Lucas III - la voce di Jaycob


La prima volta che aveva pensato a quel tipo di spettacolo era stato dopo aver assistito all'esibizione delle ballerine di burlesque. Poi, aveva abbandonato un po' le sue intenzioni, forse per timore o per mera codardia. La lite con il cugino l'aveva demoralizzato, non si sentiva proprio dell'umore per procedere con i suoi piani. Anche se ciò aveva richiesto un enorme impegno, e non solo da parte sua. La consapevolezza, poi, che ci fossero le tre donne per la prima volta nell'ala di gioco, aveva provocato in Jaycob un senso di rinuncia maggiore. Vedere Lady Layla aveva amplificato il rumore, nella propria mente, delle parole scambiate col cugino pochi attimi prima e intensificato la sensazione di sentire ancora sul suo braccio la presa solida della mano di Frederick a trattenerlo. Chiuse gli occhi, colmo di vergogna, al pensiero di averlo accidentalmente colpito con un pugno.

Tutto peggiorò al pensiero che anche sua sorella e sua cugina fossero presenti quella sera.

Era in procinto di rinunciare, mentre si rendeva conto di essere circondato anche da Lord Pellegrino e i due capitani, che li avevano raggiunti da poco, quando un'occhiata complice di Tyler lo rianimò di nuovo entusiasmo. Si era così congedato dal gruppo, che passeggiava di sala in sala per ammirare il luogo in cui si trovavano, senza fiatare, annuendo al vuoto. Lo avrebbe fatto nonostante tutto.

Anche prima di salire sul palco, Jaycob tentennò ancora, dissuadendosi con l'ennesimo sorriso beffardo al pensiero che, dopotutto, si trovava dentro l'ala ovest. Fu la voce di Frederick, un eco rievocato in un sussurro alle sue orecchie, che lo fece avanzare col pensiero che sarebbe salito su quel dannato palcoscenico: «Nell'ala di gioco tutto è concesso».
Si lasciò scivolare addosso la sensazione fastidiosa di star agendo soltanto per ottenere l'approvazione di suo cugino, perché tutto si era come cristallizzato da diversi giorni, ma non funzionò, comprendendolo soltanto quando attirò tutta l'attenzione del pubblico che aveva davanti a sé. Lanciò uno sguardo a Tyler, che lo guardava tra lo stupito e il confuso. Non sembrava riconoscerlo, eppure il travestimento non era così esagerato. Qualcuno iniziò a fischiare, ma Jaycob non ebbe modo di capire chi fosse: «Tyler!» lo incitò in un sussurro. Seguirono delle risa, ma finalmente il servo lo riconobbe dal tono della voce. Jaycob lo vide sussultare sul posto e sistemarsi per iniziare a suonare il violoncello che aveva appoggiato sul proprio addome.

Jaycob aveva indossato un paio di stivaletti che Lady Angelica usava principalmente per le lunghe passeggiate. Aveva mantenuto i propri calzari, preferendoli alle gonne rigonfie sulla parte posteriore che andavano di moda in quel periodo. Non si era dissuaso, però, dall'indossare, sopra una propria maglia bianca, un corsetto: stretto, sinuoso ed elegante, gli dava le forme prorompenti di una signora, anche lì dove la carne era per lo più assente. Era una donna a metà, con un paio di guanti di pizzo che non lasciavano spazio a ovvi fraintendimenti. Indossava anche una parrucca nera e dal taglio corto e si era truccato grossolanamente le labbra e le guance. Si era rimirato allo specchio, poco prima di fare il suo ingresso, e sorprendentemente da tutti, lui si era riconosciuto. Forse, anche per la prima volta.

Quando Tyler iniziò a suonare, Jaycob non si esibì in movenze stravaganti: per lo più si muoveva, dando l'impressione di farlo con esitazione, alzando e abbassando un fianco. La melodia del violoncello era lenta e appena accennata: non avevano provato molto per quello spettacolo, e quelle poche volte si erano illusi perlopiù di poter combinare qualcosa attraverso l'esibizione. Tyler lo guardava come pentendosi di essersi prestato a quella folle idea, ma un sorriso di Jaycob provocatorio e disdicevole lo fecero prima imbarazzare e poi sorridere un po', divertito. Jaycob gli aveva taciuto l'intenzione di travestirsi da donna ed era stato vago su quanto avesse voluto portare su quel palco, avevano semplicemente deciso cosa interpretare e l'avevano provata... ma non nel modo in cui Jaycob aveva intenzione di sceneggiarla ora.

