Capitolo 31
Clio...
Mi massaggio i polsi per riattivare la circolazione del sangue.
La serratura alle mie spalle scatta e la porta si apre di colpo, uno degli uomini di Hiresh trasporta dentro Eros, la testa gli ciondola sul petto, priva di sensi, e lo lascia cadere sopra la brandina alla mia sinistra. Questi mi lancia un'occhiataccia di superiorità ed esce, richiudendo tutte le diverse mandate di questa sorta di prigione.
Eros ha la testa rivolta all'indietro e la mandibola rilassata, gli occhi chiusi e la barba incolta di alcune settimane.
Quindi non è tornato in Italia come gli aveva detto papà, è rimasto qui? Ma perché, era in combutta con Hiresh?
Mi avvicino di qualche passo... non capisco se quello che provo ad averlo ancora qui in India sia rabbia o sollievo. Dopo quello che ho scoperto su di lui dovrei non volerlo più vedere, non voglio più stare con uno che si fa pagare per andare con le donne... come una normale prostituta. Soprattutto non dopo il caso di quella donna riportata sul giornale che ha portato Valerio.
Un rivolo di sangue macchia la brandina all'altezza della sua testa, sgrano gli occhi e mi precipito su di lui. Lo hanno colpito!
Lo spingo contro la spalla per vederlo meglio dietro, un brutto squarcio si apre tra il collo e la nuca, imbrattando la brandina sotto di sé. Oddio!
Mi guardo attorno alla ricerca di qualcosa con cui tamponargli la ferita, ma qui non c'è niente! Accidenti!
Mi guardo addosso e prendo la mia decisione, afferro l'orlo della gonna e lo mordo tra gli incisivi, riesco a strapparlo un pezzettino, tanto basta per riuscire con le mani a creare un lembo di stoffa da poter premere contro la sua ferita. Con cura gli alzo la testa e premo la fasciatura improvvisata contro lo squarcio, che per fortuna non perde così tanto sangue come mi sembrava all'inizio, ma è senz'altro il motivo della sua perdita di coscienza.
Qualcuno cammina avanti e indietro davanti alla porta di questo tugurio. «Portatemi dell'acqua, per favore, c'è un uomo ferito!» Strillo in lingua Punjabi, ma nessuno si affretta a obbedirmi, nessuno mi dà ascolto.
Cosa mi aspettavo?
Un mugolio sofferente mi fa balzare il cuore in gola, Eros corruga la fronte e aspira dal naso. «Cos'è successo?» mugola.
Si volta verso di me e apre gli occhi. Ci fissiamo immobili... Non so come descrivere l'emozione nel ritrovarmi i suoi occhi di nuovo così vicini, dopo che pensavo che non lo avrei più rivisto... se non durante le pratiche per il divorzio. Ho il cuore che mi fa male da quanto batte forte.
Il suo sguardo è fermo su di me, le labbra rilassate.
All'improvviso strizza le palpebre e mugola di dolore. «Cos'è successo?» Si porta una mano alla nuca e sfiora la mia. «Cosa mi hanno fatto?»
«Stai tranquillo, hai una brutta ferita dietro la testa, ma non sanguina molto, per fortuna. Anche se la botta che ti hanno dato ti ha messo ko per un po'.»
Con la fronte corrugata sbatte le palpebre e aspira tra i denti. «Fa un male cane.»
«Ci credo.»
Con la faccia sofferente ferma i suoi occhi annebbiati di nuovo su di me. «Mi dispiace... ho dovuto firmare quel contra─»
«Shhh.» Poso l'indice sulle sue labbra. «Probabilmente mi hai salvato la vita, Eros.»
Studia i miei occhi e si lecca il labbro inferiore. «Vuol dire che mi hai perdonato?»
Le parole riportate in quell'articolo di giornale riaffiorano alla mia mente come ospiti sgraditi. Cosa posso dirgli? Di tutto mi aspettavo tranne una cosa simile.
Con cautela adagio la sua testa sul pagliericcio e mi alzo. «Non lo so.»
Lui si porta una mano alla nuca e tasta la pezza sopra la ferita, strizza gli occhi dal dolore e aspira di nuovo aria tra i denti. «Cosa vuol dire che non lo sai?»
Si spinge a sedere ma con uno sbuffo di dolore torna sdraiato.
Ho lo stomaco sottosopra. «Perché sei ancora qui in India? Credevo fossi tornato in Italia.»
Fa leva su un braccio e si porta a sedere, la pezza gli cade dalla nuca ma per fortuna la ferita ha smesso di sanguinare. «Era quello che stavo facendo... ero sul treno, quando─» Si blocca di colpo.
