Capitolo V

Una lettera anonima.
L'inizio perfetto per un romanzo giallo con niente meno che lui come protagonista.
Non sapeva come gli fosse stata recapitata: l'aveva trovata sulla sua scrivania, nascosta sotto la tavoletta grafica che gli era stata regalata per il suo sedicesimo compleanno.
Fissò la busta per qualche altro minuto. Dopo averci riflettuto scartò la possibilità che fosse stata lasciata dai suoi genitori. Conosceva suo padre: non avrebbe mai voluto negarsi il piacere di parlare (o urlare) dritto in faccia a chicchessia; sua madre d'altro canto avrebbe preferito un biglietto, un post-it da lasciare ben in vista, sulla porta, su un monitor (che mostruosità!), persino sul cuscino. La busta invece era stata nascosta ed era spoglia, poco appariscente.
Essa incrinava l'uniformità coerente e geometrica che dominava nella camera. Ebbe la tentazione di accartocciare la busta per poi bruciarla, semplicemente per evitare di porsi il problema, ma si trattenne... Del resto gli piacque quella carta: ad una seconda occhiata notò dei motivi semitrasparenti tracciati sulla superficie bianca. Decise di leggere la lettera e giudicarne il contenuto con imparzialità e calma. Afferrò la busta con decisione e la esaminò: nessuna intestazione o indirizzo vi erano affissi, ma questo già lo sapeva. Senza preamboli tagliò la carta con delle forbici e sfilò il foglietto all'interno. Un formato A4 ripiegato, liscio e sottile su cui erano state scritte con calligrafia leggera, flessuosa e sottile, alcune righe fitte di testo. Lesse con attenzione: "All'attenzione del signor Semir Yaslid, presso la sua (noiosa) camera da letto.
Caro Semir, come va la vita? Scommetto che questa è la prima lettera che ricevi in formato cartaceo. Per quanto immagino che un e-mail, o un messaggio sarebbero stati più graditi ho preferito attirare la tua attenzione al di fuori del digitale, con la giusta teatralità... Chissà se la cosa ti ha offeso? Sei un appassionato di tecnologia giusto?
Ma perché dilungarsi... Perché non farlo, mi chiedo io! Voglio dilettarti con la mia personale visione della storia dell'umanità: alla fine sarai tu a giudicare il messaggio.
Da tempi assai remoti mi pare divertente osservare quella creaturina buffa ed ingegnosa denominatasi "homo sapiens sapiens". La storia della sua apoteosi in terra è leggenda odierna: essa si fonda senz'alcun dubbio sul concetto di proprietà; una dubbia concessione che si basa sul vero e solo diritto determinante nella comunità animale umana: la legge del più forte. Che poi forte significhi fortunato, duro, sagace o più semplicemente crudele lo lascerò decidere a te.
Temo di annoiarti con banalità di tutti giorni, ripetizioni poco originali; entrambi già conosciamo la crudeltà del vero, quella che con patetica disperazione le società si ostinano a celare.
Non mi soffermerò sui dettagli.
Che ne dici di questo?
"In principio era caos, la vera origine della varietà; l'ordine non è che una futilità: un tentativo penoso -e fatuo- di fare la differenza dove non c'è alcuna possibilità di farla. Al di fuori della volontà umana, la casualità è legge.
Tu cosa pensi dell'ordine? Secondo me si tratta di una perdita di tempo. Una condizione temporanea e fragile. Gli esseri viventi con coscienza propria detti esseri umani abbracciano tale farsa nel tentativo di sottomettere a loro stessi ciò che li trascende. Attenzione, io non ti parlo di armonia: quella è ben altra cosa, rispetto all'ordine.
In principio, ti ripeto, era il disordine e la cosa non è cambiata."
Come si fa a non adorare tutto ciò, ragazzo?! Io non posso non farlo...
Al caos che mi culla al mattino, al disordine che mi cresce, al moltiplicarsi dell'entropia di cui mi nutro, io devo tutto. Lo stesso vale per voi, povere dolci creature: mi si spezza il cuore a vedervi agitare... Tutto ciò per trovare un senso, un ordine dove non c'è. Tutto ciò per ottenere l'immensità del vuoto.
