Capitolo 27
Eros...
Mi fermo subito dietro alla porta dello studio, Aditi cammina fino alla sua scrivania, si ferma dandomi le spalle. «Credo che non abbia bisogno di esplicarle le informazioni alle quali sono venuto a conoscenza.» Si volta di scatto e mi rivolge uno sguardo gelido, che mi inchioda sul posto. «Dovrei denunciarla alle autorità, signor Sansoni, farla arrestare.» Tuona di colpo.
«Aditi, io─»
«Sono il signor Narayan per lei!» Sbotta. «Esigo che se ne vada all'istante dalla mia casa!»
Mi aspettavo qualcosa di simile, ma è lo stesso un colpo.
«Signor Narayan, io amo sua figlia─»
In un paio di falcate mi raggiunge. «Non azzardarti a dire ancora una cosa del genere!» Mi fronteggia, con il viso a un palmo dal mio naso. «Non meriti nemmeno di pronunciare il suo nome.»
Resto immobile e abbasso lo sguardo. «Ha ragione.»
Drizza le spalle e si liscia la veste, torreggiando su di me. «Voglio che se ne vada adesso, ha capito?»
Annuisco.
Mi aggira e va ad aprire la porta. Un uomo entra, si avvicina e mi posa una mano sulla spalla. È il suo autista, com'è che si chiama? Scambia un cenno del capo con Aditi e mi costringe a voltarmi.
Mentre esco dal suo studio mi volto verso Aditi. «Vorrei che sapesse che ho cambiato vita già da tempo.» Ma lui non mi guarda nemmeno, la sua espressione granitica mi ferisce.
L'autista mi sospinge fino alla mia stanza da letto, e la apre, spingendomi dentro. Entra dopo di me, spalanca il mio armadio e prende la mia valigia, la scaraventa sul letto, assieme a tutti i miei vestiti. Mi ordina qualcosa in indiano, che io non capisco, ma il senso mi è chiaro lo stesso. Afferro i miei vestiti sparsi sul letto e sul pavimento e li butto dentro la valigia come capita.
Avrei dovuto saperlo che il passato ti raggiunge sempre, anche se metti chilometri e chilometri di distanza da lui.
Quei due chicchi di caffè che appartengono a Clio mi appaiono all'improvviso nella mente, come due lumi penetranti. Nella mia immaginazione lei è seduta sul letto che mi fissa, lo sguardo di disapprovazione.
Non l'ho vista mentre salivo in camera, che fine ha fatto? Vorrei almeno dirle addio... ma ho paura che quei due chicchi scuri possano giudicarmi come ha fatto suo padre. Forse è meglio di no. Non potrei sopportare di leggere la delusione nei suoi occhi.
Anche se in fondo è quello che mi merito.
Non posso pensare che un imbroglione come me si meriti di stare con una donna come lei. Onesta, dolce, bellissima...
Mi trascino la valigia fino al piano di sotto, con la costante presenza dell'autista che mi pungola di muovermi. Non capisco le parole ma ormai il senso l'ho afferrato.
Metto piede nell'ingresso enorme e Clio esce dalla porta del salone. Mi blocco a fissarla, non riesco più a muovermi.
Anche lei mi fissa, la bocca dischiusa e l'espressione sconvolta. «È vero, Eros?» Sussurra, la voce rotta da un pianto trattenuto.
Mi sento così impotente. Cosa posso risponderle?
Con la coda dell'occhio lancio un'occhiata al mio carceriere, ma me ne sbatto che stia vigilando su di me. Con una corsa la raggiungo. «Clio... mi dispiace, ma─»
«Allora è vero, sei uno che si fa pagare per andare con le donne e le deruba.»
Resto interdetto, servirebbe a qualcosa dirle che avevo abbandonato quella vita già da tempo? Quel che fatto è fatto...
Scuoto la testa. «Tu non sei una di quelle donne.»
L'autista si avvicina e mi avvinghia le spalle, strattonandomi indietro e blaterando qualcosa che non capisco. Clio alza una mano e con tono perentorio le rivolge una frase in indiano che per me è peggio dell'arabo, ma questi lascia la presa e fa un passo indietro. Gli ha chiesto di lasciarmi stare.
Ed ecco che i due chicchi di caffè tornano su di me, umidi e carichi di rancore, forse, o di qualche altra emozione che adesso non riesco a definire.
Mi fa male leggere tutta la sua sofferenza. È l'ultima donna che avrei voluto ferire.
«Cosa vuol dire che non sono una di quelle?» La sua voce è appena un sussurro.
Cerco di ingoiare quel groppo in gola che mi opprime. «Non voglio più mentirti, Clio, ma─»
Di colpo mi sferra una spinta con entrambe le mani sul petto. «Che significa non vuoi più mentirmi?» Me ne dà un'altra. «Eh? Finora allora mi hai solo mentito?»
Non posso certo dirle che avevo accettato di sposarla solo per farmi includere come proprietario della piantagione.
Continua a darmi spinte, i suoi occhi sono diventati due carboni ardenti. Mi fa arretrare, ma non faccio niente per fermarla. Me lo merito.
«Vuoi rispondermi, sì o no?» Urla continuando a spingermi. «Mi hai mentito, mi hai sempre mentito!»
Le prime lacrime scendono lungo le sue guance. Non riesco più a guardarla. «Mi dispiace, Clio.»
