclamai ridendo, «Ora ti devi bagnare anche tu!».
Mi alzai di scatto e andai verso di lui, infilai una mano nel secchio d'acqua e gliene buttai addosso uno spruzzo consistente, che gli inzuppò i pantaloni grigi.
«Va bene» disse lui, improvvisamente serio.
Mi feci seria anche io, pensando che si fosse arrabbiato. Forse avevo esagerato, e mi sentii subito un'idiota.
«Guerra sia!» esclamò, tornando a ridere e prendendo in mano il secchio.
Non feci nemmeno in tempo a rendermi conto del fatto che stesse fingendo di essersi infastidito per distrarmi, che dovetti strizzare gli occhi e coprirmi il volto con le mani per non ritrovarmi travolta da una secchiata d'acqua.
Aprii gli occhi, e lo vidi ridere e correre via con il secchio in mano, verso il prato.
Mi guardai attorno per cercare qualcosa di utile per rispondere all'attacco, e vidi che a terra c'era una pompa dell'acqua verde. La seguii con lo sguardo, e la vidi collegata ad un piccolo rubinetto attaccato alla parete. Andai ad aprirlo, corsi ad afferrare la pompa e mi fiondai verso Riven, spruzzandolo con l'acqua.
Ci rincorremmo per qualche minuto, e quando lui finì l'acqua nel secchio chiamò la resa.
Si buttò a terra in modo drammatico, mise le mani avanti e mi implorò di smetterla tra le risate.
Appoggiai la pompa a terra, e andai al rubinetto per chiudere l'acqua.
«Te la do vinta» disse quando tornai da lui, ridendo tra i respiri affannosi.
«Sei davvero scarso!» esclamai, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Ma taci!» ribatté afferrandomi il polso e tirandomi verso di lui, facendomi cadere.
In un attimo mi ritrovai sopra di lui, con le mie mani appoggiate sul suo petto e con i miei capelli bagnati appiccicati alla sua faccia.
«Scusa, scusa» balbettai, muovendomi subito per rialzarmi.
«"Scusa" di cosa, esattamente?» chiese lui, riafferrandomi il polso e tenendomi attaccata a sé. «Sono stato io a tirarti giù» disse con voce bassa e profonda.
Mi trovai con il viso ad un palmo dal suo, come era già successo tante volte, ma in quell'occasione tutto era diverso. Erano diversi i suoi occhi, che invece di essere taglienti e mordaci, erano dolci e brillanti. Era diversa la sua espressione, che al posto di essere dura e decisa, sembrava timida e impacciata. Era diverso il suo respiro, che non era composto e lento come al solito, ma era veloce e incontrollato, e non per la corsa. E mi era nuovo il battito del suo cuore, che per la prima volta riuscivo a sentire sotto al mio palmo, veloce e scalpitante.
Ci guardammo negli occhi per un'istante che sembrò durare una vita, e i nostri respiri sembravano attratti da una forza magnetica irresistibile.
Vidi le sue guance tingersi lentamente di un rosa pallido, ma che sulla sua pelle candida e traslucida risaltava come rosso fuoco.
Arrossii anche io, e mi alzai con delicatezza, separandomi da lui.
Anche lui si alzò, mi guardò negli occhi, e poi vidi il suo sguardo scendere lentamente sul mio corpo. L'acqua aveva fatto aderire vestiti al mio corpo, mettendo in evidenza le mie poche forme. Mi scrutò per qualche secondo, ma non mi sentii a disagio o violata. Aveva un modo di guardarmi, innocente e rispettoso, che mai nessuno aveva avuto nei miei confronti. Sembrava mi stesse semplicemente osservando.
«È meglio se ci rimettiamo al lavoro» disse lui, sorridendo e scuotendo la testa per tentare di togliere un po' d'acqua dai suoi capelli zuppi.
«Hai ragione» concordai, e lo seguii di nuovo nel garage.
***
Per pranzo mangiammo le focacce con pomodorini e olive che Riven aveva preso al panificio, ed erano davvero buone.
Subito dopo ci rimettemmo a lavoro, e nel giro di qualche ora riuscimmo a fare tutto e a tirare a lucido la moto: già prima era davvero bella, ma ora splendeva. Era stato faticoso, ma anche divertente ed interessante.
Facemmo la doccia, mettemmo a lavare i vestiti e indossammo entrambi qualcosa di più pesante, dato che con il calare della sera le temperature stavano iniziando ad abbassarsi.
Per cena, cucinammo insieme gli spaghetti con aglio, olio e peperoncino che avevo chiesto, e usammo sei spicchi d'aglio interi. Probabilmente avremmo dovuto tenere le finestre spalancate per tutta la notte per far andare via la puzza.
«Ti va se andiamo al lago?» mi chiese lui, mentre metteva a posto i piatti appena lavati e asciugati.
