CAPITOLO 4: Proposte

(REVISIONATA)


E anche quel mattino la sveglia era suonata invano, mentre il telefono si accendeva al ritmo di Firework di Katy Perry dando la giusta motivazione a Emma per svegliarsi e alzarsi dal letto.
Si stiracchiò appena quando fu accolta dal suo amico fedele; Jhonny si poggiò sulla spalla mentre con il becco le toccò la guancia a mo di saluto e poco dopo volò via.
Lei rise per quei gesti, era così carino, anche se quel giorno la sua attenzione era rivolta altrove. Oh, ebbene sì: il suo lavoro la stava reclamando.
Prese il bozzetto che aveva disegnato, lo appese alla parete di sughero, spostò il manichino vicino a esso e poi sul tavolo dispose varie stoffe. Era pronta per mettersi al lavoro, ma quello di cui aveva bisogno era un'enorme tazza di caffè e della musica in sottofondo.
Aveva già avvisato Agatha che non sarebbe andata alla boutique, sorrise per le quasi urla che la donna aveva fatto quando glielo aveva detto e... se ci pensava bene, era strana. Emma sapeva che la signora Moore stava progettando qualcosa, ma non aveva tempo per scoprirlo. Si era promessa che dopo aver ultimato la sua creazione gliene avrebbe parlato.
Lentamente le ore passarono, in un non niente si fece ora di pranzo ma lei si stava occupando del corpetto e non poteva di certo lasciare il lavoro a metà così rimandò il pranzo. Lo stesso successe per lo spuntino e così Emma arrivò direttamente alla cena, felice di aver finalmente terminato l'abito; solo dopo averlo stirato e appeso al manichino si rese conto che quel giorno aveva creato una vera e propria opera d'arte. Era così fiera di se stessa e non vedeva l'ora di osservare il volto della ragazza che l'indomani l'avrebbe visto e indossato. Non voleva sembrare superiore perché non lo era, ma aveva fatto un buon lavoro e modestia a parte, poteva vantarsene almeno con se stessa.
«Finalmente sei arrivata» andandole incontro affermò Agatha, vedendo il suo sorriso a trentadue denti tanto da essere contagiata.
«Scusami se ho fatto tardi, ma... Jhonny oggi era in vena di capricci»
«Un giorno o l'altro dovresti sbarazzarti di quel pappagallo» convenne con sarcasmo, ma ormai erano parole al vento perché si conoscevano da anni ed Emma non lo avrebbe mai fatto.
Ricordava ancora la prima volta che era andata a trovarla a casa: nel momento in cui si era presentato lui, la donna era saltata letteralmente in aria.
«Ed io ti ho detto che prima che succederà tu mi vedrai sposata e con i figli... e questo non accadrà mai quindi...»
«Sei sempre la solita ottimista Emma. Avrei dovuto fermarti prima quando mi avevi detto che Lucas ti aveva invitato a cena. Sentivo di dover fare qualcosa, ma... non sono tua madre» si sentì in colpa e responsabile di tutto ciò che era avvenuto dopo quel momento. La signora Moore non riusciva a perdonarselo e non erano servite le parole della giovane.
«Sono testarda e non saresti comunque riuscita a farmi cambiare idea»
«Sì, purtroppo lo so» costatò sogghignando, mentre entrambe andarono verso i camerini per appendere l'abito di Joy.
Aspettava solo di essere indossato, amato e mostrato a tutti.
Ognuna di loro era immersa nei propri pensieri e quando Emma si trovò a sistemare una giacca blu ripensò alla camicia che stava cucendo notando come si sarebbe ben adattata; si riscosse in fretta e ricordò che doveva chiedere qualcosa ad Agatha, ma quando si avvicinò fu tardi perché la loro giovane cliente era già arrivata.

"Lo rimandiamo solo di qualche ora" si disse, ma più che altro stava cercando di convincere se stessa a non avere paura.

