Capitolo 28

Prendo un grosso respiro per farmi coraggio, mi gratto il petto nel punto in cui ho il microfono appiccicato. Mi irrita, questo cavolo di scotch mi sta strappando tutti i peli.

«Trattalo bene quell'affare, che non ne abbiamo altri e costa parecchio.» Valerio mi urla all'improvviso nell'orecchio.

Faccio una smorfia e strizzo un occhio. Accidenti a lui, sa che non posso rispondergli. L'autista del Taxy non si è accorto di nulla. In realtà potrei anche parlare in Italiano e mandarlo a fanculo, non credo che mi capirebbe, ma non voglio rischiare.

Prendo un altro grosso respiro e lo butto fuori dalla bocca come se mi stessi sgonfiando poco a poco. L'autista mi lancia un'occhiata dallo specchietto retrovisore.

«Coraggio, Eros, noi monitoriamo tutto quello che ti succede.» Valerio mi sfonda di nuovo il timpano. «Se dovessi sentirti in difficoltà ti suggeriamo noi come muoverti.» Mi trattengo dallo strapparmi l'auricolare.

Corrugo la fronte, la fa facile.

Il Taxy entra in un lungo viale alberato, simile a quello che porta alla proprietà di Aditi, ma la villa che appare oltre il cancello davanti al quale si ferma non è nemmeno paragonabile alla sua.

I giardini ai due lati del viale sono composti da spettacolari siepi, lavorati a formare elefanti a grandezza naturale, diverse aiuole ospitano fiori dai colori sgargianti, collocati in modo da formare un gioco cromatico spettacolare.

Ma la villa...

Una fontana circolare con zampilli alti almeno un metro precede i gradini dell'entrata. Il portone è grande, come quelli degli antichi palazzi dell'ottocento, ma di antico ha solo questo dato che le saldature dello spioncino e delle cerniere tradiscono il metallo con il quale è costruito. Sia a destra che a sinistra si apre con due ali speculari, composte da due piani e un bovindo ciascuno. Il tetto spiovente, nero, fa contrasto con la facciata di arenaria bianca.

Assomiglia alla villa di Hugh Hefner, ma più moderna.

Pago il tassista che sorride di fronte al denaro che gli ho dato e sgomma lungo la strada. Sparisce dietro la curva.

«Bene, adesso che faccio?»

Se mi vede qualcuno parlare da solo si mette a ridere.

«Quello che fai normalmente quando vai a trovare qualcuno. C'è un citofono alla tua destra. A proposito, ti ricordi quello che devi dire?»

«Sì, grazie, non sono stupido.»

Sghignazza. Sempre simpatico il giornalista. Ma ha ragione, al lato del cancello c'è un citofono in oro. Mi chiedo come Hiresh abbia giustificato ad Aditi tutto questo lusso.

Mi avvicino e scoppio a ridere, non so perché mi aspettavo la targhetta con un nome.

«La cosa ti diverte?» Mi entra nell'orecchio.

«Non ti preoccupare.» Mi avvicino per suonare ma il cancello si apre da solo. «Che sta succedendo?»

«Non lo so, ma da adesso è meglio non parlare più.»

Il cancello si spalanca e io rimango impalato a guardarmi attorno. Ho il cuore in gola, finché non sapevo che Hiresh trafficasse droga non mi lasciava tutto questo timore addosso.

«Non credo che quel portone starà aperto all'infinito, Eros. Datti una mossa!»

Sobbalzo all'invito di Valerio e mi affretto a varcarlo.

«Continua a urlarmi nell'orecchio e vedrai cosa ti succede.» Sussurro.

Sghignazza di nuovo.

Varco il cancello e percorro il vialetto piastrellato. Sembra di varcare il portale di un'altra dimensione. Siamo ancora in India? È come una di quelle residenze di campagna dei boss mafiosi, dove trovi tutto curato alla perfezione e ogni minimo oggetto è l'ultima trovata di quel settore.