Appena pensai alla riva del lago, un brivido di freddo scosse il mio corpo. C'era già freddo in casa tenendo le finestre aperte, al lago ci saremmo congelati.
«Non fa un po' troppo freddo?» risposi titubante.
«Non ti preoccupare» rispose lui, «Se avrai troppo freddo potremmo tornare a casa. E comunque, non credo che tra qualche minuto qui dentro ci sarà tanto più caldo, dato che le finestre devono restare aperte».
«Hai ragione» dissi sbuffando.
Nonostante avessi sempre amato la frescura di Redwood durante l'estate, rimanevo una persona molto freddolosa, e nonostante la giornata tiepida e piacevole, l'inverno era pur sempre alle porte.
Ero stata pochissime volte a Redwood nei mesi invernali, e ogni volta che tornavamo a Dawnguard facevo promettere a zia Iris che non mi ci avrebbe più portata, perché non riuscivo proprio a sopportare quel gelo.
Ci infilammo le scarpe e uscimmo di casa, lasciando tutte le finestre aperte.
Camminammo in silenzio fino al lago, mentre io cercavo di tenere a bada la mia mente per non far riemergere i brutti ricordi legati al buio del bosco.
Una volta arrivati al lago ci sedemmo l'uno accanto all'altra sulla riva, come avevamo fatto la settimana scorsa, ed ebbi un tuffo al cuore ricordando ciò che era successo. Ma ignorai quella sensazione, e cercai con tutta me stessa di concentrarmi sulla bellezza di quel momento: l'acqua luccicante e riflettente davanti a noi, la luna grande e luminosa al centro del cielo, i rumori calmi e melodiosi della natura, e Riven accanto a me.
«Come stai, Spina?» mi chiese lui, rompendo il silenzio.
«Sto... bene» balbettai, quasi come se fossi incredula della cosa.
Era la verità. Stavo bene, ma non riuscivo a credere di essere riuscita a tornare in quel posto senza avere una crisi.
«Ne sono felice» rispose lui, e mise la sua mano tiepida e vellutata sopra la mia.
Il suo tocco mi fece sussultare, ma lo accettai di buon grado, e ricambiai quel suo gesto appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Ti ricordi quella volta in cui siamo stati costretti a tenerci per mano per tutto il giorno? Per quell'escursione in montagna, avevamo tredici anni» dissi non appena riaffiorò quel ricordo nella mia mente.
Lui sorrise e scosse la testa. «Certo che me lo ricordo. Le zie avevano paura che ci perdessimo e ci avevano costretti a rimanere attaccati per tutta l'escursione. Io ero furioso».
«Beh, avevano ragione ad essere preoccupate. Ti ricordo che nell'escursione prima di quella avevamo litigato, non so per cosa, e ci eravamo persi» ribattei ridacchiando.
«Hai ragione, ce l'eravamo cercata» disse ridendo. «E ti ricordi di quando ti ho messo una cavalletta nella borsa? Quel giorno mi avevi proprio fatto arrabbiare».
«Che schifo, ho i brividi solo a pensarci» risposi con una smorfia di disgusto. «Cosa ti avevo fatto di tanto brutto per meritarmi quell'orribile scherzo?».
«Non te lo ricordi? È successo solo due anni fa. Avevi freddo, tremavi, e zia Mirca mi aveva detto che avrei potuto darti la mia felpa. Io ovviamente non potevo rifiutare perché dovevo fare il bravo ragazzo, e te l'ho data» .
Mi tornò subito alla mente quella giornata. Eravamo in una baita a pranzare dopo una lunga camminata, sotto la giacca avevo solo un maglioncino e stavo tremando dal freddo. Ripensai al momento in cui, sotto lo sguardo sprezzante di Riven, indossai la sua felpa e sentii subito su di me il suo profumo dolce ed erboso.
«Ora ricordo. E io nemmeno ti avevo ringraziato. Quindi, grazie» dissi sorridendo.
«Ma adesso che mi hai fatto tornare in mente della cavalletta, sono di nuovo arrabbiata» borbottai scontrosa, ma senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
«Mi farei perdonare se ti dessi la mia felpa anche ora? Tremi» rispose lui, quasi sottovoce.
«Forse» dissi, sfilando la mano da sotto la sua, spostandomi dalla sua spalla e incrociando le braccia.
Lui sospirò e si tolse la felpa, restando con addosso solamente la t-shirt.
«Tieni» disse lui, porgendomi la sua felpa.
«Ma io scherzavo! Sei pazzo? Ora avrai freddo tu!» esclamai, stupita del fatto che volesse darmela per davvero.
«Lo sai che per me il freddo non è un problema, io resisterei anche in pieno inverno con una maglietta a maniche corte, tu invece ti stai per ibernare. Hai presente che io ho vissuto qui per anni, mentre tu sei abituata a quel forno di Dawnguard, vero?» ribatté lui, tenendo la felpa tesa verso di me.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo, come se fossi stata infastidita da quel suo pavoneggiarsi. Ma in realtà, quel suo gesto mi aveva fatto vibrare le corde del cuore.
