Capitolo II
Pensò di organizzare un gioco per rompere il ghiaccio. Non si conoscevano tutti tra loro e non sarebbe stato facile farli socializzare, immaginò.
Il pallone restava uno dei passatempi più gettonati tra i marmocchi. Ad ogni palleggio in aria i bambini gridavano il loro nome mentre Leo prendeva nota mentalmente. I più riservati evitavano di esporsi o più semplicemente, di giocare.
La squadra vincente decise di fare delle gare di nuoto, tenendosi vicina ai punti in cui il fondo era più vicino. Mentre stabiliva le regole Leo si chiese se non fosse meglio coordinare le attività e basta. La sua scarsa prestanza fisica non lo aiutava di certo... Era magro, sì, ma per niente allenato. Un paio di pallonate in faccia erano servite ad accertarlo. Si riscosse sentendosi chiamare: era atteso per gareggiare.
Stranamente sembrava il solo a far caso alla propria goffaggine. Almeno in mezzo a quel gruppo di ragazzini appariva quasi normale.
Riuscì ad evitare la nuotata improvvisandosi arbitro e riposandosi nel mentre. Rifletté, sotto quel sole impassibile e violento. Era sempre stato stupito dalle capacità di aggregazione dei gruppi umani, basate soprattutto sulla forza e sulla somiglianza.
A vincere le gare furono per la maggior parte i ragazzi più grandi (dai 15 anni in giù): nulla di anomalo, insomma. Leo aveva sempre provato maggior simpatia per quelli più negati, i più piccoli e sedentari. Era ovviamente di parte e sinceramente non gli importava di esserlo, né dell'intolleranza che ne derivava verso chi era escluso dalle sue simpatie.
Tra tutti le meno integrate erano la ragazza di ghiaccio con l'eterocromia e la sua esile compagna dai capelli rossi, che le stava sempre al seguito. Smuovevano distrattamente la sabbia pietrosa e quella più fine vicino alla riva, tenendosi in disparte.
La prima sembrava evitare qualsiasi contatto con il resto della marmaglia: non aveva detto il suo nome, ne mostrava di voler passare il suo tempo con gli altri. Aveva indossato il costume, ma si limitava a prendere il sole. La seconda, Ambra, sembrava essere l'unica persona per la quale ella mostrasse attenzione.
Dopo qualche minuto d'inattività, la rossa si alzò e prese a danzare sulle gambe sottili con la scarsa grazia che molti adolescenti non sanno di avere, disegnando circoli sulla sabbia con le dita dei piedi.
Erano differenti, ma tolto questo il loro comportamento lasciava supporre un profondo legame d'amicizia, se non di parentela.
La piccola Anna era tutt'altra cosa: socializzava con tutti e giocava a rincorrersi con chiunque gli capitasse a tiro...
Un urlo particolarmente forte lo distolse dalle sue riflessioni... Doveva ammettere che avrebbe fatto meglio a sorvegliare le gare di nuoto, per evitare che qualche affogamento le rendesse quantomeno interessanti.
Lentamente volse lo sguardo verso la superficie, lievemente increspata dalle quasi impercettibili onde del lago e più in là turbata dal frenetico strepitio dei bambini. Una ragazza dagli occhi enormi aveva avuto un crampo, ma fortunatamente la stavano aiutando a raggiungere la riva. Leo sospirò. Si chiese, in quel momento, se quella scura distesa fosse stata creata solo come spasso per esseri che nemmeno parevano percepire la sua grandezza, la bellezza di quella profonda calma semi-immobile.
"Non è solo un lago, Leonard? Al di là di tutti i significati ad esso attribuiti, compreso quello di creazione, esso resta privo di alcun valore e sacralità. Ma tu non puoi evitare di sputare sentenze."
-Sono umano, non posso evitare di dare giudizi...-
Verso le 18, sentendo che la temperatura si abbassava, l'intrattenitore in erba chiamò i ragazzi e li indirizzò nuovamente verso l'hotel. Stranamente non aveva visto nessun altro animatore nei paraggi (ogni edificio del villaggio ne aveva uno: il proprietario non badava a spese) né alcun bambino oltre a loro. In verità non si erano visti nemmeno i genitori dei ragazzi. A quanto pareva era stato l'unico ad aver l'idea di andare in spiaggia.
