18. Festa
Le tre ore in compagnia di Lila e Matilda furono a dir poco caotiche.
Dopo aver mangiato pizza in quantità esorbitanti, ci fiondammo in camera mia per iniziare a prepararci per la festa, che sarebbe iniziata poco prima di mezzanotte.
Per arrivare a Redwood ci sarebbe voluta circa un'ora e mezza, quindi contavamo di partire più o meno per le dieci.
Lila e Matilda avevano decisamente esagerato: si erano portate un borsone da palestra a testa pieno di vestiti, trucchi e scarpe, e Lila aveva addirittura portato la piastra per capelli.
Dopo almeno un centinaio di cambi d'abito ed accessori e attente riflessioni, finalmente tutte e tre avevamo trovato gli outfit giusti: io avevo scelto un tubino nero a costine, con una profonda scollatura a V e le spalline sottili, Lila invece aveva optato per un completo composto da una gonna in raso rosso fuoco in perfetta tinta con i suoi capelli e un top a fascia nero, e Matilda, dopo vare pressioni da parte nostra per convincerla a puntare su qualcosa di più audace del solito, aveva indossato controvoglia un abito in raso blu elettrico che le ricadeva morbido sul seno e sui fianchi, e che creava un'affascinante contrasto con i suoi capelli chiari. Tutte indossammo degli anfibi neri, perfetti per restare comode per tutta la notte senza rinunciare allo stile. Dei tacchi sarebbero stati sicuramente perfetti accostati ai nostri vestiti, ma decisamente troppo poco pratici per il terreno irregolare e fangoso del bosco.
Ci truccammo insieme al grande specchio del bagno, e io mi incorniciai gli occhi con una affilata riga di eyeliner nero.
Quando fummo tutte e tre pronte scendemmo dalle scale e trovammo zia Iris ad aspettarci, seduta sulla sua poltrona, che ci riempì di complimenti.
Per la prima mezz'ora di viaggio zia Iris non fece altro che darci raccomandazioni, e poi si perse nei suoi stessi discorsi iniziando a raccontarci delle feste alle quali andava lei alla nostra età.
Arrivammo al centro di Redwood poco prima di mezzanotte. Chiedemmo a zia Iris di lasciarci lì e la ringraziammo per il passaggio, e quando lei se ne andò, ovviamente dopo averci dato ulteriori raccomandazioni, iniziammo a seguire le indicazioni che ci aveva fornito Ambra per messaggio quel pomeriggio.
Dopo circa venti minuti di camminata tra alberi fitti, rocce e radici sporgenti e il ronzio distante della musica, finalmente raggiungemmo il luogo della festa.
Davanti a noi trovammo un'ampia parte di bosco in cui gli alberi erano meno fitti e la terra era più piana e regolare, e al centro c'era un grande falò con attorno dei ceppi di legno a fare da sgabelli. Alcuni alberi erano adornati con luci scintillanti appese tra i rami, e la musica avvolgeva l'aria con note vibranti e coinvolgenti.
Il posto era già pieno di gente: alcuni ballavano, altri chiacchieravano in piccoli gruppetti, e altri ancora camminavano frettolosamente di qua e di la per andare a salutare gli amici.
Sulla destra si ergeva una piccola cabina in legno, e davanti ad essa era posizionato un grande tavolo con al di sopra bottiglie di alcol di tutti i tipi. Un ragazzo stava preparando un drink alla ragazza di fronte a lui, e altre persone stavano attendendo il loro turno per riempirsi i bicchieri.
Avevo già bevuto alcolici in precedenza, ma non mi ero mai ubriacata, e quella sembrava proprio essere l'intenzione di tutti i presenti.
«Andiamo a prendere qualcosa da bere?» gridò Lila per sovrastare il forte suono della musica.
«Certo!» esclamai io.
Matilda alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia in segno di disapprovazione, ma ci seguì comunque.
Lila prese tre bicchieri da una delle pile sul tavolo e ci versò dentro tre dita di gin in ciascuno, aggiungendo poi della limonata.
«Gin lemon!» annunciò orgogliosa porgendo a me e a Matilda i bicchieri.
Io e Lila bevemmo subito un sorso, mentre Matilda lo annusò e arricciò il naso in una una smorfia, ma poi si decise a berlo anche lei.
«Questa roba fa schifo» disse con un'espressione di disgusto e appoggiando il bicchiere sul tavolo.
«Peggio per te! Me lo berrò io!» esclamò Lila facendo spallucce e riprendendo il bicchiere.
