Capitolo 9

Con uno strano sentimento di ansia mi piazzo di fronte allo specchio della mia stanza. Il vestito mi aderisce come una seconda pelle, si allarga all'altezza dei fianchi e lascia in bella mostra le gambe dal ginocchio in giù, mentre dietro si allunga fino alle caviglie. Mi liscio il corpetto attorno alla vita stretta e passo un dito lungo la generosa scollatura.

Qualcuno bussa alla porta e Susanna entra nella mia stanza. «Sei pronta?» Indossa un fantastico vestito blu lungo fino ai piedi con un leggero strascico. Uno dei più suntuosi vestiti da sera che possiede.

«Non lo so.» Osservo di nuovo la mia immagine, i miei sono occhi colmi di incertezza. «Ho uno strano presentimento, e se il tuo piano non dovesse funzionare?»

Lei si piazza di fronte a me e mi posa le mani sulle spalle. «Non hai niente di cui preoccuparti.» Fa un passo indietro e mi scruta dalla testa ai piedi. «Guardati, sei splendida con questo vestito. Appena il tuo dio dell'amore ti vedrà cadrà ai tuoi piedi come se avesse perso i sensi.»

Mi fa sorridere. «Non scherzare. Ieri la tua idea mi sembrava l'unica possibilità di uscire da questa impasse, ma oggi mi sembra un rischio troppo alto.»

«Un rischio calcolato.»

«Solo che─»

«No, solo che, niente!» Mi interrompe. «Ho promesso a tua madre che mi sarei presa cura di te, lei avrebbe fatto esattamente la stessa cosa per te, per non permetterti di vivere una vita accanto a un uomo che non ami.»

Prendo un grosso respiro e lo ributto fuori con forza. «Ok... andiamo.»

La seguo docile fuori dalla mia stanza e fino all'ingresso. Teja è immobile come una guardia svizzera accanto alla porta, indossa il suo solito vestito che usa per fare le pulizie in casa.

«Teja, vieni vestita così?»

«Io non venire, Kalpana.»

Susanna mi passa il cellulare che avevo lasciato sul mobiletto. «Perché?»

«No piacere feste senza motivo.» Scuote la mano e abbassa lo sguardo, come se non volesse che le si chiedesse altro.

Io e Susanna ci scambiamo uno sguardo confuso. Susanna si stringe nelle spalle. «Mi dispiace che non vuoi venire, Teja.»

Anche lei fa spallucce. «No importa.»

«D'accordo...» Apre la porta e mi invita a uscire. «Ci vediamo, Teja.»

«Ciao, Teja. Porterò i tuoi saluti a mio padre.»

Lei mi sorride. «Tu dovere assolutamente fare questo.»

Ci chiudiamo la porta alle spalle e usciamo in giardino, lo attraversiamo e raggiungiamo la sua Mercedes. La apre e saliamo ai posti davanti.

Susanna mette in moto e attraversa il vialetto.

«Strano che Teja non sia voluta venire. Di solito le occasioni in cui sono presenti personalità indiane come mio padre le sono sempre piaciute.»

«In effetti è strano.», si ferma e apre il cancello con il telecomando. «Ma se devo essere sincera, da quando Teja è venuta a vivere con noi non sono mai riuscita a capirla fino in fondo.»

«Ah no?»

Esce dal cancello, che si richiude alle nostre spalle, e si immette nel traffico. «Ha strani modi di fare, non ha mai manifestato apertamente la sua gentilezza, né con me né con te. Però, essendo indiana, ho sempre pensato che possa essere una prerogativa di certe donne.»

«Non so cosa dirti...» In realtà non riesco a concentrarmi sull'argomento. A ogni metro che percorriamo e che ci avvicina al palazzetto dello sport dell'università mi sento in fibrillazione. Ho una gran paura che alla fine Eros possa odiarmi...

Ci fermiamo di fronte all'entrata dell'università, un ragazzo con una strana giacchetta e un papillon nero si avvicina allo sportello di Susanna e lo apre prima che possa farlo lei, la quale rimane addirittura con la mano sospesa all'altezza della maniglia. Mi lancia un'occhiata stupita, ma anche il mio sportello si apre e un ragazzo con una giacchetta e un papillon simile mi sorride.

Scendiamo dall'auto e Susanna dà al ragazzo le chiavi della sua auto. «Avevo chiesto al rettore qualcosa di particolare, ma che ci fossero pure gli chauffer all'entrata non me l'aspettavo.»

Il ragazzo sale al posto di guida mentre l'altro si allontana verso la sua postazione di fronte all'entrata.

Mi affianco a Susanna e le sorrido. «Diciamo che per una volta ti ha preso alla lettera.»

Ridacchia e mi sospinge dentro la proprietà scolastica. «Credo che la prospettiva di avere tuo padre e l'ambasciatore indiano nelle proprietà dell'università gli abbia arruffato le penne.»

