Capitolo VI
La spada incrinata
Nel buio più totale, in cui nemmeno la pallida luce delle stelle può farsi strada, Ofelia riprende conoscenza, dopo quella che potrebbe definire una pausa riabilitativa. Sì, è svenuta.
Apre gli occhi, scrutando i fusti degli alberi e le chiome che la sovrastano. Accanto a lei giace addormentato il ragazzo a cui ha salvato la vita, il quale per gratitudine ha voluto portarla in quel luogo, con il probabile intento di proteggerla.
Ingenuo. Tenero e dolce allo stesso tempo... Decisamente umano.
<<Sei una piccola creatura in un mondo sconosciuto: ora il velo che ha sempre coperto i tuoi occhi è scomparso. E siamo entrambi nei guai.>> il suono della sua stessa voce, seppur ridotta ad un mormorio, la sorprende. Le capita di rado di esprimersi a parole.
Un fruscio disturba la quiete armoniosa del piccolo spiazzo erboso. Qualcosa si avvicina, simile nell'essenza all'essere dell'albergo ma allo stesso tempo molto diverso. Più mite... Ma non meno pericoloso. Non si muove.
Una voce le parla con tono autoritario:<<Resta in questo luogo: quaggiù sei al sicuro, per adesso.>> poi la presenza scompare e l'ultimo suono che ella riesce a percepire è il miagolio assonnato di un gatto.
Si sdraia nuovamente. Ha bisogno di una buona saldatura, dopodiché dovrà riacquistare l'energia persa. Non può arrendersi... Eppure ora sa di essere inerme, di fronte a simili forze, perciò a che scopo fare nuovi sforzi? Al momento non sa come rispondere.
Le immagini nella sua mente si sono fatte sempre più chiare e lentamente ha cominciato a ricordare, ricollegando gli eventi: quel che ha fatto, quello che ha subito; le vite distrutte a causa sua... Un bel pacchetto tutto sommato.
Peccato che non riesca ancora a rammentare le sue origini. Del resto quello che già vede non è molto utile. In verità le sembra tutto molto deprimente.
La tristezza si è fatta strada attraverso la corazza che credeva infrangibile.
Così pesante. Amara come il miele e dolce come il fiele.
Sente il giovane uomo al suo fianco muovere il corpo e si gira verso di lui. Ha aperto gli occhi e la fissa nelle iridi di ghiaccio.
Sorride. Senza pensarci lei ricambia.
Anna
La mamma era scomparsa. Non sarebbe tornata. Papà dormiva nel letto, senza considerarla. Non si sarebbe svegliato.
Lei non poteva imitarlo. Non voleva.
Arrivò la sua migliore amica, come ogni notte, silenziosa come un gatto: venne a rimboccarle le coperte e prima di andarsene le baciò la fronte con delicatezza. Era dolce e gentile con lei. La rendeva felice vederla, averla accanto.
Non voleva addormentarsi, ma le sue palpebre si appesantivano minuto dopo minuto. Accoccolata vicino al papà, gli occhi ancora umidi, cominciò a guardare il soffitto. Non voleva perderla, non voleva perdere nessuno di loro... Ma sarebbe successo.
Dalia
La trovava estremamente bella, niente da fare.
<<Pensi a Leo, Dalia?>> quell'Anna la sorprendeva sempre nei momenti migliori. Le offrì uno sguardo poco conciliante e scosse la testa. Leo non le interessava, non in quel senso.
<<E' solo simpatico, nient'altro.>> adesso sia Ambra che Sara la guardavano.
<<Simpatico è una parola grossa... E' intelligente, ma a volte sembra un vecchio.>> disse la prima, per poi riprendere a spazzolare i capelli della seconda <<come fai a sporcarli così tanto?>> Sara alzò le spalle, senza però muovere la testa. Dalia l'aveva inquadrata in fretta come la scema del gruppo. Non aveva nulla contro di lei: semplicemente era svampita all'ennesima potenza.
<<Si sporcano subito... Chettidevodire?! Parla proprio Malpelo femmina poi...>> si lamentò lei, socchiudendo le palpebre per la frustrazione.
<<Chi è malpelo, Bra?>> squittì Anna che, come di consueto, era tornata a tormentare la ragazza. Ad Ambra non sembrava dispiacere, ma Dalia non la sopportava. Si chiedeva quando mai le avrebbe lasciate in pace.
<<Già chi è?>> si affrettò ad unirsi alla conversazione.