Ho scritto fin troppo, mio destinatario. Permettimi di raccontarti un ultima fiaba. Forse tu non ne coglierai il senso, ma va bene lo stesso.
"C'era una volta un bambino che vedeva davanti ai suoi occhi un mondo grande e meraviglioso. Il piccolo viaggiava ad occhi spalancati, i sensi ben rivolti a ciò che lo circondava, assaporando la bellezza del tutto, accettandola. Sai cos'era quel bambino, per tutti coloro che non guardano, che vanno avanti coi paraocchi? Quello era uno scomodo pesce fuor d'acqua.
Al bambino fu insegnato come guardare con il giusto filtro: quello era il mondo, per tutti, tranne che per lui, il quale non concepiva quelle imposizioni.
Folle creaturina...
Egli fu gettato in un buco profondo, insieme a tanti altri diversi, odiati, incompresi. Quel buco divenne il suo di mondo."
Finì di leggere e poi piegò in due il foglio. Non ci aveva capito molto. Accese il computer. O meglio, si sporse per dare l'accensione ma il monitor prese vita spontaneamente. Apparve una scritta bianca sullo schermo:<<Ciao Semir, ti sono piaciute le storie?>>
Arricciò il naso con disapprovazione e digitò sulla tastiera.
<<MI stai spiando? Carine e... Intriganti le storielle. Oltre che essere un sapiente poeta hai parecchia fantasia>>
<<Sono molto peggio che in gamba. Immagino che dopo tutto il mio parlare a vanvera siate confusi: è quello che volevo. Butta via il foglio, ora.>> Semir decise di seguire il consiglio, ma nel farlo vide che tutte le scritte erano sparite, sostituite da una sola parola ripetuta su ogni angolo del foglio, fin quasi a risultare illeggibile:
SMETTILA
"Qualcuno ti osserva, non solo io. Mentre leggevi il mio piccolo trattato, si è scervellato tanto per capire le mie parole, che ho avuto tutto il tempo per porre una protezione su di te. Cercherà di spaventarti, ma per ora sarà soltanto tutto fumo e niente arrosto. Comunque non durerà in eterno.
Tra non molto nemmeno io potrò più contattarti, perciò sappi questo: tu servi a Leonard. Servi qui.
Qui dove?
Alzò gli occhi in tempo per veder una mano sporca di rosso apparire sullo schermo piatto e coprire l'ultima scritta: Summer Paint, Hotel Impression. Svegliati, ragazzo.
Solo che non apparve e basta: si appoggiò ed incominciò a spingere...
Il monitor s'incurvò in avanti.
Semir sobbalzò all'indietro: il suo computer prese fuoco.
Per un momento rimase come pietrificato. Non era normale che succedessero cose simili... No, no. Il suo maledetto computer! Ormai era andato.
Beh, poco male.
Si diede una scrollata.
Chiuse gli occhi.
Prese il vaso più grande che trovò e rimossa la piantina sparse la terra sulle fiamme.
Fortunatamente si trattava di un portatile... Ma la cautela non faceva mai male.
-Ok, qualunque cosa sia successa ora è finita.-
Batté più volte le palpebre prima di serrarle nuovamente, concentrandosi su un pensiero:
-Chi e perché mi ha contattato?- Non ricevette alcuna risposta, come si aspettava.
Si chiese se non fosse il caso di consultarsi con Leonard... No. Non ancora. Nonostante il mittente si fosse riferito esplicitamente al suo amico, sentiva che contattarlo sarebbe stato uno sbaglio ora come ora.
Ripensò alla lettera: secondo la bizzarra chat, a seguito della quale il suo laptop era spirato, doveva trattarsi di un diversivo. Per chi poi, non avrebbe saputo dirlo.
Diversivo o meno, a lui non sembrava una semplice serie di balle.
In passato Leonard aveva scritto un tema simile, basandosi su alcune datate teorie filosofiche relative allo spirito dionisiaco. Tale argomento aveva costituito per lui una vera fissazione, a quel tempo. Semir aveva altri interessi.