Matilda sbuffò, e io non riuscii a trattenere una risatina.
Tornammo vicino al falò, e in mezzo alla gente vidi Thomas e Mike. Thomas si accorse di noi e ci venne incontro, e quando si spostò vidi anche Ethan.
Quando i miei occhi incrociarono i suoi, restammo immobili a fissarci. Per un attimo, pensai che sarei potuta andare a salutarlo. Ma poi lui distolse lo sguardo, e io feci lo stesso.
«Ciao ragazze! Siete bellissime!» trillò Thomas appena fu abbastanza vicino da riuscire a farsi sentire, e poi strinse Lila in un forte abbraccio.
«Ma tu sei la più bella, fiammetta mia».
«Dai, lo sai che mi imbarazzo quando mi chiami così!» rispose Lila, dandogli poi un bacio a stampo sulle labbra.
Io e Matilda ci guardammo e facemmo finta di vomitare, ma i due erano troppo assorti nelle loro smancerie per dare bado a noi.
In quel momento, il rombo del motore di una moto ruppe il ritmo monotono della musica, e tutti ci voltammo verso il forte rumore.
Era Riven.
Spense la moto, scese abbassando il cavalletto e si tolse il casco, appoggiandolo poi sopra alla sella.
«Rose, ma... Non avevi detto che non sarebbe venuto?» disse Lila perplessa.
«A quanto pare mi sbagliavo» dissi, e istintivamente lanciai un'occhiata rapida nella direzione e di Ethan.
Ovviamente anche lui si era accorto dell'arrivo di Riven, e lo stava guardando con un'espressione deformata dalla rabbia.
Appena mi voltai nuovamente, vidi Riven allontanarsi.
«Scusate, arrivo subito» dissi ai miei amici, e andai verso Riven.
Quando fui abbastanza vicina gli misi una mano sulla spalla, e lui si girò verso di me.
«Che cosa vuoi, Spina?» ringhiò lui.
I suoi capelli, che catturavano la luce arancione del fuoco riflettendola in un bagliore caldo e dorato, erano scompigliati per colpa del casco e coprivano quasi del tutto i suoi occhi. Ma le sue brillanti iridi verdi spiccavano comunque tra quei fili di bronzo scintillante, e anche se riflettevano le fiamme danzanti del falò, non sembravano minimamente brucianti di astio come lo erano quasi sempre stati quando mi guardava. La luce del fuoco accarezzava delicatamente i suoi lineamenti scolpiti e la mandibola pronunciata, facendo risaltare la sua pelle chiara e rendendo ancora più calde e rossastre le sue lentiggini.
«Volevo solo sapere perché sei qui, pensavo non saresti venuto» mormorai timidamente, rendendomi conto che ero rimasta a guardarlo senza dire una parola per qualche secondo.
«Perché Iris ha chiamato mia zia chiedendole se voleva che portasse anche me alla festa. Non le avevo detto nulla perché sapevo che mi avrebbe costretto ad andarci, e infatti eccomi qui. Sono venuto in moto perché ormai eravate già partite quando zia Mirca è riuscita a convincermi a venire».
«Oh, capisco. Mi dispiace, allora» risposi, facendo un passo all'indietro.
Lui non disse nulla, si voltò e continuò a camminare verso il tavolo dell'alcol.
«Riven! Alla fine sei venuto, lo sapevo che non ti saresti perso la mia festa!» sentii gridare Ambra, mentre io mi stavo già allontanando.
Riven avrebbe avuto un bel da fare quella sera, probabilmente Ambra gli sarebbe stata attaccata come una cozza per tutta la serata, e avrebbe fatto di tutto per ottenere la sua attenzione.
Mi girai, e vidi Ambra buttare le braccia al collo di Riven e stringerlo in un abbraccio. In quel momento, sentii un inaspettato e strano senso di gelosia serpeggiarmi nelle viscere. Vederli così vicini e vedere lo sguardo ammiccante di Ambra puntato negli occhi di Riven, sembrava rinfocolare l'ardore di quell'emozione incomprensibile.
Mentre con il cuore scalpitante mi affannavo nel cercare di razionalizzare quel sentimento che mi si insinuava dentro e mentre cercavo di soffocare l'irrazionale fastidio che mi stava procurando quella visione, sentii una mano appoggiarsi con delicatezza alla mia spalla.
Mi voltai di scatto, e vidi Lila e Matilda guardarmi con facce confuse.
