Capitolo Due: Ingiustificata confidenza
«Oggi avete fatto tutti un ottimo lavoro, ragazze. Continuate così e il nostro Club non avrà problemi al concorso», dice Sasaki, la più grande tra di noi.
Credo di dover spiegare il significato delle sue incoraggianti parole: il nostro Club, ogni anno, puntuale come il rintocco delle lancette di un orologio, partecipa a delle gare di cucina; dove, solo la migliore tra di noi, gareggia a nome di tutto il gruppo. Ovviamente il partecipante viene scelto dopo aver stabilito chi ha più possibilità di vittoria.
Non ho mai preso parte a questa competizione, e onestamente non ci tengo nemmeno. Ci sono ragazze decisamente più brave di me e, soprattutto, c'è sempre troppo pubblico ad osservare. In ogni caso, in cuor mio, odio mettermi troppo in mostra.
Questo non mi ha mai vietato, però, di tifare per la fortunata compagna di Club scelta di anno in anno.
«Le date del concorso non sono ancora uscite, ma dovrebbero essere visibili a breve. Appena so qualcosa, avviserò tutte voi. Per ora, ci vediamo domani», conclude poi Sasaki. Se questo fosse un club sportivo, sicuramente lei sarebbe il capitano data la sicurezza che emana il suo corpo.
«Sì», rispondiamo tutte quante all'unisono. Dopo questo, ognuna di noi, prende la propria strada: c'è chi si ferma un altro po', chi chiacchiera, chi va on-line per trovare qualche informazione in più per le date della gara e chi, come me, esce e se ne torna a casa.
Mi dirigo verso la parte della scuola che ospita molte rastrelliere per biciclette, sempre piene. Ogni mattina parto da casa mia e raggiungo il liceo in bici poi, come il solito, la incateno nel suo apposito spazio.
Come esco, infatti, la noto subito. È completamente colorata di un rosa pastello, consumato dal tempo. Ha anche una piccola cesta color paglia che la accompagna da chissà quanti anni.
Questa bicicletta apparteneva alla mia defunta nonna, che la usava ogni giorno per svolgere le sue quotidianità. È l'unico ricordo che ho di lei.
Prendo la chiave della catena dallo zaino e apro il lucchetto, ma prima di salire mi fermo a guardare un albero di ciliegio, un po' in ritardo dal suo periodo di fioritura. I suoi petali, forse sul punto di staccarsi e cadere, sono meravigliosamente tinti di un bianco quasi puro, con tratti di rosa pallido in prossimità del gambo.
Come immaginavo, subito dopo dei petali vengono portati via da un leggero venticello. Uno di essi, per di più, mi sfiora il naso poco prima di toccare terra.
Osservo il suo percorso intrigata, poi salgo in bici, poggio la cartella nella cesta e pedalo verso l'uscita dell'istituto.
Chissà se quest'anno io e Yuuri riusciremo a passare una giornata insieme in mezzo agli alberi di ciliegio, come l'usanza vuole. Siamo sempre andate ad ammirare insieme questi alberi, ma sfortunatamente l'anno scorso lei non ha avuto tempo il di uscire a causa dello studio impegnativo della scuola privata, che frequenta tutt'ora.
Guardo la cestina contenente il mio zaino e penso qualche attimo. Magari più tardi, a casa, le faccio un messaggio...
Tra le nuvole, quasi urto un passante solitario. Mi fermo immediatamente e mi scuso.
«Insomma! Sta' attenta, ragazzina!», mi rimprovera l'uomo, vestito con giacca e cravatta. Deve essere un lavoratore che sta tornando a casa.
«M-mi scusi! Non l'ho proprio vista», dico chinando il capo.
L'uomo sbuffa, poi riprende il suo cammino senza provare a rispondere. «Ah, questi giovani incoscienti», lo sento mormorare mentre si allontana.
Lo guardo andar via, impensierita. Spero sul serio che non si sia fatto nulla.
Riprendo il manubrio tra le mani e decido di percorrere il tragitto a piedi. Oggi non ne va una giusta.
Mentre cammino sento un dolce profumo invadermi le narici. «Oh, che buono», dico tra me e me. «Sembra l'odore di una torta al cioccolato. No, forse si tratta di pancake».
Man mano che vado avanti, percepisco la delizia farsi sempre più vicina. Guardo in giro, tentando di capire da dove provenga e quando mi ritrovo davanti ad una pasticceria, intuisco.
Il negozietto è piccolo, ma molto carino. La parete è tutta nera, da far risaltare così il nome della pasticceria inciso nel legno: "Lally's Cake" è quello che c'è scritto. In più, una grande vetrata permette di vedere al suo interno. Provo a sbirciare e anche dentro non è affatto male. Pare che, oltre ai pasticcini, siano specializzati in pancakes.
Mi viene l'acquolina, quindi decido di entrare per comprare qualcosa dato che sembrano esserci pochi clienti. Una volta dentro il profumo è ancora più forte.