Quel giorno pensò di staccare prima del previsto, mandando tutti a mangiare con la scusa che ci sarebbe stata l'intera estate per fare tardi. Così per le 19:00 liquidò la banda.
Salutò tutti quanti mentre si dirigevano alle loro camere prima di cena e si propose di fare lo stesso.
Guardò verso il bancone: l'omuncolo era sparito di nuovo. Tanto meglio: il suo sguardo strafottente lo metteva in imbarazzo. Salì in camera e si sdraiò dopo essersi cambiato in fretta. Decise che sarebbe sceso più tardi per cenare, accontentandosi anche degli avanzi, se fosse stato necessario. Si sporse per prender la valigia. Questa, a parte qualche vestito stropicciato, conteneva solamente libri, CD e documenti vari. Peccato che non avesse preso lo stereo... Almeno si era portato il cellulare e le cuffie. Non gli aveva scritto nessuno. Semir doveva essere a lezione di musica dal suo insegnante privato... da due giorni almeno.
Aprì la raccolta musicale. Avrebbe preferito la musica a tutto volume, come nella sua vecchia casa, ma trattandosi di un hotel non poteva di certo fare i suoi comodi. Selezionò una canzone da una playlist a caso: sul touch screen comparve l'icona di "Numb" dei Linkin Park. Perfetto, un momento di beata solitudine con il fantasma del vecchio Chester Bennington.
"Ci sono anch'io, se ti senti solo".
Impostò la riproduzione automatica per i brani successivi, si sdraiò nuovamente e chiuse gli occhi, concentrandosi solo sulla potente voce del cantante. Si sentiva gradevolmente assonnato e lentamente, con dolcezza, le dolci acque dei sogni presero a cullarlo: non ne sarebbe mai uscito, se fosse dipeso da lui...
Doveva essersi appisolato. In testa aveva una strana immagine: un ragazzo, più o meno della sua età, sdraiato su una brandina malconcia ed intento ad ascoltare musica dalle cuffie. Era sicuro di non averlo mai visto prima, ma nonostante ciò la situazione gli sembrava familiare.
Federico Pirra si alzò dal misero letto che gli era stato riservato. A terra c'era una copia de "Il gatto nero" di Edgar Allan Poe, un po' rovinata ed ingiallita dal tempo. Si era proprio addormentato, leggendo un noir peraltro...
Raccolse il libro e lo posò sopra ad una pila di volumi nell'angolo.
Si sentiva strano. Era il suo primo giorno di lavoro, ma senza motivi apparenti, non si era mosso dalla sua stanza per tutto il giorno. Nessuno l'aveva disturbato e lui non si era posto domande, assente, in uno stato di pigra apatia . Ora però cominciava a sentirsi inquieto...
Oltre ad aver fatto una colossale cazzata -o per meglio dire, di non averla fatta- nessuno sembrava aver notato la sua mancanza, nessuno si era fatto vivo per gridargli di alzare le chiappe e lavorare, nessuno emetteva rumore al di fuori della piccola stanza. Era l'ora di cena e si sarebbe dovuto sentire un ampio brusio proveniente dalla sala del buffet. Si avvicinò alla porta, ma ascoltò solo il persistente suono del silenzio.
A dir la verità, si disse, quel nessuno che non era lì, fra le quattro pareti della camera, si stava facendo molto evidente.
Era teso, non voleva uscire ma prima o poi avrebbe dovuto mangiare.
Provò a stendersi nuovamente ma non riuscì ad addormentarsi, né a riacquistare minimamente la calma.
Si alzò con impazienza, dirigendosi d'impulso verso la porta.
La aprì. Il corridoio era buio ed appariva vuoto... Non aveva senso: non era tanto tardi e non credeva nemmeno che di notte spegnessero le luci dei corridoi. O forse sì? Con titubanza uscì dalla camera, tenendo una mano saldamente aggrappata alla maniglia.
Si era sbagliato... Non se ne accorse subito: per un po' si guardò intorno confuso, mentre i sui occhi si abituavano alla scarsa illuminazione, per poi notare la presenza in fondo al corridoio.