Mi avvicino alla villa e alzo lo sguardo sulla facciata chiara, risplende sotto i raggi del sole, acceca. Il portone si apre e un uomo con il classico turbante e la veste lunga fino ai fianchi mi fa un inchino.

«Mio padrone dice di fare accomodare lei.»

Ah, questo posto ha gli occhi.

Mi scorta attraverso un enorme ingresso con una scalinata in marmo e con il passamano in legno, i soffitti altissimi, pavimenti lucidi con disegni geometrici dai colori rilassanti e un profumo intenso di vaniglia. Anche le pareti, di un tenue beige lucente, sembrano accoglierti insieme all'arredamento di legno intarsiato in oro.

I nostri passi rimbombano sul soffitto.

Passiamo davanti a una grande gabbia di bambù e, al suo interno, poggiato su di un trespolo, un pappagallo ara dai colori sgargianti mi osserva incuriosito. È bellissimo!

«Da questa parte.» Quello che mi è venuto ad aprire si è fermato di fronte a una porta alta e massiccia. Mi riscuoto dall'osservazione di questo bellissimo pappagallo e lo raggiungo. Mi fa un inchino e apre la porta, si fa subito di lato per farmi passare.

La stanza in cui entro ha un enorme divano bianco, candido, ricavato in un alcova sulla mia destra, di fronte a un televisore a grandezza cinematografica. Non avevo mai visto un televisore così enorme, saranno minimo settanta pollici. Ma che dico, di più!

A terra lunghi tappeti persiani sui colori dell'oro e del verde attutiscono i miei passi, sul soffitto, lampadari enormi dai quali pendono catenelle d'oro come una frangia che ne segue il contorno. I mobili sono bianchi, con i bordi dorati e le maniglie luccicanti.

In fondo, di fronte alla parete finestrata che si affaccia su un altro giardino fiorito, Hiresh è seduto a piedi nudi su una poltrona che penzola da un sostegno di bambù, all'apparenza morbida e confortevole al pari del divano.

Chiude il libro che tiene in mano e mi sorride. «Mi aspettavo di tutto tranne che lei disobbedisse a un preciso ordine di Aditi e rimanesse in India invece di tornare in Italia.»

Quel sorriso derisorio e il suo tono arrogante mi fanno correre un brivido lungo la spia dorsale.

«Non sono molto propenso a ubbidire agli ordini. Credo che mi capisca.»

Mi fissa con un angolo della bocca poco più in alto dell'altro. «Si sta forse paragonando a me?»

Mi guardo intorno. «Direi che siamo a due livelli differenti. Mi chiedo infatti come sia riuscito ad accumulare tutto questo lusso.»

«Io lavoro, signor Sansoni. Non vado a derubare le donne.» Con una spinta con il piede si dondola sulla sua poltrona appesa.

«E la sua piantagione le permette pure di corrompere funzionari statali?»

Si blocca con lo stesso piede. «Di cosa sta parlando?»

«Pensava di non esser visto da nessuno ma io ho assistito nel momento in cui pagava il signor Kundarm, due settimane fa, nella piantagione di Aditi.»

Mi fissa inespressivo e di colpo scoppia a ridere. «Non mi faccia ridere... è venuto fin qui per ricattarmi? E con cosa? Non ha niente in mano contro di me, è la sua parola contro la mia.»

Mi metto le mani in tasca e mi avvicino alla finestra. «Non ho bisogno di avere delle prove.» Gli sorrido. «Mi basta la parola del signor Kundarm.»

«La parola del signor Kundarm?»

Sorrido, vedo la sua sicurezza incrinarsi. «Pensava davvero di avere a che fare con un imbroglione spiantato?»

Si alza di scatto da quella poltrona, che dondola dietro di lui. «Cosa ha fatto, il signor Kundarm è un uomo onesto!»

«Onesto come quando ha accettato la mazzetta da lei?»

Mi fissa assottigliando lo sguardo. «Pensa di essere furbo, vero, signor Sansoni?»

«Diciamo che non sono lo sprovveduto che mi ha etichettato.»