<<Il protagonista di un racconto... Un ragazzino coi capelli rossi, indomabili.>> rispose con calma la rossa, rivolgendole una strana occhiata.
La sua stanchezza era palese: normalmente si sarebbe messa a scherzare, esibendo uno dei suoi falsetti.
"E' al limite"
Riprese invece a spazzolare i capelli di Sara: con cura, senza strattoni.
Dalia rifletté in silenzio.
<<Deve essere bello.>> era stata Sara a parlare.
<<Che cosa?>> le chiese Ambra, senza distrarsi. La ragazza sgranò gli occhi, come avesse detto qualcosa di sbagliato.
<<Niente. Mi sembrava di aver sentito qualcuno parlare.>> rispose tossendo.
<<Sei strana in questi giorni: sembri sempre dolorante e stravolta, a volte ti distrai ancora più del solito. Vuoi parlarne?>>
<<Sicura di non sapere già il motivo?>> Occhi Grandi trattenne il fiato, consapevole di aver parlato troppo. Questa volta di proposito.
Ambra continuò il meticoloso lavoro, in silenzio. Seria. Il suo sguardo era normale. Nemmeno la piccoletta del gruppo osò parlare, come se rispettasse timorosamente quel silenzio.
"Avvicinati." Dalia abbassò istantaneamente la testa, sperando che le altre non notassero le sue guance rosse. Soprattutto sperò che Ambra non l'avesse vista. Sarebbe stato terribilmente fuori luogo ed imbarazzante. Alzò gli occhi, notando con sollievo che quest'ultima era fin troppo fissa nel suo lavoro.
<<Vuoi farti spazzolare anche tu?>> le bisbigliò Anna. C'era un'inattesa nota maliziosa nella sua voce.
<<Non conosco il motivo dei tuoi attacchi...>> Sara fece per ribattere ma l'altra le diede uno strattone, zittendola <<E per quanto riguarda tua nonna... Starà bene. E' necessaria. Tranquilla.>> le carezzò i capelli con rinnovata dolcezza. Sara non fiatò. Chiuse gli occhi. S'irrigidì, come l'altra volta.
<<Opportunista.>> Dalia si ritrovò a pronunciare quelle parole, senza averle pensate.
Bra la squadrò con una vena di stupore e di rispetto, mentre al suo fianco Sara scivolava per terra e cominciava a tremare convulsamente.
<<Ho avuto un déjà-vu, sai Dal? Non sei la prima che mi chiama in quel modo. Ma credo che tu abbia ragione: sono un'opportunista, molto meno pura di quanto tu creda. Anzi. Non sono per niente pura... E questo a te piace.>> la squadrò, passando dal suo viso sornione ad uno più... Strano.
<<Perché non ti sfoghi?>> si alzò in piedi, sotto gli sguardi intimoriti delle altre
<<Non sono una brava persona, ma questo a te non cambia niente. Tu vuoi solo...>> si sfiorò lentamente le labbra, poi iniziò a scendere con la mano indossando lo sguardo più languido che Dalia avesse mai visto.
Era incredula.
Non si mosse mentre lei si avvicinava. La desiderava. Non le importava di Anna: che guardasse. Che Sara si contorcesse. Ormai erano a due passi di distanza, in piedi, l'una di fronte all'altra.
<<Forza.>> socchiuse quegli splendidi occhi dorati e si sporse verso di lei, verso le sue labbra. Le cinse dolcemente le braccia, il viso a pochi centimetri dal suo.
Si svegliò madida di sudore, il cuore a mille.
Il letto matrimoniale nella stanza accanto alla sua era vuoto, ma ebbe bisogno di qualche secondo per accorgersene.
Così di punto in bianco? Non poteva sperare niente di meglio. Finalmente se n'erano andati, lasciandola in pace. Non aspettava altro che la abbandonassero (aveva immaginato una mossa simile). Pateticamente avevano scelto un albergo per telare. Buffoni.
"Sai che non è vero, che è stata lei."
Lo sapeva. Ma odiava i suoi genitori. Si alzò per prendersi un bicchier d'acqua.
Ora aveva tanto altro: nuovi amici, un gruppetto simpatico di coetanei, qualcuno che si preoccupasse per lei e soprattutto, Bra. Non sarebbe rimasta solo per qualche mese. Non sarebbe andata da nessuna parte: ormai lo sapeva.
Deglutì, pensando all'insofferenza con cui aveva ignorato Sara, nel sogno. Beh, non era successo davvero.
