one shot ; benedetta

❛ ONE SHOT — Benedetta 

Ok, ho questa cosa nelle bozze da tipo luglio, o agosto, che ne so. È frutto di uno di quei miei trip mentali che stanca la gente, sviluppato sul passato del mio primissimo oc, Samuel Priester. Suo padre Jacob ha abbandonato lui, la madre, e suo fratello lasciandoli soli in strada, senza soldi né un posto dove stare. Anni dopo si risposa con Eleanor Knight, una ricca contessa di York, ottenendo di conseguenza lo stesso titolo dell'ormai moglie. Dalla loro unione vengono alla luce cinque figli, ultimo ma non meno importante Edward Percival Priester. In onore della sua nascita viene organizzato un ballo a cui saranno invitate alcune tra le più nobili casate d'Inghilterra, e a preparare tutto sono proprio i domestici di corte. Tra questi Benedetta Papavero, una giovane cameriera di origini italiane al servizio della famiglia da ormai ben tre anni. In questa one shot narrerò degli insignificanti eventi accaduti a questa giovane il pomeriggio prima della grande serata. Buona lettura.

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Benedetta, York, 1914

Come la neve che si posa leggera sui colli in una fredda sera invernale, Benedetta adagiava le sue piccole dita sul grande e lucido pavimento della sala da ballo. A piedi nudi, percorreva la stanza saltando e volteggiando, assaporandosi il piacere della libertà che presto, di lì a poche ore, le sarebbe stata tolta. Il vestito era di lino, leggero e modesto, bianco e a tratti panna. Viaggiava con lei, la imitava nei movimenti e nelle azioni. Stessa cosa ovviamente la chioma, folta e scura ma non troppo. Senza forcine o retine ad imprigionarli, gli spessi capelli castani erano liberi di danzare con la giovane e, senza tempo di prendere respiro, quasi mai gli si vedeva toccare le spalle della giovane, tali erano le acrobazie che compivano. Un salto avanti, poi una giravolta, le braccia tese come a prendere il volo. Benedetta non si fermava, ballava e non pensava. Un'ora, e tutto sarebbe cambiato. Quel bel salone, già addobbato a modo, tra non molto avrebbe ospitato solo alcune tra le più celebri famiglie d'Inghilterra, che non attendevano altro che festeggiare la nascita dell'erede Ser Edward. Benedetta invece non era complice di tali lussi, un'insignificante cameriera di certo non avrebbe potuto prender parte ad un ricevimento del genere. Per questo lei ne approfittava. Danzava senza meta e senza scarpe, il meraviglioso ed imponente lampadario sopra di lei che faceva sì che il suo riflesso fosse forte e chiaro nel luccicante pavimento. Benedetta però non si specchiava, aveva gli occhi chiusi e la mente aperta, ma che decideva di non partire. Era lì, ferma e immobile come l'acqua di uno stagno che aspetta solo la pioggia per muovere i primi passi. Non pensava a niente, volteggiava e basta senza domande e crucci di troppo. Nonostante ciò, avrebbe dovuto preoccuparsi per i piccoli dettagli che la circondavano, che aveva generato lei stessa. La porta della sala aperta, le misere scarpette lasciate nell'angolo e la signora Kiersley che non avrebbe tardato ad irrompere nella stanza, con tanto di rimproveri destinati solo a Benedetta.

