21. Non ti preoccupare

Quella notte non feci altri incubi.

Quando mi svegliai, vidi che la stanza era già del tutto illuminata e capii che doveva essere già pomeriggio.

Mi guardai attorno in cerca di un orologio, e ne vidi uno sulla specchiera. Erano passate da poco le due.

Mi rigirai nel letto, e Riven non era lì. Perciò mi alzai dal letto e scesi le scale, pensando che sicuramente lo avrei trovato al piano di sotto.

«Sono in cucina» disse lui, non appena scesi l'ultimo gradino.

Lo raggiunsi, e lo vidi accanto al lavello impegnato ad asciugare una padella con un canovaccio. La luce del sole entrava dalla finestra accanto a lui, mettendo in risalto i lineamenti spigolosi dei suoi zigomi e della mascella.

«Buongiorno. Prima mi sono fatto da mangiare e ne ho fatto anche per te, ma non volevo svegliarti. Mangia pure, se hai fame» disse indicando il tavolo con un cenno del capo.

«Grazie» dissi, e mi sedetti a tavola.

Effettivamente, avevo fame.

Alzai il coperchio che aveva messo sopra al piatto per non far raffreddare ciò che aveva cucinato, e sotto ci trovai delle uova strapazzate e del bacon.

«Dove hai preso queste cose? Non credo fossero già qui» gli domandai.

«Stamattina mentre dormivi sono andato in città e mi sono fermato al supermercato» disse lui, mettendo in un cassetto la padella.

Quando nominò la città, mi ricordai improvvisamente del fatto che Lila e Matilda erano là, a casa di Ambra, senza sapere dov'ero io.

«Lila e Matilda!» esclamai agitata, «Saranno preoccupatissime, devo andare da loro».

Mi alzai di scatto dal tavolo posando la forchetta che avevo in mano, ma Riven mi toccò la spalla e mi fece risedere.

«Tranquilla, ci ho pensato io. Sono andato da Ambra e le ho avvisate. Sanno che stai bene e sanno che sei qui con me, a casa mia. La loro madre le andrà a prendere tra poco» mi rassicurò sorridendo.

«Ma io devo tornare a casa con loro, zia Iris...» .

«Ho avvisato anche lei» mi interruppe. «Ho chiamato tua zia e mia zia, ho detto loro che abbiamo dormito qui e sono entrambe d'accordo che sia io a riportarti a casa questo pomeriggio, torneremo a Dawnguard in moto. In garage ho un altro casco».

Mi calmai, e ripresi in mano la forchetta.

«Grazie, di nuovo» gli dissi, rivolgendogli un tenue sorriso.

Ma tornai seria il secondo dopo, con un pensiero che turbava la mia mente.

Lui spostò la sedia accanto alla mia e si sedette.

«Non preoccuparti, non ho detto niente di quello che è successo con Ethan. Ne parlerai con chi vuoi e con i tuoi tempi, se mai vorrai farlo» mi disse lui, capendo immediatamente la mia preoccupazione e posando delicatamente la sua mano sulla mia.

«Non so se sarò mai pronta per questo» risposi sottovoce, spostando i pezzi di uova nel piatto con la forchetta.

«Ce la farai, se vorrai, ne sono certo» mi tranquillizzò, stringendo la mia mano.

Gli sorrisi di nuovo, e cominciai a mangiare.

Mi raccontò di Ambra, che quando lo aveva visto a casa sua gli aveva rivolto una smorfia di disprezzo, per poi non degnarlo più neanche di uno sguardo, e io risi immaginandomi la sua faccia. Poi mi disse che Lila e Matilda erano preoccupate, come mi ero immaginata, e che si sentivano in colpa per avermi lasciata sola, ma che si erano tranquillizzate quando lui aveva detto loro che stavo bene e che era stato lui a portarmi a casa sua. Mi disse anche che avevano insistito per sapere che cosa fosse successo, ma che lui aveva risposto soltanto di stare alla larga da Ethan. Anche le zie volevano sapere perché le cose erano andate in quel modo e io non ero rimasta a casa di Ambra con le mie amiche, ma lui si limitò a dire che non dovevano preoccuparsi e che sarei stata io a parlarne se avessi voluto farlo, e io lo ringraziai nuovamente per non aver detto nulla.