La sua battuta mi distrae dalle mie ansie e contraccambio la sua risatina, ma mano a mano che avanziamo oltre il cancello l'ansia mi attanaglia sempre più. Non so nemmeno io di preciso perché, ma quello che ci siamo prefissate di fare lo vedo molto pericoloso per la mia felicità futura.

Mi chiedo come sia potuta arrivare a tanto pur di non sposare Hiresh.

Ci avviciniamo all'entrata principale della struttura universitaria, ma seguiamo invece un sentiero sulla destra che si perde oltre le aiuole del giardino. Incontriamo alcune persone ferme a conversare tra loro in mezzo al verde dei vialetti tra la facoltà di giurisprudenza e di agraria, sono stati fissati nuovi pali tiki per l'illuminazione, creando un'atmosfera tropicale. Qualcuno di loro ha in mano un bicchiere che sorseggia. Susanna si prodiga a salutare un po' tutti con un sorriso e un cenno del capo, io non conosco nessuno ma la imito. Basta che non ci fermiamo a parlare.

Più ci avviciniamo al palazzetto sportivo e più la gente si fa numerosa. Sono tutti con suntuose vesti eleganti, pari a quelle che abbiamo indossato durante la festa all'ambasciata. Un paio di persone mi pare pure di riconoscerle qua e là.

«Sbaglio o alcune di queste persone erano presenti anche alla festa all'ambasciata.»

«Molte delle persone qui presenti erano anche all'ambasciata.»

Sono stupita. «Davvero?»

Lei annuisce. «Non sapendo come si chiamava il tuo bel dio dell'amore, a parte il nome di battesimo, mi sono fatta dare la lista degli invitati dall'ambasciatore. Non è stato difficile.»

«Ecco perché Hiresh mi ha detto di averti seguita fino all'ambasciata.»

Si fa di colpo preoccupata. «Ti ha detto di avermi seguita?»

Annuisco. «Ha detto di averti seguita anche per tutta la città dopo l'ambasciata.»

Lei tira su il naso. «Sono andata solo in un posto dopo l'ambasciata.»

«E dove?»

Distoglie lo sguardo e mi lancia un'occhiata con la coda dell'occhio. «Dovevo solo essere sicura che non mancasse nessuno a questa festa.»

Le lancio un'occhiata scettica. «Mi prendi in giro?»

Lei sbuffa ma ridacchia. «Hai detto che il tuo bel dio dell'amore lavorava come rappresentante, no? Non è stato difficile scoprire quale fosse l'azienda per cui lavora dalla lista degli invitati. Sono andata direttamente dal suo capo per essere sicura che fossero entrambi presenti.»

Sgrano gli occhi. «Che cosa hai fatto?!»

«In realtà avrei potuto benissimo andare direttamente a casa sua e convincerlo di persona, ma ho preferito fare le cose in modo più ufficiale.» Alza la mia mano e mi dà due pacche per rassicurarmi. «Non essere così nervosa, andrà tutto bene.»

«Ma─»

«Andiamo, Clio, capisco il tuo nervosismo, ma se seguirai le mie regole andrà tutto come abbiamo previsto.»

«Ci sono tante cose che mi preoccupano.» Abbasso lo sguardo e rallento il passo. «Come ad esempio la storia di farmi portare a casa sua. E se papà non volesse seguirti?»

«Quando le dirò che ne va della tua vita sarà lui a spingermi per portarlo lì.»

«E se qualcosa andasse storto?»

«Basta solo che tu mostri che stavate in atteggiamento molto intimo, il resto verrà da sé.»

«Sì, ma─»

«Guarda, tuo padre sta entrando adesso nel palazzetto. Affrettiamoci.» Mi afferra il gomito e mi trascina oltre l'entrata.

Ci inoltriamo tra gli invitati che occupano la pista, le loro voci si confondono, salgono fino agli alti soffitti e rimbombano, creando uno strano effetto eco che infastidisce.

Susanna si avvicina al mio orecchio. «Ho perso di vista tuo padre, tu lo vedi?»

«In realtà non lo avevo visto nemmeno prima.»

«Ah no?»

«No, e lo sai benissimo... Mi hai solo voluto distrarre da─»

«Uh, guarda, il buffet! Prendiamoci qualcosa.» All'improvviso mi afferra per la seconda volta e mi trascina tra la folla fino al tavolo da buffet. «Ho una fame... tu no?»

Roteo gli occhi. «Ok, ci rinuncio.» Afferro con la mano sana un piattino dalla tavola imbandita. «Questi piatti sono troppo piccoli.» Borbotto, lo tengo con la mano fasciata e con l'altra mi servo un po' di pinzimonio.

Susanna ride sotto i baffi e si serve alcune tartine con il salmone.

«Mi fa piacere ritrovarvi entrambe di buon umore.» Per un pelo la voce di Hiresh alle mie spalle mi fa rovesciare il piattino che ho in mano.

