Perdo le parole

A chi sa

A Milano oggi c'è il sole. Non è quel genere di sole che spacca le pietre, non è quello cocente che senti fin sotto la pelle di fine estate, ma c'è. E si vede.

Stamattina sono da sola, come la maggior parte delle volte. Mi piace venire qua, e piazza Duomo mi fa sentire a casa, nonostante la sua immensità. Ogni volta che guardo la struttura davanti a me riesce a farmi lo stesso effetto, come se fosse la prima. Io, piccola e indifferente contro qualcosa di talmente grande. Che coraggio a paragonarmici.

Vado verso il solito bar e ordino lo stesso, ormai anche il cameriere lo sa già. Mi siedo al bancone, non c'è tanta gente oggi. Il cappuccino mi arriva dopo pochi minuti; la schiuma è chiara all'interno della tazza. La prendo tra le mani e ne bevo qualche sorso, prima di sentire una voce che ho sempre voluto non dimenticare, che nonostante tutto ho custodito insieme a tutte le parole che mi sussurrava.

Ed è quando mi volto che lo vedo. Lo vedo sorridere, mentre parla con lo stesso ragazzo dietro al bancone che ha servito anche me. Lo vedo e un po' mi ci perdo, perché era da tanto che avevo dovuto abituarmi alla sua assenza, a quel sorriso che riesce sempre a mostrare a tutti. Io non riesco a voltarmi e a fare finta di niente, come se lui non fosse qua. E nemmeno lui. Si volta e mentre ancora sorride mi vede, però quel sorriso non gli muore sulle labbra, continua a stare lì. Anche io sorrido.

È lui ad avvicinarsi per primo, è lui a raggiungermi e — Ciao — dice piano, e a me sembra sempre lo stesso di un anno fa. Solo che in un anno sono cambiate tante cose, lo sappiamo entrambi, però questo no. Il suo ciao e il mio modo di rispondergli non cambieranno mai, probabilmente. In qualche modo ci siamo sempre stati.

Partiamo con i convenevoli, perché mentirei se sostenessi che lui non è agitato; ride ed è allegro, sembra felice, però io lo conosco. E sono i suoi occhi a dirmelo. I suoi bellissimi occhi,a metà tra la più luminosa sfumatura dell'azzurro e del verde. Sono sempre stati quelli a fregarmi, sin dalla prima volta. Non ti danno scampo.

Mi guarda la tazza ormai vuota e nota la piccola bustina di zucchero aperta. Accenna un sorriso e capisco a cosa stia pensando.

— Non li ho più confusi — dico prima che lui possa farmi la domanda o dire qualsiasi cosa riguardo quello che pensa.

— Brava — allora lui risponde soltanto, appoggiandosi con un braccio sul bancone e guardandomi come se per l'ultima volta lo avessi visto solo ieri e non un anno fa.

— Da quanto sei a Milano? — gli chiedo mentre usciamo dal bar.

— Qualche giorno, sono tornato da poco. Tu?

Lo guardo e poi scrollo le spalle. — Io sono sempre stata qui.

Solo che dicendolo sembra quasi che io in realtà intenda sono ancora qui ad aspettarti, e forse è vero.

— Per quanto resti?

— Non lo so più — risponde e io scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo, lui se ne accorge e si passa una mano tra i capelli mentre si morde le labbra.

— Esci con me — dice poi così, con quella naturalezza e quella spontaneità che lo hanno sempre caratterizzato.

— Non so se sia una buona idea — gli rispondo anche se vorrei soltanto dirgli di sì e godermi qualche ora con lui dopo tutto questo tempo.

— Io dico che lo è — continua e mi porto una mano sul volto nascondendo il sorriso che si forma anche sulle mie labbra. — Dài.

— Va bene — acconsento alla fine. — Esco con te.