Benedetta era una piccola cameriera, sempre indecisa tra il dire e il fare e i coi pensieri troppo leggeri. Aveva imparato a ballare a Liverpool, dove ora viveva tutta la sua famiglia, e non si era mai scordata l'ebbrezza di saper muoversi con tale grazia e costanza. Quando a corte, di volta in volta, il conte e la contessa improvvisavano serate in cui dar spazio alla musica e alle danze, Benedetta non faceva a meno di far viaggiare la mente in quel bel salone, e di immaginarsi danzare tra i mille volti di aristocratici che non l'avrebbero neanche degnata di uno sguardo. Perché farne tanto un problema, allora? Perché escludere la servitù da eventi del genere quando nessuno li avrebbe notati, e tantomeno rivolto la parola? Queste erano le domande che affliggevano Benedetta dal mattino alla sera, e che, senza ombra di dubbio, la signora Kiersley cercava di soffocare inutilmente. Quell'inutile guastafeste, ecco come la vedeva solo ed unicamente Benedetta, si presentava come una donnona di mezza età, alta e non troppo magra, ma neanche troppo grassa. Come governante di casa avrebbe dovuto istruire la servitù al meglio, impedendogli di commettere sgarbi o sciocchezze, come poteva essere proprio quella che ora compiva Benedetta. E portava a termine i suoi doveri? Oh, certamente che lo faceva! I rimproveri, i richiami e le punizioni di certo da parte sua non mancavano, e a nessuno veniva privata un po' di sana educazione. Benedetta lo aveva imparato a sue spese, ma a quanto pare credeva ancora di potersela svignare con un po' di giravolte ben piazzate nel più completo silenzio. Aveva solo il desiderio di vestir di seta e poter danzare con leggerezza proprio come facevano Lady Lucy o Lady Grace, senza il divieto di potersi divertire in santa pace. Ora compiva un elegante gesto con la manina, mentre si chinava e metteva una gamba dietro l'altra. Le riverenze le aveva imparate a fare ammirando la contessa e le sue figlie quelle rare volte in cui riusciva ad intrufolarsi nella sala da ballo. A lei, come a tutte le altre fanciulle cameriere, era severamente vietato servire ad eventi del genere. Il compito toccava agli uomini che, seppur lavorando, si potevano godere la bella stanza luminosa e la musica incalzante che tanto piaceva a Benedetta. Ah, quanto avrebbe desiderato la giovane ragazzina poter unirsi a tali cerimonie! Ci sarebbe mai riuscita? Avrebbe mai avuto il coraggio e la sfrontatezza di far prendere alla sua misera vita una piega di felicità e di successo? Le speranze di Benedetta non erano mai troppe, non osavano spegnersi e mancare di respiro proprio come la signora Kiersley avrebbe desiderato. Dopo il piccolo inchino, destinato probabilmente a qualche ricco e bel giovane immaginario, la ragazza riprese a ballare, un passo a destra e poi uno a sinistra, e poi ancora un salto.

Crack!

Benedetta era finita a terra, la caviglia dolorante. Si portò le mani al piede scalzo, tastando qua e là per certare la sua integrità. Soffocò un sospiro di dolore, non sembrava stare benissimo. Che cosa le avrebbero detto a corte vedendo che zoppicava? Avrebbe saputo mentire? "No, è solo un livido." Si impose mentalmente Benedetta. E infondo, che ne sapeva lei di medicina? Chi era per dire che la caviglia fosse slogata, o addirittura rotta? Nessuno, e nessuno gliel'avrebbe mai detto, doveva rimettersi. Il suo lavoro, non poi così spiacevole e ben retribuito, non le consentiva di portare un simile dolore con sé. Sarebbe stato corretto dirlo a qualcuno, anche soltanto per amor proprio e della propria salute? La ragazza dubitava. Si fece forza, se dapprima la testa era priva di preoccupazioni ora era strabordante di pensieri. Prima il piede di qua, poi quello di là, Benedetta si tirò su senza troppa fatica. Un passo avanti, una fitta di dolore. Un altro passo avanti, un'altra fitta di dolore. Non faceva nulla, doveva riprendersi le sue scarpette e tornare nei suoi alloggi a cambiarsi. Di lì a poco avrebbe dovuto aiutare in cucina. Barcollo dopo barcollo raggiunse così quel che avrebbe dovuto indossare. Si risedette, ne prese una e la calzò. Il piede destro era filato liscio, ora sarebbe arrivato il peggio. Allargò i lacci al massimo, poi infilò le dita all'interno della fodera. Sì, entrava. Con giusto un po' di dolore Benedetta riuscì ad indossare la scarpa senza troppi problemi. I lacci tra le dita, strinse con calma i primi nodi, poi gli ultimi. Si alzò in piedi e si incamminò, cercando di nascondere l'andatura zoppa, verso la gigantesca porta che la separava dal resto della villa. Pochi altri metri, e il dolore continuava ad aumentare. Non avrebbe dovuto fermarsi, continuò a camminare fino a quando i chiari occhietti non divennero lucidi. Decise così di fermarsi, e di allargare un tantino i nodi superiori. In effetti, chi mai se ne sarebbe potuto accorgere?

