22. Speciale

Tra un disegno lasciato a metà e qualche capitolo di un libro letto con la testa da tutt'altra parte, la mattinata passò abbastanza in fretta.

Passate le una e mezza del pomeriggio, orario di fine delle lezioni, mi misi sul divano e staccai lo sguardo dall'orologio solo per lanciare qualche occhiata fugace alla porta d'ingresso, per prepararmi al momento in cui Riven avrebbe suonato al mio campanello. Ero a dir poco impaziente di vederlo.

Più i minuti passavano, più dentro di me si insinuava la preoccupazione che lui potesse non venire. La lancetta dell'orologio si muoveva di mezzo centimetro e il mio cuore saltava un battito, preparandosi alla delusione imminente che lui non si sarebbe presentato.

Ma poi, dopo esattamente undici minuti di trepidante attesa, il forte ruggito del motore della moto di Riven risuonò nella via.

Mi alzai dal divano con un balzo e mi diressi alla porta d'ingresso con una goffa corsetta.

Poi pensai a quanto sarebbe stato imbarazzante se avessi aperto la porta nell'esatto istante in cui lui avesse suonato il campanello, e tornai a risedermi sul divano con una posizione fin troppo impostata.

Feci appena in tempo a risedermi che Riven suonò alla porta, e il mio cuore sobbalzò a quel trillo acuto.

«Arrivo!» gridai.

Mi sentii immediatamente una stupida per averlo detto, e avvampai per l'imbarazzo. Ma che avevo in mente? Sembrava proprio che lo stessi aspettando come una pazza. Che vergogna. Sperai con tutta me stessa che non mi avesse sentita.

Aprii la porta, e me lo trovai davanti con ancora il casco addosso, e con in mano una piccola scatola bianca in polistirolo, avvolta da un sottile nastrino rosa.

«Ciao. Fammi entrare, o si scioglie tutto» disse lui serio, facendo un passo in avanti e costringendomi a spostarmi.

Ma di che diamine sta parlando? pensai.

Richiusi la porta, e mi resi conto che lui se ne era già andato in cucina e aveva appoggiato la scatoletta sul tavolo.

Lo seguii, confusa da quel suo fare agitato.

«Iris non c'è? Puoi prendere dei cucchiai, per favore?» mi chiese, togliendosi frettolosamente il casco per poi appoggiarlo su una sedia.

«No, non c'è. È andata via circa un'ora fa, doveva andare da una cliente a farle le carte» risposi, prendendo due cucchiai dal cassetto e appoggiandoli sul tavolo, senza farmi troppe domande sul perché li volesse.

«Bene!» esclamò lui, sedendosi al tavolo e avvicinando a se la scatoletta bianca. «Menomale, così non ci vedrà fare questa schifezza e non potrà rimproverarci».

Lo guardai perplessa, e lui mi sorrise compiaciuto.

Tirò un filo del fiocco rosa, e quando il nastrino si sciolse e alzò il coperchio della scatola, sgranai gli occhi per la sorpresa.

«Gelato?» domandai con stupore.

«Gelato» confermò lui serio, «Due chili, per l'esattezza. L'ho preso in quella gelateria che ti piace tanto, quella dove vai sempre con Lila e Matilda».

«Ma dobbiamo ancora pranzare, non possiamo mangiarlo ora» ribattei, sempre più confusa da quel suo comportamento insolito.

«Ma secondo te perché ne ho preso così tanto? È questo il nostro pranzo» disse lui con fermezza, come se mi stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.

Mi feci scappare una risatina, e mi sedetti al tavolo accanto a lui.

«Ora mi dici come ti è venuta in mente questa cosa e per quale motivo hai pensato fosse una buona idea. E per inciso, lo è stata» dissi io, ridacchiando e prendendo in mano un cucchiaio.

Osservai quella vaschetta riempita di gelato colorato e invitante, e affondai il cucchiaio in quello che sembrava essere il gusto nocciola.

«Volevo fare qualcosa per tirarti un po' su il morale, per farti felice. Ho chiesto a Lila e Matilda che cosa fate di solito quando una di voi tre è triste. Mi hanno parlato di shopping, cinema, piadine, videochiamate, ma quando si sono fermate a parlare per almeno quindici minuti di quanto fosse buono il gelato della Lumos ho capito che quella era la scelta giusta. Spero di averci azzeccato» disse lui, facendomi l'occhiolino e prendendo una cucchiaiata di gelato al pistacchio.

Arrossii, e sentii il mio cuore scaldarsi. Voleva fare qualcosa per me, per farmi stare bene, e si era interessato di chiedere dei consigli alle mie amiche per fare la scelta giusta. Ci teneva davvero a fare qualcosa che mi desse un po' di serenità, e non gli importava di quanto potesse essere strano mangiare gelato per pranzo, gli importava solo di rallegrarmi.

