Capitolo IV
La cena coi ragazzi fu gradevole. Notò i sorrisi allegri e spensierati che gli rivolgevano, come ridevano e scherzavano con lui... Sembrava che avessero scordato il pomeriggio precedente. Li invidiava.
Lui non poteva permettersi un simile lusso. No, in realtà non voleva. Non c'era in questo alcuna pretesa masochistica, nessun inutile menata: semplicemente ciò che aveva visto e sentito era troppo strano per essere ignorato.
Forse lui non era sicuro per quanto riguardava i suoi sensi, ma aveva due certezze:
1.il giorno precedente il Baroque si era presentato privo di anima viva;
2.Il biglietto trovato era un'ovvia richiesta di aiuto. Reale quanto la tasca anteriore dei jeans di Leo, nella quale era riposta.
Due fatti inconfutabili, testimoniati dai ragazzi e dall'adulta Letizia.
Il mattino successivo chiese al receptionist se c'era modo di fare dei controlli presso gli altri hotel, spiegandogli in breve gli avvenimenti del giorno precedente. <<Se ne occupano degli addetti. Pensa a fare il tuo lavoro con i bambini, o non ti riesce nemmeno quello?>> rispose quello senza guardarlo, mentre riordinava dei documenti sparsi a terra.
-Già- pensò Leonard -Cosa dovrei fare? Ci sono già loro a cui pensare...-
In quel momento la voce esplose nella sua testa.
"Prendi lezioni di vita da quel ratto adesso?"
-Non è una lezione di vita, è il mio dovere.-
"Cazzate! Non è questo il punto, Leo. Tu lo stai facendo il tuo lavoro... E lui? Ti sta criticando solo per pigrizia. Per lui i tuoi interessi non sono altro che una seccatura. Se ti arrendi così facilmente non cambierai nulla!"
-Cosa cambierebbe? Non mi gioverebbe in ogni caso.-
"Cambia che facendo qualcosa non avrai più scuse. Non dovrai autocommiserarti in eterno."
-Dov'è il problema se mi autocommisero? Ma soprattutto cosa te ne importa? Sei la mia cazzo di coscienza per caso, o magari è un altro dei tuoi passatempi?-
<<Se non hai altro da dire vattene a fantasticare da un'altra parte. Mi dai fastidio, lì impalato>> subito dopo queste parole l'impiegato fu colto da un potente accesso di tosse e si appoggiò al bancone.
"...IO... Mi dispiace."
Leonard aveva sentito un brivido percorrergli il corpo. Senza pensare abbatté con violenza la mano sul bancone
<< Ti dispiace!? Per cosa? Mi hai solo trattato come lui, come fanno tutti gli altri.>> si accorse che l'uomo dietro al bancone rantolava, chino accanto alla parete. Impiegò qualche secondo per raccapezzarsi e poi corrergli vicino. Mentre Leo si chinava a soccorrerlo questo alzò un mano, fermandolo.
"Calmati. Aiutalo ma datt..."
-Non darmi ordini!-
"Allora lascialo lì. Lascia che muoia, Leonard. Però io e te dobbiamo comunque trovare una qualche forma di accordo."
-Lo dici tu.-
L'uomo borbottò qualcosa di vago riguardo a delle pastiglie, nel bagno. Leo parve intuire e si allontanò in fretta. Entrò nella fredda stanza bianca, che odorava di ammoniaca. I lavandini erano spogli, non c'era traccia di qualsivoglia flaconcino.
Si voltò verso le toilette, chiedendosi se dovesse cercare anche lì. Prima che potesse darsi una risposta la porta del bagno si serrò.
La serratura scattò.
Sentì dei passi leggeri sulla moquette dell'ingresso.
Una figura minuta scavalcò il bancone ma, prima che lui potesse riconoscerla, lo colpì in volto.
<<Stai giù. Non mi guardare. Riferisci al tuo capo quel che ti ha detto La Reine. CHIARO?>> l'ordine fu seguito da un calcio sullo stomaco.
<<..chi... aharo...>> si sbrigò a rispondere il receptionist. La persona in piedi vicino a lui non si mosse.
<<Poveretto... Stai tanto male da non riuscire a stare in piedi... Perché le cose stanno così, vero? Ti sei sentito male, sei vecchio, non hai più la salute di un tempo.>> aggiunse lei in tono confidenziale. Lui annuì, trattenendo un colpo di tosse: quello rimase lì, a pungolargli la gola.
Una mano gli si posò sull'addome: subito dopo il dolore del calcio si placò. La mano risalì fino ai polmoni in fiamme e questa volta il bruciore si attenuò, senza però sparire del tutto. Terminò anche la tosse.
<<Un'altra cosa. Presto o tardi, quella persona prenderà anche te. Scegli bene come vivere il tempo che ti resta.>>
Senti i suoi passi leggeri allontanarsi, ma non osò alzarsi. Si raggomitolò in posizione fetale.
Non vedeva più niente, solo nero torbido, come se i suoi occhi fossero stati ricoperti di pece.
"Esci da lì, subito!"
Troppo tardi.
Poco a poco perse il controllo del suo corpo e cadde carponi.
DEVI GUARDARE DA VICINO
Fu trascinato in avanti contro qualcosa di duro e freddo.
<<Cos...?>> una forza senza forma gli spinse in giù la testa. Capì subito cosa stava per succedere e tentò di trattenere il fiato mentre la sua testa veniva spinta nel water. L'acqua iniziò a scorrere, inondandogli la testa. Passarono svariati secondi, durante i quali la tazza si riempì fino a traboccare: dopo qualche tentativo disperato di liberarsi Leonard smise di muoversi.
Doveva trattenere il fiato.
Forse lo avrebbe lasciato.
Allora perché continuava a tener... L'aggressore gli sollevò la testa.