Ha sempre stampata in faccia quell'espressione derisoria che detesto, mi piacerebbe prenderlo a schiaffi per togliergliela.

«Ammettiamo che io le creda e che Kundarm ha effettivamente ammesso di aver preso soldi da me,» si rimette a sedere e riprende a dondolare. «E con questo non lo sto affermando, lei che cosa vorrebbe, signor Sansoni?»

«Il venti per cento del ricavato che deriva dalla vendita del caffè. Quello che mi spetta dalla mia percentuale.»

Sbuffa divertito. «Vedo che ha fatto i compiti. Non dite così in Italia?»

«Sì, diciamo così.»

Accavalla le gambe. «E con cosa crede di potermi ricattare?»

«Con questo.» Prendo il lettore dalla tasca e premo play, la voce del signor Kundarm si diffonde attorno a me. Scandisce il proprio nome e il suo titolo di studio, racconta del suo rapporto con il signor Hiresh Narayan e afferma di aver accettato soldi da lui per impedire in qualche modo che parte del ricavato della piantagione del signor Aditi Narayan andasse nelle sue tasche del legittimo proprietario. E anche per intralciare la decisione di modificare i proprietari della stessa.» L'audio continua ma io spengo il registratore. «Come vede ho abbastanza prove per poterle fare certe richieste.»

La sua espressione è inespressiva. «Posso avere quel giocattolo?» Allunga una mano.

«Prego.» Glielo tiro, lui lo afferra al volo. «Non si preoccupi, ho creato altre copie di quella confessione.»

«Che cosa ha detto al signor Kundarm per farsi rilasciare quella dichiarazione?»

«Oh, niente di importante. Non si preoccupi. Ah,» indico il registratore che gli ho tirato, «alla fine della dichiarazione ho lasciato registrato il mio numero di telefono. Capisco che abbia bisogno di tempo per pensarci e sono disposto a darglielo. Ma non oltre domani pomeriggio, altrimenti provvederò a usare la mia copia di quella dichiarazione.» Faccio un lieve inchino. «Attendo la sua chiamata.» Mi volto e mi dirigo fuori da questo enorme salone principesco.

Di fronte alla gabbia del pappagallo vengo raggiunto dal solito tipo che mi era venuto a prendere alla porta. «Prego, da questa parte.»

Deve conoscere solo queste quattro parole in italiano.

Mi accompagna di nuovo fino al portone e mi fa il classico inchino. Lo imito come riesco ed esco in giardino. Cammino veloce verso il cancello.

«Rallenta, campione, hai il cuore nelle orecchie.» Valerio si fa risentire.

Rallento come mi ha detto e con più calma mi avvicino al cancello, questo si apre ed esco fuori dalla proprietà.

«Bene, adesso che faccio?»

«Non parlare, non è ancora finita!» Sbotta nelle mie orecchie. «Adesso fingi di chiamare un Taxy e aspettalo. Ne sta già arrivando uno.»

Faccio come mi dice e fingo di digitare il numero dal mio cellulare, lo porto all'orecchio e chiedo di avere un Taxy a... nessuno.

Alle mie spalle, oltre il cancello di Hiresh, sembra che il tempo si sia fermato. È come un mondo a parte fatto di lusso sfrenato mentre a pochi metri di distanza la gente muore di fame.

Il Taxy si avvicina a gran velocità, frena davanti a me alzando un polverone bianco, mi intrufolo dentro e l'uomo alla guida si volta e mi sorride, scuote la testa come a farmi capire di essere dalla mia parte, e riparte.

«Bel lavoro, Eros,» riprende Valerio nelle mie orecchie. «Ma non è ancora finita. Guardati alle spalle.»

Mi volto per guardare dal lunotto posteriore, una macchina nera sta uscendo dal cancello di Hiresh e percorre la stessa strada intrapresa dal Taxy.

«Mi stanno seguendo!» Questa non me l'aspettavo.

«Stai tranquillo, è tutto previsto. Il Taxy ti sta portando a un appartamento che fa da copertura. Attendi mie istruzioni.»

