1. Dawnguard
Quando riconobbi la curva del quartiere di casa mia, mi svegliai dal mio sonno tranquillo e sollevato con uno sbadiglio. Non mi ero nemmeno resa conto di essermi addormentata.
La notte era già scesa da parecchio a giudicare dall'oscurità del cielo, e le stelle sembravano non essere tanto luminose quanto quelle che avevo osservato per tutte le notti precedenti passate a Redwood.
Finalmente un'altra tremenda estate era terminata, e io avrei ritrovato la pace di casa mia e di Dawnguard, la mia amata città.
Zia Iris parcheggiò l'auto sul vialetto, e io mi lasciai scappare un sospiro di sollievo.
«Forza Rose, scarica i tuo bagagli. È già tardi, e domani ti aspetta un grande inizio!» trillò zia Iris, scendendo dalla macchina e saltellando euforicamente, battendo le mani.
Scesi dall'auto anche io, e non riuscii a trattenermi dall'alzare gli occhi al cielo. Ma zia Iris, alla quale solo poche cose sfuggivano, mi vide con quell'espressione infastidita.
«Dai Rose! Non sei emozionata? Agitata? Spaventata? Domani inizia il tuo ultimo anno di liceo! Sei cresciuta così in fretta, bambina mia!».
Misi un dito davanti alla bocca per farle segno di abbassare la voce, e sperai che la sua incontrollabile agitazione non svegliasse tutto il vicinato. Di sicuro ai nostri vicini la voce squillante ed esageratamente agitata di zia Iris non era mancata.
Con passo trottante fece il giro dell'auto, e venne verso di me per stritolarmi in uno dei suoi soliti soffocanti, ma teneri e affettuosi abbracci.
«Zia... non... respiro...» sibilai, mentre lei mi stringeva sempre di più. Era una donna minuta, ma quando si trattava di abbracci tirava fuori una forza spaventosa.
«Scusa, scusa!» esclamò staccandosi da me e stampandomi un bacio sulla guancia. «È che sono troppo emozionata! E incredula...», e poi d'un tratto si fece più seria. «Sei cresciuta così in fretta... Ogni estate vola, e tu diventi sempre più grande... Mi sembra ieri che i tuoi genitori ti hanno portata qui da me». Sospirò con uno sguardo dolce, abbandonando le braccia sui fianchi.
D'improvviso, una sensazione di struggente vuoto si fece largo nel mio petto, e sentii il mio cuore affondarci dentro.
«Zia Iris, ti prego, lo sai che non mi piace parlarne» dissi, cercando di mantenere una voce calma e pacata, ma che uscì fin troppo dura.
«Scusami Rose, hai ragione. Portiamo dentro le nostre cose?» chiese lei con un sorriso, sperando di riuscire a spostare la mia attenzione su altro.
Lei era sempre in grado di ascoltarmi, anche quando non parlavo. Riusciva sempre a capire quando il dolore e la sofferenza si impadronivano del mio cuore e della mia mente, e sapeva che la cosa giusta da fare era distrarmi e farmi concentrare su altro.
«Certo. Hai le chiavi?» le domandai in amichevole tono di sfida, sperando che mi desse una risposta affermativa. Magari fosse stata attenta alle sue cose tanto quanto lo era per qualsiasi cosa riguardasse gli altri.
«Oh, le chiavi... Chiavi...» farfugliò toccandosi le tasche dei jeans e iniziando a frugare nella borsa, ridacchiando imbarazzata. «Eccole!» esclamò, facendo dondolare sulle dita il mazzo con appeso il suo grande portachiavi a pon-pon rosa.
Scossi la testa con fare rassegnato ma divertito, e aprii il baule per tirare fuori le mie borse. Non portavo mai troppe cose in vacanza, a Redwood non c'era molto da fare e non c'erano persone con cui uscire, quindi bastava avere qualche vestito comodo, dei bei libri da leggere, un vecchio mp3 con musica scaricata, e un album con qualche matita e pennarello. Portare il cellulare, il computer portatile, o qualsiasi altro apparecchio tecnologico sarebbe stato inutile, dato che non c'era segnale fino alla fine del bosco, dal quale ci allontanavamo molto raramente.