Lentamente fece scivolare una mano sotto le coperte. Non c'era dubbio. In un modo o nell'altro sarebbe rimasta. Anche la cosa nell'albergo sembrava essere della stessa idea. Li voleva con sé, ma non tutti. Forse per questo i suoi genitori erano fuggiti... Se l'erano fatta sotto.
"Perché continui a ripetere questa cazzata?"
<<Perché presto o tardi lo avrebbero fatto. Li ha solo anticipati.>> Non le importava. Emise un breve e tremulo gemito. Non si sarebbe più dovuta preoccupare del rumore.
Sara
Finalmente gli spasmi muscolari cessarono, lasciandola semi esausta ed ansimante.
La nonna non era lì accanto, ed in ogni caso non avrebbe potuto far molto.
No, si sbagliava.
Lei le teneva la mano e le carezzava i capelli quando era triste, la ricopriva di consigli ed attenzioni: tenere e pacate quando era malata, silenziose e consapevoli durante il ciclo...
Soffrire da soli era molto diverso: da una parte era sollevante non far preoccupare gli altri, dall'altra ci si sentiva ancora più vulnerabili.
Si sarebbe arrangiata finché la nonna non fosse tornata. Non ne avrebbe parlato con gli altri. Cisco, Anna, Ambra, Dalia... Erano amici suoi, ma non appartenevano alla sua intimità, non ancora.
Si sollevò dal morbido materasso, nonostante le facessero male braccia e gambe, tergendosi il sudore con dei fazzoletti.
Si guardò intorno notando con tristezza e stupore che tutti i fiori che adornavano la camera erano appassiti. Quasi tutti: sul comodino adiacente al suo letto, dal vaso che le era stato regalato per il suo tredicesimo compleanno spuntava un piccolo ma sano germoglio verdeggiante. La calla che avevano seminato lei e nonna un mese prima.
Sentendosi solo leggermente rincuorata lesse la dedica dipinta sulla ceramica. "Un vaso per una dolce e spensierata figlia."
Le parve di sentire una voce da qualche parte, anche se oltre a lei non c'era nessun altro nelle vicinanze.
Gabriele
Non è giusto: quasi un mese a sorbirsi orrende telenovela e talk show ma proprio quando ha l'occasione di godersi in santa pace la maratona della sua serie anime preferita, manca il segnale satellitare.
Sbuffa con disappunto. Si sente totalmente insofferente e irritato!
Suo padre che borbotta nel sonno non è d'aiuto. Nulla di nuovo, comunque.
A disturbarlo è la creatura sconosciuta, lievemente dissimulata, seduta accanto a lui. Non è che sia fastidiosa, solo lo mette un tantino a disagio... Pur non essendone certo crede di sapere di chi si tratti. Si fida del suo istinto e del calore che sente dalle parti dell'inguine.
<<Dovresti dormire.>> la voce è la stessa!
Egli ha un fremito, ma, calmatosi dopo qualche secondo, si accorge di essere nuovamente solo. Non ha avuto né il tempo né il coraggio tempo di dirle nulla.
Francisco
Sentiva dentro di sé qualcosa che mai prima d'ora aveva percepito. Era forse questo l'innamoramento di cui tanto parlavano i libri da lui accuratamente letti? Quello squilibrio che ti rivolta fino al midollo, sconvolgendo tutto il corpo... Sentimento o reazione ormonale? Ingenua convinzione adolescenziale? Attualmente non gli faceva nessuna differenza. Ogni giorno sentiva crescere quel calore ma egli rimaneva eternamente insoddisfatto, sentendo il suo sentimento non corrisposto. Voleva capire, sentire, possedere...
Quella notte era rimasto davanti alla porta della sua camera, aspettando la sua bella.
Aspettava di vederla uscire di soppiatto come al solito, in tutta la sua bellezza giovanile, lieve, fine ed un poco immatura. Lei non uscì. Non venne da lui.
Alla fine fu rimandato in camera dal tipaccio della reception e si ritirò. Non si accorse del lettone vuoto nella camera matrimoniale, almeno finché non si sedette sul suo, con sincero sconforto dipinto sul volto. Allora notò la mancanza. Rimase bloccato in quella posizione, senza parole.
Non si mosse per il resto della nottata.
Il cane
Fa la ronda per i corridoi. "A nanna bambini o il lupo cattivo verrà a prendervi" pensò lui. Era un peccato che non potesse azzannare nessuno.