Non l'avrebbe mai licenziata, giusto?
Nonostante gli affari andavano bene, il periodo di crisi stava colpendo anche loro e... la paura più grande per Emma era rimanere senza lavoro, dover ricominciare con i colloqui e abituarsi a qualcuno che non fosse Agatha Moore.
Joy era in camerino, la madre era seduta e stringeva le mani nervosa mentre Agatha l'affiancava ed Emma... lei era in prima fila. La ragazza le aveva confidato che voleva fare una sorpresa alla madre così quando la mora fu chiamata, entrò e l'aiutò con la piccola cerniera sulla schiena dell'abito, poco dopo la guardò dallo specchio. I suoi occhi erano colmi di lacrime, le guance arrossate, i capelli tirati su un lato e... finalmente si vide per ciò che in realtà era: una principessa.
Non era importante se avesse delle forme o portasse sempre tute, abiti comodi e più grandi della sua taglia, quello era il momento della sua rivincita. Emma fece per uscire, ma due mani tremanti la trattennero ancora e poco dopo la abbracciarono.
«Per tutta la mia vita mi sono vista allo specchio e ho desiderato un corpo che non fosse il mio. Odiavo il mio peso anche se non mangiavo molto, stavo attenta a ogni calorica e tutti i giorni andavi a correre. Mi sono odiata e fatta del male per gran parte della mia età e ora... ora mi guardo e vedo una persona completamente diversa. Io vedo una me che non sono stata» confessò con voce rauca mentre le lacrime dapprima trattenute caddero sul suo viso bagnandolo.
«Sciocchezze! Sei sempre Joy, hai solo avuto un assaggio di ciò che fa un abito creato per te. Sei sempre la stessa ragazza arrabbiata con la vita che è entrata nel mio negozio la prima volta, la stessa che mi ha odiato per ciò che sono e la persona con cui io non mi vergognerei mai a farmi vedere» le rispose, anche se in realtà non le aveva fatto nessuna domanda. Stava per replicare, ma Emma la fermò perché non aveva finito con lei.
Doveva capire e sperò che le sue parole le arrivassero proprio com'era successo a lei molti e molti anni fa.
«Sono stata come te, mi sono odiata quando tutto il resto m'ignorava. Ho litigato con mio padre per il suo vedermi sempre come una bambina quando ero già ben che cresciuta, per non parlare delle discussioni con mia madre perché non capiva. Tutto ciò finché un giorno qualcosa mi ha finalmente aperto gli occhi. Ero io l'artefice della mia vita, toccava a me decidere chi sarei voluta essere, come dovevano ricordarmi e cosa volevo lasciare»
«E cosa hai fatto?» domandò cauta Joy, rimanendo affascinata da quella donna che lei vedeva perfetta ma che in realtà aveva difetti e imperfezioni come tutti.
«Ho creato il mio primo abito, sono stata la modella e la stilista di me stessa, l'ho indossato con orgoglio e sono andata al ballo di fine anno da sola, con lo sguardo fiero e la testa alta» rivelò lasciandola senza parole e con la bocca aperta.
Non riusciva a crederci, lei così bella, incantevole... era senza dubbio fuori dal comune. Ringraziò la madre per averla portata lì, per averle fatto conoscere Emma e per averle regalato un futuro più luminoso. Si prese coraggio, scostò la tenda e proprio come detto dalla sua stilista preferita, uscì fiera di sé dando vita ad un'espressione incantata della madre, raggiunta poco dopo dalla ragazza che corse ad abbracciarla. Finalmente madre e figlia si erano ritrovate. La donna osservò la situazione silenziosa mentre la sua mente la riportava ai momenti vissuti con la madre, tanti e indimenticabili come l'ultimo quando stretta tra le sue braccia se n'era andata.
Gli occhi lucidi offuscarono quel momento magico, senza farsene accorgere si strofinò gli occhi, ricacciò indietro le lacrime e andò verso di loro a prendersi i complimenti che meritava.



*********************


Erano passati dei giorni e Agatha ed Emma erano strapiene di lavoro, ma felici per come ognuna di loro stava ottenendo il successo sperato. La "Fashion dreams boutique" aveva incassi strabilianti ed Emma... il suo lavoro come stilista stava decollando, il passaparola funzionava eccome e non lo aveva chiesto nemmeno lei.
«Emma, non appena finisci fermati nel mio ufficio che dobbiamo parlare» affermò con un lieve sorriso l'anziana, ma la giovane cominciò a sudare freddo e il suo cuore prese a battere a ritmi strani.

"Stai calma" si ordinò, ma invano perché era più forte di lei.
"Stava sorridendo" le fece notare la parte razionale, ma nemmeno lei ci riuscì.

Fece in fretta gli ultimi aggiornamenti ai manichini, passò tra le corsie per vedere che tutto era piegato e sistemato con ordine e poi lentamente si diresse verso quell'ufficio che sembrava la sua ghigliottina, ma che in realtà sarebbe stato un trampolino di lancio.
Emma bussò ed entrò con passo incerto solo quando udì "avanti".
«Accomodati pure» le disse mettendola a suo agio come era sempre stato, ma ormai la giovane sentiva i battiti in tutto il corpo, anche in luoghi dove non potevano esistere.
«Ti prego Agatha... se devi licenziarmi, sii diretta e fai in fretta» ammise con voce rauca abbassando lo sguardo sulle sue mani che una volta seduta aveva iniziato a torturare.
«Licenziare?» squittì l'anziana mettendosi a ridere e facendo sollevare il capo alla sua dipendente.

"Stava ridendo? Ma com'era possibile" si chiese, ma forse più che pensarlo doveva chiederglielo.