Quando finii di mangiare, riposi il piatto nel lavello e tornai al piano di sopra.

Riven mi diede un asciugamano pulito, e mi disse che se volevo potevo andarmi a fare una doccia.

Così feci, ed ebbi cura di togliermi dalla faccia tutto il trucco ormai sbavato, e di sfregare via le macchie di terra e sangue che avevo ancora sulle gambe.

Dopo la doccia indossai il vestito della sera prima, ed ebbi un sussulto quando mi guardai allo specchio e vidi uno strappo sulla coscia.

Realizzai che probabilmente lo avevo strappato io cadendo nel bosco, o che forse era stato Ethan a romperlo. Al pensiero delle mani sue viscide ed indesiderate sulla mia pelle fui scossa da un brivido, e un turbinio di scene sconnesse affollò la mia mente.

Scossi la testa per scacciare via quei pensieri spaventosi, e mi spostai dallo specchio per non vedere più il mio riflesso.

Raccolsi i capelli bagnati in una treccia morbida, e tornai di sotto per dire a Riven che ero pronta per tornare a Dawnguard.

Lo trovai seduto sul divano, con addosso dei vestiti puliti, a leggere un libro.

«Andiamo?» gli dissi, interrompendo la sua lettura.

Alzò un dito verso di me per dirmi di fare silenzio, e io restai immobile. Lui continuò a leggere, e io lo guardai confusa.

«Ora possiamo andare» disse pochi secondi dopo, chiudendo il libro. «Scusa, mi mancava una frase per finire il capitolo».

Mi lasciai sfuggire una risatina, e lui si alzò andando a rimettere il libro al suo posto nella libreria.

«Ho sistemato i letti e ho lavato i piatti, quindi la casa è a posto. Almeno non dovremo subirci una sgridata da Mirca» disse ridacchiando.

Risi anche io, e uscimmo di casa.

Appoggiato sulla moto c'era un altro casco uguale a quello di Riven, ma più piccolo e bianco.

«Questo è per te» disse porgendomelo, «È il casco che usavo quando ero più piccolo. Ora non mi sta più, ma a te dovrebbe andare perfetto».

Lo presi, me lo infilai sulla testa e lo sentii stretto.

«È troppo piccolo, mi stringe» mi lamentai.

«E allora vuol dire che va bene, deve essere stretto per proteggerti come si deve» rispose lui, infilandosi il suo e allacciandolo in un secondo.

Provai anche io ad allacciarmi il casco, ma non ci riuscii.

«Dovrai imparare ad allacciarlo» disse ridendo e avvicinandosi a me.

Allacciò anche il mio, e poi salì sulla moto.

Salii anche io come mi aveva insegnato lui la notte scorsa, e poi partimmo.

Guidò sul terreno irregolare del bosco per un po', fino a quando non trovammo un sentiero, e una decina di minuti dopo svoltammo su una strada asfaltata.

«Ci metteremo un po' più del solito a tornare a casa, dovremmo evitare alcuni tratti e saremmo costretti ad allungare la strada. Non voglio rischiare che la polizia mi becchi con questa bestia, sono fuori giusto di qualche cavallo» gridò lui, per sovrastare il forte suono del motore.

Io scossi la testa con disapprovazione anche se lui non poteva vedermi, ma doveva essersi accorto del mio disappunto dato che sentii il suo addome contrarsi in una risata.

Dopo circa un'ora e mezza tra vie deserte e sterrate, ci trovammo sulla strada principale per arrivare a Dawnguard.

Poco dopo entrammo nel nostro quartiere, e Riven accostò accanto al vialetto di casa mia, spense la moto e scesi tenendomi aggrappata alle sue spalle.

«Vuoi che entri insieme a te?» mi chiese lui mentre stavo armeggiando con il laccetto del casco per togliermelo.