Mentre la canzone incalzava con un ritmo più invitante, anche Jaycob iniziò a sembrare più credibile nelle vesti di una dama. Non danzava, né faceva il verso scimmiottesco di una esibizione femminile: tentava, con ottimi risultati, di apparire sensuale solo attraverso una camminata e dei gesti innocui con le braccia. I tacchi aiutarono la sinfonia con un ritmo cadenzato, rievocando un tamburo in quel momento assente.

Jaycob girò attorno a Tyler, quando il pubblico iniziò a mormorare qualcosa che alle sue orecchie era totalmente incomprensibile.

Lucas, fermo dietro la maggior parte dei tavolini, osservava la scena rievocando una vecchia conversazione che aveva avuto con un Jaycob piuttosto ubriaco: il ragazzo stava semplicemente realizzando il suo desiderio. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, poco importava come lo osservassero. Guardò il marchese e lo divertì constatare su di lui un'espressione intrisa di stupore e meraviglia. I capitani, invece, avevano uno sguardo indecifrabile: cercò di comprenderli, ma Query sorrideva senza troppa convinzione e Jailor sembrava quasi annoiato.

Le dame, invece, stavano decisamente godendosi lo spettacolo con la più goliardica delle espressioni: Lady Layla era la più soddisfatta, Julia la più scettica e Lady Angelica, oh, lei era completamente estasiata.

Tutto cambiò nei loro sguardi, d'improvviso, e anche l'attenzione di Lucas tornò sul palco, quando Jaycob, alle spalle del musicista, aveva avvolto quest'ultimo con le proprie braccia: per un solo istante la scena sembrò appartenere a uno sceneggiato tragico, in cui l'omicida agendo alle spalle colpisce la vittima con una lama, uccidendola. Tutti, nella stanza, avevano esclamato un'espressione di sorpresa, come fossero realmente coinvolti in un'opera teatrale. Gli animi si erano infine distesi quando Jaycob aveva dato prova di non stringere in una mano un coltello o qualsivoglia arma pericolosa, bensì un'asticciola, con cui – con sorpresa di Tyler, addirittura – iniziò ad accompagnarlo nell'esecuzione della sinfonia suonando a quattro mani un solo violoncello.

«Incredibile!» commentò il capitano Query, attratto probabilmente dalla bravura di entrambi nel non ostacolare l'uno la manualità dell'altro. Il capitano Jailor si voltò a guardarlo, come infastidito nel sentire la sua voce. Lucas si sorprese di come furono veloci gli occhi algidi di quell'uomo a tornare verso il palcoscenico, come se non volessero perdersi nulla di quell'esibizione così sconveniente - forse allora descriverlo come "annoiato" allo spettacolino di fronte a loro era erroneo. Dopotutto, lo comprendeva, anche Lucas non poteva fare a meno di tornare a osservarlo.

«Lo sta seducendo...» commentò Lady Angelica, con gli occhi completamente assorti alla scena che le si parava di fronte. In effetti, mentre un Tyler piuttosto imbarazzato aveva continuato a suonare con le guance paonazze, di Jaycob si intravedeva soltanto un sorriso ambizioso e affascinante.

«Il nostro amico ha finalmente trovato il suo posto nel mondo» era stato il commento di Archibald. Il suo tono aveva del sarcasmo e questo non mancò di essere notato da chi lo aveva udito. In pochi però lo trovarono divertente.

Una ciocca lunga e ribelle della parrucca gli era caduta davanti gli occhi dandogli le sembianze femminee di una donna nel procinto di ammaliare il suo amante con l'unica ambizione di convincerlo a trascorrere la notte assieme a lui. Le dita si muovevano come se non si limitassero a suonare uno strumento ma attraverso questo dichiarassero la volontà di ritrovare e possedere con voluttuosa passionalità l'uomo che stava corteggiando. La distanza fra i due era ridicolmente nulla ma, nonostante le incertezze dell'uomo seduto e la convinzione di quello che lo sovrastava in un abbraccio, i due uomini non sembravano ostacolarsi. L'armonia di quei corpi che suonavano il medesimo violoncello era riscontrabile nella musica trascinante e d'improvviso leggiadra. I movimenti asciutti e quasi meccanici si sostituirono a una carezza dolcissima sulle corde del violoncello. Soltanto in quel momento, come se Jaycob avesse finito di sceneggiare l'amplesso dell'avventura più sbarazzina della sua vita, si allontanò da Tyler. Lanciò uno sguardo soddisfatto al suo pubblico, senza mettersi a ricercare quale tipo di espressioni avessero, perché li sentiva addosso, tutti gli sguardi che lo riempivano di concitazione, e gli bastava questa sensazione per appagarlo totalmente. Sorrise ammiccante, mentre camminava ancora con eleganza verso le quinte di quel palcoscenico che, dopo quell'esibizione, gli sarebbe sempre stato fin troppo stretto. La melodia terminò nel momento esatto in cui sparì dietro le tende. Era durata fin troppo poco, per altri probabilmente la sensazione era stata il contrario. I primi applausi arrivarono da Lady Angelica, che si congratulò col cugino a gran voce, senza inutili contegni: «BRAVI!»