«Benedetta, va tutto bene?» Una voce velata interruppe la giovane, che stava finendo di sistemare le sue scarpette. La caviglia era gonfia ora, Elizabeth l'avrebbe notato?

«Sì, tutto a posto.» La rassicurò Benedetta evasiva alzando velocemente il volto verso di lei, mettendosi in piedi sforzandosi di apparire sciolta in quei movimenti un po' impacciati. «Mi stavo giusto dirigendo in camera a cambiarmi.» Le giustificazioni non erano il suo forte, ma in effetti era realmente quel che avrebbe fatto subito dopo essersi assicurata che le calzature non stringessero troppo.

«La signora Kiersley mi ha detto di raccomandarti di muoverti, tra poco inizia il ricevimento.» Le disse la corvina con un'occhiata sospettosa, per poi continuare il suo percorso imperterrita, senza salutare. Probabilmente era diretta alle cucine, chissà. «E sistema quei capelli.» La udì aggiungere quando ormai si trovava alla fine del corridoio.

Ad Elizabeth, Benedetta non era mai andata a genio. Seppur quest'ultima si trovasse qui a casa Priester da ormai ben tre anni, la maggiore non l'aveva mai presa molto in considerazione. Ce l'aveva con lei per aver sostituito la precedente cameriera, una certa Jody, a cui a quanto pare era molto legata, ma senza apparente motivo non aveva mai cercato di ostacolarla o infastidirla in alcun modo. Al contrario, molte volte si era dimostrata disponibile per aiutarla o per coprirla in qualcuna delle sue bravate. Benedetta si era sempre chiesta il perché di questa sua inaspettata gentilezza; in fondo tutti sapevano che tra le due non scorreva esattamente buon sangue. Non che la piccola avesse niente in contrario rispetto all'altra, piuttosto era l'opposto. A Benedetta non piaceva avere inimicizie o rivalità, non si sarebbe mai messa contro una cameriera con più esperienza e potere di lei, ma era in difficoltà ad uscire dal mirino della corvina che, seppur sembrasse non sopportarla, stringeva i denti e la aiutava il più possibile. Che si trattasse semplicemente di buon senso? Difficile, i secondi fini non tardano mai ad essere rivelati. O questo almeno era il pensiero di Benedetta, che di opinioni ne aveva anche fin troppe.

Sconcertata dallo sguardo sospettoso della giovane si allontanò così nella direzione opposta, per pettinarsi ed indossare la divisa da cameriera che le spettava. Sperava tanto che non fosse riuscita a notare gli occhi luccicanti e la scarpa slacciata sulla caviglia arrossata, ma ne dubitava estremamente. Il dolore però fortunatamente era diminuito almeno un po', e a questa camminata un po' meno graziosa e leggera del solito la giovane raggiunse la sua umile stanza dopo pochi minuti. Prese la chiave nella tasca e la inserì nella spessa serratura in ottone, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Immediatamente si diresse verso il letto, a cui era adagiata l'uniforme bianca e nera, la afferrò senza troppe cerimonie e la indossò. Solo ora le venne il pensiero che, se la signora Kiersley, o ancor peggio, la contessa, l'avesse vista aggirarsi per i corridoi senza esser ben sistemata, il licenziamento sarebbe potuto essere più che un'opzione. Si guardò allo specchio, la vecchia cornice in legno rovinata ma la superficie perfettamente immacolata e riflettente. Si passò una mano sui capelli ancora disordinati, poi lo sguardo vagò sui piedi, visibili appena per via della lunga gonna imposta dalla divisa. Sbuffò, stressata da tutto quello che le aveva causato disubbidire ad un semplice ordine, afferrò la spazzola e iniziò a pettinarsi. I nodi non mancavano, Benedetta strinse i denti per evitare di cacciar fuori qualche maldicenza e continuò a cercare di domare quei capelli che, seppur fossero lisci come spaghetti, non se ne stavano al loro posto neanche per un secondo. Una semplice pettinatura che li tenesse ben saldi alla nuca, e poi la cuffietta in pizzo che la ragazza tanto odiava. «Sono pronta.» Sospirò Benedetta con aria afflitta al suo stesso riflesso, per poi voltarsi e raggiungere la porta, le chiavi tintinnanti nella tasca del vestito.