Do un'occhiata ai dolci esposti e al cartello dove sono elencate tutte le cose disponibili, non sapendo cosa scegliere. Ma dato che la specialità del negozio sono proprio i pancakes, opto per uno di quelli.
«Salve, ha bisogno?», mi domanda una dipendente, che sembra avere la mia stessa età.
Annuisco senza darle troppa retta, preoccupandomi di non risultare scortese ai suoi occhi e indico la lista dei dolci appesa. «Vorrei un pancake, per favore», rispondo.
«Vuole mangiarlo qua o lo porta via? Altrimenti lo mettiamo in una scatolina», continua lei con felicità.
«Lo mangio qui, grazie», dico.
La ragazza annuisce sorridente e mi invita a sedermi in uno dei tavolini disponibili.
«Mi scusi», richiamo l'attenzione della ragazza prima che possa sparire da qualche parte. «Posso pagare subito?».
«Certamente!», risponde allegra. «In totale sono seicentodue Yen».
Prendo lo zaino e cerco il portafoglio. Ci metto un po', però, a causa del disordine.
Se non fosse stato per Gekido, a quest'ora avrei già le monetine in mano. «Cavolo...», sussurro.
La ragazza, vedendomi frugare con un'evidente smania, mi osserva con fare curioso; subito dopo, come se fossimo amiche di vecchia data, ridacchia alla scena. «Sei un pochino disordinata, eh?».
Ora è informale...
Arrossisco di botto alla presa in giro, ma non rispondo. Finalmente trovo il portafoglio ed estraggo le giuste banconote. «Seicentodue... Ecco qui», dico. A disagio le porgo con entrambe le mani i pezzi di carta e punto lo sguardo sul pavimento, particolarmente interessante in questo momento.
Accetta i soldi e li mette nella cassa. «Anche io sono abbastanza disordinata, quindi ti capisco», mi dice. Forse si è accorta di essere stata maleducata nei miei confronti.
Scuoto la testa. «Uh, no in verità...», tento di rispondere, ma mi blocco. Non ha senso dare spiegazioni a una sconosciuta.
«Sì?», cerca di farmi continuare, poco prima di essere ripresa da un uomo, suo collega credo.
«Accidenti Hado! Ti ho già detto un sacco di volte che la devi smettere di prenderti così tante confidenze con i clienti», la rimprovera. È un signore che sembra essere sulla sessantina. Probabilmente il suo capo. «Perdonala, ragazza. È qui da poco e deve ancora imparare come ci si comporta», si rivolge poi a me giustificandosi con uno sguardo mortificato.
Guardo la scena, che quasi mi diverte. Tento di trattenere un mezzo sorriso. «Non si preoccupi».
La ragazza, per non essere sgridata ulteriormente, se ne va a preparare il mio ordine. Io mi dirigo verso un tavolo e prendo posto. Mi fermo un po', però, ad osservare il lavoro di lei.
La noto scostarsi, concentrata, un ciuffo di capelli color azzurro da davanti agli occhi. Non ci avevo fatto proprio caso prima, come il mio solito, ma è davvero una bella ragazza. Ha una carnagione pallida, dei grandi occhi blu e i suoi capelli sono legati in uno chignon disordinato; o almeno pare disordinato. Sono sicura che è stata molto attenta nell'acconciarsi i capelli in quel determinato modo.
Dopo pochi minuti di attesa, termina di preparare l'ordinazione e si dirige trotterellando verso di me. Mi porge il piatto e sorride. «Spero sia di tuo gradimento».
Il suo viso è troppo puro; non riesco a sostenere lo sguardo. Mi limito solo ad annuire.
«Comunque somigli tantissimo ad un mio amico», riprende a parlare lei, come se la sgridata di prima non le fosse bastata.
Alzo entrambe le sopracciglia, guardandola con un'espressione confusa e allo stesso tempo stupita. Un suo amico? Aspetta, che vuol dire? Mi ha appena detto che somiglio ad un ragazzo?
«Suvvia non guardarmi così, sto dicendo sul serio. Ho un amico che ha il tuo stesso carattere». Porta le mani dietro la schiena e si incurva leggermente verso di me. È così innocente. «Non per sembrare scortese, ma mi è bastato guardarti per capire la tua personalità».
Oh, non intendeva dire che sembro un ragazzo. In ogni caso, mi pare si stia prendendo troppe libertà.
«Ma è mai possibile, Hado?», la rimprovera nuovamente il suo capo non appena la nota concentrarsi su me. «Mi distraggo un secondo e tu parti alla carica a disturbare i primi che trovi. Finiscila!».
La ragazza raddrizza la schiena di colpo. Deve essersi spaventata all'improvviso richiamo dell'uomo.
«Scusa, devo andare», dice. «È stato carino parlare con te», continua, sempre con il suo solito sorriso.
Ha parlato solo lei, in verità...
Si gira e raggiunge il banco, ma prima di riprendere a lavorare, si rivolge a me un'ultima volta. «Ah, stavo quasi per dimenticarmene! Io sono Nejire Hado, piacere di conoscerti». Un largo e grazioso sorriso a trentadue denti si fa strada nel suo volto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top