Da qualche parte una porta sbatté contro le piastrelle.
"LASCIALO!"
Sentì dei passi vicini. Stava per essere spinto di nuovo giù, ma poi la presa venne meno e Leo ne approfittò per riempire i polmoni... Si passò inutilmente la mano sugli occhi: continuava a non vedere nulla. In compenso sentiva fin troppo bene gli odori: detersivo e rimasugli rimasti incrostati nella tazza. Ebbe un tremito e subito dopo un conato, che trattenne istintivamente.
Ne seguì un altro. Diede di stomaco.
Passi. Alla sua destra, poi dietro di lui.
<<Leo?>>
Senza nemmeno capire come, si ritrovò inginocchiato sopra quello che presumeva essere l'aggressore, cercando con foga la sua gola... Di chi? Già che c'era gli sarebbe piaciuto sapere chi stava per strangolare. Non che facesse differenza.
Qualcuno lo prese per i capelli, per poi trascinarlo verso una parete.
In un lampo doloroso la stanza riprese forma.
Per prima cosa vide il pavimento. Qualcuno, che non riconobbe subito, era sdraiato a terra. Tossiva.
Un'altra figura lo sovrastava.
<<Alzati.>> ordinò questa. Obbedì.
Il più potente manrovescio che possa essere concepito lo colpì sulla mascella. Si sbilanciò ma riuscì ad appoggiarsi e non cadere. Già si aspettava il prossimo ceffone, che non tardò ad arrivare.
L'aggressore lo prese per i capelli e lo fissò col suo sguardo glaciale.
<<Non c'è due senza tre.>> quella voce grave e fredda, la conosceva:<<Let...>> Questa volta fu un pugno a centrarlo, sullo zigomo destro. Batté il cranio all'indietro, contro la parete e non riuscì più a frenare la caduta. Lei lo afferrò per il colletto della camicia, sostenendolo solo per proseguire con il suo trattamento.
Si fermò di colpo, la mano già alzata, dopo un <<BASTA!>> supplichevole da parte di Leonard. Lui cercò di aggiungere qualcosa per evitarsi altre botte, ma riuscì solamente ad emettere rantoli confusi. Non capiva più nulla. Temeva che la testa stesse per esplodergli.
<<Non mi ha fatto niente, cretina! Ha... ha avuto una sorta di attacco... Stava vomitando...>>
-Attacco?- qualcuno aveva tentato di affogarlo in un cesso! Guardò verso sinistra e vide Ambra seduta terra. Letizia lo squadrò con uno sguardo omicida. Fece scrocchiare un paio di volte le dita della mano sinistra (quella con cui l'aveva colpito). Leo immaginò che le facessero male.
<<E' vero quello che ha detto lei, te lo giuro.>> balbettò il ragazzo.
<< Ah c'ha ragione lei. Mi sorella n'artro po' l'ammazzi e mo c'ha ragione lei?>>
Leo non rispose ancora.
Letizia parlò nuovamente, scandendo con lentezza le parole:<<Hai assunto droghe o acidi?>> questa volta lui scosse la testa, con esagerata convinzione. Tossì per schiarirsi la gola e continuò:<<Mi hanno aggredito! Non so chi... Ma mi ha quasi affogato...>> indicò verso i cubicoli <<Non sapevo fosse lei... Ambra, scusami. Ho attaccato alla cieca.>> notò che la ragazzina aveva abbassato la testa, nascondendo il viso con le fitte ciocche rosse. Sembrava tremare.
Sua sorella invece non mostrò un minimo di comprensione. Gli afferrò un braccio per avvicinarlo finché non si trovarono naso contro naso. Per un momento il suo sguardo parve perquisirgli l'anima stessa. Batterono le palpebre all'unisono.
<<Noi n'amo visto 'scì nessuno e quanno semo arivate te ancora là stavi.>>
Leo impiegò un istante per capire, frastornato com'era.
<<Non so cosa dirti.>>
Ambra intervenne, con voce flebile:<<Per favore lascialo stare... Lui non centra.>>
Letizia la guardò con rabbia:<<Ma zitta un po'. Ce parlo io con sto cojone.>>
<<Leti, io mi... c'è qualcosa che non va.>>
Uno dei neon esplose in un nugolo di scintille. Gli altri presero a sfarfallare.
Possiamo cominciare.
La ragazzina prosegui, con una nota acida nella voce:<<Lascia che risolva io la questione.>>
Letizia allentò la presa sul braccio di Leo e quest'ultimo deglutì, senza capirne il motivo.
Lo sportello del cubicolo tra loro due e la ragazzina, si aprì lentamente. Leo vide Ambra alzarsi, notando il vuoto che c'era nei suoi occhi subito prima che venisse coperta dalla porta. Rimasero visibili solo le sue converse rosse ed i due piedi nudi e violacei che le camminarono incontro.
Una specchiera, opposta alle turche, si frantumò e nello stesso istante lo sportello si richiuse di scatto, sbattendo. Non c'era nessuno a parte la ragazza dai capelli rossi e dallo sguardo spento, diretto verso Letizia.
<<Se ti dico di lasciarlo andare tu lo fai.>> borbottò con voce piatta. Letizia parve non accusare il colpo quanto lui: si limitò ad inarcare un sopracciglio ed a girarsi verso la bambina, senza accennare altri movimenti.
<<Sai, volevo spaventarlo un po', lui. Ma forse è meglio che faccia qualcosina anche a te, Leti. Qualcosa di definitivo.>> mentre parlava si sporse verso uno dei lavandini e raccolse un coccio dello specchio grande quanto la sua mano.
Leo sentì venir meno la presa al suo braccio. Guardò alla sua destra, verso Letizia.