«Grazie» gli dissi, prendendo la felpa e infilandomela.
Era talmente grande e larga che ci stava senza problemi sopra alla mia.
«Va meglio?» mi chiese lui.
«Decisamente si» risposi, e mi riavvicinai a lui appoggiando di nuovo la testa sulla sua spalla.
Lui mi cinse la vita con il braccio, e con delicatezza mi attirò verso di sé.
Sussultai, ma poi mi accoccolai su di lui e lo abbracciai, crogiolandomi in quella sensazione di calore e nel suo profumo.
Restammo lì per ancora qualche ora, senza mai sciogliere il nostro abbraccio, continuando a ricordare i bizzarri e divertenti momenti passati insieme nel corso della nostra infanzia, a ridere e a prenderci giocosamente in giro.
Quando furono le una di notte tornammo a casa, e una volta chiuse tutte le finestre ed esserci dati la buonanotte, andammo nelle nostre camere.
Io aggiunsi una coperta di lana in più al mio letto, perché la casa, nonostante non puzzasse più di aglio, si era raffreddata parecchio.
Mi tolsi i vestiti e indossai il pigiama, ma poi mi rimisi addosso la felpa di Riven, non sapendo bene se volevo dormirci più per stare al caldo, o più per sentire il suo profumo e addormentarmi cullata da esso.
Mi infilai nel letto freddo e umido, spensi la lampada sul comodino e provai a dormire.
Poco dopo, mi svegliai di soprassalto con un urlo di Riven. Non ci pensai nemmeno, mi alzai dal letto con un rapido balzo e corsi in camera sua.
Lo trovai seduto sul letto, con le gambe strette al petto e la testa tra le ginocchia.
«Che succede, Riven?» gli chiesi sottovoce, con il cuore che batteva a mille per la corsa e lo spavento.
«Torna a dormire, Spina» rispose lui con voce flebile, ma dura e decisa.
«Riven...» bisbigliai intristita.
«Ho avuto un incubo» sbottò alzando la testa e guardandomi dritto negli occhi. «Ora va' a letto».
Mi sentii subito in difetto di fronte a quello sguardo tagliente e sprezzante che non vedevo da tempo, e fui grata del fatto che la fioca luce della luna non avrebbe mostrato il rossore del mio volto.
«Va bene, scusa. A domani» risposi, voltandomi per tornare nella mia stanza.
«Ferma» disse lui alle mie spalle, poco prima che sorpassassi la porta della camera. «Sono un idiota. Resta»
Lo guardai, e a riflettersi nei miei occhi c'era di nuovo quello sguardo dolce e calmo, che ormai avevo imparato a conoscere.
Gli sorrisi, e mi avvicinai di nuovo a lui.
Riven si spostò più a destra, e aprì il lenzuolo come per invitarmi ad entrare nel letto.
Nonostante avessimo già condiviso il letto per una notte, un brivido mi percorse la spina dorsale e il mio cuore saltò forse più di un battito, ma feci un respiro profondo e mi sdraiai accanto a lui, tirandomi le coperte fino alle spalle.
Mi misi di lato, verso di lui, e lui fece lo stesso mettendosi poco distante da me.
«Ho sognato i miei genitori. Ero di nuovo un bambino, e mia madre mi inseguiva con una bottiglia di vino rotta mentre mio padre cercava di bloccarmi» disse lui spontaneamente, guardandomi negli occhi.
«Va tutto bene. Ci sono io qui con te. La volta scorsa mi hai aiutata tu, ora tocca a me» risposi sorridendogli.
Raggiunsi la sua mano, che teneva sotto al cuscino, e gliela strinsi dolcemente.
Lui ricambiò il sorriso, ed intrecciò le sue dita alle mie.
Il mio cuore scalpitava e sembrava volermi uscire dal petto, e noi due continuammo a guardarci negli occhi e a mescolare i nostri respiri.
In quel momento, mentre il silenzio della notte era rotto solo dal nostro respiro sincronizzato, le nostre mani si intrecciavano e i nostri occhi si scioglievano in una dolce intensità, ebbi la certezza che qualcosa di profondo stava accadendo tra noi.
Era come se i nostri cuori avessero iniziato a battere all'unisono, come se le nostre anime si stessero avvicinando sempre di più.
Negli occhi di Riven vidi luccicare la stessa certezza, e sperai con tutto io mio cuore che non si trattasse solo di un riflesso.
----------------[ spazio autrice ]----------------
Ciu :3 come va?
Gli ultimi capitoli sono stati brevi, quindi con questo mi sono scatenata! Vi è piaciuto? Fatemelo sapere con un commentino!
Io sto adorando troppo come si sta evolvendo il rapporto dei nostri due protagonisti!
Un abbraccio e al prossimo capitolo! :3
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top