George stava già pronto sulla soglia della cucina, divisa stirata perfettamente e capelli biondi pettinati all'indietro, come da protocollo. In effetti era sempre impeccabile lui, tanto nell'aspetto quanto poco negli atteggiamenti.

«Benny.» Fece a mo' di saluto, con un piccolo cenno della mano, alla ragazza che scendeva le scale frettolosamente e irregolarmente, in ritardo per via della caviglia.

«George, già qui?» Gli chiese lei, un leggero sorriso sorpreso sulle labbra.

«Mi annoiavo, lo sai come sono fatto.» Rispose lui con un minuscolo ghigno in volto, dondolando il piede avanti e indietro e guardando Benedetta che si affrettava a prendere in mano i primi piatti. «E poi sei tu quella in ritardo.» Considerò infine divertito, resosi conto solo in quel momento della situazione.

«Ecco, tieni e stai zitto.» Gli disse Benedetta con uno sguardo di rimprovero, mettendogli fra le mani la portata che avrebbe già dovuto trovarsi nella sala da ballo.

George la prese ridacchiando, le due mani affusolate ben salde sui manici del vassoio.

«Beh, divertiti.» Esclamò con enfasi senza una vera regione precisa, per poi abbandonare la cucina ed entrare nel grande salone dove si stava tenendo la cerimonia.

Benedetta sospirò scuotendo il capo tra sé e sé, esilarata dai comportamenti del giovane. Non si era neanche accorto del suo piede malandato, e questo le andava più che bene.

Prese una caraffa d'acqua e, approfittando dell'insolita calma e assenza in cucina, se ne versò un po' in un bicchiere, sedendosi per liberare il piede dal fardello del suo stesso peso. Prese poi un sorso, quel piccolo impedimento non l'avrebbe certo fermata.

La cucina era piuttosto grande, credenze in legno in alto e banconi e lavelli in basso non poi così puliti e scintillanti come invece lo era il pavimento della sala da ballo. Ad illuminare l'atmosfera infatti, oltre alla grande porta a vetri che stranamente dava sul giardino, i mobili e gli scaffali della stanza erano cosparsi di gocce di cera, residui delle candele che, a quanto pare, lì non erano ancora state rimpiazzate dall'innovativa elettricità, che invece abitava già quasi l'intera reggia.

Benedetta portò lo sguardo nuovamente sul piede, che non aveva neanche avuto il tempo per essere fasciato, o per una semplice crema sgraffignabile dall'infermeria. Ora era giust'un po' gonfio, forse anche leggermente rosso, ma niente di troppo evidente. La ragazza prese il bicchiere che aveva in mano e lo portò alla caviglia, tirando un sospiro di sollievo per il fresco che le aveva donato quel gesto. "Servirebbe del ghiaccio." Penso tra sé e sé guardandosi intorno, ma senza muoversi.

«Eccoti!» Una voce squillante fece sobbalzare Benedetta, che per la sorpresa lasciò cadere rovinosamente il bicchiere a terra. Un tintinnio di vetri le pervase le orecchie: la stoviglia, come ci si poteva aspettare, si era infranta in mille pezzi. La ragazza si chinò immediatamente raccogliendo le schegge più grandi con le dita, ed appoggiandole sul tavolo una ad una man mano che le afferrava, con fare frettoloso. Se la signora Kiersley fosse venuta a saperlo, Benedetta avrebbe passato guai seri.

Sentì dei passi e un fruscio di gonna, Wendy la stava aiutando a raccogliere i pezzi di vetro cosparsi per terra per tutta la cucina.

«Muoviti, la signora Marlin sarà qui a momenti.» La incitò aggirandosi per tutto il pavimento della stanza, cosce piegate e testa bassa, raccogliendo quel che più riusciva a tenere nel grembiule.