Non era uno di quei pateticamente docili ed amichevoli animali... Ma non poteva permettersi di disobbedire.
Lei era tutto quanto esso potesse avere, possedere ed essere; ciò che mai avrebbe voluto perdere.
Un momento. Il vecchio uomo con la torcia. Sembrava averlo visto. Finalmente! Un inseguimento lo avrebbe aiutato a combattere la noia. Uh! Come correva. Messo con le spalle al muro tentò di allontanare il cane.
Lui gli mordicchiò blandamente una gamba, godendo della sua paura, dell'impotenza che emanava. Tentava di divincolarsi, tremando in tutto il corpo.
Non lo divertiva più guardare la vita degli altri... Il cane avrebbe potuto scommetterci.
Lo lasciò al suo terrore.
Riprese la ronda e aspettò, seguendo il suo piano, tenendosi alla larga dai guai e da quello strano bambino che osservava da dietro le porte, oltre i vetri. Non gli piaceva.
Quella che doveva essere morta
Si svegliò in mezzo ad un mare di tenebre. Una strana confusione le riempiva la testa.
Sua sorella non c'era. Non la vedeva da nessuna parte...
Meglio controllare in giro.
Si sporse per accendere la luce ma sentì l'interruttore scattare a vuoto. Forse un blackout.
Ora: dove se n'era andata quella casinista, con quel buio?
<<Dove sei, rossa? Piantala di fare la scema!>> alzò la voce rivolgendosi al nulla, ma quest'ultimo non le rispose.
Si alzò dal letto mettendosi le pantofole e già in parte seccata, si diresse verso la porta. Chiusa.
-Che presa in giro è questa? Mi ha chiusa dentro!?-
Non aveva mai avuto problemi con le serrature: sul comodino aveva una forcina per capelli adatta allo scopo. Eppure sul mobiletto non c'era. Tornando alla porta si accorse che non c'era nemmeno una serratura da scassinare.
Sentì grattare sul legno dall'altra parte.
COOOSA VORRESTI FARE?
La ragazza sentì un brivido scuoterla. Si prese il tempo di trarre un respiro, mozzato a metà...
Ad occhi sbarrati osservò un piccolo arto sgorgare dal legno e tentare di afferrarla. Indietreggiò velocemente, ma senza alcun preavviso i suoi occhi si oscurano. Due mani forti le coprirono il volto e senza poter reagire, perse i sensi.
Ambra
Si passò una mano tra i capelli morbidi, assaporando la sensazione dalla corrente che entrava dalla finestra aperta. La fuori il cielo andava rischiarandosi, con l'approssimarsi dell'alba. Solo una lieve pioggerella aveva turbato la quiete del tetro manto notturno.
Poco per volta le prime luci del mattino scacciarono le stelle lontane, rendendone impossibile la vista. Osservò con angoscia il letto vuoto di Letizia. Sebbene se ne fosse andata da parecchie ore, le coperte in disordine ed il materasso ancora caldo testimoniavano la sua recente presenza. Doveva essersi alzata solo da pochi minuti, da quella parte.
Si morse il labbro, non sapendo cosa pensare.
Entrò nella stanza da bagno e guardò la sua immagine nello specchio lucido. Appoggiata al lavandino, tirò un lungo e profondo respiro.
I vuoti di memoria erano diminuiti, scemando poco a poco e poi lasciandola, semplicemente sconvolta delle azioni compiute. Il dolore alla testa invece restava: quel piccolo tarlo non la smetteva di roderla... Gioia, rabbia, tristezza. Una dopo l'altra.
Non le interessava controllarle.
Quei piccoli, maledetti tarli. Perché si ostinano tanto ad intralciarti?
Già, perché? Le risposte comportavano responsabilità e lei sapeva bene quanto fossero ridotte le persone pronte a prendersene.
Non basta negare loro le tue grazie... Devi... DOBBIAMO farlo... Devi porre fine alla cosa appena ne avrai l'occasione!
<<SMETTILA DI PARLARE PER ME>>
Hai buttato via le medicine.
<<Già. Magari ti dispiace anche .>>
Non volevo che fossi cosciente. Sarà solo più doloroso.
<<Che peccato.>>
Osservò il suo riflesso sullo specchio: vide gli occhi sottolineati dalle scure occhiaie restituirle uno sguardo vacuo. Si tolse le lenti a contatto: le avevano sempre dato fastidio, ma erano più comode degli occhiali e di un bel colore.