Sono le otto quando il cellulare vibra e lo schermo si illumina; il suo nome compare sullo schermo insieme al breve testo del messaggio. Lo prendo tra le mani e lo guardo come se sapessi già di aver perso in partenza, che fare una resistenza mi farebbe più male che bene. Lo guardo e nella mia mente scorrono tutte le conversazioni, i messaggi e le chiamate in piena notte, fino agli ultimi. Quegli ultimi che abbiamo trascinato finché potevamo, poi il vuoto. Un vuoto incolmabile, perché io in noi ci credevo, e perché ci credeva anche lui.

Mi muovo velocemente, mi chiudo la porta alle spalle e vado verso le scale, le stesse che correvamo dopo una sera come questa, con me sulle sue spalle e i sorrisi sulle labbra di chi ha conosciuto l'amore. Scuoto la testa e sospiro prima di uscire, la sua auto scura è in fondo al piccolo viale ad aspettarmi come se niente fosse mai cambiato. Apro la portiera ed entro, prima di guardare lui: è bello da togliere il fiato, da star male. Mi rendo conto solo adesso che i capelli sono un po' più lunghi, che mentre guida non riesce a non passarci una mano dentro.

Gli chiedo dove stiamo andando, ma lui mi guarda di sfuggita e con un mezzo sorriso dice — Vedrai — e a me non spaventa, non mi sento fuori posto, neanche in circostanze come queste. Non con lui.

Il cielo piano diventa più scuro, e qualche goccia di pioggia sporca i vetri dell'auto. Passiamo Piazza della Scala e io mi sporgo e alzo il volume della radio, abbasso lievemente lo schienale distrattamente, come un'abitudine. Ci guardiamo per un istante ma lui non dice niente, non mi fa pesare nessun singolo gesto, eppure capisce, si rende conto di ogni istante, di ogni movimento. Lo ha sempre fatto, ma adesso ho la sensazione che non voglia perdersi niente, che senta il bisogno di recuperare i cambiamenti, anche minimi che ci hanno inevitabilmente investiti dopo che siamo stati. Io sorrido e poi sbocco in una piccola risata, perché non riesco a farne a meno. Viviamo ancora in un passato che oggi rivolgiamo al presente, e lo sappiamo entrambi. Non sappiamo cosa stiamo facendo, dove andremo a finire questa volta, ma continua a bastarci perché prima o poi torniamo sempre. Ed è quando ride anche lui che ne ho la conferma; ridiamo di tutto e di niente, come due ragazzini che hanno appena iniziato a conoscere l'amore e credono di essere invincibili.

Lascio ricadere la testa all'indietro e mi appoggio meglio al sedile, guardo tutto quello che scorre fuori, e mi rendo conto che per me ha ricominciato a muoversi per davvero solo da questa mattina, da quando l'ho rivisto. Come se fino ad ora mi fossi solamente costretta a fingere che tutto fosse tornato come prima; che prima o poi lo sarebbe stato. Mi rendo conto che può esserlo solo con lui.

Quando sosta l'auto piove ancora, io riconosco la via in cui siamo ma non riesco a capire comunque.

— Hai qualcosa per coprirci? — gli domando voltandomi verso di lui, che fa una piccola smorfia e poi mi mette una mano tra i capelli scrollando le spalle. — No.

Io guardo di nuovo fuori, lui riprende a parlare. — Non piove tanto. Corriamo un po', dài.

Torno a guardare lui, che conosce a prescindere le mie risposte prima ancora che mi domandi qualcosa. Sospiro rumorosamente e slaccio la cintura. — Va bene, muoviamoci.

Siamo fuori e la pioggia ci ricopre all'istante, ma davvero non è così pesante e intensa come credevo. Lui urla qualcosa mentre si volta a guardarmi e a controllare che gli stia ancora dietro, lo vedo istintivamente tendere piano la mano verso di me e poi ritrarla subito, sicuro che io non me ne sia accorta.

È quando arriviamo, solo quando siamo all'ingresso, che mi rendo conto del posto in cui siamo, di dove ci abbia portati.