«Non ti preoccupare, in qualche modo riuscirò a scappare dall'interrogatorio di zia Iris» dissi sbuffando e alzando gli occhi al cielo.

Lui rise, e anche io mi lasciai sfuggire una risatina.

Quando riuscii a togliermi il casco glielo porsi, ma lui ci appoggio sopra una mano e lo spinse di nuovo verso di me.

Lo guardai confusa, non capendo quel suo gesto accompagnato da un tenero sorriso.

«È tuo. Ti servirà quando verrò a prenderti per portarti a scuola».

Sussultai a quelle parole e strabuzzai gli occhi per la sorpresa, incredula di ciò che mi aveva appena detto. Non solo mi aveva portato due volte su quella moto vietata a chiunque, ma voleva che io ci salissi altre volte.

«Pensavo che nessuno fosse abbastanza degno da salire su Maya» risposi in tono sarcastico.

«Dovrò pur farmi perdonare in qualche modo» rispose lui facendomi l'occhiolino.

Risi di nuovo, e lui riaccese la moto.

Il forte rumore del motore echeggiò nella via, e con la coda dell'occhio vidi la porta di casa mia aprirsi. Mi voltai, e zia Iris sbucò dall'entrata con un grande sorriso, e ci salutò con la mano. Sia Riven che io ricambiammo il saluto.

«Chiamami se hai bisogno» mi disse lui, prima di sfrecciare via per andare verso casa sua.

Lo guardai allontanarsi, e poi andai incontro a zia Iris.

Sentii il cuore accelerare per l'ansia mentre percorrevo il vialetto di casa, e mi chiesi se sarei riuscita a parlare subito con zia Iris di quel che era successo con Ethan. Lei per me era come una mamma, e sapevo di poterle raccontare qualsiasi cosa. Mi ero sempre confidata con lei, e ciò che mi spaventava non era di certo la sua reazione, ma la mia. Temevo di non riuscire a parlarne senza crollare, di non riuscire a mantenere lo stesso distacco che avevo avuto parlandone con Riven. Avevo paura di essere travolta da una tempesta di emozioni, di rivivere nella mia testa quel momento traumatico, e a pensarci mi si gelò il sangue.

Feci un respiro profondo per tentare di calmarmi, ed entrai in casa.

«Tesoro mio, che cosa è successo?» mi chiese zia Iris non appena varcai la soglia della porta.

«Dammi un minuto, per favore» le dissi in tono un po' spazientito, salendo le scale per andare in camera mia.

Mi tolsi il vestito, lo buttai nel cestino sotto alla scrivania, e indossai dei pantaloncini corti in stoffa e una maglietta larga. Così mi sentivo decisamente più a mio agio.

Tornai al piano di sotto, e trovai zia Iris ad aspettarmi seduta sulla sua poltrona.

Vidi due tazze di tè sul tavolino, e lei mi invitò con un cenno a prenderne una. La presi e mi sedetti sul divano, e lei si allungò per prendere l'altra.

«Rose, ora vuoi dirmi che cosa è successo? Sono davvero molto preoccupata» disse seria, talmente tanto da sembrare quasi arrabbiata.

Io restai in silenzio, a pensare a quali sarebbero state le parole giuste da usare. Il cuore stava iniziando a battere sempre più rapidamente, e io iniziai a muovere su e giù una gamba per l'agitazione.

«So che è successo qualcosa. Riven questa mattina mi ha chiamato dicendomi che "ci sono stati dei casini", testuali parole, e che hai dormito a casa sua invece che dormire con le tue amiche a casa di quella ragazza. Non mi ha voluto dire altro, perché voleva che fossi tu a parlarmene. Non sono arrabbiata, voglio solo capire che diamine hai combinato. Ti sei ubriacata? Ti sei drogata?» disse lei, parlando velocemente.

«No! Non mi sono ubriacata e non mi sono drogata» mi difesi immediatamente.

«E allora che è successo?» domandò lei, in tono quasi implorante.