Mi volto di scatto, il suo sorriso granitico mi accoglie come un ospite sgradito. «Che cosa vuoi?»

«Solo assicurarmi che vada tutto bene.» Fa un cenno di saluto verso Susanna, che lo fissa senza ricambiare. Lui non si scompone e si guarda attorno. «Non vedo il tuo fidanzato da nessuna parte. Sei certa che verrà... o che esista?»

«Non sono affari tuoi.» Mi volto e lo ignoro, o almeno ci provo. Afferro una tartina al salmone ma la sua mano si posa sul mio avanbraccio impedendomi di metterla sul piattino.

Susanna posa a sua volta la mano sul braccio di lui. «Signor Aditi, non vorrà mica dare spettacolo in mezzo ai miei ospiti?»

Lui lascia la presa. «I suoi ospiti sono gli stessi che erano presenti alla festa all'ambasciata, è per questo che si era recata là, il pomeriggio scorso? Per richiedere la lista degli invitati?»

«Ho solo pensato che personalità di spicco come il signor Narayan e lo stesso ambasciatore fossero più contenti a partecipare se si trovavano tra persone a loro familiari. Senza distinzioni ho invitato tutti gli stessi della scorsa festa. Infatti è presente anche lei.»

«E la ringrazio molto per questo.»

«Sì, ma non mi faccia pentire di averlo fatto.»

Resto immobile senza voltarmi. Ci deve essere un intenso scambio di sguardi tra loro.

La mano di Susanna si posa sulla mia spalla. «Puoi voltarti, se n'è andato.»

Butto fuori un grosso respiro e mi volto. «Menomale, ti ringrazio. Non avevo nessunissima voglia di affrontare quel pallone gonfiato.»

«È comprensibilissimo, è odioso. Però ha ragione, il tuo bel dio dell'amore non si vede da nessuna parte?» Si guarda attorno allungando il collo.

«Può darsi che sia in ritardo.»

«Lo spero, perché...» Storce la bocca.

Cos'è questa storia? «Hai dimenticato di dirmi qualcosa?»

«No... niente di importante. Almeno credo.»

«Dalla tua faccia non si direbbe.»

Stringe le labbra. «Solo che il suo datore di lavoro mi ha detto che avrebbe fatto di tutto per farlo partecipare a questa ennesima festa, perché a quanto pare lui non ne era molto entusiasta.»

Sgrano gli occhi. «Dici che ci sia la possibilità che non venga?»

«Il padrone dell'agenzia mi ha detto che per il novanta per cento ci sarà, ma quel dieci per cento mi preoccupa.»

Mi sembra che mi stia per cadere il mondo addosso. «Perché non me lo hai detto prima?»

Mi guarda come un cane bastonato. «Perché avevo paura che ti tirassi indietro.»

Sospiro di esasperazione e per poco non mi cade il piattino dalle mani per la seconda volta. «Susanna, non posso credere che─» Mi blocco nel mio discorso.

Alle sue spalle, in mezzo alla folla ignara del mio cuore accelerato, Eros si sta avvicinando con la sua camminata disinvolta, le mani in tasca e lo sguardo rilassato di chi sta cercando qualcuno tra la folla. Forse sta cercando me. Questa volta indossa una giacca scura aperta su una camicia bianca sbottonata fino alla gola, un leggero ciuffo di peli sbuca da quella scollatura. I suoi jeans questa volta non sono quelli blu e popolari della festa scorsa, sono neri, con i risvolti grigi sopra un paio di mocassini neri. Un delizioso fazzoletto rosso sbuca dal taschino della giacca.

Susanna si volta per seguire il mio sguardo, mi guarda e sorride. «Qualcosa mi dice che il tuo dio dell'amore è quel bel tipo che stai fissando. Direi che possiamo anche far finta che la nostra ultima discussione non sia mai avvenuta.» Borbotta.

Lo sguardo di Eros incrocia il mio e si blocca tra la gente, nel petto un balzo di quel muscolo involontario che si chiama cuore mi avverte che anche lui si è accorto del suo arrivo.

Susanna mi posa una mano sul braccio. «Vado a cercare qualcuno con cui parlare. Ok?»

«Ehm...» Sposto un secondo lo sguardo su di lei, «sì, ok.» Torno a guardare il mio dio dell'amore, che mi sorride. Mentre Susanna si allontana lui si avvicina.

Mi raggiunge e i suoi occhi dolci mi squadrano da cima a fondo. «Non puoi immaginare che sorpresa sia trovarti anche a questa festa.»

Sulla mia faccia si disegna uno strano sorriso compiaciuto, ho i muscoli delle guance che tirano come se avessi una paralisi facciale. «Io ci speravo.»

Un guizzo impercettibile delle sue sopracciglia mi fa accorgere di aver pensato a voce alta. «Davvero?»

Oddio, così mi tradisco. «Beh... nel senso che... è una sorpresa gradita.» Agito la mano sperando di sembrare convincente.