Pensò di avvicinarsi e farsi notare dalla figura, seminascosta nell'oscurità dietro la lama di luce.
Lui, o lei, sedeva con le gambe conserte su di una cassapanca che doveva far parte dell'arredamento. Prima che egli potesse avanzare ancora, l'osservatore piegò la testa, lentamente. All'improvviso il ragazzo sentì i peli del collo e delle braccia rizzarsi ed il suo corpo si irrigidì. Aprì la bocca ma non produsse alcun suono. La gola gli si era completamente prosciugata e pareva essersi chiusa, permettendogli di respirare solo a stento.
"Non dovresti essere sveglio."
Non poteva vedere nell'oscurità ma... Sentì che la cosa in fondo al corridoio sorrideva, un sorriso malinconico e forzato come quella voce grave: essa non proveniva da nessun angolo del corridoio, era sfuggente ma pur sempre vera e percepibile.
Il vetro della finestra iniziò ad incrinarsi, lentamente. Ogni piccola crepa pareva dirigersi verso di lui, accompagnata da uno stridore acuto e fastidioso.
La figura ignota si mosse. Scese con molta calma dal mobile, spostandosi con lenta flessuosità verso la luce.
Il suono disarticolato mutò: una melodia straziante si diffuse nelle orecchie di Federico, delineandosi, orrida e profondamente dissonante. Socchiuse gli occhi, poi li sbarrò. La figura era più vicina, ancora immersa nell'ombra tra le due finestre; la sua silhouette, dalla posa quasi immutata, camminava verso di lui, sfiorando appena la moquette con la punta dei piedi nudi. Però era davvero più vicina, ne era sicuro. Ora riusciva a vederla.
Piano, allungò verso di lui un braccio, piccolo e femminile, porgendogli la mano aperta. Un sorriso rassicurante era stampato sul volto.
"Va tutto bene... devi solo addormentarti..."
DORMI.
"Continuare a tenere gli occhi aperti ti farà solo"
MALE.
MALE
MALE
Provava -paura?- Non proprio.
Era una sensazione differente, come percepire un vuoto e... di fronte ad esso urlare senza voce, senza corpo, senz'anima.
La figura gli offriva ancora la mano amichevolmente, la sua voce era...
"Ascolta"
...rassicurante. Come quella di una sirena, come la luce di un fuoco fatuo.
C'era anche qualcos'altro.
"Chiudi gli occhi e tutto quanto sparirà. Non dovrai farne parte."
OBBEDISCI.
La melodia andava accelerando, adattata ai battiti del suo cuore in corsa, ora dolce, ora inasprita.
Eppure Federico sapeva che in realtà non c'era nessuna melodia. La razionalità glielo diceva. Davanti ai suoi occhi c'era una persona normalissima, ora vedeva la vedeva chiaramente nonostante l'oscurità. Era piccola, sottile come uno stelo.
<<Chi sei?>> riuscì a sibilare a fatica.
In risposta la figura fece un gesto evasivo col braccio e sospirò, chinando il capo, come a voler riflettere sulla domanda.
<<Una persona cattiva.>> rispose, questa volta con una sola voce, corporea, femminile e distinta: <<...E tu?>> Sollevò la testa e lo squadrò. I suoi occhi erano di un intenso, quasi innaturale, color oro.
Federico le sfiorò la mano, ma la ritrasse quasi istantaneamente.
Un rumore sordo, alle sue spalle, richiamò l'attenzione di Federico... Si girò di scatto ma subito sobbalzò con il fiato mozzato. Dietro la porta, a meno di un metro da lui, lo scrutava un'altra sagoma, diversa dalla prima, per le forme più piccole e meno definite.
Era come osservare una macchia d'inchiostro. Non riuscì a distinguere alcun lineamento, come se un filtro gli impedisse di vedere oltre i contorni delle figure.
Non ebbe il tempo di fare nulla.
La cosa sollevò di scatto quella che doveva essere la testa e Federico fu risospinto dentro la stanza.
La porta a cui si era aggrappato per tutto il tempo si richiuse da sola, lasciandolo barcollante ed attonito.
Davanti ai suoi occhi il legno si riempiva di crepe e si piegava in più punti mentre i cardini cigolavano, come se qualcosa, con calma, premesse dalla parte opposta, per entrare.