Scese con lo sguardo fino alla magra silhouette. Troppo magra. Beh, in fin dei conti non si dispiaceva. Non avrebbe apprezzato un corpo prosperoso, ne un'altezza da valchiria.
Fece un altro profondo respiro, sorridendo forzatamente, poi frantumò lo specchio con un pugno.
<<Hai ragione, mi farà male.>> scandì a bassa voce <<Sopravvivrò.>>
Alvaro
Cliccò sull'icona di arresto del computer e spense il monitor. Aveva appurato che alcune telecamere non davano segnali di vita. Avrebbe dovuto cambiarle già da un po' in ogni caso... Il sistema di sorveglianza era diventato inevitabilmente obsoleto.
Allungò il braccio verso la grossa stampante e prese due fogli su cui erano riprodotte altrettante fotografie, in bianco e nero. Tutte e due erano fotogrammi delle registrazioni di sorveglianza che raffiguravano la più grande delle figlie del suo amico Patrizio Volta, Letizia, nei corridoi del suo albergo. Quel che sapeva su di lei e su quella trovatella che le stava sempre accanto era sufficiente. Lo stato in cui Patrizio era stato ritrovato e la fuga delle due ragazze parlavano chiaro, per quanto gli riguardava.
E dopo la scenata della mocciosa... Non avrebbe più avuto esitazioni: l'indomani avrebbe inviato una delle immagini alla madre di Letizia e l'altra al distretto che si occupava delle ricerche.
-È proprio una bella ragazza nonostante tutto- pensò con un sorrisetto mesto sulle labbra. Sebbene la vista della giovane lo allettasse, altre definizioni meno lusinghiere, andavano accompagnandosi a quella di "bella ragazza": sprezzante, sprovveduta, irriguardosa... Criminale. Non si erano mai capiti e la presenza di Ambra non aveva fatto altro che peggiorare i loro rapporti. Letizia si era mostrata quantomeno educata.
Qualcosa attirò la sua attenzione. Lo schermo si era riattivato e così pure il computer. Forse si era sbagliato con i tasti e non l'aveva nemmeno spento. Per sicurezza controllò l'antivirus e le funzioni principali dell'aggeggio antidiluviano. Terminata l'operazione ritornò al desktop, sicuro che non ci fossero anomalie.
Solo allora notò che una nuova cartella generica era presente, vicino al bordo del monitor. Sotto l'icona del fascicolo c'era scritto in maiuscolo: "NE SEI SICURO VECCHIO?".
Fece doppio click sulla cartella. Comparve la consueta schermata recante i file contenuti. Uno di essi era intitolato: "PROOOPRIO SICURO?", un altro: "MAGARI SEI TROPPO RINCOGLIONITO E PERDI COLPI", mentre l'ultimo diceva: "A ME SEMBRI SOLO UN POVERO IDIOTA".
Non gli piacque la cosa.
-Uno scherzo di cattivo gusto- pensò aprendo il primo file, una pagina di testo del blocco note su cui era scritta la frase: "CREDI CHE SIA SEMPLICEMENTE UNA BURLA? PENSI CHE FAR ARRESTARE LA RAGAZZA SIA AGIRE SECONDO GIUSTIZIA, VERO? PERO' INTANTO LA SUA FOTO LA TERRAI".
Per un momento gli si mozzò il fiato. Si disse che l'ideatore della burla doveva aver previsto la sua reazione. Aprì il terzo file, anche questo di testo: "SENTI UN PO'. NON PROVI NEMMENO A DARCI UNA POSSIBILITÀ? SE NON A ME, A LEI.
TI SEI CHIESTO PERCHE' IL TUO AMICHETTO FOSSE IN QUELLO STATO?"
Binetti chiuse il file e la cartella. Furente incominciò ad andare su e giù per la stanza a grandi passi, meditando vendetta per chiunque fosse stato l'artefice dello scherzo. La trovatella. Doveva essersi intrufolata nella stanza, aiutata forse... Ma sicuramente centrava lei.
Ovviamente se l'era chiesto.