Batté le palpebre due volte ed i cocci aumentarono sul viso della ragazza: uno, conficcato in diagonale, andava dalla poltiglia che doveva aver costituito il bulbo oculare al lobo sinistro, tagliato in due; un altro le sporgeva da sotto il mento... Il suo corpo ne era ricoperto. Prima che Leonard potesse prender fiato per strillare lei si girò a guardarlo: <<Cosa vuoi?>>
Era un po' troppo calma e forse un tantino più viva di quanto si aspettasse. Lentamente sollevò una mano, fino a sfiorare i frammenti dello specchio. I suoi -il suo occhio- si spalancò: più che dolore o paura, il suo sguardo era colmo di stupore. Aprì la bocca, tentando di dire qualcosa:<<A...>> il suo corpo scoppiò.
Per la precisione, prima si accartocciò su sé stesso, dopodiché si riversò in pezzi su tutto ciò che lo circondava.
<<Questa era l'introduzione Leo. Non è forse questo ciò che dicevi di aver visto in quel vicolo? Ho riprodotto bene la scena?>> a queste parole seguì una risatina stridula. Leonard mantenne lo sguardo sul punto in cui prima c'era Letizia. Come se ne fosse attirato.
<<Dove guardi? Lei è qui...>> indicò un grumo di capelli e pelle che colava sul muro <<...oh, e qui, laggiù...>> prese a gesticolare indicando vari punti della stanza.
Leo chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Si stava avvicinando.
Punto uno: lui era un uomo di media statura, non atletico ma nemmeno gracile o debole. Difficilmente quel peso piuma di adolescente avrebbe potuto sopraffarlo.
Punto due: un'altra persona era appena esplosa di fronte a lui. Forse il pensiero logico non si adattava bene alla situazione.
<<Pensi troppo a vuoto secondo me.>>
Aprì gli occhi. Lei era di fronte a lui, immobile.
La prima cosa che notò fu che i suoi occhi erano tornati espressivi.
Era immersa in un pianto silenzioso. La mano con il coccio era tesa in avanti, tremante e tanto stretta al pezzo da sanguinare. Sembrava combattuta.
"Non provare nemmeno a toccarla. Moriresti prima di poter contrarre i muscoli."
Solo ora gli dava consigli?
Sentì la ragazzina balbettare, guardandosi intorno:<<Cosa ho... No, no, no, per favore non lei...>>
-Che?-
Qualcosa cambiò.
Batté le palpebre incredulo. Il rosso intenso del sangue sulle piastrelle era sbiadito fino a tornare bianco sporco. Anche lo specchio era intatto, ad eccezione di qualche linea opaca... Ambra era ancora di fronte a lui, ma la sua espressione era diversa, stupefatta, con un tocco malinconico. Le guance della bambina erano rigate di lacrime, di cui lei stessa pareva stupita. Guardava alla destra di Leo.
Con un filo di voce domandò dove fosse sua sorella. Per un momento, mentre l'agitazione e la paura sfumavano, nella mente del ragazzo esplose qualcosa. Fu un istante tanto breve che se ne scordò subito. Per qualche strano motivo, la sua faccia ed i capelli erano umidi.
<<Proprio non saprei>> rispose, sovrappensiero. Aveva una strana confusione in testa, ma nulla di più. <<magari è uscita per conto suo.>> le sorrise, cercando di essere rassicurante.
<<Oh, immagino che sia così.>> ammise lei, abbozzando un sorriso poco convinto. Si sistemò i capelli un po' arruffati. Leo notò una lunga cicatrice sul suo palmo. Non era l'unica in realtà. Ne aveva altre su braccia e gambe. Cicatrici e segni di bruciature.
<<Beh, forse dovresti salire a vestirti.>> continuò lui. Ella annuì. Del resto, era in vestaglia.
Uscirono dal bagno insieme e trovarono il receptionist ad aspettarli. Sembrava leggermente affannato. Con insolita cortesia disse loro di sentirsi meglio: non aveva più bisogno delle pastiglie. In ogni caso non si trovavano.
Leonard salì le scale con calma, senza star dietro al passo veloce e saltellante di Ambra.
Nessun pensiero lo turbava.
Istria, 1946
Buio.
Doveva aver dormito per parecchio tempo.
Non riusciva a muoversi, sentiva il corpo inerte, sotto un peso infinito. Come faceva a respirare, sotto quel carico?
...
Semplice. Non respirava. Com'era possibile che fosse viva allora? Non pensava di poter resistere fino a questo punto. Era sempre stata debole, incapace. Eppure si rifiutava di farsi sommergere.
Con grande sforzo riuscì a spostare il braccio di pochi centimetri. Le costò un dolore tremendo. Ciò fu sufficiente a far tremare parte della massa sovrastante. Non aveva indizi su cui basarsi per capire di cosa si trattasse: i suoi occhi erano come ciechi, il suo olfatto non funzionava in mancanza di respirazione ed il suo ventre era troppo schiacciato per permetterle di inalare aria. Nessun rumore. Se non qualche insetto che si muoveva nel mezzo di quell'ammasso indistinto. Il suo corpo, rimasto inattivo per tanto tempo, era quasi totalmente inerte.
-Per quanto dovrò restare così?-
Si concentrò sulle schifose presenze degli insetti. Schifosi e miserabili. Li detestava. Eppure essi avevano molta più libertà di lei in quel momento. Li detestò ancor di più.
Due immagini attraversarono la sua mente, forse ricordi: prima, una miriade di volti spaventati, irati, pieni di disgusto; seconda, la luce che svaniva poco a poco, facendosi sempre più lontana e flebile.
Una scarica le attraversò il corpo.
La comprensione si fece strada fra i suoi pensieri. L'avevano gettata in quel buco, sepolta insieme a migliaia di altri, uomini e donne. Alcuni come lei, altri semplicemente sfortunati. Tutti spacciati. Solo che lei non era morta.