«Ci hai effettivamente azzeccato. Grazie» gli dissi sorridendogli.

Lo guardai negli occhi, e li vidi brillare di affetto e premura.

Era incredibile come avesse messo così tanto impegno nel cercare di portarmi un po' di spensieratezza, sentii il mio cuore come avvolto in un caldo e tenero abbraccio mentre lo osservavo assaporare il suo gelato, e mi resi conto di quanto fosse speciale quel momento.

«Non c'è di che» rispose lui, con un tenero sorriso sul volto.

«Come è andata oggi a scuola?» gli chiesi.

«È andata bene. Ma mi devi spiegare che diamine sono le colonne ioniche, doriche e corinzie, oggi la professoressa Morris le ha nominate almeno un centinaio di volte, e non ci ho capito un tubo» rispose lui, alzando gli occhi al cielo.

«Te le spiego oggi pomeriggio» lo rassicurai con una risatina.

«Grazie, mi stava scoppiando la testa» rispose ridendo.

«C'era anche... Ethan?» gli domandai sottovoce, esitando.

Mi sembrò di sentire la lingua bruciare e la bocca impastata mentre pronunciavo quel nome.

Lui mi lanciò un'occhiataccia fulminante e pungente.

«C'era. Ma da domani non sarà più un tuo problema» disse a denti stretti.

Che intendeva dire? Rimasi in silenzio, non sapendo come reagire a quelle parole che non sembravano avere un senso, sperando che intuisse da solo che avevo bisogno di una spiegazione.

«Volevo parlartene più tardi, ma dato che siamo finiti sull'argomento...» iniziò lui con una smorfia di disprezzo, roteando gli occhi come se il solo pensiero di parlare di Ethan gli facesse rivoltare lo stomaco. «Oggi prima che iniziassero le lezioni l'ho preso da parte e gli ho parlato. Subito ha provato a fare finta di nulla, e poi quando ha capito che non avrei ceduto si è giustificato come un verme, dicendo che era ubriaco, che non era in sé, e bla bla bla. Che viscido. Gli ho detto che se si azzarda a presentarsi di nuovo a scuola, a parlarti o scriverti di nuovo andrò a dire tutto ai suoi genitori. Quel coglione è così sfigato che ha paura della sgridata di mammina e papino. Giuro che non l'ho picchiato, è bastata la minaccia a parole. In quella famiglia di idioti ci tengono troppo all'apparenza per farsi rovinare la facciata da una cosa simile. Per il momento è una minaccia, ma spero che un giorno, se te la sentirai, dirai per davvero la verità su quel bastardo».

Restai senza parole. Rabbrividii ad immaginare Ethan giustificarsi in maniera così becera per ciò che mi aveva fatto, e sentii la rabbia crescere in me.

Ma poi pensai che probabilmente non lo avrei più rivisto, che non avrei più dovuto avere a che fare con lui grazie a Riven, e mi tranquillizzai.

Sicuramente Ethan, con la paura che aveva di Riven, non avrebbe mai avuto il coraggio di sfidarlo non rispettando gli accordi. Sapeva benissimo che Riven avrebbe fatto ciò di cui lo minacciava, senza riserve.

«Grazie, di nuovo. Hai finito di sorprendermi?» gli chiesi ironica arricciando il naso in una smorfia, ma senza riuscire a trattenere il sorriso.

«Spero di non farlo mai» rispose lui, con un tenue e dolce sorriso.

Arrossii di nuovo, e mi lasciai sfuggire una risatina imbarazzata.

Cucchiaiata dopo cucchiaiata mangiammo tutto il gelato, mentre Riven mi raccontava della giornata a scuola e degli argomenti trattati durante le lezioni.

***

Il giorno dopo, Riven passò a prendermi per accompagnarmi a scuola in moto, e così fece per tutto il resto della settimana.

Il primo giorno il nostro arrivo suscitò le occhiate curiose degli altri studenti, e scatenò anche rabbia di Ambra. Ci guardò con un'espressione a dir poco sprezzante, e non si trattenne dal lanciarmi occhiatacce brucianti di invidia ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano. Io la ignorai, e quella mia indifferenza sembrava farla arrabbiare ancora di più.

Lila e Matilda mi tartassarono ogni giorno per sapere che cosa era successo tra me e Riven e perché il nostro rapporto era cambiato così drasticamente, e io continuai a ripetere loro le stesse cose. Ma per loro era inconcepibile, ed erano convinte che stessi nascondendo loro qualcosa. In più, c'era anche l'improvviso comportamento docile di Riven e la sua volontà di fare amicizia a confonderle ancora di più e a far aumentare i loro sospetti. Lui, con il passare dei giorni, diventava sempre più aperto e amichevole con loro.