Lui ridacchia. «Mi lusinga...» Si dondola sui talloni e si guarda attorno. «C'è molta gente anche a questa festa, vero?»

Mi guardo attorno anch'io. «Già...» Deglutisco. Non so come rompere il ghiaccio.

«C'è solo una cosa che mi sfugge.»

«Cosa?»

Ogni volta che i suoi occhi si posano su di me mi sembra di volare. «Non capisco cosa si stia festeggiando.»

«Ah, beh... direi che sia più o meno come quella precedente.»

«Sempre il signor Narayan?»

«Credo di sì...»

«Ah...» Scuote appena la testa. «Sembra che tutto giri attorno a lui, ultimamente.» Borbotta, ma più a sé stesso che a me.

«Come?»

Scuote la testa con più vigore. «Niente. In realtà sono qui per uno scopo preciso, e avevo tutta l'intenzione di adempiere al mio incarico, ma ho appena cambiato idea.»

Di quale incarico sta parlando?

«Hai cambiato idea? Perché?»

«Perché non credevo che ti avrei incontrata di nuovo.» Si avvicina e mi sfiora una mano. «Pensavo che non ti avrei più rivista.»

Uno strano calore si diffonde dal mio petto fino al volto, mi sembra di andare a fuoco. «Grazie...»

Il suo sorriso si estende e mi offre il braccio. «Posso portarti a bere qualcosa? Ho visto un bar di fortuna nell'angolo a destra del palazzetto.»

Non riesco a smettere di sorridere. Afferro il suo braccio e mi accompagna fino a un bancone di circa tre metri con due ragazzi con un gilet simile alla giacca degli chauffer, intenti a servire alle persone ferme davanti a loro. Uno dei due ha lo shaker in mano che agita e fa svolazzare, una coppia lo sta fissando come se fosse la prima volta che vede un barman. Questi si volta lanciando in aria lo shaker, lo riprende al volo e continua ad agitarlo, prende due coppe da martini, stappa lo shaker e versa nei due bicchieri un liquido bianco e denso, posa lo shaker e gratta sulla superficie di entrambi un po' di noce moscata. Li sposta davanti alla coppia e si rivolge a noi. «Cosa prendete?»

Eros si volta verso di me. «Che cosa prendi?»

«Ehm... un cocktail Martini andrà bene.»

Eros alza due dita in direzione del barman. «Due cocktail Martini, grazie.»

Questi annuisce e con movenze spettacolari prende due bicchieri da cocktail e li riempie entrambi di ghiaccio. Mette altro ghiaccio dentro lo shaker e ci versa una generosa dose di gin e una di vermut bianco, lo mescola con un lungo cucchiaino di alluminio, getta il ghiaccio dalle due coppe di vetro e ci versa dentro il nostro aperitivo. Ci avvicina i bicchieri, con un cenno del capo si congeda da noi e si volta per servire altri due avventori.

Eros prende i due bicchieri e me ne allunga uno. «A noi.» Fa scontrare il suo bicchiere col mio e ne beve un sorso.

Da sopra il bordo del bicchiere mi fissa con quello sguardo dolce e sensuale che mi manda in confusione.

Bevo un sorso e mi lecco le labbra. Me le fissa e rimane a bocca aperta.

Oddio...

Deglutisco. «Vogliamo prendere una boccata d'aria?»

Lui chiude la bocca e annuisce. «Volentieri.»

Mi porge un'altra volta il gomito e camminiamo fuori dal palazzetto. Mi indica il braccio fasciato. «Cosa hai fatto?»

«Oh... uno stupido mi ha investito con la macchina.»

Sgrana gli occhi. «Oddio, quando?»

«Qualche giorno fa. Ma sto bene, non mi fa più nemmeno male. Potrei benissimo toglierla.» Per dimostrarglielo passo il bicchiere su quella mano e bevo un lungo sorso del mio Martini, lo sento scendere giù lungo l'esofago e depositarsi nel mio stomaco. «Questo affare è davvero buono.»

Mi lancia un'occhiata curiosa. «Non mi sembri abituata a bere.»

Sorrido. «In effetti no.» Bevo un altro sorso. «Però questo è buono.» Senza accorgermene lo finisco, e con il bicchiere vuoto in mano varchiamo insieme il grande portone del palazzetto. Intorno a noi, nel vasto giardino dell'università, ci sono vari gruppetti di persone intente a chiacchierare e a sfoggiare vestiti appariscenti, sorseggiano dai loro bicchieri e si scambiano risatine sceme. Chissà se sanno perché si trovano qui.

«C'è solo una cosa che non ho capito di questa festa.» La voce di Eros mi riporta alla realtà.

«Cosa?»

«Con quale scusa è stata fatta se l'arrivo di mister Narayan è già stato festeggiato?»

«Ah, ehm... non saprei. La cerimonia di laurea c'è stata il mese scorso.»