La seguirono gli scrosci del restante pubblico: ciò poteva succedere realmente soltanto nell'ala ovest. Anche quelli più esitanti dovettero giustificarsi con l'idea che a teatro poteva succedere di tutto: ciò che in pubblico sarebbe potuto concludersi con una punizione come il carcere a vita – e soltanto dieci anni addietro con una condanna a morte – su un palcoscenico poteva essere inscenata qualsiasi cosa, anche l'amplesso fra due uomini. Anzi, paradossalmente, vestirsi da donna non era poi così assurdo. Semmai era più incresciosa l'idea che fosse una vera donna a interpretare un ruolo teatrale. Il mondo che abitavano era assurdo, o meglio, le regole che l'uomo aveva impartito a se stesso erano assurde, al pari di quanto più ridicolo potesse esistere.

Jaycob rientrò velocemente per un inchino e per costringere Tyler a prendersi ciò che anche lui meritava. Gli sussurrò: «Mi perdonerai mai per ciò che ti ho costretto a fare?» un po' preoccupato, ma il servo lo ricambiò con un sorriso, prima di inchinarsi a chi lo applaudiva più veemente, «è stato magnifico, J» gli rispose, dandogli la possibilità di sciogliere la breve tensione creatasi fra loro e di godersi quegli ultimi attimi di attenzione.

L'ultimo sguardo che si era sentito addosso era stato quello di Lucas, compiaciuto come mai. Perciò, entrando nella stanza in cui si era cambiato, Jaycob scoppiò in una grassa risata. Si era divertito a esibirsi, ma la maggior soddisfazione l'aveva tratta dalle reazioni dei suoi cugini e amici. Prima che salisse su quel piccolo palcoscenico aveva provato imbarazzo ed esitazione, poi però qualcosa si era fatto spazio in lui impossessandosi di anima e corpo e tutto era accaduto con la stessa naturalezza con cui ci si innamora di qualcuno senza accorgersene. Lui si era innamorato di se stesso mentre si esibiva di fronte a un pubblico.

La luce fioca del salottino, concessa da una sola candela sulla parete accanto alla porta, non gli permetteva di vedere bene dove stesse mettendo i piedi ed esecrò le idee del cugino che volevano quell'ambiente semioscuro per celare al meglio gli incontri disdicevoli che avvenivano quasi quotidianamente. Era entrato lì dentro per cambiarsi e tornare a indossare i suoi abiti da uomo, ed era riuscito semplicemente a sbarazzarsi della parrucca. «Accidenti» esclamò sottovoce quando tastando il vuoto andò alla ricerca vana del materasso. Tutto divenne più difficile quando, al suono di un cigolio della porta che si apriva e richiudeva in una manciata di secondi, la candela venne spenta con un soffio da un intruso.

«Cosa...?» affermò voltandosi verso il punto in cui poco prima proveniva l'unica fonte di luce. Sentì dei passi avvicinarsi piuttosto velocemente, come se la persona avesse perfetta dimestichezza con l'ambiente. Jaycob era confuso ma tentò di salvare l'enorme equivoco che da lì a poco si sarebbe potuto scatenare: «Temo abbiate sbagliato stanza. Sebbene io indossi un corsetto, posso assicurarvi che sono un fottuto uomo!». Jaycob sentì soltanto il rumore che producevano le sue scarpe in risposta ma bastò per comprendere che non ci fosse alcuna esitazione né prima né dopo che avesse chiarito la situazione. Era lì per lui.

L'intruso si arrestò a un passo da Jaycob che lo sentiva respirare, i tacchi degli stivaletti lo rendevano un po' più alto. Era buio, tentò di decifrarne il volto ma gli fu impossibile, per questo avanzò un braccio, chiedendo aiuto al senso pratico del tatto, ma quando si ritenne piuttosto vicino da poterlo percepire, fu bloccato da una mano che lo aveva acciuffato all'altezza del polso. Il silenzio fra loro era impossibile soltanto per via dell'affanno dei loro respiri. La paradossale situazione era infatti intrisa di tensione.

«Chi siete?» domandò Jaycob, con voce improvvisamente roca. Parlò invano, perché non ottenne risposta.