Presi le mie tre borse di tela, me le misi sulle spalle e seguii zia Iris verso l'ingresso.
Mentre apriva la porta, sbuffai lanciando un'occhiataccia al giardino incolto lasciato abbandonato a sé stesso per tutta l'estate, consapevole che lo avrei dovuto sistemare e tirare al lucido insieme alla zia il prossimo weekend.
Lei se ne accorse, e si lasciò scappare una risatina. Probabilmente lei non vedeva l'ora, dato che il giardinaggio era una delle sue più grandi passioni. A me piaceva stare a contatto con la natura e con le piante, ma strappare le erbacce dagli spazi tra i mattoni del vialetto non era di certo tra le mie attività preferite.
«Eccoci qui. Non senti già la mancanza di Redwood? Quanto vorrei rimanerci per sempre!» disse con sguardo sognante e sconsolato, mentre io richiudevo la pesante porta di legno e ferro alle mie spalle e accendevo la luce dell'ingresso.
«Già... Sarebbe proprio bello rimanere imprigionata lì per sempre» risposi ironicamente.
Zia Iris scosse la testa in segno di disapprovazione. Era convinta che il mio problema con Redwood fosse la mancanza di internet, dei miei compagni di scuola e del mio ragazzo Ethan, ma si sbagliava.
Il motivo del mio disprezzo verso Redwood era l'unica cosa che non era mai riuscita a cogliere, nonostante la sua incredibile perspicacia. Eppure, a me sembrava una cosa così evidente...
Si diresse verso la sua stanza, portando con sé trolley e borsoni. Lei non era sicuramente della mia stessa filosofia riguardo alle cose da portare in vacanza.
Io salii frettolosamente le scale vicine alla camera di zia Iris, con le borse di tela ancora in spalla che saltellavano a ritmo dei miei passi, sbattendomi sui fianchi. Non vedevo l'ora di ritrovare il conforto e la tranquillità della mia amatissima stanza, il mio luogo sicuro, di quiete e serenità.
Appena aprii la porta, lasciai le borse a terra e mi tuffai sul letto. Affondai il viso nel cuscino, e provai un grande conforto nel sentire di nuovo il profumo di casa che tanto mi era mancato.
Mi allungai verso il comodino per tirare fuori dal cassetto il mio cellulare e il caricatore, e lo attaccai alla presa.
Mi sedetti sul bordo del letto, guardando fuori dalla grande finestra proprio lì di fronte. Avevo combattuto per anni con zia Iris affinché lei mi permettesse di lasciare la finestra senza tende, ma già a undici anni avevo ottenuto la mia vittoria. Amavo guardare il cielo, amavo andare a dormire con la flebile luce della luna che illuminava la mia piccola stanza e amavo svegliarmi con i riflessi del sole appena sorto che coloravano le pareti.
Ma cielo notturno di Dawnguard, sovrastato dall'inquinamento luminoso della città, non era neanche paragonabile a quello limpido, luminoso e affascinante di Redwood.
Lì c'erano solo alberi, ruscelli e rocce muschiose, tranne la casa di zia Iris e la casa di Mirca, una carissima amica d'infanzia di mia zia. Perciò lì il cielo notturno, non tormentato da delle luci artificiali intrusive, era uno spettacolo incantevole tutte le volte che alzavo gli occhi. Non c'era mai stata una volta in cui quel cielo mi avesse delusa.
A me piaceva da impazzire la natura e la pace di quel bosco, e sarebbe stato tutto perfetto, se solo non ci fosse stato anche lui. Riven, il nipote di Mirca, era l'unico, e anche insormontabile, problema di Redwood.
Ma ero incastrata in quella vita, in quella situazione che mi costringeva a passare tutte le estati con la sua sgradevole compagnia.
Dalla prima estate passata in quel posto, lui mi aveva odiata profondamente, e io non ne avevo mai capito il motivo. Non gli avevo fatto nulla, nessun dispetto o torto, eppure a lui piaceva da morire rendermi la vita impossibile durante le vacanze.