Come un tizzone ardente sferzato da un venticello fugace, l'odio riprese a bruciare. I corpi fecero da combustibile.
Quel giorno si era sbizzarrito facendo divertire tutti quanti, preso da un euforia che non sapeva di poter sprigionare.
Aveva più volte riflettuto su cosa dovesse dire a Binetti, ma si era accorto che in realtà c'era ben poco di cui parlare. I suoi presupposti attualmente erano basati solamente su presentimenti e sensazioni ignote, senza contare la voce. Ed il biglietto. Gli sarebbe piaciuto chiedere a Letizia di accompagnarlo, come testimone e maggiorenne... Ma non l'aveva ancora vista in giro.
Aveva deciso di lasciar perdere per il momento le riflessioni e di godersi la passeggiata in spiaggia. Il clima era mite, non troppo umido: offriva loro una leggera frescura.
Persino il panorama appariva rischiarato. Il lago, circondato dalla cintura di rigogliosa vegetazione, per lo più incolta ma comunque sotto controllo, sembrava perdersi in una sincera promessa di sicurezza. Poteva essercene davvero, in mezzo a tutto quell'ignoto?
L'indomani l'avrebbero costeggiato e successivamente avrebbero potuto fare delle gite sull'acqua (aveva visto un traghetto abbastanza grande per tutti, ormeggiato presso il molo), inoltre c'era a disposizione un intera collina morenica, ricoperta di fitta boscaglia e prati, tutto ciò scolpito in una vallata poco lontano dalla riva.
Prima di terminare il giro aveva preso a spalle i ragazzi e le ragazze più piccoli con sommo divertimento di ognuno.
La piccola Anna gli aveva buttato della sabbia in testa urlando... Ambra invece lo aveva evitato per tutto il giorno. Era riuscito a parlarle solo per qualche momento, durante una pausa. Sembrava turbata da qualcosa, ma lo teneva per sé. Probabilmente centrava l'assenza di Letizia.
La voce non si era più fatta sentire.
Quella sera Leonard aveva parlato più del solito, discorrendo coi suoi piccoli amici di argomenti adorabilmente vuoti.
Tutto andava avanti, illuminato da una luce nuova e rassicurante, intrisa di normalità e calma: era davvero piacevole.
Persino i cuochi si erano mostrati più amichevoli ed avevano preparato un piccolo buffet.
Nel gruppetto dei ragazzi erano spuntate delle piccole nuove amicizie, oltre a quelle già consolidate. Era divertente osservare i battibecchi tra ragazzi e ragazze, molto meno movimentati di quello tra Gabriele ed Ambra... A dire il vero anche quei due sembravano aver fatto amicizia, o almeno andavano d'accordo. Non troppo strano.
<<Credo che Dalia abbia una cotta per te.>> buttò lì Cisco, tra una cucchiaiata di torta e l'altra. Sara lo squadrò con curiosità. <<Per Leo, dici? Come mai?>> il giovane in questione si interessò leggermente alla conversazione, una delle tante, tra i bambini. Cisco e Sara parevano fin troppo in sintonia, quanto potevano esserlo due secchioni, saccenti e petulanti fino allo sfinimento. Leo non si fece troppe domande: certe amicizie nascevano e basta.
Piuttosto, il vero problema era il loro chiacchiericcio rintronante.
<<Già, cosa te lo fa credere?>> cercò di intervenire, del resto la conversazione lo riguardava.
<<Beh, non che me ne abbia parlato, ma ti guarda spesso e sospira...>>
<<Un po' come fai tu con...>> una gomitata da parte del ragazzo la interruppe.
Leo soppresse una risata.
"Perciò adesso va tutto bene?"
-Lasciami stare-
Mezz'oretta più tardi gran parte del gruppo se n'era andata e due camerieri erano intenti a sparecchiare la lunga fila di tavoli collegati. Riferirono a Leonard che si sarebbero trovati nella cucina di lì a poco. Uno di loro gli offrì una sigaretta ma lui rifiutò. In compenso gli venne voglia di una boccata d'aria.
<<Posso accompagnarti?>> la voce di Ambra lo sorprese alle spalle. Si voltò a guardarla.
<<Fuori?>>.
<<Dal tipo che dirige la baracca. So che vuoi parlargli.>> precedette la sua domanda <<Anche Letizia voleva fare una chiacchierata con lui su quello che è successo l'altro ieri, ma ora lei non c'è. Alvaro è una vecchia conoscenza... Di famiglia.>> nel pronunciare l'ultima parola fece un sorrisetto sarcastico e sprezzante. Leo si astenne dal chiedere se ci fossero dei problemi tra i loro parenti. Era piuttosto ovvio.
<<Vuoi attaccar briga?>>
<<No.>>
Leo sospirò scuotendo la testa.
<<E le tue amiche?>>
<<Sopravvivranno. Ho detto loro che ruberò qualche alcolico dalla dispensa. Sara non ne ha mai provato uno...>>
<<Tu e Dalia sì?>> lei annuì, arrossendo leggermente.
Alla fine Leonard acconsentì ed Ambra lo seguì anche in terrazza. Leo fu preoccupato per quasi tutto il tempo, pensando a quanto la situazione potesse apparire equivoca.
"Del resto la diffidenza nei confronti di chi bada ai bambini ha i suoi fondamenti... E pure i pregiudizi, checché se ne dica."
Forse avrebbe dovuto accettare la sigaretta. Si sentiva...
"Turgido?"
Ambra ridacchiò sentendolo sobbalzare.
<<Senti le voci?>> Leo annuì distrattamente, pensando che scherzasse.
<<Appena scoprirò di chi si tratta, non avrà più modo di parlare.>> aggiunse lei, bisbigliando.
Leo la guardò esterrefatto:<<Cos'hai detto?>>
Lei, che era appoggiata al parapetto non si girò nemmeno.
