Capitolo 3


Dopo quel giorno ce ne furono altri in cui Malfoy si sedette davanti a me per fare i compiti, ma non mi rivolse più la parola, tranne un cenno di saluto appena seduto e un altro prima di andarsene.
Diversamente da come avrei pensato, la sua presenza non mi infastidiva affatto, anzi era confortante il pensiero di non essere sola, il pensiero di avere accanto qualcuno, anche se quel qualcuno era un egoista, gelido e snob figlio di papà.
Ad Harry, Ginny e Ron non dissi niente, preferendo che loro non cominciassero a porre le domande sbagliate, e poi in fondo non succedeva nulla di male, semplicemente ci tenevamo compagnia l'un l'altra.
Spesso capitava che durante quei pomeriggi mi sentissi osservata e sapevo che Malfoy mi stava guardando, in quei momenti non potevo fare a meno di sollevare il capo ed incontrare i suoi occhi per pochi istanti, prima di vederlo distogliere lo sguardo e tornare a concentrarsi sui suoi compiti.
Dopo un paio di settimane che si ripeteva sempre la stessa identica cosa, decisi che avremmo potuto provare a parlare come due persone civili per una volta.
«Malfoy», lo salutai, appena si sedette di fronte a me.
Lui fece un cenno del capo e tirò fuori alcuni libri dalla sua borsa.
«Pozioni?», chiesi, notando lo stesso libro che avevo di fronte io e ricordando che Lumacorno aveva assegnato a Serpeverde e Grifondoro gli stessi compiti.
Lui alzò un sopracciglio, fissandomi per pochi istanti, prima di annuire e tornare alla sua pergamena.
Sbuffai sonoramente, facendo una smorfia infastidita.
«C'è qualcosa che non va?»
Lo vidi bloccarsi e lanciarmi uno sguardo penetrante, quasi stesse cercando di capire cosa mi desse fastidio.
«No», risposi, senza distogliere gli occhi dai suoi.
«A me sembra di sì», mormorò lui, studiando il mio volto.
«E solo che non posso impedirmi di chiedermi perché continui a sederti di fronte a me», ammisi, torturando con le dita la mia povera piuma.
Vidi il suo viso indurirsi: «Non sono affari che ti riguardano».
«Pensavo che la mia presenza ti desse fastidio, che puzzassi», dissi, guardandolo fisso.
«Ti sbagli», mormorò tornando a fissare la pergamena che aveva di fronte.
Quella risposa mi colse talmente alla sprovvista che non riuscii a trovare nulla con cui ribattere.
Tornai a svolgere i miei compiti, sentendomi accaldata, mi sfilai il maglioncino che indossavo e allentai distrattamente il nodo della cravatta e abbottonai un bottone della camicia all'altezza del seno, che si era sfilato dall'asola.
«Pizzo nero, Granger?», chiese Malfoy, osservandomi all'altezza del petto, dove notai si intravedeva appena il reggiseno che avevo indossato quella mattina.
Arrossii istantaneamente, incontrando i suoi occhi chiari: «Sì, perché?»
«Beh, sei piena di sorprese, non me lo sarei mai aspettato», sussurrò, prima di passarsi una mano tra i capelli: «Cos'hai? Una terza, giusto?»
Se possibile il mio volto divenne ancora più rosso, mentre gli lanciavo contro la mia piuma: «Non credo siano affari tuoi!»
«Ho sbagliato? Una seconda?», chiese ghignando e sporgendosi verso di me, mentre la penna gli passava a mezzo metro di distanza, a dimostrazione di quanto ottima fosse la mia mira.
«Non ho una seconda!», esclamai, cercando qualcosa che lo potesse distrarre dal continuare a pormi domande così imbarazzanti.
«Dammi un indizio, più o meno di una terza?», mormorò allungando una mano e sfiorando la mia mano.
Mi ritrassi di scatto, schiaffeggiandolo sulle dita: «Smettila».
Vidi i suoi occhi scintillare di una strana luce: «Rispondimi».
«No!»
«Di cos'hai paura Granger?», mormorò sorridendo appena.
«Io non ho paura», chiarii, mentre raccoglievo i miei libri e li posavo in borsa.
«Allora rispondimi».
«Ho una terza abbondante! Contento?», urlai, tappandomi subito dopo la bocca, spaventata che qualcuno avesse potuto udire la mia voce.
Vidi il suo ghigno aumentare, prima di allungare una mano e afferrare a terra la mia piuma, porgendomela: «Dovresti migliorare la mira».
«Grazie», dissi con tono acido, posando il volume nella mia borsa e alzandomi in piedi.
«Già finiti i compiti?», chiese, mentre tornava a scrivere qualcosa su una pergamena.
«In effetti no, ma dato che la compagnia è pessima, me ne vado».
Vidi i suoi occhi saettare alla parola "pessima" e alzatosi in piedi, mi fissò con uno sguardo pieno d'odio.
«Non ti scomodare, Mezzosangue. Me ne vado io», sibilò e in meno di un minuto era già scomparso, lasciandomi sola.
Sentii una fitta al cuore, al pensiero di averlo ferito. Non ero certa di come fosse successo, ma alla fine gli avevo fatto male.
Mi diedi della scema, prima di fissare insistentemente il posto vuoto davanti a me.
In quell'istante mi accorsi di una cosa.
Si era dimenticato il volume di Erbologia.


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