«Che stai facendo? Va tutto bene?» mi domandò Matilda.
«Si, si. Tutto bene, sto bene» farfugliai, bevendo un sorso del mio drink.
«Sei sicura? Sei scappata via, ti abbiamo vista con Riven e poi sei rimasta qui impalata a fissare il vuoto» disse Lila.
«Sono sicura, grazie. Andiamo a ballare?» chiesi tentando di sviare il discorso.
Le due annuirono entusiaste, e ci unimmo al gruppetto di persone che stava ballando freneticamente accanto al fuoco.
Io e Lila bevemmo il nostro gin lemon, e poi andammo a prenderne un altro, mentre Matilda si versò un bicchiere di vino bianco frizzante.
Ballammo per ore, e man mano che finivamo i drink che avevamo in mano, ne andavamo a prendere uno nuovo. Al terzo giro, Matilda prese direttamente la bottiglia di vino intera tutta per sé.
Bicchiere dopo bicchiere mi sentii sempre più leggera, i miei movimenti erano più fluidi, e così anche quelli delle mie amiche.
Più o meno verso il settimo bicchiere, decisi di smettere di bere. La testa iniziava a girarmi un po' troppo, e non avevo di certo intenzione di bere fino a star male.
«Ragazze, ho visto un amico che vorrei salutare» gridò Matilda sbiascicando un po' le parole, e bevendo poi un sorso di vino dalla bottiglia.
«Ti accompagniamo?» le chiese Lila, continuando a ballare.
«No, non preoccupatevi. Torno subito!» esclamò, saltellando via con eleganza e facendo volteggiare i suoi lunghi capelli biondi dietro di lei.
«Non l'ho mai vista così» constatò Lila con una risatina, guardando la sorella allontanarsi.
«Già. Sembra un'altra persona, così inibita» concordai ridacchiando.
Vedemmo Matilda inserirsi in un gruppetto di tre persone vicine alla cabina in legno, e iniziare a ridere animatamente insieme loro.
Noi continuammo a ballare, senza preoccuparcene troppo.
«Mi dispiace, Rose, ma ora questa principessa è mia e basta!» trillò Thomas dietro di noi, abbracciando Lila e sollevandola senza sforzi come un sacco di patate sulle sue spalle.
Lila rise fragorosamente, e iniziò a muovere freneticamente le gambe all'aria.
«Mettimi giù, Thomas!» gridò senza smettere di ridere, battendo giocosamente i pugni sulla sua schiena.
«Te la riporto tra un po', lo prometto» mi disse lui, facendomi l'occhiolino.
Annuii sorridendo, e restai da sola.
Inizialmente mi sentii un po' spaesata senza nessuno al mio fianco, ma tutto l'alcol che avevo in corpo mi fece sentire decisamente molto più spensierata e serena di come sarei stata normalmente. Continuai a muovermi seguendo il ritmo della musica, incurante di chi e ciò che mi stava attorno.
Mentre con la mente ero persa in pensieri frivoli, confusi e leggeri, il ricordo di ciò che avevo provato poco prima mi colpì come un fulmine. Mi voltai di scatto verso il punto esatto in cui avevo visto Ambra e Riven abbracciarsi, ma non li vidi. Mi guardai attorno, e quando non riuscii a vederli da nessuna parte e mi accorsi che il gruppetto di amiche di Ambra stava ballando senza di lei, l'idea che loro due potessero essere andati via insieme, magari da soli e in un posto appartato, mi fece incendiare lo stomaco e ribollire il sangue. Riven non sopportava Ambra, e a mente lucida non avrei avuto quell'idea, ma l'alcol mi stava giocando brutti scherzi.
Pensai di fermarmi per qualche minuto, allontanarmi dalla musica e sedermi da qualche parte per cercare di riprendere lucidità e riflettere un po' su quelle sensazioni inspiegabili che stavo provando, ma proprio quando stavo per allontanarmi, sentii una mano afferrarmi con forza il polso sinistro e trascinarmi via.
Quello strattone improvviso mi provocò un destabilizzante giramento di testa, e per poco non caddi a terra. Ma la figura davanti a me, che non ero ancora riuscita a riconoscere a causa della vista annebbiata, continuò a trascinarmi.
Quando realizzai che uno sconosciuto mi stava portando via da tutti con la forza e che ci stavamo velocemente addentrando nel fitto e buio bosco, una serie di immagini contorte e spaventose su ciò che sarebbe potuto accadere mi offuscò la mente. Ero talmente sconvolta e terrorizzata che non riuscii nemmeno a piangere.