Beve un sorso del suo bicchiere. «Tu studi qui?»

Annuisco. «Studiavo, ormai ho finito.»

«Ah, vero, mi hai detto che ti sei laureata.»

«E a pieni voti.»

«E non mi hai saputo dire cosa vuoi fare adesso.»

Appoggio il bicchiere alle labbra e alzo il gomito ma non viene fuori niente. «Ah, l'ho finito...» Lo giro a testa in giù.

Lui ridacchia. «Aspetta.» In un unico sorso finisce il suo, me lo toglie di mano e lo posa sopra un muretto accanto a noi. «Adesso siamo più liberi.»

Sorrido. «Hai ragione.»

Avanziamo tra i gruppetti di gente e l'immenso giardino, tra gli alberi arricchiti con fili di luci bianche e le aiuole adornate con torce tiki e incensi che lasciano nell'aria un gradevole profumo esotico. Devo ammettere che il rettore ha saputo creare un'atmosfera suggestiva, ma non ha niente a che vedere con l'India.

«È grazioso qui.» Eros mi indica il verde attorno a noi.

«Sì, è molto bello, tranquillo... per studiare ci sono certi angoli nascosti che sono piccoli paradisi.» Mi è venuta un'idea. «Vuoi vedere il mio preferito?»

«Certo.»

Afferro la sua mano e lo guido attraverso i vari alberi e i viottoli nascosti. «Non è lontano, è appena dietro la facoltà di agraria.»

La sua risatina mi insegue mentre inizio a correre. In prossimità del mio posto preferito, lontano dalle persone che brindano, rallento. Aggiro l'ultima siepe ed ecco che il mio piccolo angolino appare in tutto il suo splendore; questa specie di laguna naturale creata dalla siepe, che gira attorno a un albero e lo protegge dagli sguardi indiscreti, sembra creata apposta per farmi studiare in santa pace.

«Per la maggior parte del tempo io studiavo a casa, non amavo molto venire in facoltà, ma quando non ne potevo fare a meno mi piaceva venire a studiare qui.» Faccio un passo verso il centro della mia laguna, metto il tacco della scarpa in una piccola buca e non avendo più appoggio il piede si piega di scatto verso l'interno. Le ginocchia mi cedono e inizio una precipitosa caduta verso il terreno.

Con un tempismo perfetto, le mani di Eros si allacciano attorno alla mia vita e mi impedisce di cadere.

«Ehi, stai attenta!» Il suo braccio si avvolge attorno alla mia vita e mi stringe contro il suo petto. Mi ritrovo il suo viso a un palmo dal naso, i suoi occhi mi scrutano vicinissimi. «Tutto bene?»

Sono a bocca aperta, non posso che tuffarmi il quel castano dolce e intenso... abbasso lo sguardo sulle sue labbra e il ricordo del nostro bacio mi assale.

Il suo viso si avvicina al mio, il suo fiato mi scalda la pelle. Sa di Martini. Sa di lui. Si ferma a pochi centimetri e torna a guardarmi negli occhi, come a cercare un consenso o un rifiuto. Si sofferma su ogni centimetro del mio viso, mi studia da vicinissimo. «Ti dispiace se questa volta non aspetto la fine della serata?» Abbassa lo sguardo sulle mie labbra e mi bacia.

Non so, forse perché sono ubriaca, o perché a differenza della prima volta mi è più familiare, ma questa volta mi sembra di camminare su una nuvola.

Mi solletica con la lingua, mi eccita, mi reclama. E io faccio altrettanto. Il suo sapore ha qualcosa che rende schiavi. È una droga.

Un fremito di eccitazione mi percorre, una scossa di adrenalina che si disperde nel mio basso ventre... si esaurisce proprio lì.

Si stacca e i suoi occhi mi confondono. «È stato ancora più bello della prima volta.»

Mi sento prendere fuoco. «Lo credo anch'io...»

Lui sorride e torna a baciarmi.

Oddio.

Per la seconda volta mi trasporta con sé in un altro luogo, in un altro universo.

Le mie mani vagano da sole sopra la sua giacca, tasto i suoi bicipiti e il calore che emana mi dà i brividi.

Le sue mani vagano sul mio corpo come se lo conoscesse a memoria. Mi accarezza in modo sinuoso il fondoschiena, tasta la natica come se gli appartenesse, come se fossi sua.

Mi piace.

Con le dita dell'altra mano mi pettina i capelli, mentre la sua lingua mi fa correre con la fantasia, mi trasmette tutta la smania di avermi. Almeno è questo quello che sento, e che ricambio...

Non so come contraccambiare le sue carezze, ma l'istinto me le fa spostare sotto la sua giacca, a contatto con il calore del suo corpo e con i muscoli sodi del suo petto.

All'improvviso afferra la mia mano e la tiene ferma contro di sé, si stacca dalle mie labbra e mi guarda negli occhi, il respiro affannato e il viso rosso. «Così mi fai venire voglie indiscrete.»