<<Non ho detto niente. Sono dieci minuti che siamo qui in silenzio. Sei pensieroso, tanto per cambiare.>> accompagnò l'affermazione con un sospiro annoiato.
"Balle, hai sentito benissimo."
<<E' che non so cosa dire... Non ci conosciamo molto...>> si avvicinò anche lui al bordo.
<<Chiedimi qualcosa di me allora.>>
Leo si strinse nelle spalle. Cosa poteva chiedere?
Alla fine domandò:<<E' così importante per te?>> lei annuì, questa volta guardandolo.
Il giovane sospirò, sconfitto.
<<Ti piace stare qui, le persone e tutto il resto...?>>
Ambra sembrò sorpresa: forse si aspettava qualcosa di più personale.
<<I ragazzi sono simpatici, ma infantili. Non mi lamento però... Ho delle amiche carine ed intelligenti. E leali, mi sembra. Qui poi è tutto bellino, un po' bizzarro a volte, ma forte. Direi di sì, mi piace.>> la sua espressione era pacata e disinvolta <<E' un posto come gli altri, ma non meno bello. Comunque qualcuno d'interessante c'è.>>
Gli rivolse un sorriso da un orecchio all'altro assumendo un espressione sorniona. Leo ricambiò il sorriso sentendosi leggero.
<<Ruffiana.>> borbottò.
<<Chittesencula... Cioè, io... Non parlavo di te.>> detto questo, però, una sincera dolcezza le si dipinse sul viso.
<<Beh, non sei malaccio.>>
Si sentì beato e felice nel guardarla.
Per un sorriso?
"Già"
<<Siete solo voi tre... Tu, Letizia e Anna?>>
<<Annina non è con noi. Sta coi suoi... Loro...>> s'interruppe lei, titubante.
<<Nessuno ti costringe a parlare, rossa.>> la tranquillizzò Leo, nonostante la curiosità.
Ambra lo squadrò, indecisa. Nel mentre riprese a scavarsi la guancia con le unghie. Era rimasto il segno, dall'ultima volta.
<<I suoi genitori ci aiutano. Abbiamo avuto qualche... Problema. Con la nostra famiglia. Anna non ne sa nulla. Loro ci hanno offerto vitto, alloggio ed ora questa vacanza. Sono persone molto gentili. Però non significa che io stia con Anna solo per convenienza. Solo, con lei mi sforzo di essere più dolce: del resto è una bambina.>>
<<Non avete molta differenza d'età.>>
Lei annuì pigramente.
<<E... Leti, io sono con lei. Detto così sembra stupido e strano ma è così. Ci proteggiamo a vicenda. Come sorelle.>> aveva gli occhi lucidi, carichi di tenerezza.
-Come?-
<<Sei brava a parlare senza far trapelare molto.>> sorrise Leonard.
Lei ricambiò il sorriso.
"Vuoi lusingarla?"
<<Scusa.>>
<<Tranquilla.>> Non chiese altro. Sentiva una certa amarezza.
Anche lui dovette rispondere a qualche domanda, per compensare, pur mantenendosi sul vago.
Citò vagamente i suoi genitori, Semir ed una ragazza di cui lamentava il rifiuto da un annetto.
Le reazioni seccate della ragazzina alle sue risposte criptiche lo divertirono per il tempo restante.
Alla fine dovette arrendersi alle richieste di Ambra ed insieme raggiunsero la cucina.
Trovarono i camerieri ed i cuochi intenti a cenare su dei tavoli da lavoro, uniti appositamente allo scopo di facilitare le conversazioni.
Con loro c'erano due inservienti, il cameriere gentile (anche sta volta gli fece un sorriso, segnato però dalla stanchezza), il tipo della reception ed un uomo robusto, intento a mangiare con tutta calma, senza però dimenticarsi di ascoltare chi gli stava intorno. In tutto erano undici persone (la squadra di calcio del paese...), esclusi Leonard ed Ambra.
Si avvicinò al tavolino su cui si stavano servendo ed alcuni di loro lo salutarono, anche se con scarso interesse. Nessuno parve notare la piccoletta al suo fianco.
L'uomo robusto lo guardò con tranquillità e contegno.
Egli volle ricambiare lo sguardo, sforzandosi per non abbassare gli occhi. L'altro sorrise leggermente, e lo invitò ad avvicinarsi con un cenno. A questo punto la sua identità era piuttosto ovvia.
Si sedette accanto a lui ed aspettò che gli rivolgesse la parola, osservandolo nel mentre.
Si trattava di un uomo alto dalla postura eretta ed elegante. Doveva aver avuto un educazione severa, vecchia scuola, pensò Leonard. Portava una giacca aperta, sotto la quale era visibile una maglia di cotone blu, in linea coi tre quarti, anch'essi blu.
Le sue mani sicure terminavano con dita affusolate, curate e pallide. Era lui stesso molto pallido, a differenza di Leonard, il quale aveva la pelle abbronzata ma soprattutto scottata dal sole (su di lui aveva effetto immediato).
<<Buonasera, giovanotto. Anche a te cara.>> esordì Binetti, scrutando con severità sia lui che Ambra, la quale nel mentre si era seduta dall'altra parte del tavolo, senza fare complimenti.
Aveva occhi piccoli e svegli di colore verde, che mostravano una certa dolcezza, contornati da sottili rughe portate dall'età.
Parlò a Leo con tono rispettoso e conciliante (la sua voce era pacata e profonda): <<Tu non parli molto, giusto?>>
Pensò se non fosse il caso di sottolineare nuovamente che non sapeva cosa dire. Meglio non girarci intorno.
<<Sono di poche parole...Mi perdoni, ma vorrei riferirle una cosa che ritengo particolarmente importante.>>
<<Schietto fin da subito, bene!>> qualcosa lo distrasse per un momento, ma Leo non seppe dire cosa.