«Ok...» Speriamo che vada tutto bene.

Se non sapessi che Valerio sta collaborando con la polizia locale lo avrei già mandato a quel paese.

Il Taxy percorre un pezzo di strada sterrata ed entra dentro il centro abitato. Ogni volta sembra di entrare in un girone dell'inferno dantesco con tutte queste macchine che ti passano accanto e sfrecciano in ogni direzione senza seguire alcun codice stradale, sfiorando i numerosi passanti che camminano in mezzo alla strada come se la strada non esistesse. Alle nostre spalle la macchina nera ci sta ancora seguendo, mantenendo una certa distanza.

Il Taxy accosta e si ferma davanti a un palazzo di tre piani con la facciata bianca scrostata in più punti e le persiane alle quali mancano diverse stecche di legno.

Afferro il portafogli per pagare il tassista, ma questo scuote le mani e fa cenno di no con la testa, blaterando parole per me senza senso.

«Non vuoi essere pagato?»

«È già stato pagato, coglione.» Valerio ridacchia dagli auricolari. «Limitati a scendere dal Taxy, così potrà continuare a guadagnarsi la giornata.»

Espello un respiro pesante e apro lo sportello. «Sei davvero l'emblema della gentilezza, mister giornalista.»

Chiudo lo sportello e lui continua a ridere. «Mi scusi, signorina, d'ora in avanti proverò a trattarla con più tatto.»

Roteo gli occhi. «Cosa devo fare adesso?»

«Entra nel portone che ti ritrovi davanti e sali una rampa di scale, al primo piano troverai una porta aperta, entra da lì ed esci dalla finestra.»

«Dalla finestra?!» Sbotto. «Ma scusa, qui non dovrebbe esserci un appartamento dove possa rifugiarmi?»

Ridacchia derisorio. «È un'esca, a adesso muoviti!»

Sbuffo dal naso ma decido di non ribattere e mi infilo nel portone, alle mie spalle una macchina fa fischiare le ruote contro l'asfalto per potersi fermare, forse è meglio che mi do una mossa. Con una corsetta salgo al primo piano e mi guardo intorno. «Qui ci sono tre porte ma sono tutte chiuse.»

«Porc─» Si interrompe nella sua imprecazione. «Aspetta un attimo.»

Dei passi stanno entrando nell'edificio al pian terreno. «Guarda che stanno per raggiungermi!» Ho già il cuore in gola. «Cosa devo fare?» Sussurro.

Valerio parla in indiano con qualcuno lì con lui. «La finestra a destra del pianerottolo. Corri!»

In un paio di passi la raggiungo e la apro. «Ma non c'è niente, pensavo di trovare una scala.»

«Salta, Eros!»

Mi guardo alle spalle, gli uomini di Hiresh stanno salendo. «Ma porca puttana!» impreco fra me e me mentre scavalco la finestra. Ci saranno sì e no due metri di altezza. Mi volto e mi calo un po' alla volta, fino a rimanere appeso con le mani. Gli uomini di Hiresh raggiungono il pianerottolo, si fermano a parlare e continuano a salire. Sotto di me c'è solo il vicolo stretto tra le due case. Strizzo gli occhi e mi lascio cadere.

Atterro sui talloni ma rotolo sulla schiena, cercando di attutire la caduta.

«Facevi Parkour da ragazzo?»

Questa volta la voce di Valerio non mi è arrivata dagli auricolari. Alzo lo sguardo e il suo sorriso mi accoglie.

Tiro su la schiena e mi porto una mano alla scapola, ho preso una bella botta. «Dove cazzo sei stato finora?»

Lui lancia un'occhiata alla finestra dalla quale sono caduto. «Non è il momento delle spiegazioni.» Mi aiuta ad alzarmi. «Forza, spariamo di qui prima che ci vedano.»