Dopo qualche secondo quel qualcosa attraversò il legno.
Prima fuoriuscì un'oscura massa ovale. Una piccola testa. Anche ora non riusciva a vederne i tratti: il suo aspetto gli appariva scuro e distorto, la sua superficie si muoveva placida come petrolio immerso in acqua.
Sul pavimento di fronte al ragazzo comparvero due impronte rossastre... Al di sopra di esse galleggiava un alone di buio totale, simile a nebbia. Galleggiava di fronte a lui. In mezzo ad esso la figura si fece strada verso di lui.
La porta si aprì. Era intatta. La bambina di poco prima gli venne incontro, letteralmente attraversando la massa ombrosa. Non sembrò notarla.
Fissò intensamente Federico.
Il suo sguardo... Lo sentiva pesante ed insostenibile. Lo intimoriva, lo spogliava di ogni sicurezza, di ogni aspettativa... Era davvero un vuoto, sconfinato e... triste... eppure allo stesso tempo seducente. Sentì il sangue ribollire nelle vene e non seppe capacitarsene.
<<Visto che rifiuti di voltare lo sguardo e dormire... Osserva bene, d'ora in poi. Da qua dentro.>> Detto questo, si voltò ed uscì chiudendosi dietro la porta.
L'alone invece implose istantaneamente, senza che nient'altro succedesse.
La tensione calò, lasciando solo una potente pulsazione sulle tempie di Federico.
Con un espressione sconvolta, il ragazzo si rannicchiò a terra e per il resto della notte rimase fermo. Non riusciva a capire ciò che era avvenuto, né i sentimenti che aveva provato; sperò solo che non succedesse altro... Desiderò che tutto quanto sparisse.
Ma non successe.
La figura sorridente salì a due a due le scale verso l'ingresso dell'Impression. Non ricordava molto di quello che era accaduto, ma si sentiva allegra. Qualcosa dentro di lei sembrava contrariato, ma non era niente.
Spinse la porta ed entrò con passo veloce e leggero, senza fare alcuno sforzo per nascondersi alla vista dell'uomo di mezza età che raccattava le sue cose, già in procinto di farsi una dormita.
Il receptionist la vide quasi subito.
La sua espressione fu attraversata da uno stupore iniziale, che presto lasciò posto al solito sorrisetto sprezzante.
Senza emozioni la chiamò:<<Ehi, cosa ca... volo ci fai qui? Non ti ho nemmeno vista uscire!>>
Lei lo guardò alzando le spalle con non calanche:<<Sarà stato troppo impegnato a menarselo...>>
Senza aggiungere altro salì le scale, lasciandolo tutto intento a tirar giù i santi dal cielo, senza risparmiarne nessuno.
Raggiunse in poco tempo il secondo piano e percorse brevemente il corridoio. Notò qualcuno davanti alla finestra e lo salutò distrattamente, poi ci ripensò e disse:<<Faresti meglio a stare in camera, come gli altri.>>
Lui la guardò per qualche secondo, poi si girò nuovamente verso la finestra.
<<I miei genitori non mi considerano da quando sono rientrato: dormono e basta. Non ho molta voglia di starci assieme.>>
Lei sospirò.
<<Allora accetta passivamente la cosa, come un adulto.>> accompagnò queste parole con un sorriso materno.
Non attese una risposta, rientrò sbadigliando. Quella notte dormì come un sasso.
Leonard aprì gli occhi.
Le canzoni erano finite.
Doveva aver dormito per almeno un ora... Sollevò lentamente il busto. Si sentiva intorpidito e leggermente intontito. Poco male, più tardi avrebbe preso un altro caffè al ginseng.
Non aveva ancora voglia di alzarsi, così prese il libro che aveva riposto sul tavolino. Era una raccolta di alcune opere di Leopardi. Aprì la pagina e sfilò il segno. Lesse il titolo: "Che lettura deprimente, Leo... Non ne hai mai abbastanza di pessimismo?" Non ci poteva credere.