Lila e Matilda fecero anche molte domande su Ethan, che dopo quel lunedì in cui Riven lo aveva preso da parte e minacciato, non si era più presentato a scuola e sembrava essere sparito nel nulla, ma Riven non disse mai niente, e io mi limitai a liquidarle con risposte vaghe.

Per tutta la settimana tentai di trovare l'occasione giusta per dire loro ciò che era successo veramente tra me ed Ethan, ma ogni volta mi bloccavo e finivo per rimandare.

Il venerdì, decisi che non avrei potuto aspettare ancora.

Appena arrivata a casa da scuola mandai loro un messaggio, e le invitai a venire da me dicendo che avevo bisogno di parlare con loro di una cosa importante.

Preparai tre tazze di tè, andammo in camera mia, ci sedemmo sul tappeto come facevamo sempre, e raccontai tutto quanto aprendomi completamente.

Piansi, piansero anche loro, ci abbracciammo più volte, e mi fecero sentire tutta la loro vicinanza e il loro supporto.

La sera restarono lì, parlammo anche di Riven e raccontai loro che cosa era successo tra noi due al lago, e per loro fu subito più chiaro il motivo della sua improvvisa gentilezza.

Si lasciarono scappare qualche battutina sul fatto che presto saremmo diventati inseparabili, che saremmo finiti per innamorarci, ma io le smorzai timidamente con le guance scaldate dall'imbarazzo e sguardi schivi.

Non provai ribrezzo ad immaginare me e Riven con un rapporto più stretto, anzi, non riuscivo a controllare sorrisi spontanei e improvvisi sussulti del mio cuore.

Una volta messe a tacere le nostre chiacchiere ci spostammo al piano di sotto e guardammo un film insieme, tutte e tre sul divano, e poi poco prima di mezzanotte Lila e Matilda tornarono a casa.

Quando le salutai le abbracciai forte, e ancora una volta fui immensamente grata di avere accanto a me delle amiche così speciali e uniche. Parlare con loro era stato liberatorio, e sentivo che il mio cuore, con l'affetto e il supporto delle persone a me care, si stava pian piano ricucendo.

***

La mattina seguente, di sabato, mi svegliai con il fastidioso e incessante suono della vibrazione del telefono.

Sbuffai spazientita, presi in mano il telefono, e vidi che erano le sei e mezza del mattino.

Proprio in quel momento il mio cellulare riprese a vibrare, e risposi alla telefonata.

«Finalmente mi degni di una risposta» disse Riven dall'altro capo del telefono.

«Mi spieghi per quale motivo mi stai chiamando alle sei di mattina? Che vuoi?» risposi seccamente, con la voce ancora rauca dal sonno.

«Alzati, prepara uno zaino per la notte e scendi. Ti aspetto fuori da casa tua tra cinque minuti. E prendi il casco» e attaccò.

Alzai le sopracciglia per l'attonimento, sbattei freneticamente le palpebre per cercare di costringere i miei occhi assonnati a rimanere aperti, e mi alzai dal letto con uno scatto.

Cinque minuti per prepararmi e per fare uno zaino? Quel ragazzo era completamente fuori di testa.

Indossai un paio di jeans, una t-shirt semplice e nera infilata nei pantaloni, una felpa per proteggermi dal vento freddo che avremmo incontrato andando in moto, e preparai frettolosamente uno zaino mettendoci dentro l'essenziale per passare una notte fuori casa.

Ero talmente presa dal fatto di dover fare le cose di corsa, che non mi domandai nemmeno che cosa stavamo per fare, dove stavamo andando, e se zia Iris sapeva che sarei andata via.

Indossai velocemente gli anfibi allacciandoli come capitava, mi misi in spalla lo zaino e andai verso l'ingresso.

Appena afferrai la maniglia della porta mi ricordai del casco, e feci una corsetta per andare a prenderlo in cucina, dove lo avevo lasciato il giorno prima.

Uscii di casa chiudendo piano la porta, per non svegliare zia Iris, e trovai Riven ad aspettarmi già in sella alla moto, ma senza casco.

Le prime luci dell'alba si riflettevano sui suoi capelli rossicci, facendoli sembrare fili di bronzo lucido. La tempesta di lentiggini sul suo volto era messa in risalto sotto quella luce calda e dorata, e la sua pelle chiara sembrava essere più ambrata.

Quando lui alzò lo sguardo su di me, confuso sul perché fossi ancora lì impalata, scossi la testa per ritornare alla realtà e andai a passo svelto verso di lui.

«Buongiorno» mi salutò lui con un sorriso e un tono di voce calmo e pacato, come se non mi avesse messo addosso tutta quell'ansia.