Dà le spalle alla strada e lo seguo fino in fondo al viottolo, sfociamo nella strada parallela e mi guida fino a un camioncino blu arrugginito e al quale manca il paraurti di dietro. Apre lo sportello laterale e mi fa salire. Di fronte a me l'ispettore della polizia locale mi sorride da sotto i baffi, seduto alla sua postazione davanti a un terminale, che sta ascoltando con un paio di cuffie antiquate. Dal tettuccio pende una lampadina accesa.

Valerio sale a sua volta e si richiude lo sportello alle spalle. «Siediti.» Mi indica una panchetta e va a sedersi accanto al poliziotto, davanti a un secondo computer. Faccio come dice e allunga una mano verso la parete che confina con la cabina di guida, dà due colpi forti con le nocche, il furgoncino si mette in moto e parte.

Mi permetto di tirare un sospiro di sollievo. «Da qui ascoltavate tutto quello che facevo?»

«Scusa se non te l'ho detto prima, ma non potevo permetterti di spifferare questa postazione a Hiresh.» Valerio stacca le cuffie dal suo computer e lo spegne.

«Pensi che io sia un traditore?»

La piccola lampadina sopra le nostre teste dondola a ogni scaffa, illumina il suo volto a tratti.

«Penso a cosa poteva succedere se ti avessero preso.» Mi dà le spalle e si rivolge all'ispettore, parlando un perfetto indiano, o almeno così mi sembra.

Discorrono sotto ai miei occhi confusi, avessi imparato almeno qualche parola...

«La conosci bene la lingua indiana.»

Valerio mi lancia un'occhiataccia. «Questo è Punjabi.»

Ah, sì, adesso mi è tutto chiaro...

«Dove stiamo andando?»

«Dobbiamo portarti in un luogo sicuro.»

La lampadina sopra le nostre teste continua a dondolare, mandando la sua luce a destra e a sinistra, questo macinino è più vecchio di mio nonno. L'autista frena di colpo e mi ritrovo a dovermi aggrappare con le mani contro la parete liscia. Scivolo in avanti.

Anche Valerio e l'ispettore si sono dovuti aggrappare alla postazione, ma almeno quella è fissata con viti e bulloni.

L'ispettore digrigna i denti e sbotta qualcosa rivolto all'autista, ma con un tono di voce troppo basso per farsi sentire da lui. Forse non vuole rischiare che ci sentano fuori dall'abitacolo.

L'autista riparte, Valerio riapre il suo cellulare e digita qualcosa, si rimette gli auricolari, mantenendone uno con la mano attaccato all'orecchio. Inizia a parlare in indiano con qualcuno. E adesso con chi sta parlando?

Poche parole e richiude il computer, si volta verso di me. «Siamo quasi arrivati.»

Ok, evito di fare domande, quando arriveremo lo scoprirò.

Infatti il furgoncino si ferma, questa volta senza scossoni, e l'autista spegne il motore. Scende dall'abitacolo e cammina attorno al furgoncino, apre di colpo il portellone e per poco non finisco a terra di schiena. Mi ci ero appoggiato contro.

Valerio e l'ispettore scendono. «Forza, alzati.»

Obbedisco e li seguo fino alla facciata di un edificio di mattoni rossi, più diroccato di quello dove mi ero intrufolato prima. Piccole finestre collocate a distanza regolare l'una dall'altra fanno intuire che ci sono delle stanze oltre questo muro. Un cumulo di macerie e spazzatura è accatastata nell'angolo esterno, sopra di esso una parete con piccoli balconcini ai quali sono stese lenzuola e vestiti ad asciugare. Come un qualsiasi edificio popolare.

Un brusio di voci mi fa alzare lo sguardo verso la cima della facciata. Seduti sopra le mura ci sono molti uomini che parlano nel loro classico modo un po' urlato e rozzo.

«Andiamo?» Valerio si sofferma un secondo accanto a me e mi fa cenno di seguirlo.

Aggiriamo le mura ed entriamo all'interno di questo edificio con le pareti scrostate, calcinacci ovunque e puzza di muffa. Eppure, a giudicare dal via vai di gente che sale e scende dalle scale, ci abitano molte persone.

«E questo è il posto migliore in cui nascondermi?»