Trovai il coraggio di guardarla negli occhi, e li vidi cupi e spenti. Era davvero turbata, e non potevo lasciarla con l'angoscia del mistero. Anche se, sicuramente, sapere cosa mi era capitato l'avrebbe fatta stare ancora più male.

Sospirai. «Si tratta di Ethan» dissi guardando in basso e sfregando tra le dita il bordo dei pantaloncini.

«Che vuoi dire?» chiese lei, impaziente e confusa.

Chiusi gli occhi, e provai ad estraniarmi da tutto come avevo fatto la notte prima al lago, mentre ne parlavo con Riven.

«Ethan ha provato a... violentarmi. Sono rimasta da sola alla festa, e lui mi ha trascinata nel bosco fino a quando non ci siamo trovati in mezzo al nulla. Mi ha toccata, ma poi sono riuscita a spingerlo via e a scappare. Riven mi ha trovata e mi ha portata a casa sua» dissi con voce flebile, senza mai alzare lo sguardo.

Zia Iris non disse nulla. Si alzò, si sedette accanto a me sul divano, e mi abbracciò.

In quell'abbraccio caldo e affettuoso, sentii il gelo del mio cuore sciogliersi lentamente. Le lacrime iniziarono a scorrere inarrestabili sul mio viso, e scoppiai in un pianto liberatorio.

«Ti prego, non dirlo a nessuno. Non sono pronta per parlarne con altre persone» farfugliai tra un singhiozzo e l'altro.

«Piccola mia, mi dispiace tantissimo» sussurrò lei vicino al mio orecchio. «Io sono qui per te, ci sarò sempre per te. Sono felice che tu me ne abbia parlato, grazie».

Piansi ancora più forte tenendomi stretta a lei, come se fosse il mio appiglio per non sprofondare nel vuoto che avevo dentro.

Restammo lì, insieme, per ore e ore. Lei rimase seduta accanto a me e io appoggiai la testa sulla sua spalla rannicchiandomi accanto a lei, come facevo sempre quando ero più piccola.

Quando arrivò l'ora di cena, zia Iris decise di ordinare la pizza. Cenammo insieme sul divano, come facevamo sempre quando una delle due aveva bisogno di tirarsi su il morale, e poi mangiammo anche il gelato.

Le raccontai del lago, e mi disse che nemmeno lei conosceva quel posto. Poi, le dissi che Riven era stato davvero gentile e premuroso, e le confessai che non avevo idea di che fine avrei fatto se non lo avessi incontrato. Le dissi anche che, al lago, avevamo avuto una conversazione molto profonda e che ero contenta che Riven si fosse aperto con me, ma per non entrai nei dettagli.

«Quindi non ti sei arrabbiata perché ho passato la notte a casa di Riven?» le chiesi, sorvolando sul fatto che avevamo condiviso lo stesso letto.

«Ma no!» esclamò lei, ridacchiando. «Conosco Riven da quando è nato, so che è un bravo ragazzo. E poi, avete entrambi diciotto anni, so che siete responsabili e che nel caso succedesse qualcosa tra di voi usereste le protezioni, e...».

«Basta, basta, basta!» esclamai avvampando e ridendo imbarazzata, interrompendola bruscamente. «Direi che questo è il momento in cui io mi ritiro nella mia stanza e vado a dormire» dissi alzandomi dal divano e portando con me il cartone della pizza vuoto.

Lei rise, e alzò le mani come per dissociarsi da ciò che aveva appena detto.

«Non mettere la sveglia per la scuola, ok? Riven mi ha chiesto di non farti andare domani. Subito non ne ho capito il motivo, ma ora mi è tutto più chiaro, e sono d'accordo con lui. Potrai stare a casa quanto vorrai, va bene?» mi disse lei, rivolgendomi un dolce sorriso.

«Grazie, zia».

Mi soffiò un bacio, lo ricambiai, e andai in camera mia.

***

Quella notte mi svegliai urlando due volte, e zia Iris venne a controllare che stessi bene per entrambe.

L'incubo era sempre lo stesso: il bosco buio, le catene fredde, Ethan, le sue mani viscide e spaventose.