Come zia Iris non si fosse accorta del nostro astio reciproco, restava un mistero. Entrambe le zie erano convinte che noi due fossimo grandi amici, addirittura inseparabili, e noi a dispetto dell'ostilità che provavamo l'uno nei confronti dell'altra tenevamo in piedi un'impeccabile teatrino pur di non deluderle.
Ma almeno, una volta finita l'estate non avrei più dovuto vederlo per tutto l'anno scolastico, e tutto sommato in un anno erano solo tre i mesi in cui dovevo tollerare la sua insopportabile presenza e fingere che lui mi stesse simpatico.
Zia Iris, al contrario mio, adorava Redwood alla follia. La casa in cui alloggiavamo per quei tre mesi, dalla fine della scuola fino al suo inizio, era la sua casa d'infanzia. L'aveva ereditata da sua madre, nonna Camelia, ancora tanti anni fa, e ci passava da sempre ogni estate. Era in mezzo al nulla, ma lei era innamorata di quel posto, e la compagnia della sua migliore amica di sempre Mirca, rendeva il tutto ancora più piacevole. Loro due erano grandi amiche da quando erano nate, ed erano davvero inseparabili. E lei, Mirca, viveva con suo nipote Riven, il figlio di suo fratello.
Mirca e Riven non parlavano mai del loro passato, ma secondo i racconti di zia Iris, Riven era stato dato in affidamento alla zia quando aveva solo sei anni a causa dei comportamenti violenti dei suoi genitori, entrambi tossicodipendenti e alcolizzati.
Su questo, e solo su questo, io e Riven ci assomigliavamo. Sebbene le nostre storie fossero diverse, anche io potevo contare solo sulla presenza di mia zia, perché non avevo più dei genitori.
Quando avevo otto anni, la settimana di Natale i miei genitori partirono per una vacanza, e mi lasciarono da zia Iris, la sorella di mia madre, per trascorrere da lei le due settimane successive. Quel giorno, in cui io ero felicissima ed emozionata al pensiero di passare del tempo con la mia cara zia che non vedevo quasi mai, non sapevo che sarebbe stato l'ultimo passato in compagnia di mamma e papà.
I giorni passavano, e i contatti con loro diventavano sempre più radi.
«Non preoccuparti, Rose. Magari anche oggi non sono riusciti a fermarsi in un punto con segnale e non hanno potuto chiamarti» mi aveva detto zia Iris quella sera per consolarmi, mentre mi rimboccava le coperte e le lacrime rigavano incessantemente il mio volto da bambina.
E poi, giorno dopo giorno, non chiamarono più, e non mandarono nemmeno un messaggio, o una lettera. Niente di niente. Quando arrivò il giorno della fine delle loro vacanze, nessuno tornò a prendermi. Erano spariti nel nulla, e malgrado io avessi sperato per molto tempo che loro tornassero per me, anno dopo anno nella mia mente si concretizzava sempre di più la certezza che non sarebbero mai tornati, per un motivo o per un altro.
Ma per mia fortuna zia Iris mi tenne sempre con sé, e si prese la grande e inaspettata responsabilità di crescere una figlia che non aveva chiesto.
Nonostante ormai quella ferita fosse rimarginata, ogni tanto la cicatrice nel mio cuore tornava a prudermi, a pulsare, a farmi male, e il dolore scavava dentro al mio petto una voragine infinita.
Quando tramite il riflesso del vetro della finestra riuscii a scorgere lo schermo del mio telefono accendersi, distolsi lo sguardo dal cielo e rotolai a pancia in giù, prendendo il cellulare.
Inserii il pin, e iniziò a vibrare incessantemente, preso d'assalto da un mare di notifiche. Le guardai scorrere una dietro l'altra, cercando di intravederne qualcuna che attirasse la mia attenzione.
Ma dopo tre mesi passati senza nessun dispositivo elettronico, il cellulare che tanto volevo avere tra le mie mani per parlare con le mie amiche e il mio ragazzo, mi sembrò solo una perdita di tempo, un desiderio futile e insignificante causato solo dalla voglia di stare di nuovo in loro compagnia.
Ma perché dovevo essere schiava di quell'aggeggio infernale? Tanto li avrei visti il giorno dopo a scuola, e sarebbe stato molto più bello che parlare con loro attraverso uno schermo.