«E non per essere presuntuosa, ma... per cosa mi hai chiamato allora?»
«Emma, io voglio offrirti una parte della mia boutique» confessò sorridendo, mentre si alzava dalla sua poltrona e andava a sedersi nella sedia accanto alla sua.
Beh, questo di certo non se lo aspettava e così rimase senza parole con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati. Si sentiva come fluttuare sulle nuvole, poteva persino percepire gli ingranaggi del suo cervello che per ovvie ragioni in quel momento erano rallentati, altrimenti avrebbe detto qualcosa anche solo per cortesia.
Rimase a fissare la donna senza aprire bocca, ci provò ma non uscì alcun suono e sbatté appena le palpebre perché anche quello richiedeva del sangue che pompava al cervello e il suo al momento sembrava congelato.

"Razza d'idiota sta parlando con te" la sua vocina le disse riprendendola.
"Vuoi rispondere o deve davvero licenziarti quella donna per attirare la tua attenzione" aggiunse poco dopo con tono duro, tanto che nella sua mente s'immaginò vari scenari per nulla piacevoli.

« Co- come hai detto?» balbettando alla fine riuscì a dire, mentre sbatteva più volte gli occhi e si passava una mano sul viso in modo da togliere i capelli ribelli che non volevano rimanere dietro l'orecchio.
«Ti ho chiesto se volevi prendere una parte della mia boutique per esporre i tuoi abiti e... perché no, magari anche per creare qualcosa su misura, fatto appositamente da chi lo richiede»
«Ma sei seria?» si ritrovò ad affermare al posto di dire "grazie Agatha, mi stai facendo il regalo più bello e non è nemmeno Natale".
La mente di Emma era strana davvero, di più della bocca che parlava senza essere collegata al suo cervello.
«Sì, non solo perché sei un vero talento, ma perché ti ho visto crescere sotto la mia guida, perché ti stimo e... perchè sei come la figlia che non ho mai avuto» confessò con gli occhi lucidi.
Doveva dirle qualcosa, lo sapeva bene ma alla fine l'unica cosa che fece fu sporsi verso di lei e abbracciarla.
Agatha ormai la conosceva bene, sapeva che le servivano i suoi spazi perché non avrebbe mai preso una decisione così su due piedi e avrebbe fatto mille domande, definito liste, programmi e ordini. L'anziana si godette quell'abbraccio perché in quel momento era l'unica cosa che contava.


********************



Era ancora sbalordita da quella proposta perché una parte di lei le diceva di accettare senza riserve, l'altra di rifletterci perché era un rischio visto che avrebbe dovuto comunque investire qualcosa.
Voleva vivere la vita, proprio come il messaggio che quel mattino le era arrivato da parte di Shay, seguito da quello di Rose che diceva di aprirsi a nuove opportunità. Emma ebbe il dubbio se quelle due la stessero spiando perché non era possibile che sapevano dire la cosa giusta al momento giusto.
Aveva indossato le prime cose che le erano venute tra le mani, ma quando passò davanti allo specchio sorrise per il suo look semplice ma sempre alla moda.
«La signorina Emma Williams?» la fermò un uomo in giacca e cravatta ancor prima di girare l'angolo ed entrare nella boutique della signora Moore.
Non voleva risponderle, per la sua sicurezza, ma qualcosa la portò a fidarsi.
«Sì, mi scusi, chi vuole saperlo?» rispose con educazione, anche se aveva fretta di sbarazzarsi di lui e iniziare la sua giornata lavorativa.
«Mi scusi per questa improvvisata e che... abbiamo provato a metterci in contatto per una settimana, ma sembra difficile da rintracciare e quindi sono venuto di persona» e a quelle parole Emma aggrottò le sopracciglia e si fece piccola piccola, anche se era quasi impossibile per il suo metro e ottanta.
«Sono dell'Association of model agents di Londra che lavora in tutto il mondo e... la stavamo contattando, signorina Williams, perché eravamo interessati a proporle un progetto»
«Ma sta dicendo seriamente?» si ritrovò a domandare per la seconda volta in pochi giorni senza collegare realmente cervello e bocca.

"Ma che ti sei fumata?" le domandò il suo io buono.
"Niente purtroppo, io glielo avevo anche proposto" rispose il diavoletto che era in lei.
"Smettetela tutte e due" disse seria, ma sorrise tra sé per quanto suonasse buffo dato che era lei che parlava con se stessa.