Binetti proseguì come se nulla fosse <<Carl mi ha accennato qualcosa, ma vorrei conoscere la tua versione. Era piuttosto agitato.>> così dicendo fece un cenno verso il receptionist. <<Dimmi pure.>>
Gli raccontò della loro gita al 'Baroque', della mancanza di personale oltre che dei clienti e per finire del biglietto trovato. Dopodiché glielo porse.
Binetti lo prese e lesse il messaggio scritto su di esso corrugando la fronte, poi lo guardò con serietà.
<<Abbi presente che se tutto questo dovesse essere uno scherzo, e lo venissi a sapere, sarai licenziato seduta stante.>> Leonardo annuì, stranamente deciso <<Detto questo, la faccenda è effettivamente sospetta. La scrittura sul foglio appartiene ad uno dei miei dipendenti, la riconosco... A meno che non ci siano stati incidenti non c'è motivo per cui il personale debba lasciare la postazione prima della fine del turno, senza il mio permesso, ben inteso. Non esiterò a recarmi sul posto personalmente, senza deleghe, per controllare.>> prima di concludere aggiunse:<<In ogni caso hai gestito sufficientemente bene la situazione, ottimo.>>
Gli porse la mano.
<<Non ci siamo ancora presentati personalmente: immagino tu lo sappia già, io sono Alvaro Binetti, il proprietario di questo parco.>>
Leo strinse la mano sentendo una presa sicura ma gentile da parte dell'uomo.
<<Leonard La Reine, suo lieto dipendente. È un piacere conoscerla!>>
L'uomo accennò un sorrisetto sarcastico.
<<Non esagerare con il finto entusiasmo giovanotto: tienilo per i nostri apprezzati clienti. Puoi parlarmi con sincerità.>> si volto verso il lato del tavolo dove Ambra lo fissava, tutt'occhi, in modo piuttosto inquietante. Continuava a graffiarsi la guancia, ora visibilmente arrossata.
<<Qualcosa non va signorina?>> lei finse di riflettere sulla domanda.
<<Notizie da papino?>> Binetti storse il naso, pur mantenendo il suo contegno.
<<Non mi interessano le provocazioni. Forse suo padre avrà meno grattacapi senza v...>> si fermò, forse ricordandosi dove si trovava.
<<Continui, la prego. Temo di dover dissentire però...>> Ambra alzò di parecchio il volume <<non sentirà la nostra mancanza.>> il suo sorriso, in quel momento faceva concorrenza a quello del Joker.
<<Giusto. Con tutti i problemi che gli avete dato, sarà lieto della vostra assenza.>>
Il resto della sala ascoltava, in silenzio.
Ambra rise, amara:<<Oh, io invece credo che avrà difficoltà anche solo a respirare, per il resto dei suoi giorni... Figuriamoci pensare.>>
<<Siete state v...>>
Lei si alzò, scagliando via piatti e bicchieri. Pareva pronta a saltare sul tavolo e prendere a calci Binetti.
<<TU LO SAI BENE COSA FACEVA A MIA... A LETIZIA... Ma non ti è mai saltato in mente di dire nulla.>>
L'uomo si voltò di scatto ed allo stesso tempo inspirò profondamente, come se volesse scacciare qualcosa d'imbarazzante e fastidioso.
<<Non so perché debba ascoltare le sciocchezze di una ragazzina malata mentalmente.>> si rivolse a Leonard, ignorando il suo sussulto:<<Hai invitato tu questa ragazza?>>
Ambra lo interruppe con una fredda risata, prima che Leo potesse rispondere:<<Sarò pazza, ma so pensare più che bene, a differenza tua. Per la cronaca mi sono auto-invitata per l'occasione. Letizia aveva di meglio da fare... E le tue cortesie te le puoi ficcare su per...>>
<<Chiedo scusa. Credo sia un po' troppo tardi per conversare. Ci aspetta una giornata piena, domani!>> intervenne Leo. Si alzò, facendo un cenno alla ragazzina, che stranamente non fece una piega e si lasciò trascinare, senza però distogliere lo sguardo da Binetti.
<<Buona serata, signore.>> concluse, dirigendosi verso la porta.
<<E' stato un piacere.>> lo salutò Binetti.
Avrebbe voluto rispondere allo stesso modo, ma non lo fece.
Perché l'aveva portata?
Uscì dalla cucina stringendo moderatamente la mano di Ambra. Lo stupivano sempre i suoi eccessi d'ira, ma in quel momento era qualcos'altro a preoccuparlo. Era stato breve, ma aveva notato comunque il lampo vacuo nel suo sguardo. Qualcosa dentro di lui lo aveva spinto ad allontanarla da quell'uomo: non certo l'indole lunatica della ragazza, ma piuttosto una serie di immagini, esplose simultaneamente nella sua mente.
Iniziava a ricordare qualche frammento. Nonostante la spiacevole consapevolezza finse non-calanche mentre attraversavano il corridoio. Ambra rallentò il passo.
<<Non hai mai avuto intenzione di discutere pacificamente, vero?>>
<<Mi dispiace.>>
<<Lascia stare, dovevo aspettarmelo. Lui, piuttosto mi ha stupito.>>
<<Non gli sono mai piaciuta, ho corrotto Letizia, secondo lui.>>
<<Corrotta?>>
Lei annui, laconica.
<<Ti sei fatto bello col vecchio, vedo.>> sembrava amareggiata nel parlare.
<<Già. Comunque non è facile fare da pacere per tuo conto, sai?>>
<<MI dispiace. Era una cosa da fare. Tu invece... Forse dovresti semplicemente farti gli affari tuoi. Sarai soddisfatto, no?>> lo incalzò lei, con scarsa eloquenza.