«Anche a me...»

Oddio, cosa ho detto?

Si sofferma di nuovo a scrutare nei miei occhi. «Perdonami, Clio... non volevo dire che─»

«Anch'io ne ho voglia.» O almeno credo.

Beh, in effetti la smania di non fermarmi alle carezze c'è, anche se non so a cosa tutto questo possa portarci. Ma devo andare avanti...

Lui sorride, si lecca le labbra e torna a baciarmi. «Non cacciarmi via, ti prego.» Borbotta sulle mie labbra.

La sua lingua torna all'attacco. Con un passo indietro mi appoggio al tronco dell'albero e lui preme su di me con tutto il suo peso. Un intrico di muscoli scattanti ed eccitanti si spalma sul mio corpo, mi dona sensazioni mai vissute prima. Sto scoprendo parti anatomiche di un corpo maschile che nemmeno sospettavo...

La sua mano vaga sulla mia pancia, mi accarezza premendo i polpastrelli sulla mia pelle. Anche attraverso la stoffa del vestito mi eccita. Sale verso il seno e ne prende possesso, ne stringe uno e con il pollice passa più e più volte sopra il capezzolo.

Una smania indescrivibile si impossessa di me, qualcosa di liquido tra le cosce mi costringe a stringerle e ad appoggiarmi ancora di più contro di lui.

A un certo punto si stacca dalle mie labbra e inizia a baciarmi il mento, scende fino al collo e nell'incavo della gola, scende ancora di più finché non prende il mio capezzolo tra le labbra e inizia a succhiarlo.

Apro gli occhi di scatto, senza fiato. Mi sento mancare, una scossa elettrica parte da quel punto e si dipana in tutto il mio essere. La smania che sentivo prima era niente in confronto a quello che sto sentendo adesso. Non mi ero nemmeno accorta che mi avesse denudato il seno. Come ha fatto?

«Eros... Eros, ti prego...»

Lui si stacca, i suoi occhi sono annebbiati dalla passione. «Perdonami, forse mi sono lasciato prendere la mano, ma...» Deglutisce e scuote la testa. «Sei troppo bella.» Si tuffa sulle mie labbra e si stringe contro di me.

A cosa mi porterà tutto questo?

Con uno sprazzo di lucidità appoggio le mani contro le sue spalle e lo spingo.

Lui si allontana e si lecca le labbra, le stringe e mi fissa preoccupato. «Scusa... perdonami─»

«Vuoi prendermi in questo posto?» Lo interrompo.

Sbatte le palpebre, confuso. «Come?»

Mi guardo attorno. «Beh... qui siamo abbastanza isolati dal resto degli invitati, ma non possiamo proibire a qualcuno di passare di qui. Insomma, c'è il rischio che ci vedano.»

Si lecca le labbra, confuso. «Vuoi dire che potremmo andare da qualche altra parte?»

«Sì... io... sì. Potremmo andare a casa tua.»

Ho il cuore a mille, speriamo che vada tutto bene.

Corruga la fronte cercando di capire, un accenno di sorriso stende le sue labbra e annuisce. «Va bene.» Si scosta da me e si sistema la camicia che gli ho stropicciato e il cavallo dei pantaloni. «Direi che possiamo andare via subito prima che qualcuno ci veda.»

«Aspetta...» Gli do le spalle e mi sistemo la scollatura. Accidenti, il solo pensare alle sue labbra attorno al mio capezzolo mi fa svenire di nuovo. Mi volto e gli sorrido. «Andiamo?»

Lui mi prende per mano e mi fa strada lungo il viottolo che abbiamo attraversato per arrivare qui, devo correre per riuscire a stargli dietro. Passiamo a una certa distanza dalla maggior parte degli invitati riversi in giardino e ci dirigiamo fuori dalla proprietà dell'Università.

In strada tutto è calmo, qualche macchina gira tranquilla e i pochi passanti si voltano a guardarci. Come la prima volta.

Eros mi trascina fino a una Citroen verde e mi lascia davanti allo sportello del passeggero. «Questa è la mia.» Mi dà un bacio sulle labbra e fa il giro. Apre la macchina e monta.

Una Citroen... avrei detto di tutto tranne che avesse una piccola Citroen.

Mi apre lo sportello e monto accanto a lui. Mi sorride, emozionato, e mette in moto.

Guida con disinvoltura lungo la città, ad un tratto sposta la mano dal cambio alla mia coscia scoperta, la mia parte sinistra del corpo si ricopre di pelle d'oca. Non sono più certa che riuscirò a tenerlo a bada.

«Ti dà fastidio?» Mi sorride per un secondo e torna subito a prestare attenzione alla strada.

In realtà sì, ma non nel modo in cui intende. «No no...»

Senza dare nell'occhio prendo il cellulare dalla borsetta e mando un messaggio a Susanna.