«Mi scusi e solo che io non capisco» dovette ammettere, anche perché detestava passare per una stupida, ma tutte quelle notizie... Da dove diavolo spuntavano?
Domande su domande, sarebbe stata in grado di rispondere almeno ad una? No, probabilmente no.
«Potremmo andare al bar qui vicino e sederci così le spiegherò ogni cosa, magari anche davanti ad una tazza di caffè»
«Certo, mi faccia solo avvisare la mia superiore e poi possiamo andare»
Emma s'incamminò verso il negozio convinta che quell'uomo l'avrebbe aspettata all'angolo, invece si ritrovò a seguirla. Sorrise perché in quei giorni la vita la stava sorprendendo e lei non riusciva a farsene una ragione.
Chiese un permesso ad Agatha che accetto volentieri e poco dopo si avviarono verso il bar, mentre lui iniziò a spiegarle il progetto, lasciando che gli occhi di Emma si accendessero a quelle idee originali.
«E per rispondere alla sua domanda di prima... Noi vorremmo lei perché è una donna gentile, una ragazza che nonostante abbia fatto carriera come modella non si è mai montata la testa, bensì si ritrova a fare la commessa e a cucire abiti su misura senza paura di bucarsi un dito o spezzarsi un'unghia. Noi come agenzia vorremmo inviare un messaggio a tutti coloro che compiono i primi passi in questo mondo, oltre che sarebbe perfetta per il nostro progetto» affermò con convinzione Luke Grayson lasciandola senza parole.
Nessuno le aveva mai detto quelle parole, certo... se non si contavano la sua migliore amica, sua nonna e la signora Agatha.
E così dopo anni, la sua vita si trovava ad un bivio ed Emma non sapeva che strada prendere; ogni cosa che aveva da sempre desiderato ora le era stata proposta e purtroppo si sovrapponeva. Non voleva deludere nessuno, né tanto meno rinunciare a delle offerte così allettanti, ma non riusciva a vedersi così lontano.
Era combattuta, tanto che passò il resto della giornata con la testa tra le nuvole e, solo quando si buttò sul letto, ritrovò una leggera pace. Sì, lo sperava davvero, ma gli occhi chiusi furono accompagnati da un ricordo vivido che in quei giorni aveva messo da parte.

«Oh signore!» esclamò Niall imbarazzato e si premurò subito a recuperare la sua borsetta e ciò che le era caduto, aiutandola subito dopo ad alzarsi.
«Direi che al massimo posso essere Maria» affermò ridendo, ma quando quel ragazzo dagli occhi incantevoli azzurri la fissò, capì che la battuta non era arrivata e iniziando a gesticolare si mise a parlare della natività italiana.
Niall continuava a fissarla ancora più ammaliato, solo perché sapeva di lei, tuttavia Emma non aveva la minima idea di chi lui fosse. Niall lo capì subito dall'assenza di urla o da nessuna richieste di autografi in parti indicibili. Si rilassò, ma Emma non smetteva di guardarlo e solo quando i due si accorsero che le loro mani erano l'una nell'altra si allontanarono velocemente.

"Ma che problemi lo affliggono?"si domandò. Aveva avuto l'opportunità di fare qualsiasi cosa invece era scappato alla velocità della luce scusandosi un miliardo di volte.
Pippo la raggiunse poco dopo e restò a sorridere, mentre la salutava con occhi di chi la sapeva lunga perché se Emma fosse ignara di ciò che sarebbe successo l'anziano signore no, senza contare che lui aveva riconosciuto quel giovane ragazzo dall'aria imbarazzata e dallo sguardo dolce.

Aprì gli occhi di colpo, balzò in piedi prima di sedersi di nuovo e ricadere di spalle. Iniziò a ridere come una ragazzina alla prima cotta. Non era possibile. Qualcuno le stava facendo un brutto scherzo, era quella la conclusione cui era arrivata Emma. Era vero? Non sapeva rispondere, non ora, non in quel momento.
Eppure il suo cuore sapeva ciò che alla mente sfuggiva: quegli occhi azzurri sarebbero stati la sua rovina.






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Buongiorno, prima di passare e dire qualunque cosa vi dico....
BUON ANNO, a tutti voi che mi seguite, a chi legge silenzioso e a chi lascia un piccolo commento o una stella.
AUGURI ad ogni singolo sognatore, scrittore e lettore.

Beh, l'immagine che vede sopra è l'abito che ho immaginato io per Joy, ovviamente ognuno può pensare all'abito che più le piace.

Che dire di questo capitolo?
Penso che stiamo davvero mettendo tanta carne sul fuoco, ma Emma cederà? Quale lavoro pensate accetterà? E poi... ci stavamo dimenticando di quell'incontro /scontro? Ma anche no, questo è l'inizio di tante memories, di tanti pensieri e perchè no.... di un amore non ancora nato, forse XDXD

Alla prossima,
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, spero davvero di sentire i vostri pareri o anche un piccolo segno come una stellina cliccata e, se non dovessi riceverne.... Beh, continuerò comunque a scrivere.

Buon Anno a tutti ancora una volta
Claire

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