Piuttosto, sussultò quando due dita iniziarono a solleticargli le labbra, ancora macchiate di rossetto. Non fece in tempo a ritrarsi o a parlare, ché la persona di fronte a lui dovette compiere l'ultimo passo che li distanziava, con l'unico intento a cui Jaycob non aveva minimamente pensato: le dita sulla sua bocca furono infatti sostituite da un altro paio di labbra.

Jaycob si dimenticò in fretta di respirare. Quelle labbra accarezzarono le sue con la stessa delicatezza con cui avevano fatto le dita al loro primo passaggio. Quando la lingua estranea a lui tentò di dischiudergli la bocca, Jaycob la lasciò fare solo per quel breve momento utile a percepirne il sapore, poi si ritrasse consapevole di due cose: chi l'aveva baciato era un uomo e il suo corpo aveva accettato di buon animo quella constatazione.

Lo sconosciuto gli lasciò il polso e indietreggiò in fretta, pronto per andarsene prima che la situazione degenerasse e fosse, probabilmente, in pericolo di vita. D'altronde Jaycob non lo sapeva, ma ciò che era appena accaduto aveva un livello di pericolosità davvero alto.

Ciò nonostante, il giovane ragazzo ebbe modo di ragionare sugli avvenimenti in pochissimi attimi, che gli bastarono per prendere una decisione. E forse il bruciore sulle labbra aveva aiutato un po' in questo. «Aspettate!» riuscì a bloccarlo acciuffandogli un braccio. La leggera peluria lo fece rabbrividire di piacere. Lo sconosciuto non tentò di divincolarsi, come rassegnato alla sua infima sorte. Jaycob lo ringraziò tacitamente per non aver scatenato una possibile guerriglia di corpi in una stanza in cui il buio poteva soltanto metterli maggiormente in difficoltà.

Fece un passo in avanti, perciò, mentre convinceva l'altro a voltarsi di nuovo dalla sua parte. Alzò la mano libera sul viso dello sconosciuto che appena lo percepì all'altezza di uno zigomo si ritrasse. I guanti, che indossava ancora, non aiutavano a capire chi potesse essere l'uomo che si era intrufolato lì dentro, apparentemente solo per baciarlo. Jaycob si paralizzò. «Va bene, ho capito. Non vi toccherò. Ma...» improvvisamente si imbarazzò dei suoi stessi pensieri. Era buio, questo doveva bastare per non doverne provare, si giustificò.

«Vorrei tornare a baciarvi, se non vi dispiace» lo pregò, ubriaco di tutte quelle emozioni che si erano susseguite l'una dopo l'altra da quando aveva messo piede sul palcoscenico. Lo sentì trattenere il respiro, forse scioccato dall'improvvisa iniziativa che Jaycob aveva reso palese fra loro. Sì, ne era convinto: l'aveva colto di sorpresa, ma era chiaro almeno per lui che entrambi auspicassero alla medesima cosa.

Quando tornò ad avvicinarsi all'uomo, stavolta col proprio viso, cercò di direzionarsi prestando attenzione al suo respiro. Trovò le sue labbra a un secondo tentativo, dopo essersi imbattuto sul suo mento e sull'accenno di barba. Questa volta fu lui a carezzargli un labbro, quello inferiore, leggermente carnoso, imitando ciò che lo sconosciuto aveva fatto la prima volta, con l'unico intento di dischiudere velocemente quella bocca e insinuarvisi con la lingua. Le sue competenze in merito finivano là, chiaramente impossibilitato a sapere cosa bisognasse fare dopo l'aver sfiorato un paio di labbra e averle dischiuse per tentare di approfondire, ma il bacio si fece comunque impegnativo e voluttuoso in un ridicolo lasso di tempo: era stato Jaycob ad avere l'impeto di riprendere da dove avevano interrotto, lasciando poi all'altro uomo le redini per fargli conoscere così il segreto, qualsiasi esso fosse, che si celava dietro quell'accostamento deplorevole a lui del tutto nuovo. Fu un bacio lungo, lento e lascivo. Jaycob non sapeva esattamente cosa stesse facendo e se, soprattutto, lui stesse ricambiando il bacio nel modo corretto – o quantomeno godibile anche per la persona di fronte a sé; tuttavia riconobbe senza fatica l'animale in lui che finalmente si sentiva libero da quella interminabile e invisibile vita in gabbia. Liberato, grazie a un incastro con un paio di labbra. E fu incredibile: dopo le emozioni vissute pochi attimi prima sul palcoscenico, credeva impossibile sentirsi così, riconoscersi totalmente, in un'altra situazione completamente diversa. Eppure, mentre lo sconosciuto gli insegnava la danza delle lingue, riteneva l'esibizione su un palco solo seconda alla veemenza che si propagava in lui mentre si rendeva conscia la sensazione di insaziabilità del sapore più delizioso che avesse assaggiato su quella bocca.