Provò a leggere le prime righe: "Sempre io! Guarda che non sto criticando il tuo libro, anzi è molto bello (anche se sinceramente preferisco Ungaretti come poeta), solo che avresti bisogno di un minimo di positività, no? Che ne dici di un'allegra chiacchierata? Non mi sembra che la lettura ti stia piacendo molto e... Aspetta maleduc...!" Chiuse il libro di scatto ed a stento si trattenne dal lanciarlo contro il muro. Sollevò le ginocchia, avvicinando le gambe al busto e vi appoggiò il mento. Rimase per qualche secondo così, in posizione fetale, poi rilassò le gambe.
"Visto che avere una voce anomala in testa sembra turbarti ho pensato di variare stile."
Ecco che ricominciava. Calma, ignorala ignora "si si, certo. La finiamo? Se vuoi che smetta devi dirlo, o semplicemente pensarlo. Devi, però, rivolgerti a ME educatamente. Afferri il concetto? Non sei un bambino.
Ti piace quando gli altri ti ignorano, aspettando che tu te ne vada? So che lo fanno..."
Era strano ed assolutamente irreale, quasi ridicolo... Eppure si sentiva tranquillo e rilassato.
In realtà conosceva quel tipo di situazione, quello a cui si riferiva la voce. Le persone normalmente lo infastidivano e lui faceva lo stesso con loro, non riuscendo ad agire spontaneamente.
Si chiese perché ora non provasse alcun fastidio.
-Perché mi parli?- pensò.
"Che domanda sciocca, potevi pormene una più intelligente. Parlo a te perché penso che tu sia interessante, o quantomeno curioso. Devo ammettere che mi piaci."
Leonard non sapeva cosa dire.
-Parli anche con altri scusa?-
"Non proprio... Ma faccio altre cose. Dipende, insomma. Con gli altri. Non pensare male... Non troppo."
-Ad... esempio?-
"Ammazzo il tempo in vari modi. Siete cosi fragili e suggestionabili voi uomini... Alcuni , come te, si tengono tutto dentro, dicendo a sé stessi ed agli altri di star bene; altri cercano di razionalizzare, desiderando una spiegazione logica (ed anche di questi fai parte); altri ancora danno di matto... Uno spasso!"
Leo rimase spiazzato.
"Tranquillo! Con te voglio solo parlare, per ora. Sei divertente, a modo tuo: la tua consapevolezza mi piace... Quasi quanto il tuo nichilismo da sognatore affranto e deluso da tutto. Potresti essermi utile, oltre che dilettevole."
-Grazie, credo. Senti: hai detto che se voglio che tu smetta di... parlare... Devo solo chiedere gentilmente, giusto?-
"Bingo"
-Potresti lasciarmi solo con i miei pensieri, per favore? Non mentirò. Tutto ciò mi sembra insensato ora come ora, ma posso farci tranquillamente l'abitudine. Le cose insensate (o che sembrano esserlo) sono sempre interessanti.
Ho solo bisogno di riflettere. Da solo-
"D'accordo, a dopo."
Uscì dalla stanza e si diresse verso la sala da pranzo, trovandola deserta. Notò che la porta della cucina era aperta e si diresse verso di essa. Sentiva lo stomaco ruggire e non vedeva l'ora di zittirlo per benino.
Entrò ed accese la luce. La stanza era anonima ed ispirava fredda rigidezza, come si aspettava, non essendo adibita agli svaghi dei clienti.
Si chiese come dovesse essere il ricco proprietario di tutte quelle strutture. Non aveva mai visto Binetti: il contratto di lavoro era stato stilato tramite un mediatore di fortuna di cui non ricordava il nome, trovato per caso in un agenzia interinale della sua città.
A dirla tutta... Del proprietario gli importava poco o niente.
Non gli piaceva indagare sulla gente, di norma. Se c'era qualcosa che lo incuriosiva, erano le insolite ed infinite stranezze come quella con cui aveva a che fare al momento. La vocina... Sapeva di sognare tanto, forse troppo. Non era tanto la novità il suo obbiettivo, quanto l'originalità.
Lui cercava incessantemente, ma quello che aveva era un sogno debole.
-E con ciò?-
Qualcosa in cui gli altri non credevano e che, in effetti non lo avrebbe portato da nessuna parte.