Non ero mai stata amante della tecnologia, e anche se durante l'anno utilizzavo con piacere il telefono, abbandonarlo per tutta l'estate era una liberazione.
Non ne avevo bisogno, tantomeno per parlare con le mie amiche e il mio ragazzo. Ormai loro erano abituati a questo fatto delle mie estati passate a Redwood, e sapevo che tornando a scuola li avrei trovati come quelli sempre: Matilda e Lila felici di poter ricominciare a condividere frivoli pettegolezzi da ragazze insieme a me, e Ethan entusiasta di vedermi e abbracciarmi di nuovo.
Appoggiai il cellulare sul comodino, e mi alzai per preparare la borsa per il giorno dopo, il primo dell'ultimo anno del liceo.
Svuotai le tre borse di tela sul pavimento, troppo stanca per mettermi a sistemarle sul momento, e riempii quella beige con la stampa di una donna gatta di cose: l'astuccio con qualche penna e matita, un blocco da disegno, un'agenda, e il portafoglio.
«Le chiavi!» sussurrai, portandomi una mano sul viso. Stavo diventando come zia Iris?
Scesi dalle scale correndo, e bussai alla porta della camera di mia zia.
«Entra pure!».
Stava già sistemando le sue cose, rimettendo negli armadi i suoi bei vestiti puliti e piegati con cura e ordinando le sue boccette di profumo in modo sistematico sulla specchiera.
Su questo, io e lei eravamo totalmente opposte. Se la mia camera ora era ordinata, era perché non c'ero stata per tre mesi e l'avevo messa in ordine prima di partire, ma nel giro di pochi giorni si sarebbe trasformata nel solito disastro.
«Posso prendere le chiavi della tua macchina? Devo aver lasciato le mie chiavi di casa nel porta oggetti» dissi appoggiandomi allo stipite della porta e giocando con una ciocca di capelli.
«Certo, sono al solito posto. Non starai diventando come tua zia, vero?» chiese lei, con tono sarcastico.
Roteai gli occhi, cercando di sembrare infastidita, ma non riuscii a trattenere un sorriso.
Andai verso l'ingresso, presi le chiavi dell'auto appese all'entrata, e uscii per andare a cercare le mie chiavi. Fortunatamente erano dove pensavo che fossero.
Rientrai chiudendo lentamente la porta per non fare rumore, dato che ormai era passata la mezzanotte.
«Trovate. Ho rimesso le tue chiavi a posto. Buonanotte, zia» dissi avvicinandomi alla porta della sua stanza prima di salire le scale.
«Buonanotte, Rose. A domani».
Salii le scale, lanciai le chiavi nella borsa, presi una t-shirt larga e comoda dall'armadio, e dopo averla indossata come pigiama mi tuffai a letto.
Il mio letto ad una piazza e mezza con quelle lenzuola leggere, era sicuramente molto più comodo e confortevole di quello della casa a Redwood, più piccolo e con le coperte pesanti.
Nel bosco, d'estate, anche se di giorno c'era una piacevole frescura decisamente più gradevole del caldo estivo torrido di Dawnguard, la notte faceva freddo.
Mi accoccolai tra le lenzuola, impostai sul cellulare una sveglia alle 06:30, e mi girai verso la finestra.
Malgrado avessi dormito anche in macchina durante il viaggio di ritorno, sospirai stanca, osservando il cielo notturno davanti a me.
La pace dell'essere finalmente a casa e di essere tornata alla normalità che tanto amavo prese il controllo della mia mente.
Mi lasciai cullare da quella sensazione e dalla luce fioca della luna, e mi addormentai dolcemente, con il sorriso sulle labbra.
----------------[ spazio autrice ]----------------
Ciu stelline belle :3 Come state?
Spero che questo primo capitolo di "Petali e Spine" vi sia piaciuto!
Questo è solo l'inizio, dobbiamo scoprire ancora tante cose su Rose, Riven, le zie...
Intanto, che cosa ne pensate di Rose? Secondo voi perché Riven la odia?
Un abbraccio, al prossimo capitolo!
Se il capitolo ti è piaciuto, ricordati di lasciare una stella! Mi aiuta tantissimo <3
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top