Jaycob lasciò andare la stretta ancora forte sul polso di lui per stringergli una spalla. Lo sconosciuto non esitò, probabilmente distratto. O forse no, perché poco dopo lo sentì appoggiare una mano all'altezza del petto, sul corpetto che camuffava i suoi seni assenti. Si divisero per un attimo riprendendo fiato, l'uno con la fronte accostata su quella dell'altro.

«Siete un uomo» farfugliò confuso. «Vorrei che sapeste che l'ho capito immediatamente...» continuò, sentendosi ridicolo. Quello rise, scivolando con la fronte sulla sua spalla.

«Perché avete spento la luce?» si lasciò scappare quella curiosità, che ovviamente non ricevette risposta. «Certo, è ovvio, non volete farmi sapere chi siete. Voi sapete chi sono io?» l'uomo mosse il capo sulla sua clavicola, dando modo a Jaycob di intuire un suo assenso. Oh, ottimo, allora c'erano interrogativi a cui poteva rispondere, pensò Jaycob. «E siete venuto qui per baciare... me?» stavolta lo sentì ridere di nuovo, nell'incavo del suo collo, ma Jaycob la prese comunque come una risposta affermativa. Rabbrividì quando l'uomo accostò le proprie labbra sul collo: con quei gesti, iniziava ad ascoltare il proprio corpo capendo cosa gradisse e cosa no. I baci in quel particolare punto presero posto nella lista di cose che avrebbe iniziato ad adorare.

«Per lo spettacolo? Vi è piaciuto?» si concentrò ad occhi chiusi, cercando di pensare a come potesse ottenere quanti più indizi possibili sull'identità dell'uomo che non aveva alcuna intenzione di parlare e smascherarsi. Non seppe se furono troppe le domande o se queste fossero sbagliate ma lo sconosciuto non si mosse, né rise.

Pochi istanti dopo, lo sentì risalire dalla sua spalla per tornare a baciarlo. Questa volta con più impeto, con una passione che non credeva potesse far impallidire quella precedente, mentre un palmo della sua mano andava a posarsi sulla guancia di Jaycob.

Jaycob non aveva mai baciato in vita sua, forse solo in sogno. Non aveva avuto mai interesse, in quel senso, per una donna e questo perché era sempre stato innamorato di un uomo. Baciare quello sconosciuto, però, gli fece intuire tutte le differenze che sussistevano fra i suoi sentimenti e il desiderio carnale che un uomo poteva scatenare attraverso un accostamento di labbra tanto semplice. Non sapeva a chi appartenesse quella bocca, ma non aveva mai desiderato di provare quel genere di emozione nemmeno nei sogni in cui il protagonista era stato suo cugino, la persona che amava più di ogni cosa al mondo.

Per un attimo pensò se quell'uomo di fronte a sé potesse essere Frederick, ma capì presto che ciò non aveva senso. Se c'era stato un tempo in cui uno di loro avesse potuto provare un tale ardore, allora questo non si sarebbe esaudito in una stanza oscura. Si conoscevano talmente bene che il buio non aveva nulla da nascondere ai loro occhi.

No, non poteva essere suo cugino, perciò, e la consapevolezza non gli dispiacque come avrebbe potuto ipotizzare. A quella felice scoperta, inavvertitamente una mano andò alla ricerca del viso dello sconosciuto, provocando così l'interruzione brusca del loro bacio. La separazione da quelle labbra fu atroce, come perdere un arto. L'uomo indietreggiò. Jaycob rabbrividì per l'improvviso freddo che provò a quella distanza. «Scusate, è... frustrante- di cosa avete paura?» domandò. «Pur volendo, non lo direi a nessuno.»

L'uomo respirò concitatamente, avanzò di nuovo. Jaycob la tradusse come indecisione. Non gli diede alcuna risposta, non si avvicinò ulteriormente per mostrargli una soluzione al suo silenzio ma poi Jaycob si sentì nuovamente acciuffare per un polso, il pollice dell'uomo davanti a sé accarezzò lieve laddove la vita scorreva ora più rapida, forse a causa degli ultimi avvenimenti che lo avevano emozionato tanto. Lo sconosciuto piegò il braccio di Jaycob per portarsi quel polso alle labbra. Lo sentì prendere un profondo respiro, come se respirasse direttamente dalla sua pelle, lì dove il sangue ora accelerava nuovamente la sua corsa, sorpreso da quelle attenzioni. Le labbra che avevano baciato la sua bocca si accostarono attimi dopo, sempre in quel punto, come se l'unico intento di quell'uomo fosse farlo impazzire, o morire per improvviso arresto cardiaco. Quel gesto fu la risposta dello sconosciuto, ma purtroppo Jaycob non la comprese.