-La verità è che non so cosa sperare e perciò nemmeno dove andare. No. Io... Non voglio andare: la gente si muove ed io resto fermo.-
Gli erano stati lasciati alcuni dei rimasugli della cena, insieme ad un biglietto in cui era esortato ad unirsi al personale di servizio per chiacchierare in compagnia, nel week-end. Avrebbe cenato con loro nientemeno che l'egregio Alvaro Binetti. Non vedeva l'ora...
Beh, ci avrebbe pensato. Non gli piaceva stare con le persone ma doveva mantenere almeno l'apparenza di una consueta vita sociale. Perciò nessun problema, avrebbe resistito stoicamente.
Cenò ripensando seriamente, per la prima volta, alla voce. Prima d'allora era stata preoccupante, ma non ne aveva parlato con nessuno, per timore delle conseguenze che avrebbe dovuto affrontare.
Non ricordava quando avesse cominciato a percepire quelle opinioni, non sue, nel mezzo dei suoi pensieri. Può capitare che ci si stupisca dei propri pensieri ma... Che dire... Era come se due differenti spartiti si mescolassero senza che ci fosse alcun armonia tra le note. Sarebbe stato impossibile non accorgersene.
Quelle parole, così... Normali.
Molto più familiari delle altre, di cui però conosceva la provenienza. Giudizi e rimproveri che aveva sentito piovere su di sé fin dall'infanzia. Superficiali, arroganti, gentili, cordiali, ipocrite, banali, buone, pretenziose, dolci, affabili, crudeli, volubili... Finte.
In verità non sapeva se la voce si trovasse solo nella sua testa.
In cosa differiva dalle altre?
Sincerità? Forse. Non mancava certo di giudicarlo, come le altre, ma non gli importava e non gli dava nemmeno fastidio. Tutti giudicano, ma sono pochi quelli che nel farlo si pongono come tuoi pari.
-Perché non accettare la cosa?-
Non riusciva ad identificarne la tonalità, perciò non sapeva se si trattasse di una voce maschile o femminile... Ma questo contribuiva ad aumentare la sua curiosità.
-Essere sani di mente e conformarsi agli altri non è forse un altro cliché? Il modo migliore per superare i limiti dovrebbe essere quello di ragionare fuori dagli schemi...-
Perché no? Si chiese persino perché si fosse imposto fino a quel momento di ignorare quella curiosa novità. Mentre pensava si accarezzò distrattamente il mento stretto, percependo la barba ispida, in ricrescita. Gli piaceva quella sensazione. Doveva comprare un rasoio, o farselo prestare.
Quante convenzioni inutili da rispettare... Forse era la sua avversione per queste ultime a sfavorire un rapporto positivo con le altre persone.
O forse era solo la sua pigrizia...
Tornò silenziosamente in camera e si godette un po' di sana lettura in santa pace. Molto presto sentì di aver preso sonno e dopo aver appoggiato il libro si distese sul materasso, coprendosi per bene con il lenzuolo.
Constatò la piega positiva che aveva preso la giornata e si chiese quanto sarebbe durata.
Senza preavviso pensò:
-Buona notte!-
"Sogni d'oro, Leonard."
Si ritrovò in una stanza che non era la sua. Era di fronte ad un giovane uomo.
Il viso completamente stravolto, le labbra serrate, stampate con violenza sulla pallida pelle, le narici dilatate, gli occhi sbarrati, rivolti a lui come dei riflettori nella tenace oscurità della stanza.
Egli respirava affannosamente...
Nell'arco di pochi secondi aprì la bocca e sibilò solamente:<< Leonard>> con una voce stanca e sofferente.
<< Federico>> rispose spontaneamente Leo.
Non ricordava di aver mai conosciuto qualcuno con quel nome.
Leo?
Federico sobbalzò ed il suo orrore parve aumentare. Leonard si guardò intorno ma non vide nessuno, poi si volse nuovamente verso Federico. Qualcuno lo tirò per il vestito, costringendolo ad indietreggiare.
Si svegliò d'improvviso. Tutto era infinitamente calmo. Controllò l'ora dall'orologio da polso: le 3:33 del mattino. Senza indugio si fiondò nuovamente sul cuscino e non faticò a riaddormentarsi. Non fece altri sogni.
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