Quando mi svegliai la mattina dopo con la luce del sole ad illuminare la mia stanza, mi chiesi se quei terribili incubi se ne sarebbero mai andati, se avrei mai smesso di svegliarmi gridando nel bel mezzo della notte.

Presi il telefono dal comodino, e guardai l'ora. Erano le undici, e mi stupii di me stessa per aver dormito così tanto. Ma andava bene così, almeno la mattinata sarebbe passata più velocemente, e sarebbe stato più facile attendere l'arrivo di Riven.

Mi sorpresi a sorridere al pensiero di rivederlo, ma poi realizzai che forse non sarebbe nemmeno venuto, e il mio sorriso si spense.

Non ero andata a scuola, quindi non avrei potuto spiegargli nulla per quel pomeriggio.

Pensai di mandargli un messaggio per chiedergli se sarebbe venuto comunque, ma rinunciai a quell'idea pensando di non voler sembrare ridicola.

Avevamo appena chiarito la nostra situazione, era passato solo un giorno da quando avevamo avuto quella conversazione al lago, e già volevo avere qualche pretesa? A dir poco imbarazzante, pensai.

Notai che la chat di gruppo con Matilda e Lila era intasata di messaggi, e quando la aprii vidi che c'erano ancora dei messaggi non letti da sabato sera, dato che non avevo più avuto occasione di guardare il telefono.

In quei messaggi si chiedevano preoccupate dove fossi finita, mi pregavano di rispondere, si davano indicazioni a vicenda su dove andare a cercarmi, mi rimproveravano per la mia irresponsabilità... E poi l'argomento cambiò improvvisamente, e c'erano solo domande su che cosa fosse successo con Riven e con Ethan, sul perché avessi dormito a casa di Riven, e su che cosa avevamo fatto insieme. Nei messaggi più recenti, invece, mi domandavano perché non rispondevo e perché non fossi venuta a scuola.

"Ragazze, scusatemi tanto se non vi ho più fatto sapere nulla. Sono a casa, sto bene. Prometto che vi racconterò tutto quanto, ma ho bisogno di tempo." scrissi loro, con la certezza che avrebbero capito e che mi avrebbero dato tutta la pazienza di cui avevo bisogno.

Tornai alla schermata principale, e il mio cuore perse un battito quando vidi dei messaggi da parte di Ethan.

Aprii la chat, e per un attimo smisi di respirare.

"Non so che cosa mi sia preso, scusami."

"Rose, non volevo. Mi dispiace tanto."

"Rispondimi."

"Rose, rispondimi, cazzo. Thomas mi ha detto di aver visto Riven mentre diceva alle tue amichette che hai passato la notte con lui. Sei una vera stronza."

"Ritiro le scuse, sei proprio una troia. Dovevo fare di meglio ieri sera per fartelo entrare in testa."

Sentii il sangue congelarsi, le mani iniziarono a tremarmi, e il mio respiro si fece sempre più pesante e affannoso.

Proprio mentre stavo per posarlo per andare a farmi una doccia per distrarmi, il telefono vibrò.

Aprii la notifica pensando che si trattasse di una risposta di Lila e Matilda, ma invece era un messaggio di Riven.

"Vengo da te subito dopo scuola. Aspettami per pranzo."

Un sorriso sincero e spontaneo nacque sul mio volto. Sarebbe venuto.

Bastarono quelle sue semplici parole per farmi calmare, e il mio respiro tornò pian piano regolare.

Mi alzai dal letto con un balzo, con il sorriso ancora stampato sulle labbra.

Mi sembrava assurdo quanto fossero cambiate le cose in un weekend: prima speravo non si presentasse per non essere costretta a dover passare altro tempo con lui, ora invece attendevo con ansia il suo arrivo e non vedevo l'ora di rivederlo.

Era tutto così strano, ma tutto così profondamente giusto. E il mio cuore lo sapeva.

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Ciu :3 come va?
Capitolo meno intenso dei precedenti. Io sono troppo felice di come si sta evolvendo il rapporto tra Rosaspina e Riven! E voi?
Un abbraccio e al prossimo capitolo! :3

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