Così poco dopo lo sentì fare un passo indietro, fino ad allontanarsi completamente da lui, per uscire infine dalla porta con una rapidità che non permise nemmeno al povero ragazzo di decifrarne l'ombra.

Rimase solo, Jaycob, con l'unica certezza di aver vissuto l'attimo più eterno della sua vita e, a farlo percuotere in tremendi brividi, il timore che ciò fosse un'occasione talmente unica e rara che non gli sarebbe capitata più nella vita.

Il cuore si infiammò nel petto, furioso e in rivolta: la promessa, più che semplice, sancita in quell'assordante silenzio, di scatenare mari e monti pur di ritrovare quelle labbra. Quello sconosciuto.

***

Il giorno prima della grande festa fu un vero delirio, ma Lucas continuava ad avere la sensazione che qualcosa di peggiore stesse lì in attesa dietro l'angolo per rendere tutto ancora più caotico.

Tutti gli ospiti provenienti da luoghi lontani avevano fatto il loro arrivo a Holker Hall e la casa non era mai stato così affollata e viva, così Lucas, che non amava particolarmente il chiasso e i posti affollati, fu piacevolmete allettato quando gli venne offerta la possibilità di potersi allontanare per un paio d'ore.

Sotto la richiesta di Lady Layla era stato proposto, infatti, al professor Pale di scortare i due ragazzi più giovani in gita con l'unico scopo di allontanarli per evitare che, insieme, combinassero qualche guaio irreparabile. Mentre erano in attesa dell'arrivo della carrozza davanti all'ampio ingresso di Holker Hall, Frederick si era sincerato che per Lord Pale non fosse un problema badare a Lady Kathleen e André e se volesse qualcuno che li scortasse per una maggiore sicurezza; tuttavia il precettore aveva gentilmente declinato l'offerta, soprattutto quando guardando verso Lucas, l'espressione che vi aveva colto nel suo viso era colma di terrore. Doveva averla decifrata come una smorfia di panico generato all'idea di allontanarsi da casa a poche ore da un evento tanto importante, piuttosto che per altri motivi ai quali era difficile pensare a meno che non si avevano poteri soprannaturali per leggergli la mente e Lucas fu consolato quando Justin aggiunse con gentilezza: «Non è necessario scomodare il vostro miglior servitore per una semplice passeggiata a Cartmel, andrà tutto bene», si era rivolto direttamente a lui, sorridendogli carinamente e Lucas, forse per la prima volta, non aveva potuto fare altro se non ricambiare il sorriso e inchinarsi lievemente per ringraziarlo. Dopodiché, i tre erano partiti sotto lo sguardo del marchese e del proprio factotum, non prima che André lanciasse sguardi minacciosi ad entrambi promettendo silenziosamente di fargliela pagare; queesto mentre Lady Kathleen, entusiasta per la gita fuori porta, lo tratteneva a braccetto descrivendogli a gran voce tutto ciò che avrebbero potuto vedere nella cittadina che erano prossimi a raggiungere.

Per l'intera giornata, Lucas fu impegnato più del solito, destreggiandosi tra i preparativi per la giornata di festa che Holker Hall era in procinto di intrattenere, che sembravano moltiplicare invece di diminuire, e l'intrattenimento dei vari ospiti con i quali era sempre disponibile ad assolvere ogni loro più astrusa richiesta.

In un momento di apparente calma, quando molti degli ospiti si erano ritirati nelle proprie stanze per un ristoro, tanti altri erano usciti per una passeggiata e la servitù non aveva bisogno di lui, Lucas si ritrovò ancora una volta di fronte al quadro della duchessa, come il richiamo di una sirena a cui lui non riusciva a sottrarsi. In quell'occasione, però, le si era avvicinato, salendo le scale come se fosse diretto nelle stanze del duca o di uno dei suoi figli. L'aveva osservata stabilendo tra lui e il mondo circostante una netta separazione. Era così concentrato che solo un urlo improvviso avrebbe potuto rompere la bolla in cui si era introdotto. La guardava come scoprendola nei suoi tratti per la prima volta. Si ritrovò con un cipiglio in viso domandandosi se non dovesse pulire quel quadro in occasione della festa; nelle sale in cui si sarebbe ospitato il ricevimento ogni ritratto appeso alle pareti era stato pulito, si sentiva in difetto alla consapevolezza di non aver posto lo stesso trattamento a quello che lui, più di tutti, venerava come un sacerdote avrebbe potuto fare con l'iconografia del santo a cui era devoto. Piuttosto che disturbare qualcun altro decise di procedere da solo. E fu quando staccò il quadro dal muro che ciò che aveva tanto desiderato accadesse, avvenne. Rimase sotto shock per qualche secondo, incredulo, perplesso, «sono solo molto stanco» borbottò. Eppure era così, era appena successo: il segreto, quello che aveva sempre sospettato esistesse nella figura austera ed elegante della duchessa Giorgiana Blanche, gli era stato finalmente rivelato.