«Quando...?»
Si guarda intorno. «Dove ci hanno portati?»
«Non lo so. Ma non direi che siamo troppo lontani. Dopo che mi hanno bendato mi hanno fatto camminare per un bel pezzo e mi hanno fatto salire in macchina, siamo sicuramente fuori dalle proprietà di papà, questa stanza non l'ho mai vista prima.»
«Forse siamo nella piantagione di Hiresh.»
Ha senso. Annuisco.
Si china in avanti e si passa entrambe le mani tra i capelli. «Che mal di testa!»
Per istinto mi precipito su di lui e poso le mani sulle sue spalle. «Non ti alzare, hai preso una bella botta in testa.»
Lui alza lo sguardo e ci ritroviamo di nuovo occhi negli occhi. Solo che adesso li abbassa e mi guarda le labbra.
«Ti giuro che stavo andandomene...» bisbiglia, «ma dovevo fare almeno qualcosa per dimostrare che...»
«Che?»
Torna a guardarmi negli occhi. «Che ti amo.»
Un brivido sconosciuto mi attraversa il corpo, dalla nuca percorre le spalle, passa sotto alla pelle e si disperde nel ventre. Ma la verità sul suo passato mi riscuote.
Mi alzo e faccio un passo indietro. «Non so se crederti.»
Lui abbassa lo sguardo. «Sì... hai ragione.»
Ma come, non tenta nemmeno di insistere?
Mi allontano da lui e mi accosto alla porta. Per essere un tugurio hanno pensato bene di renderlo sicuro, la porta ha ben quattro mandate e si vede che è resistente. Per cosa poi? Per una stanza a malapena intonacata, con una brandina in un angolo, una finestrella quadrata e piccolissima e un camino in pietra nero di cenere e in disuso da chissà quanto. Senza contare i vari uomini di guardia qua fuori. Non c'è nemmeno una sedia sulla quale sedersi.
Eros posa i piedi sul pavimento e continua a reggersi la testa. «Dobbiamo fare qualcosa.»
«E cosa?»
Si guarda intorno. «Prima di tutto, trovare un modo per uscire di qui.»
«Tu sei ferito, Eros, non è il caso che ti sforzi per uscire da questo tugurio. E poi da dove vorresti uscire? La finestra è troppo alta e troppo piccola, quel camino è sicuramente murato e non parliamo della porta che sembra quella del caveau di una banca.»
Torna ad afferrarsi la testa con le mani. «Non preoccuparti, il signor Kundarm sa che dovevo vedermi con Hiresh.»
Sgrano gli occhi. «Il commercialista di mio padre?»
«Sì, perché?»
E adesso come glielo dico?
«Prima che tu arrivassi lo hanno portato qui, legato e imbavagliato come un salame. Non so dove l'hanno portato dopo.»
Assume l'espressione spaventata. «Vuoi dirmi che lo hanno catturato?»
Annuisco a labbra strette.
«Questo vuol dire che sapevano dove sono stato in tutto questo tempo. Qualcuno deve aver fatto la spia.» Borbotta, più a sé stesso che a me.
«Non è difficile per un tipo come Hiresh trovare persone che gli facciano da spia.»
Annuisce e digrigna i denti. «Dovevo immaginarlo.» Chiude gli occhi e appoggia la testa contro i palmi. «Quel posto fatiscente era pieno di persone che mi guardavano strano.»
«Ti fa male la testa?»
Annuisce a malapena. «Ho paura di toccarmi dietro la nuca per tastare la ferita.»
Mi avvicino e lo sbircio. La ferita è molto lunga, la pelle è gonfia e sta diventando viola, ma per fortuna non sembra troppo profonda. «Sei fortunato, ha smesso di sanguinare, anche se l'ematoma è abbastanza esteso.»
«Mi hanno colpito con un pezzo di legno...» Si passa una mano sopra gli occhi chiusi, sulla tempia e dietro al collo, ma subito la ritrae con un sibilo di dolore appena sfiora il punto colpito.
Mi siedo accanto a lui. «Distenditi.» Lo tiro verso di me, in modo che posi la guancia sulle mie gambe. «È una fortuna che hai perso anche del sangue.»
Eros posa la guancia contro la mia coscia e mantiene lo sguardo fisso di fronte a sé. «Cosa intendi dire?»
«Le botte in testa sono pericolose soprattutto se non hanno ferite, perché il sangue può fermarsi al suo interno e compromettere le facoltà cognitive. Se invece sanguini non corri questo rischio.»
Per istinto alzo una mano e gli accarezzo la tempia e l'orecchio, passo le dita tra i suoi capelli corti e neri.