Cercai di liberarmi dalla stretta e dolorosa presa di quel ragazzo, ma non ci riuscii. Urlai per chiedere aiuto, ma sapevo che nessuno mi avrebbe sentita per colpa della musica.
Sconfitta e senza speranze, smisi di tentare di scappare e di gridare. Camminai senza sosta e a passi lunghi strattonata da quello sconosciuto, inciampando continuamente tra le radici sporgenti e i rami caduti.
Strinsi gli occhi, e cercai disperatamente di disconnettermi dalla realtà e dalle mie emozioni per riuscire ad accettare ciò che mi sarebbe successo di li a poco.
«Devi essere forte. Non puoi farci niente. Sta per succedere» dissi a me stessa cercando di fare dei respiri profondi, mentre la testa continuava a girarmi incessantemente.
«Devi essere forte» mi ripetei.
E continuai a muovermi seguendo il ragazzo, come se il mio corpo non mi appartenesse più.
***
Ormai avevo perso il senso del tempo, avevo camminato senza sosta con gli occhi chiusi e il respiro affannoso per non so nemmeno quanto, e non avevo più detto una parola o provato a ribellarmi.
Il ragazzo si fermò, si voltò di scatto e mi afferrò l'avambraccio destro, mentre con l'altra mano mi stringeva ancora il polso.
Mi spinse contro un albero, e sentii la corteccia graffiarmi la schiena.
Eravamo lontani dalla festa e da tutti gli altri, talmente tanto che non si sentiva nemmeno più la musica. Rabbrividii al pensiero che eravamo soli, e che nessuno avrebbe potuto sentirmi.
Trovai il coraggio di aprire gli occhi, e sentii il cuore fermarsi per un attimo.
La lucidità che mi era mancata fino a quel momento, sembrò saltarmi addosso in un secondo.
Ethan.
Una scintilla di sollievo e di speranza crebbe in me vedendo il suo viso familiare, e un piccolo sorriso nacque spontaneo sul mio volto. Ma quella scintilla si spense quasi immediatamente.
La flebile luce della luna e delle stelle trapassava appena tra i fitti alberi, ma era abbastanza da poter vedere la sua espressione sprezzante. I suoi occhi celesti non erano cupi soltanto per la scarsa luce, ma anche per tutto l'odio e il rancore che esprimevano, e rabbrividii nel guardarli. Vedendo quanto sembravano spenti, apatici e distanti capii che anche lui aveva bevuto, e che non era minimamente in sé.
«Ethan, perché mi hai portata qui? Mi hai spaventata» balbettai con un filo di voce, sperando che fosse abbastanza lucido da capirmi.
Si avvicinò a me, mettendosi ad un palmo dal mio volto, e sentendo l'odore del suo alito compresi che si era spinto decisamente troppo oltre con gli alcolici. Puzzava di alcol, ma anche di vomito.
«Perché ne hai bisogno, Rose» rispose lui, sottovoce.
Con un rapido movimento premette con forza le sue labbra sulle mie.
Sbarrai gli occhi e provai a scansarmi, ma lui strinse ancora di più la presa sul mio polso e sul mio braccio, e si appoggiò con tutto il peso del suo corpo sul mio, spingendomi con più forza verso l'albero alle mie spalle.
«Ethan, lasciami stare. Non voglio» gli dissi, cercando di parlare mentre lui continuava a tenere le labbra schiacciate sulle mie.
«Che c'è, non ti piace? È perché non sono il tuo amichetto Riven, vero? Altrimenti ti piacerebbe eccome. Ma sono io il tuo ragazzo, non lui» bisbigliò staccandosi dalla mia bocca, ma premendo la fronte sulla mia.
«Non... non so di cosa tu stia parlando, Ethan» farfugliai, piegando di lato la testa per tentare di spostarmi.
«Sei davvero una troia, cazzo!» gridò, spostando la mano dal mio polso al mio collo.
«Ethan, per favore, calmati... Te l'ho già detto, non c'è nulla tra me e Riven» gli spiegai, sperando che trovasse un briciolo di lucidità in sé per darmi ascolto.
«Ah si? Quindi non mi hai lasciato per andare a farti sbattere da lui, giusto? Vi ho visti, prima. Ho visto come lo guardavi».
«Non è successo niente. Ti prego, lasciami andare, ne riparleremo in un altro momento, ora non sei...».
