Capitolo 2

Passavo la maggior parte del mio tempo libero con i miei due migliori amici: Harry e Ron.
Erano cambiati molto dopo la guerra, come chiunque d'altronde, ma in loro - per un'osservatrice come me - la differenza era abissale.
Ron era diventato più serio e a volte si impegnava davvero quando doveva studiare, cosa che mi aveva colta alla sprovvista quando lo avevo notato la prima volta. Quel lato di lui mi affascinava. Quando lo vedevo chino sui libri, gli occhi socchiusi dalla concentrazione e le labbra arricciate, ricordavo fin troppo bene il bacio che ci eravamo scambiati durante la guerra. Mi aveva ferito profondamente quando mi aveva chiesto di rimanere solo amici, come se quell'effusione non fosse mai esistita. Con il senno di poi mi ero resa conto di quanto fosse stato strano sentire le sue labbra sulle mie, come se avessimo compiuto qualcosa di disdicevole. Era stato come baciare il fratello che non avevo mai avuto, allo stesso modo in cui per lui era stato come baciare l'unica sorella che aveva. Non era stato difficile mettere quel bacio in un cassetto recondito della mia mente; anche se il pensiero di cosa sarebbe potuto accadere di diverso ogni tanto mi attraversava la mente.

Harry invece sembrava sempre tra le nuvole, anche lui aveva deciso di studiare e di dare il massimo, ma il suo metodo era diverso da quello di Ron. Entrambi riuscivano a fare i compiti da soli, ma sapevo che - come accadeva anche a me - i ricordi e i sogni li tormentavano.
Quasi tutta Hogwarts aveva deciso di comune accordo di smettere con le rivalità tra le Case e le uniche persone che ancora si ostinavano a provare astio erano i Serpeverde, soprattutto Malfoy. Anche se quella sera, nel Bagno dei Prefetti, mi aveva mostrato il suo lato vulnerabile, il suo comportamento superiore e snob era rimasto come una maschera sul suo volto.
Più volte avevo desiderato avvicinarlo per parlargli, ma poi il coraggio mi era sempre mancato, sapevo che se avessi detto a qualcuno di ciò che era successo la notizia si sarebbe sparsa a macchia d'olio e che quindi, a quel punto, lui non si sarebbe mai più fidato di me.
Ero, in un erto qual modo che io stessa faticavo a spiegarmi, gelosa del nostro piccolo segreto, era bello pensare di averlo reso libero dal senso di colpa ed era bello ricordare il suo complimento.
A volte mi ritrovavo a sognare le sue lacrime, il suo volto contratto in un smorfia di disgusto per ciò che sua zia mi aveva scritto sul braccio e la sua bocca che sussurrava quella supplica a fior di labbra: "Perdonami".
«Hermione? Secondo te dovrei chiederglielo io?», chiese Ginny, mentre si torturava con le mani l'orlo della gonna, totalmente dimentica del compito di Erbologia sul tavolo davanti a lei, che non aveva ancora concluso.
«Come scusa?», domandai, scacciando simili pensieri dalla testa e concentrando l'attenzione sulla mia amica.
«Harry non mi ha ancora invitato per la festa di Lumacorno e ho tanta paura che non lo faccia, quindi stavo pensando che magari potrei prendere io l'iniziativa, tu che dici?», sussurrò, mentre si guardava attorno, alla ricerca di orecchie vicine che avessero potuto udire le sue parole.
«Certo Ginny, tanto Harry non rifiuterebbe mai un tuo invito ad andarci insieme, lo sai che ti vuole bene, che ti ama tanto e che farebbe di tutto pur di vederti felice», mormorai, prima di fissare intensamente il foglio ancora bianco che avevo di fronte.
La Biblioteca era silenziosa, proprio come piaceva a me, ma non ero riuscita a trovare ancora le parole adatte per iniziare il compito di Trasfigurazione.