Leonard corrugò la fronte. Le chiese cosa intendesse dire, temendo per un momento la piega che la conversazione avrebbe potuto prendere.
<<Rischi grosso.>>
<<Ambra stai... Stai bene?>>
<<Vuoi sapere se sono pazza, come dice lui?>> la voce le era tornata calma, di colpo. Eppure pareva confusa, quasi quanto lui.
<<Conosci il disturbo bipolare?>> Leo annuì, nonostante in cuor suo pensasse a schizofrenia e sdoppiamento della personalità. Lei lo guardò, stanca.
<<Sto pensando di replicare l'opera d'arte di sta' mattina, nel bagno, sai? Sono tentata. Tu dammi un altro pretesto. Oppure... Resta nel ruolo assegnatoti di egocentrico menefreghista. Sarebbe molto più salutare.>>
Leo la guardò con crescente orrore, mentre la sentiva dare veridicità alle immagini che gli affollavano il cervello.
<<Ho pensato di tenerti all'oscuro, ma ho idea che la paura sia un deterrente ancora migliore, per la curiosità. Ti dirò... Sembri intelligente ed hai buon potenziale ma non ti piace ciò che fai. Anzi, no. Non ti importa. Tu sopravvivi e basta. Non negare l'evidenza. Ovviamente il tuo menefreghismo mi fa comodo. Resta pure così come sei e lascia che le cose avvengano. Sii codardo e salvati.>>
Leo non seppe proferir parola, e nemmeno volle provarci. Si sentiva ancora più pavido del solito.
-Sono solo parole...-
<<Tu dici? Letizia non la penserebbe così.>> Lei tese la mano verso la pancia di Leonard. Subito senti qualcosa muoversi dentro di lui e premere contro la pelle. Un dolore straziante lo colpì alle viscere.
Ambra gli posò una mano sulla spalla, come una parodia di consolazione: buttata lì, con svogliatezza.
<<Senti: non c'era bisogno che parlassi col vecchietto. Ci passerò sopra. Tu però dovrai startene buono. Prima o poi, quando toccherà a te, ti darò le rivelazioni che cerchi. A quel punto sarai solo un altro sacco di carne da buttare. Ora ho da fare, lasciami in pace. Vattene.>> Appena ebbe finito di parlare ebbe un sussulto. Prese a scuotere la testa ed a tremare col fiato mozzo.
Si staccò dalla sua presa (durante tutto il discorso aveva continuato a tenergli la mano) e rimase ferma a guardarlo per un momento, impallidita e sudata, gli occhi spalancati. Prima che potesse dire qualcosa egli s'incamminò sulle scale, dandole le spalle.
<<Leo, aspetta...>> continuò a salire. Il cuore gli martellava nel petto.
"Fermati."
<<Mi dispiace per quello che hai sentito!>> non si fermò.
"FERMATI!" il suo corpo smise di muoversi.
<<Non stavo parlando io, te lo giuro! Letizia... Lei è...>> si interruppe da sola, iniziando a parlare a frammenti. La sentì singhiozzare, come se lei stessa avesse ricordato solo in quel momento.
Alla fine riuscì a formulare una frase completa, con voce rotta, quasi sussurrando. Come se non volesse essere sentita nemmeno da lui.
<<Non... Capisco... Mi sento tradita... Ho bisogno del tuo aiuto... Insultami, picchiami, fai quello che vuoi ma non ignorarmi, per favore, per favore... SCUSAMI. Ascoltami, per favore. Non capisco più niente...>>
Si chiese per un istante se non fosse il caso di girarsi, scendere gli scalini, consolare la ragazzina con calma, comprensione e pazienza. Sicuramente sarebbe dovuta andare così.
<<Stai con me, almeno un pochino...>> la sentì chiedere con voce rauca e spenta.
Mentre girava l'angolo si limitò a pensare che non erano affari suoi.
<<Ok. Fa niente.>> Si fermò.
Non vide Ambra annuire in silenzio. Se la immaginò e basta.
"Bel codardo sei"
Si diresse alla sua camera stringendo i pugni, la testa in fiamme, ricolma di dubbi e vergogna.
Una mente sprecata. Perfetto!
Una vita sprecata per meglio dire.
Cosa stava facendo? L'angoscia lo assalì nuovamente, ma questa volta non la allontanò.
Aprì la porta per poi chiudersela alle spalle con foga, appena entrato.
<<Perché sono qui? Non ha alcun senso... Perché faccio solo scelte sbagliate?! Non so cosa è giusto...>> afferrò il cellulare. Sbagliò il codice di sblocco, ancora ed ancora.
Tutto il suo entusiasmo era svanito, stava riaffondando nell'amarezza...
"Quanto sei banale quando fai così. Leo... Ricominci?"
Gettò il telefono sul letto.
<<LASCIAMI IN PACE NON SONO IL TUO SCHIFOSO GIOCATTOLINO NON VOGLIO LA TUA VOCE NELLA MIA TESTA SMETTILA DI PRENDERMI IN GIRO E DI MANIPOLARMI!>> riprese fiato <<C... CAZZAROLA ESCI ALLO SCOPERTO, OPPURE TI FARÒ SLOGGIARE IO, A COSTO DI SPACCARMI IL CRANIO CONTRO IL MURO.>>
Si fermò ansante. Non erano da lui crisi di nervi tanto estreme... Perché continuare? Anche facendo così non avrebbe risolto il problema.
"E' quel periodo del mese?"
Cominciarono a sgorgargli le lacrime. In realtà era da parecchio tempo che non urlava in quel modo, sinceramente, senza freni inibitori e contegno.
Si passò le mani sulla faccia e tra i capelli mori.
<<Ho già abbastanza problemi per conto mio... Non avrei mai accettato un lavoro del genere spontaneamente... Sei stata tu, vero? A chiamarmi qui.>>
Ebbe risposta questa volta, ma la voce gli sembrò molto fredda, come se reprimesse un impeto di rabbia.