Aprì gli occhi, fissando lo sguardo sui rimasugli del portatile. Non gli sembrò per nulla un caso che si fosse incendiato.
-Quindi avrei davvero visto quello che penso?- scacciò dalla testa la domanda. In fin dei conti si trattava di semplici ideologie: nulla di concreto.
Da a quando lui ed il suo amico era stato impedito di vedersi, cercava di pensare il meno possibile. In caso contrario avrebbe ricordato e si sarebbe messo a piangere come una femminuccia. Non poteva permettersi di mostrarsi debole, nemmeno di fronte a sé stesso.
Si era assuefatto all'elettronica, allo scopo di non soffrire per la solitudine e tenere la testa occupata. Ora pensò fosse giunto il tempo di cambiare. Scosse la testa con disappunto, poi raccolse i frammenti della macchina sparsi in giro, riunendoli in un mucchio compatto dentro ad un sacco nero di plastica. Terminata l'operazione prese l'involto informe e lo fece precipitare fuori dalla sua finestra, precisamente dentro al cassonetto, da lui appositamente disposto tre piani più in basso.
-Vabbè... Adattiamoci-
Prese carta e penna ed incominciò a scrivere, tracciando le linee fondamentali di uno schema. Al momento non aveva molto su cui lavorare, ma gli sarebbe servito a concentrarsi e poi faceva molto poliziesco.
Si interruppe per dare un occhiata al cellulare. Nessun messaggio, chat o e-mail.

<<Ha recepito il messaggio, o almeno adesso è consapevole del pericolo. Ora deve apprendere l'entità del problema.>>
Continuò, immobile e composta, a fissare con occhi senza luce la finestra da cui poco prima erano precipitati i resti dell'apparecchio elettronico. Un gatto nero si strusciò contro le sue gambe.
<<Pare che anche quel coso abbia capito... Nonostante il messaggio fosse sibillino lei l'ha percepito... Pensi che debba parlare al ragazzo?>>. Finalmente era arrivata.
Piccola, magrolina... Ricordava vagamente lei nell'aspetto, come un'ombra. Tranne che per i capelli, la rossa chioma indomabile: quelli erano praticamente identici.
Sospirò al pensiero e scosse la testa.
<<Non abbiamo così tanto tempo... Mi chiedo a cosa serva lui. Se per questo, nemmeno il tuo amichetto si è mostrato utile finora>>.
L'altra scosse la testa nuovamente, sospirando per l'impazienza:<<Semir è stato un sostegno emotivo per quel ragazzo e lo sarà ancora... Noi del resto non siamo più utili: la nostra non è una sfida che ammetta puerili atti di eroismo, grandi azioni eccetera. In tal modo non potremmo vincerla.
Dovresti saperlo.>> scrutò con disapprovazione la ragazzina coi capelli rossi.
L'oro nei suoi occhi per un momento fu attraversato da un lampo, che si affrettò a nascondere.
<<A maggior ragione dobbiamo sbrigarci.>> rispose con maggiore forza.
<<Egli è vulnerabile ed in pericolo come gli altri. Appena saprà tutto quanto non avrà più nessuna sicurezza: a parte te.
Accomodati, ma pensa alle conseguenze.>>
<<E tu che farai? Resterai nascosta immagino.>>
La guardò senza riuscire a provare nessuno dei sentimenti passati. Non appartenevano a quella patetica imitazione.
<<Qual è il tuo nome?>> La fissò gelida, osservando la decisione ed il senso di superiorità sparire dal suo sguardo.
Soddisfatta proseguì:<<Abbiamo un fine in comune, ma siamo troppo diverse. Io non voglio capirti. Lo stesso vale per lei...>> ebbe un tremito e vacillò per un istante. <<...Ognuno farà meglio a modo suo.>>
Dopo aver parlato la sua figura sparì del tutto.
La ragazza più piccola si alzò, esponendo alla scarsa luce una silhouette aggraziata ma ancora acerba.
Lei decideva per sé stessa.