Mi accorgo di quello che sto facendo e mi blocco con la mano sospesa su di lui. «Scusa...»
«No ti prego.» Volta la testa quel tanto che basta per guardarmi in faccia. «Continua.»
Non sono sicura di poterlo fare. O meglio, non sono sicura di volerlo fare.
Deglutisco e ritiro la mano.
I suoi occhi tristi tornano a fissare davanti a sé e si alza dalle mie gambe. «Ok, hai ragione, adesso pretendo troppo.»
Non so cosa rispondere.
Distolgo lo sguardo da lui. «Quante donne hai avuto?»
Mi guarda di scatto. «Cosa?»
Mi mordo il labbro inferiore. Non capisco perché gli ho fatto proprio questa domanda, mi è venuta alle labbra senza prima averla pensata. «È solo che...»
«Vuoi sapere quante donne ho avuto nella mia vita o quante donne ho avuto nella mia carriera di gigolò?»
Non ci posso credere, lo ha detto. Così, come se fosse un lavoro come un altro. E la sua faccia non tradisce nessun tipo di vergogna.
Mi rifiuto di guardarlo ancora. «Non posso credere che tu riuscissi ad andare con tante donne.»
«Trentasette.» Sbotta all'improvviso. «Nella mia carriera da gigolò ho avuto solo trentasette donne.»
Gli rivolgo uno sguardo scettico inarcando un sopracciglio. «Solo?»
«Ti sembrerà strano, ma sono poche, considerando che alcuni miei colleghi, nello stesso arco di tempo, ne hanno avute più di cento.»
Un moto di bile mi sconvolge lo stomaco. «Come ci riuscivi?»
Sospira. Un sospiro pesante. «Molte di loro mi richiamavano, erano disposte a pagare molto per la mia compagnia, in qualche modo si affezionavano, guadagnavo più di tutti gli altri miei colleghi.»
«Quindi lo facevi solo per soldi.»
Serra la mandibola, indeciso su cosa rispondermi. «In quel periodo della mia vita era l'unico modo che avevo per─»
Scuoto le mani in aria e mi alzo di scatto. «Ok, ok, non mi importa.» Ho la nausea al solo pensarci.
«Me lo immaginavo...» Borbotta con tono rassegnato.
Da sopra la spalla gli rivolgo uno sguardo gelido. «È un po' la stessa cosa che hai fatto con me, no?»
Sgrana gli occhi. «No, credimi... non è così!»
Mi volto del tutto verso di lui. «Sbaglio o con mio padre avevi fatto un accordo per un anno?»
Mi fissa immobile. «Clio, io...»
«Se non sbaglio sei stato tu a dire qualcosa tipo che questo matrimonio farsa sarebbe durato solo un anno, che con mio padre avevi fatto un accordo per salvare le apparenze e basta.»
Abbassa lo sguardo al pavimento. «Sì... è vero.»
Un moto di rabbia mi fa stringere i pugni lungo i fianchi. «Il tuo unico scopo era quello di ottenere una percentuale della piantagione in modo da continuare a ricevere il ricavato anche dopo il nostro divorzio.»
Lui non alza nemmeno lo sguardo. «Sì, era così.»
Mi mordo il labbro fino a farmi male, lo sguardo mi diventa annebbiato dalle lacrime. Sorrido. «Sono proprio una scema.»
Alza lo sguardo di colpo. «Cosa?»
Adesso mi osserva attento, scuoto la testa inorridita di me stessa. «Quando siamo tornati dal nostro viaggio con il Maraja's Express sono andata da mio padre a dirgli di proseguire con le scartoffie, di farti diventare a tutti gli effetti mio marito anche per quello che riguarda la piantagione...» Un singhiozzo mi soffoca. «Sono proprio una scema...»
Lui si alza di scatto. «No, Clio...» Ma non fa in tempo a fare un passo che sbianca in volto, i suoi occhi diventano vaghi e sviene.
«Eros!»
Mi precipito su di lui per raccoglierlo dal pavimento. Gli alzo la testa, mi inginocchio e gliela faccio appoggiare sulle gambe. «Stai bene? Rispondimi!» Lo scuoto.
Lui strizza le palpebre e apre gli occhi, si guarda attorno con sguardo vuoto e piano piano mi mette a fuoco. «Clio... scusami.»
Gli accarezzo il viso. «Ti sei alzato troppo velocemente, la botta che ti hanno dato non è da sottovalutare.»
Lui posa una mano sulla mia e chiude gli occhi «Hai ragione... su tutto. Perdonami. Ma non potevo immaginare che poi mi sarei innamorato.»
Per la seconda volta mi sento il cuore balzare in gola dall'emozione. «Dici sul serio?»
