4. Slow motion
Tento di non pensare alla lettera e mi alzo dalla panchina bianca sulla quale ero seduta. Ho voglia di osservare i quadri di Monet da vicino, ma ho ancora le lacrime agli occhi e ho la vista appannata.
'Meglio che ritorni un altro giorno', penso dentro di me. Ormai è sera e devo prendere la metro per tornare in albergo. Non avendo organizzato niente, sono stata fortunata a trovare una camera singola libera; è stata la prima cosa alla quale ho pensato, una volta varcato il suolo parigino. Non sarebbe stato ideale girare tutto il giorno per la città e ritrovarsi di sera senza un posto dove dormire.
Quando entro in camera, mi sento un pochino sollevata. Già a quest'ora non c'era della bellissima gente in giro, sopratutto in metro. Mi butto sul letto e tiro fuori il mio quaderno dalla copertina rossa. Lo apro e mi accorgo che ormai non ci sono più pagine vuote; pazienza, non credo di voler continuare a disegnare dei ritratti del volto di Benjamin. Eppure c'è una frase della lettera che Benjamin mi ha lasciato... una frase che mi è rimasta impressa, la formula di chiusura: Per sempre tuo, Benjamin.
Non sono confusa; ho capito benissimo perché avesse sentito l'esigenza di scrivermi. Era troppo doloroso dirmelo a voce, eppure non mi sono accorta di niente, quando, pochi minuti prima di aprirla, ho salutato Benjamin. Ricordo che mi ha abbracciata, ma questo succedeva spesso, perciò pensavo che dentro alla busta ci fosse un nuovo inedito o una canzone alla quale Benjamin era particolarmente legato.
Non immaginavo che dentro ci fosse una lettera di addio.
Non riesco più a resistere, allora sfoglio le pagine del mio quaderno finché non trovo la lettera. So che rileggerla mi farà male, ma sto già male, perciò non vedo che cosa potrei fare per migliorare la situazione. Appena vedo la calligrafia di Benjamin, mi rendo conto di quello che ha fatto, o meglio, che ci siamo fatti. Io sono qui a Parigi, lui a Modena. Dovrei esserci anche io, al Vox Club. Ma sono qui, in una fredda camera d'albergo e Benjamin è là, circondato dal calore della persone.
E non c'è niente in questo momento che io possa fare, a parte inviare un messaggio di augurio a Federico. Lo faccio, gli scrivo due parole per fargli capire che sono con loro, sperando che Benjamin gli abbia già spiegato il motivo della mia assenza. Poi appoggio il telefono lontano da me, sul letto, e ritorno alla mia lettera:
Cara Linda,
Ormai non posso più aspettare; ogni giorno che passa è un tormento, perché mi tengo dentro una cosa che ormai è più grande di me, talmente grande, che ora la devi sapere anche tu. Mi dispiace scriverti qui, ma non so che altro fare per dirtelo. Sono innamorato di te, lo sono da quando ti ho conosciuta, alle elementari. Non te l'ho mai detto perché non volevo perderti, non volevo deluderti, non volevo vederti andare via da me con la faccia delusa. Ho aspettato tutto questo tempo nella speranza di cogliere qualche segnale da parte tua, ma non è mai arrivato. Io ti amo Linda, ma immagino che i miei sentimenti non siano corrisposti. Oltre che il tuo migliore amico, ho sempre desiderato essere il tuo fidanzato, però ora questo non ha più importanza. Mi dispiace avertelo nascosto per tutto questo tempo e ti prego di superare questa ultima, grandissima sofferenza. Dopo che ci saremo separati, non soffrirai più, perché non mi azzarderò un'altra volta ad avvicinarmi a te. Linda, sei troppo preziosa e io non ti merito. Grazie per tutto quello che mi hai dato in questi anni; in un qualche modo porterò sempre il tuo sorriso nel cuore, perché è lì dove merita di essere ricordato e mantenuto al sicuro.
Per sempre tuo, Benjamin.
Rileggo la lettera ancora un paio di volte, senza riuscire a prendere una decisione. Dovrei davvero lasciare che Benjamin mi dimentichi? Che io dimentichi lui? Sono sicura che questo non accadrà mai, ma se solo lui me ne avesse parlato, avremmo potuto rifletterci insieme.
Non ho fame e trascorro il tempo stando sul letto. Penso a mille cose, ma dentro di me c'è così tanta confusione, che ogni argomento si mescola continuamente ad un altro e di conseguenza inizia un circolo senza fine. Ho gli occhi aperti, eppure non mi accorgo quando il giorno diventa notte; sono in un mondo mio, il mondo della mia testa.
Sento un 'bing' provenire dal telefono, ritorno alla realtà e leggo il messaggio. E' Fede che mi ringrazia per aver pensato a loro. Già, peccato che abbia letto il messaggio a concerto già finito. Guardo l'orario: è mezzanotte e mezza, è ora di dormire. Domani forse tornerò all'Orangerie per vedere meglio i quadri di Monet, oppure andrò da qualche altra parte in cerca di opere ugualmente maestose. A Parigi non è difficile trovarle.
Ma il tempo passa e per quanto mi possa tenere occupata viaggiando, non risolvo niente. Il tempo da solo non serve a richiudere le ferite. Certe volte sembra che il tempo trascorra velocemente, e molte volte, molte di più, si ha l'impressione di vivere la vita in slow motion. Sì, è da più o meno due settimane che la mia esistenza sembra imprigionata in un loop in slow motion. Un incubo insomma, soprattutto perché Modena è così piena di ricordi da farmi schifo.
Benjamin non mi ha più cercata, io nemmeno, eppure, dentro di me, vorrei averlo sentito dirmi le parole della lettera. Probabilmente se mi avesse detto un 'ti amo' faccia a faccia, non ci avrei creduto. Gli avrei detto che stava diventato pazzo, che il tour gli stava dando alla testa. Ma poi avrei sentito la sua risposta, avrei continuato a portare avanti la mia idea, benché fosse soltanto un pensiero e non la mia opinione e, ad un certo punto, la nostra conversazione sarebbe giunta ad una fine. Non so se sarebbe terminata con lui che mi diceva 'sarò per sempre tuo', com'è successo nella lettera, perché, se invece di scrivermi quella lettera avesse scelto di parlarmi, gli avrei fatto sapere la mia opinione.
Prima di chiudere quella conversazione gli avrei senz'altro detto che sì, lui era davvero pazzo. Ma era pazzo perché non si era accorto di non essere l'unico, tra noi due, ad essere innamorato. 'Anche io sono innamorata di te', gli avrei confessato io, e chissà, invece di dividerci, ci saremmo potuti baciare.
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