"Io ti desidero e basta Leo. Ti ritengo utile, quando mi ascolti ed un tantino interessante. Certo però che quando quella bambina ti ha chiesto aiuto, mi aspettavo più palle da parte tua. Null'altro!
Sai cosa? Tu e tutti gli altri siete venuti quaggiù di vostra spontanea volontà. Ma no! Ancora una volta date... Dai la colpa a qualcun altro per i tuoi errori, per ciò che ti angoscia. Non sei un corvo bianco!
Uomini: siete sempre nella ragione; pensate sempre di essere nel giusto; non fate che giustificare tutto con qualche banalità spirituale, divinità ossessionate dal controllo, astri, fato... SCUSE! Non siete strumenti di nulla, se non di voi stessi e di quella puttanella che chiamate casualità.
Vuoi sapere la verità?"
La temperatura si abbassò improvvisamente e l'atmosfera si fece ancora più tesa. La sua mente fu pervasa dal rumore di più urli striduli sovrapposti.
Si appoggiò al muro sentendosi scosso da una serie di tremiti incontrollati.
In quel momento gli sembrò che il buio stesso ridesse di lui...
Davanti a lui l'oscurità si mosse aggregandosi e prendendo la forma di una persona, sfocata ed ondeggiante... Essa parlò, mentre la sua figura si definiva.
<<Non sei nulla Leonardo... Sei solo un niente che mi ha incuriosita. Credi di essere importante? Sei stato solo il mio sfizio, finora. Certo, mi sei utile per combattere la noia...>> l'ombra ghignò ferocemente questa volta. Si avvicinò traboccando un gelido sentore che andava espandendosi, penetrando corpo e mente.
<<Qual è lo scopo di tutto questo?>> le chiese Leonard con voce più bassa e cauta, cercando di celare il timore, senza successo. La voce aveva ormai preso forma quasi del tutto. Era calma, stanca.
<<Ti piacerebbe saperlo... Piacerebbe anche a me. Voi siete succubi delle sue decisioni adesso ed io pure. Dare di matto e fuggire non sarà un opzione, da ora: sarebbe come mettersi a correre davanti ad un animale inferocito. Tu questa sera hai sprecato la sola occasione che avevamo per uscirne in modo pulito o almeno provarci.>>
<<Perché non mi hai fermato?>>
<<Sei un bambino? Pensi che saranno sempre gli altri a dirti cosa fare? Comunque non potevo. Non mi volevi ascoltare e non sono abbastanza forte per costringerti, al momento.>>
Smise di parlare e piegò la testa. Il suo aspetto esteriore non era particolarmente spaventoso: appariva come una ragazza vestita solo di stracci, esile ma alta e sviluppata: quasi una donna a tutti gli effetti, con uno sguardo molto tetro e serio. I suoi occhi in realtà erano di quel grigio azzurrognolo che indicava cecità, ma Leo si chiese comunque se lo stesse guardando.
<<Ti... Chiedo scusa. H... Ho scaricato le mie colpe su di te. Tu però mi hai calpestato come gli altri. Uno sfizio hai detto... Mettitelo bene in testa: non subirò più in silenzio! Non sono un oggetto...>>
Dopo aver parlato scivolò contro il muro, fino a sedersi sul pavimento. Il peso che incombeva su di lui parve però attenuarsi e lo stesso fu per il freddo.
Lei rise, come si ride delle scenate di un bambino.
<<Non hai forse fatto lo stesso?>> la sua voce si fece più calda <<Non eri compiaciuto dall'avermi tutta per te, Leonard? Tu non sei un oggetto, certo che no. Ma sei stato il mio sfizio quanto lo sono stata io per te... Non siamo così differenti. E ci siamo limitati a parlare! Mi hai ascoltata e tu stesso ti sei confidato, perché del resto ero una strana ed eccitante novità... Soltanto tua. Un po' pretenzioso, non trovi?>>
La vide avvicinarsi, e notò che il suo corpo era privo di sostanza, attraversato dal buio.
<<Non sono un fantasma, anche se ci vado vicino in questa forma. Ma andiamo con calma, o la tua scarsa sanità mentale potrebbe risentirne.>>
S'inginocchiò di fronte a lui, allungando un braccio. Non poteva ritrarsi ulteriormente... Inoltre, non voleva farlo: era tutt'altro che spaventato al momento. Abbassò le palpebre.
<<Sei proprio un uomo... Anche se non sempre si vede.>>
Sentì una mano carezzargli il viso: lentamente, con tenerezza. Erano dita di brezza marina che gli sfioravano le guance. Aprì gli occhi e vide il suo volto serio ma raddolcito circondato da lunghi capelli che, attraversati dalla poca luce lunare che li raggiungeva, rubavano il candore dei raggi. Non si mosse. La nebbia che finora aveva annebbiato i ricordi di quella mattina scomparve totalmente.
<<Avremo parecchi problemi, tra non molto. Ci sono un po' di cose che dovresti sapere, ma non posso restare così ancora tanto. Sono troppo vulnerabile.>>
<<E quindi?>> chiese Leo, in parte deluso.
"Quindi non consumeremo. Quando ti parlerò dovrai ascoltarmi con molta più attenzione e stare all'occhio."
Poco a poco la figura si confuse con l'ambiente circostante, fino a sparire.
Non c'era più nessuno davanti a lui. Per un momento gli parve ancora di sentire la presenza. Fu un attimo molto breve.
Si alzò ed andò a sedersi sul letto. Non pensò a nulla: non ne era in grado.
Prese il telefono e digitò il numero di Semir... La chiamata non partì nemmeno: nessun segnale. Nemmeno per un secondo pensò ad una coincidenza.
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