"Stiamo andando a casa sua, come previsto. Ho una paura folle di non riuscire a tenerlo a bada per tutto il tempo necessario."

«A chi scrivi? Alla tua amica?»

Sobbalzo alla sua voce improvvisa. «Sì... le sto dicendo che me ne sono andata dalla festa.» Mi trema la voce.

Annuisce. «Giusto, non ti ho dato il tempo di avvisare nessuno.» Cambia marcia e riporta la mano sul mio ginocchio, lo stringe, regalandomi strane vibrazioni. Ho il respiro corto.

«Casa tua è lontana?»

Sorride. «No...»

Il trillo del cellulare mi avvisa dell'arrivo del messaggio.

"Ti ho vista tenere a bada uomini molto focosi, non credo che sarà un problema per te."

Grazie... non mi sei di nessun aiuto.

Spengo il cellulare e lo rigetto nella borsetta, anche se fa a pugni con il portafogli per farsi spazio. Eros si ferma in seconda fila e mette la freccia, alzo lo sguardo sul palazzo di fronte a noi e scorgo la targa di marmo. Via Inghilterra. Ora mi ricordo, lo aveva detto all'autista della Limo, ecco dove lo ha preso Susanna. Perché non ci ho pensato prima?

Fa manovra e parcheggia tra due macchine. Spegne il motore e mi sorride. «Vogliamo andare?»

Il cuore mi fa un balzo, sto per entrare nella tana del lupo.

Annuisco e faccio scattare la sicura dello sportello.

«Aspetta.»

Mi volto verso di lui e all'improvviso mi dà un bacio sulle labbra da lasciarmi senza fiato. Tutta la smania che si stava un po' affievolendo durante il tragitto riaffiora prepotente, stuzzica le parti più vulnerabili del mio corpo, mi inonda di una voglia liquida che mi fa smaniare.

Poso la mano sul suo petto, alla ricerca del suo calore. Lui la afferra e la passa su e giù sui suoi pettorali. Si stacca e rimane a un centimetro di distanza dal mio viso. «Sei la donna più sensuale che abbia mai conosciuto.»

Un sorriso involontario mi distende le labbra. «Grazie.»

Mi dà un bacio a stampo. «Dai, saliamo.» Si volta e scende di scatto dalla macchina.

Lo seguo per strada, lui fa il giro dell'auto e mi prende per mano, mi sorride e mi trascina fino a un portone aperto a due passi da noi. Entriamo nell'atrio e per istinto prendo il portone e lo spingo per chiuderlo alle mie spalle, ma questi sbatacchia contro lo stipite e rimane aperto.

«No, lascialo stare.» Eros si sofferma nell'ingresso. «Forse un giorno l'amministratore deciderà di aggiustarlo. È così da più di un anno, ormai.»

«Ah...»

«Dai, vieni.» Mi trascina per le scale fino al secondo piano, di fronte a un portone marrone scuro. Dalla tasca prende le chiavi e lo apre. Lo spalanca e me lo tiene aperto per farmi entrare. «Prego, ben venuta nella mia umile dimora.»

Faccio un paio di passi incerti nell'ingresso, grande quanto la cabina armadio di Susanna, con due porte una di fronte all'altra e una al centro. C'è un lieve odore di chiuso, deve abitare qui da solo, di sicuro non ha una donna che gli fa le pulizie.

«Posso offrirti qualcosa da bere?» Si piazza davanti a una delle porte e mi fa cenno di entrare.

Gli sorrido e gli passo davanti. La cucina è abitabile, con un arco che dà su un cucinino minuscolo. Il tavolo rotondo è piazzato proprio nel mezzo, al centro del quale un vassoio in argento raccoglie una mela, un grappolo d'uva un po' rinsecchito e delle monete. Lui si dirige verso la credenza di fronte alla porta e prende due bicchieri con il gambo alto tra quelli posizionati a testa in giù, li posa sul tavolo e apre un altro sportello, prende una bottiglia di bourbon.

Si volta e me la mostra. «Ti va bene un po' di whiskey?»

«Ahm... hai qualcosa di più leggero?»

Lui sbatte le palpebre, preso in contropiede. «Hai ragione, sono davvero uno stupido.» Rimette a posto la bottiglia e si dirige al frigorifero, oltre l'arco del cucinino. «Un po' di vino bianco?» Si volta e mi mostra la bottiglia.

«Il vino bianco va benissimo, grazie.»

Lo stappa e lo versa nei due bicchieri.

Mi guardo un po' in giro. Sul ripiano della credenza c'è la miniatura di una donna con dei lunghi capelli rossi e gli occhi castani.

«Chi è?»

Lui si avvicina, prende la miniatura e la posa a faccia in giù contro il ripiano. «Nessuno di importante.» Mi porge il bicchiere e mi fissa negli occhi.