Spiccò un potente salto e si avvicinò alla finestra del palazzo in ombra... Rimase ferma in attesa sul tetto a terrazzo, attendendo che l'uomo si addormentasse, o che perlomeno lasciasse la stanza dandosi per vinto.

Semir non aveva nessuna intenzione di darsi per vinto.
Eppure non riusciva a farsi un idea della situazione... Forse perché non aveva nulla in mano. Non capiva che senso potesse avere per lui il messaggio, a parte una gradevole lettura.
Fece scorrere la penna sul foglio, aggiungendo dettagli allo scarabocchio informe appena tracciato.
Forse qualcuno gli aveva fatto uno scherzo. No. Troppo elaborato.
A meno che qualche folle lo stesse prendendo di mira... Idiozie! Non era da lui lasciare le cose al caso: nessuno avrebbe potuto tenerlo d'occhio senza che lui se ne accorgesse!
L'esplosione del computer?
-Malfunzionamento o sabotaggio?- No. Una mano aveva premuto sullo schermo, da dentro. Si fidava dei suoi sensi.
Seguendo il ragionamento del mittente, la lettera doveva servire come distrazione per lui e qualcun altro. Chi?
Valeva la pena di farsi domande simili? Ora che Leo... Cosa? Poteva essere un semplice scherzo. Doveva fare l'autostop fino al lago? Magari l'autobus...?
Cagate. Non avrebbe avuto senso.
Fece scattare la penna.
<<Non importa.>>

"Quello è paranoico... Quante domande senza alcuno scopo. Del resto, per una mente razionale è necessario dare un senso logico ad ogni cosa. Razionalizzare. Peccato che in questo modo non arriverà da nessuna parte."
La ragazza si chiese se non fosse il caso di mostrarsi e farla finita. Conseguenze? Le avrebbe affrontate.

Sbocconcellò qualcosa dal frigorifero, di nascosto dai genitori: mezz'ora fa aveva detto loro di essere troppo stanco per cenare. Sontuosa balla!
Rientrò in camera con una mappa ripiegata in tasca.
Mentre la consultava prese ad accarezzarsi con cura i lisci capelli corvini ed aggiustò la frangia, evitando di coprire gli occhi. Li aveva lasciati crescere troppo. Una volta Leonard gli aveva suggerito, vista la velocità a cui ricrescevano, di farsi acconciare i dreadlock, o come li chiamava lui con falsa ignoranza, le treccine da rockettaro. Quanto avevano riso così genuinamente, fino a lacrimare, noncuranti delle occhiate della gente per strada. Sorrise, perdendosi per un momento nel ricordo.
L'itinerario era fatto: doveva stabilire il mezzo e... Voleva davvero andare?
Qualcosa batté sulla finestra. Si girò a guardare.
Un uccello picchiettava col becco sul vetro, agitandosi sul piccolo davanzale tra saltelli e battiti di ali.
Semir si avvicinò al vetro per osservarlo meglio, con sincera e genuina curiosità.
Era uno scricciolo?
Non di trattava di un volatile tipico della zona: gli era capitato di vederne alcuni ma non nella sua città e non di sicuro in periodo invernale. Era più comune vedere stormi di piccioni, rondini e qualche tordo, di tanto in tanto... Quell'animaletto pareva fuori posto.
Eppure Semir pensò che l'uccellino fosse proprio dove avrebbe dovuto stare: quel piccolo (o piccola) gli ispirava simpatia.
<<Se io aprissi non scapperesti, né ti metteresti a volare per la stanza, vero?>>. Sentendolo parlare lo scricciolo si fermò, puntandogli contro gli occhietti vispi ed inclinando la testolina. Fu sufficiente come risposta.
Aprì la finestra e lo fece salire con delicatezza (pensò che fosse domestico vista la docilità che dimostrò) sulla sua mano. Dopo aver chiuso si sedette di nuovo con il nuovo arrivato vicino, lasciandolo a saltellare agilmente sulla scrivania. Continuò a pensare, fare progetti e scarabocchi, ma senza che se ne accorgesse la sua concentrazione scemò con il crescere del sonno: dopo poco tempo si sdraiò, per poi addormentarsi sotto lo sguardo attento dello scricciolo.

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