Riapre gli occhi e mi guarda con quel castano dolce e caldo. «Avrei dovuto immaginarlo subito che sarebbe finita così. Clio, mi hai colpita dal primo momento che ti ho vista a quella festa, senza sapere nemmeno chi eri.»
Sono confusa. Una parte di me mi dice di perdonarlo, che mi sta dicendo la verità, ma un'altra parte di me sta continuando a ripetermi che mi ha presa in giro finora e non posso fidarmi come se niente fosse. Eppure il calore dei suoi occhi non sta mentendo.
«Come faccio a sapere che non mi stai mentendo?»
Con un po' di difficoltà si mette a sedere, strizza gli occhi e si afferra una tempia. «Mi dispiace, sembra che non ci sia modo per saperlo.»
Mi alzo dal pavimento e gli volto le spalle. «Forse hai ragione.»
Lui sospira. Geme tra sé mentre, facendo leva su un braccio, si alza dal pavimento. Mi volto e si sta tenendo la testa con entrambe le mani. «Credo che per il momento abbiamo altri problemi a cui pensare.» Barcolla e si avvicina alla porta. Passa una mano lungo il suo profilo e si sofferma dove c'è la serratura. «Siamo in trappola, a quanto pare.»
«Non ci sono vie di fuga, a parte la porta e quella piccolissima finestra lassù.» Indico quel quadrato di pochi centimetri dal quale si vede il cielo che si sta oscurando.
Lui si volta e si guarda attorno. «E il camino.» Si avvicina e ci guarda dentro. «Te la senti di passare da qui?»
«Vuoi farmi passare dalla canna fumaria di un camino più vecchio di mio nonno? Nemmeno per sogno!»
«Ci passerei io, ma con la ferita in testa che mi hanno fatto non so se arriverei in cima.» Ci ficca la testa dentro e guarda in su. «Non mi pare troppo alto.» Torna fuori. «E poi non mi fido a lasciarti da sola alla mercé di Hiresh.»
Sbuffo dal naso. «Se voleva farmi del male lo avrebbe già fatto.»
Lui stringe le palpebre e torna a sedersi sul pagliericcio. «Sì, ci sta che tu abbia ragione. Mi sfugge il motivo per cui abbia mantenuto in vita anche me.»
Faccio spallucce. «Ha ottenuto quello che voleva, perché dovrebbe ucciderti?»
Si allunga e si appoggia con le spalle contro la parete. «Hiresh è molto peggio di come lo conosci te.»
«Lo conosco da quando eravamo bambini. Non è uno stinco di santo e non ha mai nascosto di volere per sé anche la piantagione di mio padre, ma non è un assassino.»
Mi rivolge uno sguardo bieco. «Ne sei sicura?»
«Certo!» Adesso pretende di conoscerlo meglio di me?
Sbuffa divertito. «Ed è proprio perché non è uno stinco di santo che ha rapito entrambi e ci tiene rinchiusi in questo tugurio, no?»
Oddio, se la mette così non posso dargli torto. «Ammetto che forse non so proprio tutto di lui.»
«Quando è stata l'ultima volta che sei andata a trovarlo a casa sua?»
Resto spiazzata dalla sua domanda. «Ehm... non mi ricordo.»
Di colpo la serratura alla porta scatta e le varie mandate vengono aperte. Si spalanca e uno degli uomini di Hiresh fa il suo ingresso trasportando un vassoio con due piatti fumanti. Dal vago odore che ne deriva sembra brodo di pollo. Ci osserva schifato e posa il vassoio a terra, con un passo indietro esce dalla stanza e chiude la porta con tutte le sue mandate.
«Bene... almeno adesso sappiamo che non vuole farci morire di fame.» Eros fa per alzarsi, ma i suoi movimenti sono lenti.
Lo precedo con un balzo e vado a recuperare il vassoio, nei piatti è presente giusto del brodo con dei pezzetti di naan che vi galleggiano dentro. «Io non ne sarei così sicura.» Vado a sedermi di nuovo accanto a lui. «Se te questa la chiami cena...»
Prende il suo piatto con entrambe e mani. «Non c'è nemmeno un cucchiaio.» Se lo porta alle labbra e lo beve, inghiottendo anche i pezzetti di naan.
Lo imito. Non sa di molto, ma è sempre meglio di niente.
Lui finisce il suo piatto prima di me, e di colpo lo fa cadere a terra rompendolo in tre parti.
Sobbalzo. «Eros, ti senti bene?»
Lui mi sorride e raccoglie un coccio appuntito. «Sì... e adesso non vedo l'ora che quel tipo torni a riprendere i piatti vuoti.»
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