— È il Perdo le parole — constato ad alta voce ricordando le prime volte, i primi sguardi, i primi baci e poi l'amore. Un amore bello, puro, che tutti dovrebbero vivere almeno per una volta; quello vero.

— Vieni — mi incita in un sussurro e inclinando leggermente la testa.

La prima volta che mi portò qui mi mise le mani sul volto a coprirmi gli occhi, e riesco quasi a vederci camminare lungo questo ingresso, a vederci felici. Si volta di nuovo, e mi capisce ancora. Ci capiamo sempre, basta solo uno sguardo.

Ho le punte dei capelli umide e i jeans bagnati quasi fino alle ginocchia, ma non importa. Non importa più se c'è lui che mi guarda in questo modo, se mi chiede silenziosamente se può sfiorarmi con le dita.

Le gocce si rincorrono ancora sulle vetrate, non hanno mai smesso di tentare di prendersi per non lasciarsi. Riesco a vedere il Duomo da qui, ed è anche per questo che questo locale mi piace particolarmente, che significa così tanto per me e per lui.

Davanti al Duomo ci siamo dopo, adesso, e ci siamo soltanto noi. Tutta la piazza è ancora illuminata e la pioggia ha smesso di cadere in questo spazio immenso, il temporale è finito e la scena sembra essere perfetta. Sembra non essere cambiato niente, sembriamo essere intatti, sembriamo stare bene.

— Non mi stanca mai — dico distrattamente, più a me stessa che a lui.

— A me non stanchi tu — replica lui portandomi a voltarmi. — Lo sai che anche davanti al Duomo io mi volto e guardo te guardarlo, con i tuoi movimenti, il modo in cui lo fai. Lo sai che l'ho sempre fatto, e sai che continuerò a farlo.

A me fa quasi male il cuore, perché adesso vorrei solo riuscire a lasciarmi andare, a tornare con lui e a tornare ad essere quello che eravamo.

— Ti ho seguito durante questi mesi, specialmente agli inizi — ammetto, ricordando quanto stessi male a non averlo con me, eppure lui sembrava essere felice, nel posto in cui aveva sempre creduto di meritare.

— Anche io — dice, poi abbassa la testa e distoglie lo sguardo. — Però poco, perché la tentazione di mollare tutto e tornare da te mi avrebbe vinto.

Io lo guardo con un sorriso stanco, consapevole, perché di tempo ne abbiamo perso, ma forse ci è servito. Non gli avrei mai permesso di rinunciare ai suoi sogni per inseguire me. Mi volto completamente verso di lui e gli porto una mano sul volto.

— Ma adesso sei qui.

Mi prende il volto tra le mani anche lui, tra il mento e la base del collo. — Le tue parole mi sono sempre rimaste dentro.

Gli sorrido e lui mi lascia un bacio tra i capelli, prima di passarmi un braccio intorno alle spalle e tornare a rivolgerci verso il Duomo. — Scattiamo una foto — poi dice, e lo sento mentre sfila il cellulare dalla tasca.

— È proprio necessario? — gli domando, anche se la risposta la conosco già.

Punta all'autoscatto ma poi si rende conto che in questo modo il Duomo è davanti a noi, quindi mentre ridiamo ci voltiamo; adesso è tutto nella posizione giusta, e sento il rumore di uno scatto forse non nitido, non preciso, con noi che ridiamo quasi fronte contro fronte e il Duomo alle nostre spalle più bello che mai.

Le mie dita sono intrecciate alle sue ancora sulla mia spalla quando si sporge verso di me e mi sussurra tra i capelli qualcosa che sono sicura, a prescindere da come andrà a finire, da dove saremo domani, che resterà, perché così è già tutto migliore.

— Perdo le parole.

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Nulla da aggiungere, spero tanto che vi sia piaciuta almeno un po'.

Un abbraccio,
Chiara

ps. Sono riuscita a scrivere qualcosa che sembri finire bene, be proud

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