Benedetta si alzò scocciata, un pezzo di vetro un po' più grosso degli altri che fungeva da bacinella teneva dentro di esso tutti gli altri. Lo poggiò sul tavolo sbuffando, poi rivolse uno sguardo rassegnato a Wendy.

«Sono un disastro.» Le disse facendo una smorfia per la caviglia e per il dolore che le aveva causato alzarsi da terra. Wendy alzò gli occhi sulla giovane cameriera, studiandola per alcuni secondi con le grandi iridi verdi e vispe che si muovevano ovunque sul volto di Benedetta.

«No cara mia, non sei un disastro.» Le disse con aria comprensiva alzandosi a sua volta e tenendo il grembiule ripiegato, lasciando che tutte le piccole schegge al suo interno finissero esattamente nel cestino della spazzatura. In tutto questo, gli occhi non venivano mai distolti dal volto di Benedetta. Le si avvicinò, passo sicuro, un piccolo sorriso rassicurante, forse un po' materno, sulle labbra. Wendy aiutava la signora Marlin in cucina ormai da cinque anni. Voce squillante come poche, dolcezza e atteggiamenti materni, in poco tempo per Benedetta era divenuta un'emergente fonte di riferimento. Nonostante i diciotto anni appena compiuti, si rivelava matura e razionale, apprensiva ma complice nelle bravate degli altri. Senza possedere un'altezza o una stazza particolarmente imponenti, dava l'impressione di una mammona buona e gentile. Gli scuri capelli lucenti, marroni come quelli di sua mamma, e dapprima di sua nonna, erano ora rilegati in una semplice ed ordinaria crocchia sulla nuca. Gli occhi color del prato, come delle gemme o degli smeraldi, erano sempre luminosissimi, e mai sapevano stare fermi. Erano molto chiari, sì, tanto da parer finti a tratti. Esattamente il contrario di quelli di Benedetta, grigi e scuri, spenti e quasi minacciosi, seppur innocenti. Mentre la pelle di quest'ultima era infatti liscia, pallida e regolare, le braccia, il ventre, e il volto di Wendy erano ricoperti da macchie di forme e grandezze l'una diversa dall'altra. Secondo Benedetta avevano il suo fascino, e Wendy dopo anni aveva imparato ad andarne fiera, amandole e rendendole, se così si può dire, un suo punto di forza, quasi fossero quelle a renderla speciale.

La giovane cameriera sospirò, sedendosi sulla sedia vicino al tavolo in legno su cui aveva poggiato i resti del bicchiere ormai irrecuperabile. Fece spallucce, senza accennare a prendere i vetri e buttarli, imitando Wendy la quale, dopo i pochi secondi di silenzio, spazientita li prese tra le mani maculate e li gettò insieme a quelli raccolti da lei precedentemente.

«Che hai?» Fu ancora lei a parlare, un sopracciglio inarcato e le mani sui fianchi, sguardo abbassato sul volto di Benedetta. Era ovvio che c'era qualcosa che non andava.

«Non ho niente.» Rispose la più piccola leggermente infastidita, spostando lo sguardo dagli occhi di Wendy, non riuscendo a sostenerli, e fissando la luminosa porta a vetri alla sua sinistra. Dondolò lentamente il piede sano sfiorando il pavimento per pochi secondi, allo stesso modo di George poco prima. «Insomma, che dovrei avere?» Le chiese poi dopo pochi secondi di attesa. Forse, inconsciamente, desiderava che almeno lei venisse a sapere della caviglia e di tutte le faccende che comportava quell'imprevisto, o magari era solo curiosa di sapere il perché dell'intuito di Wendy, che aveva fiutato subito l'umore a terra di Benedetta.

L'aiuto cuoca sorrise, poi afferrò una sedia e, attenta a non fare rumore, la spostò proprio davanti a quella della ragazza, sedendosi e accavallando le gambe. Si sistemò lo chignon, e subito dopo le rivolse un leggero sorriso rassicurante. «Tipo che zoppichi.» Le fece notare semplicemente, il sorriso dapprima comprensivo che ora assumeva quasi un'aria compiaciuta e soddisfatta per aver azzeccato al primo colpo. Naturalmente si intuiva dall'espressione scocciata di Benedetta, che aveva immediatamente sbuffato e incrociato le braccia.