«Mi puoi dire cosa sta succedendo?» gli domandai spazientita, puntando le mani sui fianchi.

«Torniamo a Redwood. Ho avvisato le zie ieri sera e sono d'accordo entrambe, non ti preoccupare. Hai tutto? Possiamo partire?» rispose, infilandosi il casco.

«Quindi non scherzavi quando hai detto che speri di continuare a sorprendermi» dissi sospirando con finta frustrazione, e raccogliendomi i capelli in una treccia bassa e morbida.

«No che non scherzavo. Mi piace troppo vedere quel tuo faccino meravigliato» rispose lui quasi sottovoce, allungando la mano verso di me e prendendomi il mento tra le dita con delicatezza.

Sentii il viso scaldarsi, e quando Riven distolse i suoi occhi dai miei per guardare le mie guance arrossate, avvampai ancora di più.

Poi il suo sguardo scese ancora, e mi fissò le labbra. Si immobilizzò per qualche secondo, e quando lo vidi mordersi il labbro inferiore sentii uno sciame di farfalle invadermi lo stomaco.

Proprio mentre pensavo che il cuore mi stesse per uscire dal petto e le mie guance sembravano essere fatte di fuoco, lui distolse lo sguardo e tolse la mano dal mio mento, lasciandomi sulla pelle l'eco di un tocco vellutato che mi sembrava di aver atteso per secoli.

Si sistemò sulla sella della moto e poi indossò il casco, facendo poi un cenno con la testa verso il mio, che tenevo ancora in mano, per suggerirmi di metterlo.

Sbarrai gli occhi quando mi accorsi di essere rimasta a fissarlo mentre ripensavo alle sue dita sul mio viso e alla sensazione di pura dolcezza che mi avevano infuso, e indossai il mio casco con goffa rapidità.

Riuscii ad allacciarlo senza difficoltà, sorridendo orgogliosa del fatto che finalmente, dopo quasi una settimana di passaggi in moto fino a scuola e togli e metti del casco, per la prima volta ci ero riuscita senza l'intervento di Riven.

«Hai visto che ce l'hai fatta? Bastava solo un po' di pratica» disse lui sorridendo stringendo la frizione nella mano sinistra.

Sorrisi di nuovo, e salii sulla moto appoggiandomi alle sue spalle.

«Andiamo? Sei pronta?» mi chiese, sollevando il cavalletto e preparandosi ad accendere la moto.

Strinsi le spalline dello zaino per farlo aderire meglio alla mia schiena, e cinsi la vita di Riven con le braccia intrecciando le dita all'altezza del suo ombelico.

Annuii, e poi appoggiai la parte inferiore del casco sulla sua spalla destra, come mi ero abituata a fare negli scorsi giorni per evitare di farmi venire il torcicollo a causa della pesantezza del casco.

Lui accese la moto, e sobbalzai quando il frastuono del motore squarciò la quiete del quartiere ancora addormentato.

Partì sfrecciando nella via, accelerando con forza.

Il vento iniziò a sibilare tra i miei capelli e a sfiorarmi il viso mentre ci dirigevamo verso la strada principale di Dawnguard.

Il sole sorgeva all'orizzonte, tingendo il cielo di tonalità arancioni e rosse, e il calore della mattina iniziò a scaldare il mio volto.

Attraversammo strade e curve sinuose, mentre il paesaggio cambiava rapidamente intorno a noi facendosi sempre più disabitato e pieno di natura rigogliosa.

Nonostante la guida veloce e spericolata di Riven, ogni curva, ogni accelerazione, era perfettamente controllata. Mi sentivo al sicuro e mi veniva naturale riporre tutta la mia fiducia in lui.

La sensazione di libertà che provavo quando ero con Riven sulla moto era indescrivibile, come se potessi volare da un momento all'altro e toccare il cielo.

Guardai la distesa di luci infuocate sopra di noi e le nuvole spumose e rosate, e provai una sensazione di brivido nella pancia: sentivo che quel nuovo viaggio stava cambiando me quanto il paesaggio che sfrecciava davanti ai miei occhi. Tutto dentro di me si stava scaldando e illuminando di una luce morbida e dorata, e iniziai a capire che la mia vita stava prendendo una piega tanto inaspettata quanto importante.

Riven stava pian piano, giorno dopo giorno, diventando sempre più speciale per me, anche se non ero ancora pronta ad ammetterlo a me stessa.

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Ciu :3 come state?
So che anche questo capitolo è stato un po' più corto dei precedenti, ma vi è piaciuto? Per me è stato un po' complicato scriverlo, ho avuto un blocco, ma ce l'ho fatta comunque! Fatemi sapere che cosa ne pensate <3
Un abbraccio e alla prossima! :3

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