Fu sovrappensiero per il resto della giornata. O per meglio dire, per quanto si sforzasse di concentrarsi sugli impegni che gli si presentavano uno dopo l'altro, la mente tornava allo stesso punto, quello di rottura, quello in cui aveva scoperto l'inevitabile e non aveva idea di cosa fare o se dovesse fare qualcosa. L'occasione per decidere gli fu privata quando, in procinto di rientrare in casa e raggiungere il marchese nella sala dove erano soliti fermarsi per chiacchierare e bere qualcosa, la corsa furiosa di un cavallo si arrestò proprio davanti alle scale che Lucas stava salendo. Lucas guardò l'uomo che scese dal destriero e perse il fiato per una seconda volta, quel giorno: il precettore di Lady Kathleen, Lord Pale, trafelato lo raggiunse senza troppi complimenti e gli rovinò addosso, sudato e senza forze. Lucas lo tenne a fatica tra le proprie braccia, sulle quali l'altro uomo, di statura gracile, si teneva in piedi. Si guardarono poi negli occhi, entrambi con espressione disperata ma probabilmente con motivazioni diverse.

«Cosa vi è successo, Sir? Dove- dove sono i ragazzi?» domandò, rinsavito. Justin continuò a far scorrere il suo sguardo da una parte all'altra del viso del ragazzo che gli impediva ancora di cadere rovinosamente a terra.

«è terribile» bofonchiò con la voce spezzata. Aveva ancora il fiatone. «Io li ho... persi. Io-» continuò, confusamente. Lucas sgranò gli occhi, in preda al panico. Ne era convinto. Era assolutamente certo che il prezzo per scoprire quanto più aveva desiderato nella vita fosse caro ma, ovviamente, non si era mai immaginato che questo avrebbe significato dover rischiare tanto.

Non si perse d'animo, in ogni caso. Aiutò Justin a rimettersi in equilibrio sulle proprie gambe, per poi trattenerlo per qualche secondo in più con una stretta sugli avambracci. «Seguitemi, ce la fate?».

La situazione era ben presto degenerata: quando Lucas aveva scortato Lord Pale fin dove era situato il marchese, dovettero entrambi far subito i conti con Lady Layla.

«Cosa significa che sono spariti? Come è possibile!?» aveva esclamato lei ad alta voce. Fortunatamente Lucas si era preso la briga di prendere da parte entrambi prima di informarli. Justin aveva piegato vergognosamente il capo verso il basso, incapace di rispondere, e questo aveva mosso a pietà Lucas che aveva provato a intervenire in sua difesa. Ma era l'unico a provare quella sorta di compassione nei confronti del professore perché Frederick aveva chiesto invece di spiegare dettagliatamente cosa fosse successo, mentre il tono di voce di Lady Layla andava aumentando di intensità attirando l'attenzione di chi era nelle prossimità. Jaycob e i due capitani, infatti, si avvicinarono mentre Justin spiegava l'accaduto.

«Eravamo appena usciti dalla cattedrale e stavamo per procedere di casa in casa per offrire i cestini col cibo e... non so come sia potuto succedere, si è trattato di una questione di secondi, mi sono intrattenuto a parlare con il vicario e sono spariti. Ho chiesto a chi era lì nei dintorni se li avessero visti andare in una direzione in particolare, mi hanno indicato i boschi, ho cercato ovunque ma sono come scomparsi... In realtà-» Justin fece una lunga pausa, indeciso sul continuare.

«In realtà?» incalzò Lady Layla, forse conosceva così bene il proprio figlio da avere la sensazione che non fosse finito lì il racconto. «Continuate, vi prego»

«In realtà... ho avuto come la sensazione che si stessero nascondendo da me. Vostro figlio è... è...» titubò ancora una volta, ma la Contessa sembrava aver compreso quello che l'insegnante volesse far intendere loro.