«Si nota così tanto?» Le chiese, in un secondo luogo preoccupata, studiando il viso di Wendy che non accennava a smettere di sorriderle.

«Sì, abbastanza.» Le rispose calma senza chiedere spiegazioni. «Su, fa vedere.» La incitò poi, un veloce gesto con la mano come a velocizzare il tutto.

Benedetta la guardò, per niente divertita dall'espressione ancora dipinta sul volto di Wendy, poi si chinò e, pian piano, laccio dopo laccio, rimosse scarpa e calza dal piccolo piede.

«Ecco.» Le fece questa volta mordendosi l'interno della guancia nervosamente. Sperava tanto che la ragazza annunciasse buona notizia, la rassicurasse, e la congedasse in men che non si dica.

Wendy abbassò anche lei la schiena guardando, decisamente meno sorridente, la caviglia della cameriera, gonfia e rossa per gli sforzi di ignorare il dolore della sua padrona.

«Non sono un medico.» Esordì infine serrando le labbra, ma senza distogliere gli occhi vispi dal piede di Benedetta. «Ma qui ci vuole del ghiaccio.» Annunciò sbrigativa, alzandosi velocemente e dirigendosi verso la ghiacciaia.

Tornò poco dopo con il grembiule ripiegato e bagnato, al suo interno piccoli blocchetti irregolari, freddi e trasparenti. «Su, prendi lo straccio.» Le ordinò con una voce che non ammetteva repliche, indicandole il lavello con una mano rischiando di fare cadere il ghiaccio che teneva ancora nella stoffa bianca e cucita male.

Benedetta sporse il braccio evitando di alzarsi, dondolandosi sulla sedia e tenendosi in equilibrio con il piede ancora intatto. Con l'indice e il medio uniti raccolse la pezza arancione, e, accompagnata da un sonoro tonfo rumoroso, ritornò seduta perfettamente, la gamba della sedia al suo posto.

«Voilà!» Esclamò con un sorrisino divertito la giovane, porgendo lo straccio ancora in bilico tra le sue dita alla maggiore, che sbuffò rumorosamente.

«Se continui così finirai a pezzi.» La rimproverò con un'occhiataccia Wendy, strappandole lo strofinaccio di mano e raccogliendo con esso tutti i pezzettini di ghiaccio che pian piano si stavano sciogliendo. Una volta finita l'operazione chiuse la pezza con un piccolo nodo, e in seguito rifilò il sacchettino gelato a Benedetta.

«Non ti chiederò niente.» L'avvertì alzando entrambe le sopracciglia. La sua frase non puzzava di ricatto quanto aveva sapore di rimprovero. «Vedi di non cacciarti in altri guai.» Finì, senza aggiungere altro, sospirando preoccupata e distogliendo lo sguardo dalla cameriera, prestando ora attenzione alla modesta porta in legno, come d'altronde lo erano il tavolo e le sedie a cui sedevano.

Benedetta le fu riconoscente. In fin dei conti, a Wendy non importava delle sue bravate o di quel che combinava per finire nei guai. Di perché se ne chiedeva, ma non esponeva mai le sue preoccupazioni. Piuttosto, mettendo in mostra il suo carattere maturo e risoluto, preferiva rendersi utile senza fare troppe storie, quel che aveva peso per lei era la salute di Benedetta, non le punizioni che si sarebbe meritata.

La giovane annuì quindi capendo quel che intendeva l'aiuto cuoca, alzando un angolo della bocca e posando il ghiaccio sulla caviglia. «Hai ragione.» Ammise guardandola e sistemando meglio il sacchettino, perché infondo erano rare le volte in cui non era così. Il freddo stava già facendo il suo effetto, Benedetta tirò un leggero sospiro di sollievo.

Wendy fece per girarsi verso di lei, la bocca aperta per via dell'imminente nascere di, probabilmente, qualche ultima parola di benevolo rimprovero. Fu interrotta però dal sonoro scricchiolio della porta delle cucine che si apriva, facendo rivoltare velocemente entrambe le ragazze, con un'espressione atterrita in volto, verso la grossa, riccia, e furiosa signora Marlin.



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data di pubblicazione - 26 novembre 2020

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