«Sì, è il migliore.» Valerio segue l'ispettore al piano di sopra.

Sospiro e mi affretto a salire. Le voci degli abitanti di questa catapecchia si sentono in modo chiaro, come se non esistessero pareti.

Al primo piano ci sono ben quattro appartamenti. L'ispettore si dirige senza esitazione davanti la porta più lontana, estrae le chiavi dai pantaloni e ne infila una nella serratura. Al centro di questa porta c'è uno sfregio che la comprende in tutta la sua altezza, sembra fatto con un coltello.

«Ma... siamo sicuri che─»

«Shhh.» Valerio si porta una mano davanti al viso per indicarmi di tacere.

L'ispettore mi lancia un'occhiata strana e gira diverse volte la chiave dentro quella toppa, la strattona due o tre volte e la apre. Entra senza aspettarci e Valerio mi sospinge dentro. Ci sono degli spuntoni di ferro che sporgono dallo stipite, quando è chiusa vanno a incastrarsi nella costola della porta. Chi l'avrebbe mai detto che in un edificio simile ci fosse una porta blindata!

Valerio la richiude alle mie spalle e mi volto verso la stanza, il signor Kundarm è al centro, immobile, che mi fissa sbalordito.

«Dovevo immaginarlo che ci foste anche voi.» Mi sorride.

«In realtà avrei dovuto saperlo che vi tenevano nascosto da qualche parte dopo che avete lasciato quella dichiarazione contro il signor Hiresh.»

Lui abbassa lo sguardo. «Sì... anche se avrei dovuto fare qualcosa prima.»

«Bene, perché adesso non ci accomodiamo?» Valerio ci indica un divano marrone a due posti, logoro e con diversi buchi, dai quali spuntano diverse molle, e un paio di poltrone verdi militare antiche ma senza buchi. «L'ispettore deve parlarvi di quello che ha intenzione di fare con voi, e io devo tradurre le sue parole.»

«A me non deve tradurre niente.» Kundarm scuote la testa e va a sedersi su una delle poltrone.

L'ispettore si siede nell'altra poltrona ma Valerio rimane in piedi.

Mi porto alle spalle del divano e poso le mani sullo schienale, puzza di muffa da far paura. «Io preferisco stare in piedi, grazie.»

Valerio sogghigna nella mia direzione e fa cenno all'ispettore di procedere.

Questi inizia a parlare nella sua lingua, Kundarm lo osserva con attenzione e annuisce, serio. Valerio approfitta delle brevi pause per tradurmi le sue parole. «Dice che questo per voi è il posto migliore, Hiresh non verrebbe mai a cercarvi qui.»

«Non posso dargli torto.» Chi vorrebbe venire in questo tugurio?

«Dice anche che creerà una squadra con i suoi uomini per tendere un'imboscata per Hiresh e poterlo arrestare con le mani nel sacco.»

«E come intende fare?»

Lui alza una mano e dice qualcosa all'ispettore, credo che gli sta rivolgendo la mia domanda. Questi gli risponde e Valerio si volta verso di me. «Sicuramente vogliono mettersi in contatto con Aditi Narayan e raccontagli la situazione. Deve ancora decidere come.»

La mia intuizione su Hiresh era giusta; sin dalla prima volta che l'ho visto mi ha trasmesso strane vibrazioni. Un uomo che si comporta così con una donna è solo uno abituato a comandare, ma non sa ottenere il vero rispetto.

L'immagine di Clio con il vestito con cui la conobbi a quella festa mi consola. Se penso allo sguardo che aveva quando mi ha scacciato dalla sua vita, se ripenso alle lacrime trattenute che le ho intravisto tra le ciglia mi viene voglia di saltare da quella finestra per tornare da lei.

Mi guardo attorno in questa casa puzzolente. I pavimenti sono ricoperti da uno spesso strato di polvere, le pareti sono sporche e scrostate, in alcuni tratti si vedono addirittura i mattoni, e dal soffitto cadono calcinacci, intervallati da aloni di umidità.

Forse mi merito questa situazione. 

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