Bevo un sorso di vino e lo osservo da oltre l'orlo del bicchiere. Il suo sguardo mi incendia, sembra che mi stia togliendo le mutandine con il pensiero. Mi fa correre un brivido lungo la spina dorsale.

Beve un sorso del suo, mi toglie il bicchiere di mano e li posa entrambi sul tavolo. «Dove sei stata finora?» Borbotta. Si avvicina e mi bacia.

Non riesco a reagire come vorrei, resto inerme a gustarmi e in qualche modo a subire il suo assalto.

Le sue dita si infilano tra i miei capelli, con l'altra mano mi stringe un fianco. Riesco non so come a mettere le mie sulle sue spalle e mi abbandono contro il suo corpo. Emette un gemito che riverbera nella mia bocca, mi fa fremere fino alle ossa.

Mi sento inumidire al centro delle cosce, ricordo il bacio che mi ha dato nel mio luogo privato in facoltà e mi tremano le gambe.

Si stacca e i suoi occhi dolci mi sorridono. «Vieni con me.» Mi dà un altro bacio e mi prende per mano, mi trascina fuori dalla cucina e oltre la porta di fronte, accende la luce e ci ritroviamo in camera da letto.

I mobili in legno bianco e il letto in ferro battuto danno alla stanza un certo confort. Il copriletto è un semplice lenzuolo blu, sui comodini ci sono due abat-jour a campana, su quello destro c'è anche un libro.

Si avvicina e mi prende la borsetta. «Che ne dici se questa la posiamo qui?» Me la toglie e la posa sul settimino alle mie spalle, sul quale non c'è niente. Mi accarezza una guancia e già fremo.

Sono paralizzata, ma anche stupita dalle reazioni del mio corpo a ogni suo minimo tocco. Susanna aveva ragione, lui è il primo che mi fa questo effetto, e al tempo stesso ha sbagliato, non riesco a tenerlo a bada. Perché proprio lui?

Con la mano scende verso il mento e lungo il collo, con dita delicate mi sfiora la scollatura del vestito. «Sei bellissima.» Sussurra.

Lo fisso negli occhi, hanno una luce morbida, invitante.

Si avvicina di nuovo e riprende a baciarmi. Mi afferra per i fianchi e mi stringe a sé, mentre con la lingua insegue la mia in un gioco che mi dà alla testa.

All'improvviso stacca le sue mani da me, si toglie la giacca e inizia a sbottonarsi la camicia, smette di baciarmi il tempo di sbottonarsi i polsini e toglierla, la lancia contro il bordo del letto, facendola cadere a terra ma non se ne occupa, perché torna subito a baciarmi.

Mi sento mancare.

Con coraggio poso i palmi sul suo petto nudo, a contatto con la sua pelle calda, con i suoi muscoli sodi. Lo sento vibrare sotto le dita. Sento la vita che lo anima.

Prende possesso del mio seno e gioca con i miei capezzoli, allo stesso istante le mutandine mi si bagnano.

Non riesco a sopportare oltre e mi stacco da lui di scatto. Ho il fiatone.

«Scusa...» Non riesco a guardarlo in faccia e abbasso lo sguardo.

Cosa sto facendo?

«Ehi, che ti prende?» Si avvicina e mi alza il mento. «Hai cambiato idea?»

Mi tuffo per l'ennesima volta nella dolcezza del suo sguardo, mi sta pregando di rimanere, di non andarmene. Fisso le sue labbra e senza accorgermene me le ritrovo di nuovo addosso. Scorre in basso, verso il seno. Il ricordo di quello che mi ha fatto all'università mi tormenta e mi tenta al tempo stesso. Mi tremano le mani.

Con uno sforzo poso le mani sul suo petto e lo spingo via di nuovo. Devo aspettare almeno un po', devo dare a Susanna il tempo per avvisare mio padre.

Il suo sguardo confuso mi destabilizza. Non riesco a guardarlo, abbasso gli occhi e faccio un passo indietro.

Il suo respiro è veloce, affannato, come il mio.

La sua voce è spezzata dall'incertezza. «Scusa... avevo capito che lo volevi anche tu. Tutti i segnali che mi hai mandato mi avevano fatto capire che eri d'accordo.»

Mi azzardo a guardarlo, la sua espressione ferita mi annienta. «Scusa... non è questo.»

Fa un passo verso di me. «E allora cosa?» Guardo a terra, ma la sua mano sulla guancia mi costringe a guardarlo in faccia. «Puoi dirmelo, Clio. Non sono un tipo che giudica certe cose.»

«Eh...» Scuoto la testa. «Il fatto è che... non l'ho mai fatto.»

La ruga di preoccupazione che gli divide la fronte si attenua fino a sparire, i suoi occhi si allargano stupiti, così come la sua bocca, la sua espressione si tramuta in scioccata. «Sei vergine?»

Annuisco e abbasso lo sguardo.



Qui ci vorrebbe una musichetta triste, o ironica, che ne dite?

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