carne alla brace

Katsuki bussó alla porta. Erano ormai quattro giorni che Tsume se ne era andata senza lasciare tracce. Gli dava incredibilmente fastidio. Non capiva perché nonostante fosse la quinta, o forse addirittura sesta volta che la donna abbandonava il compagno e la figlia, sarebbero stati comunque capaci di accoglierla nuovamente. E fingere. Come se non fosse mai accaduto nulla, come se non avesse mai provocato alcun dolore a nessuno. Ma a Bakugo non bastava un sorriso finto e un misero "mi dispiace". Lui non avrebbe mai fatto del male né a Eijirou né ad Akira. E si rendeva conto di provare qualcosa per quello che era il suo migliore amico. E sì, dai tempi del liceo era così. Ma il grande Bakugo Katsuki, in realtà, era sempre stato un codardo. Non aveva le palle di andare da lui, e guardare dentro quegli occhi rossi, di respirare, e dire senza svenire che lo amava; che amava sua figlia, e che voleva che fossero una famiglia. Kirishima poi aveva una compagna, la peggiore, ma era pur sempre la madre di sua figlia. Katsuki inoltre sapeva che non era quello il problema; era che erano amici da sempre. Come avrebbe potuto solamente dire ciò che provava? E se non fosse stato corrisposto? E se lo fosse stato, avrebbe rovinato un'amicizia così longeva o duratura? Una sola cosa era certa. Che Bakugo avrebbe approfittato di ogni momento per stare con Kirishima. Alla porta aprì Eijiro.
«Vieni, entra.»
Disse, con un sorriso sul viso che gli andava da un orecchio all'altro. Katsuki entró. Era stato invitato a cena, come succedeva spesso. Soprattutto quando Tsume non c'era.
«Ho portato della birra.»
Disse, mostrando la cassetta che teneva su con una mano.
«Puoi posarla in frigo, per stasera ho preso del vino.»
«Vino? Non vorrai ubriacarti ?»
«No, no! Ho seguito questo video che ho trovato online, e ho cucinato della tagliata di manzo. La ragazza diceva di abbinarla ad un vino rosso, e non sono molto esperto, quindi mi sono fidato!»
Katsuki notó la tavola apparecchiata solo per due, poi sul bancone della cucina, due piatti fumanti di carne e verdure di contorno. Un vino rosso molto profumato già aperto.
«Dov'è Akira?»
Chiese il biondo, sentendo salire in lui un profondo senso di disagio.
«Doveva essere con noi stasera, ma una sua compagna di scuola l'ha invitata a casa sua questo pomeriggio, e la madre mi ha telefonato per chiedere di farla rimanere per la notte. Non sai quanto era combattuta! Voleva davvero passare del tempo con il suo zio preferito, ma sai... le farà bene distrarsi un po', no? La vado a prendere più tardi.»
«Sì... sì hai ragione.»
Katsuki stava partendo con mille film mentali. Ma non doveva perdere il controllo. Erano solo due amici, migliori amici, a cena. Anche se Kirishima non indossava le sue orribili crocs ma delle scarpe casual, non la solita canotta da casa ma una camicia, e non i soliti pantaloncini sportivi, ma dei jeans.
«Ti dispiace se metto un po' di musica?»
Chiese Eijirou, andando verso il cellulare, attaccato allo stereo.
«Uh? No...»
Dopo pochi secondi partì la canzone. "Fix you" spargeva le sue note nella stanza, le faceva volteggiare e arrivare dritte nelle orecchie di Bakugo.
La cena venne servita, e in un silenzio abbastanza imbarazzante iniziarono a mangiare.
«Com'è?»
Chiese il rosso per rompere il silenzio.
«Che? Cosa?»
Cavolo, era un fascio di nervi.
«La carne, Katsuki.»
Rispose, ridacchiando.
«Oh, ottima. Non credevo che sapessi fare queste cose complicate, capelli di merda.»
«È da quando ci conosciamo che continui a dirmi capelli di merda! Sei monotono! Saranno undici anni!»
«Non è colpa mia se non ti evolvi, Eijirou.»
«Come se tu avessi cambiato acconciatura dai tempi del liceo!»
«È un discorso totalmente diverso. Io sono sempre attraente, quei capelli sono l'antisesso.»
«Ha parlato! Da quanto non esci con qualcuno?»
«Non lo so, che importa?»
«Sarebbe ora di sistemarti.»
E fu con quella frase che l'aria, alleggerita da quello scambio di battute, tornò pesante come un macigno. Nessuno dei due sorrideva più. Kirishima si era reso conto di aver toccato un tasto dolente. E Bakugo reagì... abbastanza male.
«Almeno le persone con cui sono stato io non mi hanno mai abbandonato per andare a fare chissà cosa chissà dove.»
«Già, perché sei sempre tu che le lasci, vero? Sei tu il dominante, quello che spezza i cuori, troppo impegnato per una relazione.»
Il tono di entrambi era acre.
«Eijirou, tutto puoi dire su di me tranne che io abbandono le persone. Perché qui sono l'unica cazzo di persona che ti è sempre stata accanto.»
I pugni del biondo erano stretti sul tavolo, le nocche quasi bianche. Kirishima non rispose, e dopo alcuni minuti parló.
«Scusa Katsuki... sono stato cattivo. Mi dispiace.»
«No, senti... hai ragione, okay?»
Si alzó facendo quasi cadere la sua sedia all'indietro.
«Hai ragione, sono un pezzo di merda. Non sono mai riuscito a tenermi stretto qualcuno, ma ho i miei motivi, e prima che tu dica qualcosa, non mi va di parlarne.»
Kirishima non riusciva a dire niente. Aveva fatto scoppiare una bomba.
Katsuki prese la sua giacca e se la infiló, mentre camminava verso l'ingresso. L'altro lo seguì, senza riuscire a fare niente.
«Mi dispiace che sia andata così, Eijirou. Mi fa solo piacere che non ci sia Akira ad assistere a questa... cosa. So di essere uno stronzo, ma tu...»
Non finì la frase. Alzó le braccia all'aria e uscì, sbattendo quasi la porta.
Dentro casa, Eijirou tornó in sala da pranzo. I resti di una cena disastrosa. Doveva per forza tirare fuori il discorso relazioni con Bakugo? Si diede dello stupido. Pulì la tavola e mise da parte gli avanzi. Si stese sul divano, esausto. Perché aveva fatto tutto quel casino? La cena, la musica, anche i vestiti?
Perché voleva sembrare carino per Bakugo. Per dimostrargli riconoscenza, per esserci sempre stato. E invece era finita di merda. L'avrebbe chiamato il giorno dopo, si sarebbe scusato. Ma allora, perché stava così male all'idea di aver fatto a sua volta del male al biondo?
Accompagnato da "Dancing with myself" rimase ancora a pensare a ciò che aveva combinato, senza farlo ovviamente a posta. Ma l'odore della carne che ancora aleggiava nell'aria non lo aiutava a distrarsi. Era quasi con le lacrime agli occhi. Prese il telefono, compose il numero e chiamó.
«Denki?»

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