«Non sono, cosa?» mi interruppe lui, «Non sono abbastanza figlio di puttana per te? Preferisci quell'idiota che ti tratta di merda?».
«Non sei in te, non possiamo parlare ora di queste cose, e...» balbettai agitata, sentendo il cuore che sembrava volermi uscire dal petto da tanto che scalpitava per la paura.
«Stai zitta. Ormai ho capito che la nostra relazione è andata a puttane e che non mi vorrai più» mi interruppe nuovamente, avvicinandosi di nuovo alla mia faccia.
«Ethan, non ho mai detto questo...» sussurrai, provando a rassicurarlo e ad assecondarlo per fare in modo che mi lasciasse andare.
Se prima avevo intenzione di prendermi solo del tempo per me e non di certo di lasciarlo definitivamente, in quel momento cambiai idea. Non sarei mai più riuscita a guardarlo nello stesso modo.
«Ti ho detto di stare zitta!» esclamò spingendosi ancora di più contro di me.
Non ebbi il coraggio di dire un'altra parola.
«Sei davvero una maleducata, lo sai?» disse a bassa voce, avvicinandosi al mio orecchio. «Mi lasci, e non mi dai nemmeno il tempo per una scopata di addio... Me la merito, tu che dici?».
Un brivido mi scosse tutto il corpo.
«Per favore, non voglio. Non farmi questo» lo implorai, con voce flebile e tremante.
«Scommetto che sono più bravo io a scoparti come si deve».
Strinsi gli occhi, e mentre una lacrima rigava la mia guancia, sentii la sua lingua calda e viscida sulle mie labbra spingere per entrare nella mia bocca.
«Devi essere forte. Non puoi farci niente. Sta per succedere» dissi di nuovo a me stessa, cercando di darmi coraggio per accettare ciò che stava accadendo.
La mano che stringeva il mio collo scivolò lungo tutto il mio corpo, sfiorandomi il seno, i fianchi, per poi arrivare alla mia coscia scoperta.
Sentendomi libera dalla stretta provai a scattare verso un lato per liberarmi, ma lui cambiò posizione in un istante, e mentre mi piantava i polpastrelli nella gamba, mi aveva schiacciata contro l'albero con l'avambraccio.
«Provaci di nuovo e te ne pentirai».
Un'altra lacrima rigò il mio volto, ma cercai di trattenere i singhiozzi.
«Devi essere forte».
Mi sollevò il vestito fino a i fianchi, spostò il bordo delle mie mutande lasciando scoperta la mia intimità, e sentii le sue dita iniziare a toccarmi.
«Basta, ti prego. Basta» lo implorai, provando a spostare il suo braccio per liberarmi.
Lui tolse la mano, ma non ebbi nemmeno il tempo di pensare che forse aveva deciso di ascoltare le mie scongiuro, che sentii la fibbia della sua cintura tintinnare. Si stava slacciando i pantaloni.
Provai a gridare, ma lui fu pronto a tapparmi la bocca per impedirmelo.
Mi accorsi che non stava riuscendo a slacciare il bottone dei jeans, e pensai di provare a sfruttare quel suo momento di distrazione, pregando dentro di me affinché riuscissi nel mio intento.
Gli tirai un calcio sulla tibia, e lui perse l'equilibrio indietreggiando e allentando leggermente la presa su di me.
Sfruttai quella misera distanza tra noi due e lo colpii di nuovo, questa volta con una ginocchiata in mezzo alle gambe.
Lui indietreggiò ancora, lasciandomi andare del tutto e portandosi la mano nelle parti basse.
Gli diedi una spinta con entrambe le mani sul petto, e lui fece due passi all'indietro. Inciampò su una radice, e cadde sulla schiena.
Non ricordavo da quale parte eravamo arrivati, ero troppo confusa e spaventata, e non riuscivo a sentire la musica per poterla seguire e orientarmi, perciò iniziai a correre verso una direzione casuale, sperando di trovare qualcuno o un posto in cui nascondermi, e sperando che Ethan non mi stesse seguendo.
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Ciu :3 come state?
Capitolo bello intenso, eh? Non vi dico quanto è stato difficile scriverlo </3
Un forte abbraccio a tutte le persone che sono state vittime di SA. Trovate la forza nell'amore e nel supporto delle persone intorno a voi. Siete più forti di quanto pensate, le vostre emozioni sono valide. Denunciate, e non abbiate MAI paura di far sentire la vostra voce.
Ci vediamo al prossimo capitolo, che sarà decisamente meno tosto di questo <3
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