«Si, hai ragione!», esclamò raccogliendo tutti i suoi libri e sorridendo: «Meglio che glielo chieda subito, prima che mi manchi il coraggio. Ci vediamo, Herm».
Appena Ginny scomparve, mi sentii istantaneamente abbandonata, ma la sensazione durò un istante, prima che la sedia di fronte alla mia si muovesse, facendomi alzare di scatto lo sguardo.
«Granger», salutò cortesemente, anche se con un tono affilato, Malfoy, prima di sedersi e tirare fuori dalla borsa alcuni libri.
Non riuscivo a levargli gli occhi di dosso, chiedendomi come mi sarei dovuta comportare con lui.
«Malfoy», ricambiai il saluto e per un istante incontrai i suoi occhi freddi.
Quello sguardo mi fece capire che tra di noi non era cambiato nulla.
Tornai a fissare il foglio davanti a me e, miracolosamente, trovai le parole da utilizzare per l'inizio del compito. Dettavo distrattamente, con un filo di voce, alla piuma ciò che doveva scrivere, mentre sfogliavo il libro di Trasfigurazioni, dove avrei di certo trovato spunto per la parte più teorica del compito.
Mi ero quasi totalmente dimenticata del ragazzo che sedeva di fronte a me, quando lo udii borbottare qualcosa e sfogliare con rabbia il libro di Incantesimi.
Lo guardai di sottecchi per qualche secondo, chiedendomi che cosa gli fosse preso, prima di notare un livido bluastro sulla sua mandibola.
Aprii bocca per chiedergli chi gli avesse fatto male, ma poi mi bloccai, sentendo la gola improvvisamente secca.
Non erano affari miei e di sicuro non avrebbe gradito la mia curiosità, così tornai a dettare alla piuma.
Rimanemmo in silenzio per un'altra mezz'ora, si sentivano solo i nostri sussurri e il rumore della piuma sulla carta, la Biblioteca sembrava totalmente vuota. Un tempo forse avrei provato un leggero timore a rimanere sola con Malfoy, ma in quel momento continuavano a spuntarmi in mente i ricordi delle sue lacrime e della sua vulnerabilità e non potevo fare a meno di sentirmi triste e malinconica.
Ad un tratto lo sentii sbuffare sonoramente e non potei impedirmi di alzare il capo a quel rumore inaspettato.
Incontrai i suoi occhi chiari e impassibili, mi chiesi cosa stesse pensando in quel momento e se un giorno o l'altro sarei riuscita di nuovo a vedere dei sentimenti trapelare dal suo viso.
«Cos'hai da guardare?», chiese con un tono d'astio nella voce: «Vuoi una foto?»
Io scossi la testa, prima di tornare a fissare la pergamena.
«Mezzosangue, ti ho fatto una domanda. Rispondimi», sibilò tra i denti, poggiando le mani coi palmi aperti sul tavolo e alzandosi in piedi.
«Non volevo disturbarti, ti ho sentito sbuffare e istintivamente ho alzato lo sguardo», ammisi con tono aspro, prima di prendere il compito finito e di riporlo nella mia borsa.
Ritirai tutti i libri e feci per andarmene, quando lo sentii chiedere in un sussurro: «Dove stai andando?»
Per un istante mi tornò alla mente il suo volto rigato di lacrime e sentii il cuore sussultare.
Tornai a fissarlo e vidi sul suo viso l'unico sentimento che non mi sarei mai aspettato di vedere: pentimento.
Era pentito per le parole dure e piene d'astio che mi aveva detto? Pentito per non esser stato in grado di parlarmi normalmente, senza lasciar trapelare il suo nervosismo per qualcosa di cui io ero all'oscuro?
Non risposi alla sua domanda, ma gliene posi un'altra: «Vuoi che rimanga?»
Vidi i suoi occhi sbarrarsi, sorpresi dalle mie parole, prima che il suo sguardo gelido tornasse sul mio volto e lo sentissi dire: «Certo che no! Hai infettato abbastanza l'aria con la tua semplice presenza Mezzosangue».
«Avevi solo da sederti da un'altra parte», ribattei, zittendolo, prima di allontanarmi e uscire dalla Biblioteca.


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