«Mio figlio è peggio di una volpe, si è messo sicuramente a giocare con voi. Mi dispiace moltissimo». Qualsiasi altra persona del rango della lady se la sarebbe presa anche in una situazione di assoluto torto ma tutti riconobbero quanto la sua oggettività in quel momento non fosse mossa da un atto di gentilezza né da misercordia in chi aveva compiuto l'errore di perdersi il figlio, quanto di vergogna nel sapere che tutto ciò era accaduto senza ombra di dubbio per volere di André.

«Sono io enormemente dispiaciuto, non avrei fatto ritorno finché non li avessi ritrovati ma temevo che da solo fossi destinato all'insuccesso e tra poche ore sarà completamente buio» continuò Justin, ora spostando lo sguardo verso il marchese. Questo annuì, grattandosi pensoso l'accenno di barba sul mento. Scivolò con lo sguardo su Lucas, poi sui capitani e sul cugino. Sapeva di non potersi allontanare da Holker Hall, non alla vigilia di un momento tanto solenne. Il padre era stato fin troppo clemente in quelle settimane, un affronto del genere non avrebbe trattenuto la sua ira. Ciò nonostante c'era di mezzo la piccola Katee e il suo onore: chissà cosa avrebbero potuto dire di lei se fosse girata presto la notizia della sua fuga con André. Erano due ragazzini, incoscienti, ma non agli occhi della società.

«Dobbiamo trovarli prima che si sparga la voce di quanto successo, tutto ciò potrebbe minare la reputazione di mia cugina» disse ad alta voce. Jaycob roteò gli occhi al cielo, reputando stupido preoccuparsi di quello in quel momento. «Voi, Sir, non potete andarvene da Holker Hall, vostro padre...» iniziò Lucas, ragionevole. «Sì, sì, lo so. Andrai tu, infatti. E Sir Pale, se non siete troppo stanco, sarebbe bene che voi lo accompagnaste. Come avete fatto notare, presto sarà buio e quei due ragazzini non avranno poi così tanta voglia di giocare a nascondino. In più, non hanno alcun posto dove rifugiarsi, sono ottimista...» convenne. Si voltò verso Lady Layla e sorrise appena: «Andrà tutto bene» la rassicurò.

«Andrò anche io» intervenne Jaycob. «Più siamo, prima li ritroveremo» continuò lanciando un fugace sguardo verso il cugino prima di guardare Lucas e il professore. Lady Layla gli prese d'impeto le mani. «Grazie Jaycob» affermò, mentre quello chiaramente imbarazzato passava lo sguardo dalle mani al viso della donna e annuiva arrossendo appena. «Dovere» replicò, slegando piano il contatto di mani fra loro.

«Mi unisco alla squadra» aggiunse il Capitano Query un attimo dopo, con l'espressione fiera sul volto. «Capitano, non siete costretto; in più la vostra assenza potrebbe destare dei sospetti. Siete molto influente tra gli ospiti già arrivati a Holker Hall, potrebbero chiedersi che fine abbiate fatto...» spiegò Frederick, gli altri annuirono e anche Hareton, infine, convenne che ciò che aveva appena udito fosse la verità. «Andrò io, allora. Dubito che qualcuno possa accorgersi della mia assenza» prese parola il Capitano Jailor, guardando impenetrabile dritto di fronte a sé, dove il marchese lo rimirava sorpreso senza saper cosa dire.

«Preparo i cavalli» affermò Jaycob lanciando uno sguardo verso il capitano e poi invitando Lucas a seguirlo con una pacca sul braccio. «Vado a informare Lady Angelica su quanto accaduto alla sorella» convenne il capitano Query mentre il professore e Harrison Jailor si congedavano dal gruppo dopo un breve inchino per seguire i primi due che si erano allontanati a passo felpato.

Sarebbe stata una lunga notte, quella.




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Un capitolo caotico. Prima dal punto di vista di Jaycob, poi questa fuitina involontaria prima della grande festa. Il capitolo dal punto di vista di Lucas finisce così: scrivere con lui è stato divertente e strano allo stesso tempo. Il suo personaggio è un osservatore, quindi dai suoi occhi abbiamo potuto vedere gli altri muoversi. Lucas è un personaggio enigmatico, contraddittorio e non di facile lettura: un momento puoi pensare di lui qualcosa di positivo e poi cambiare opinione nella scena successiva. A voi lascio libera interpretazione.

Chi sarà lo sconosciuto che ha baciato Jaycob? E qual è il segreto svelato col quadro da Lucas? Riusciranno i nostri beniamini a ritrovare quei due stupidi ragazzini? Su chi sarà il prossimo capitolo?

Aahhhh quante domande. Spero comunque che ciò che avete letto vi sia piaciuto.


Vi abbraccio forte!

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