<<Ehi>> lo chiamò una voce. La sua voce. Si girò verso il computer: sul monitor era aperta la schermata della webcam ritraente la sua stanza. Si avvicinò (come diavolo si era aperta?). Fece per spegnerla ma poi si soffermo sulla sua immagine registrata: vide un uomo di sessantaquattro anni suonati dai i capelli ingrigiti ma ancora numerosi, nemmeno troppe rughe sul viso (gli piaceva pensare di aver mantenuto un certo fascino), labbra sottili e l'espressione dolce e malinconica di quegli occhi verdi in cui in passato sua moglie aveva tanto amato specchiarsi. L'immagine del suo volto, si riproponeva di fronte a lui come in uno specchio... Peccato che mentre lui osservava lo schermo, la webcam fosse al suo fianco. Ciò significa che avrebbe dovuto raffigurarne il profilo.
Incredulo coprì la telecamera ma l'immagine non mutò; provò a muovere la testa, con gli stessi risultati. Doveva essersi bloccata... Cambiò opinione quando l'uomo dietro lo schermo cominciò a parlare.
<<Capisco. Il modo di ragionare di voi uomini mi stupisce sempre. Il tuo amico può stuprare sua figlia, ma se lei si difende diventa quella cattiva. Criminale? Letizia potrebbe essere fiera di questa nomea, se solo la meritasse. Ma lei non ha fatto niente: egli è stato l'unico uomo dal quale non ha saputo proteggersi.>> sentì la sua voce pronunciare queste parole, ma impiegò qualche istante prima di rendersi conto di non essere stato lui a pronunciarle. Il suo alter ego sul monitor muoveva le labbra, con un lieve ritardo nell'emissione dei suoni.
<<Mi fai schifo, sai? Osservarti mi fa venir voglia di dare di stomaco.>> disse con voce glaciale. Continuò, incoraggiato dal terrore negli occhi dell'uomo in carne ed ossa che lo squadrava. <<Non ti vergogni di te stesso? No, sei troppo borioso.>>
Alvaro che nel frattempo sentiva gravare sempre più forte su di sé il peso dei suoi anni, premette più volte sul tasto di spegnimento del pc. Nessun risultato. Spense le casse. Non riuscì però a smettere di guardare.
La cosa nello schermo s'interruppe e rise di gusto, con un suono tagliente e sempre meno umano. Infine smise di parlare, o così parve. In realtà continuò a muovere le labbra senza emettere altro che gorgoglii. Prese da chissà dove un pennarello rosso ed incominciò a scrivere sul vetro, a caratteri cubitali: ETATNOC ERO EL IAH
Quasi non vide la scritta, pensò di correre fuori dall'hotel, fuori dal villaggio turistico ed oltre. Non lo fece. Le sue gambe non erano assolutamente d'accordo.
Sentì scattare l'interruttore della cassa. La sua risata riprese gracchiante si diffuse per tutta la stanza.
I suoi polmoni, per qualche strano motivo, smisero di funzionare correttamente... Incominciò a boccheggiare... Il cuore martellante nel suo petto minacciava di perforargli il torace...
In quelli che sospettava fossero i suoi ultimi istanti di vita, mentre miriadi di puntini costellavano la sua vista scorse una figura ammantata di fronte a sé.
Gli posò con gentilezza una mano sul volto e subito dopo Binetti si accasciò sul pavimento. L'essere incappucciato si voltò verso il monitor dove l'immagine del vecchio aveva assunto una carnagione cinerea: dagli occhi del vecchio e dalla bocca ghignante sgorgava un liquido nero e viscoso.
La porta della camera si aprì di scatto.
<<CREDI DI POTERMI FERMARE?!>> Disse gorgogliando.
L'altro non fece una piega: indicò solamente il computer che si spense all'istante.
Qualcuno lo sollevò di poco, trascinandolo.
<<Cerchi di restare sveglio! Sofia, aiutami, chiamalo!>> gridò una voce lontana. La Reine?
"Mi senti? Se ti addormenterai adesso, molto probabilmente non ci sarà un dopo..."
Mentre perdeva ogni sensibilità, quasi distaccandosi dalla sua forma fisica, Alvaro Binetti si chiese se lo ad attenderlo ci fossero il paradiso, l'inferno o semplicemente il vuoto assoluto.
La risposta non arrivò.
Sentiva lo stesso odio bruciare in tutte le parti del suo corpo. Però non c'era più solo quello. Altri sentimenti parevano attenuarlo, di tanto in tanto. Si frapponevano tra lei e la meritata giustizia. Non importava quanto potesse affezionarsi a loro. Alla fine erano umani. Come quelli che l'avevano abbandonata in una foiba, spinti dallo stesso suo odio. Quei bambini, quegli uomini: loro non centravano, lo sapeva ma desiderava comunque odiarli. Lo voleva con tutta sé stessa.
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