Lei si ferma e con tutta la sua forza mi dà uno schiaffo. «Vattene!» Sbraita, la voce strozzata dalle lacrime. «Non voglio più vederti, per me sei morto!»
Mi azzardo a guardarla di nuovo, i suoi occhi sono colmi di lacrime, ma anche colmi di odio come non avevo mai visto. Mi porto una mano sulla guancia colpita, lei digrigna i denti, si volta di colpo e sale le scale di corsa.
D'istinto faccio un passo per seguirla ma la mano dell'autista mi imprigiona con forza sul posto, sbraita in indiano e mi trascina fuori dalla porta, strattonando con me anche la mia valigia.
«Ok, ok, me ne vado!» Mi scosto di dosso le sue mani e mi scanso dalla sua presa.
Con un'occhiataccia mi volto, la macchina è già lì che mi aspetta. Lui mi fa cenno di mettere la valigia nel bagagliaio. Obbedisco. Lo richiude e mi apre lo sportello, continuando a blaterare nella sua lingua con una smorfia di disprezzo.
Decido di ignorarlo e mi accomodo dentro. Mi sembra di vedere Clio gettarsi sul letto a piangere, mi sembra di sentirla singhiozzare contro il cuscino.
La vista mi si annebbia, una lacrima precipita sulla mano. Me l'asciugo, mentre la macchina mi trasporta fuori dalla proprietà di Narayan e lontano da Clio.
***
La stazione di questa città è caotica all'inverosimile. Ogni centimetro quadrato calpestabile è invaso da persone che parlano, urlano, schiamazzano, scendono dal treno, si abbracciano, litigano... è un totale caos.
Apro la busta che l'autista di Narayan mi ha ficcato in mano ed estraggo i due biglietti che contiene. Quello del treno mi rammenta che tra dieci minuti partirà da qui e mi porterà all'aeroporto. L'altro è il biglietto dell'aereo che mi riporterà a Roma.
L'autista, ancora alle mie spalle, mi strattona verso il treno già fermo al binario, continuando a biascicare parole senza senso.
«Ho capito, ho capito!» Ficco il biglietto in tasca e mi trascino la valigia fino allo sportello aperto.
Questo scimmione ha avuto l'ordine di depositarmi sopra il treno e di accertarsi che parta, ne sono sicuro. È del tutto inutile, se anche uscissi da questa stazione dove potrei andare? Non conosco nessuno.
Ma per lui non fa differenza, prende la mia valigia e la scaraventa sulla carrozza, con la testa mi fa cenno di salire.
Faccio come mi dice, ma riesco a chiudergli lo sportello in faccia, proprio sul naso. Lui sbraita nella sua lingua, e sono sicuro che mi starà mandando qualche maledizione ma non me ne frega niente.
Il corridoio della carrozza è già stracolmo di gente, raggiungere un posto a sedere è impensabile. Figuriamoci se ne è rimasto uno.
Sbuffo dal naso, piazzo la mia valigia in un angolo della carrozza e mi ci siedo sopra.
Dopo aver viaggiato sul treno più lussuoso e confortevole che esista, questa sembra una latrina ambulante. C'è pure l'odore, che arriva dalla porta poco distante. Per non parlare del sudore degli uomini che mi circondano. Qui il sapone è qualcosa di sconosciuto.
Un fischio irritante si diffonde lungo il binario, tutti gli sportelli del treno vengono chiusi e la carrozza si sposta, va un attimo indietro e parte in avanti. Prende velocità piano piano mentre gli uomini attorno a me continuano a parlare a voce alta, nelle orecchie mi entra una confusione di voci irritante. Sono già stufo.
Qualcuno apre la porta di comunicazione tra una carrozza e l'altra e si fa strada fra le persone. «Permesso!» Sbraita.
Un momento, sta parlando in italiano!
Alzo lo sguardo e mi allungo per vedere chi è stato a parlare. Tra la folla appare il giornalista, Valerio, che si fa strada verso il corridoio.
Si guarda attorno e i suoi occhi si posano su di me. «Eros!»
Sono scioccato.
Mi alzo di scatto dalla valigia. «Ancora tu?» Urlo.
A quanto pare per gli altri passeggeri è normale avere qualcuno che ti urla accanto, non fanno una piega. Ma Valerio si blocca per un secondo.
«No... lascia che ti spieghi.» Mi raggiunge nel piccolo spazio che occupo vicino al cesso. «Mi dispiace per quello che è successo─»
«Ringrazia che ci troviamo in una carrozza ammassata di persone, altrimenti ti avrei già scaraventato fuori dal finestrino!»
«No, aspetta, non ti sembra strano che io sia qui sul tuo stesso treno?»
Afferro la mia valigia e gli volto le spalle. «Sta' lontano da me, ne ho abbastanza di te.» Riesco a percorrere un paio di metri, ma la calca lungo il corridoio è troppa per continuare.
«Eros, per favore, devo parlarti.»
Mi volto di scatto. «Sono il signor Sansoni, non ti ho mai dato il permesso di darmi del tu.»
«Scusa, hai ragione...»
Gli lancio un'occhiataccia e avanzo di un passo, ma la calca è talmente pressata che non riesco a fare nemmeno un altro metro. Sospiro di esasperazione e ci rinuncio.
«Signor Sansoni, mi deve ascoltare.»
Roteo gli occhi. «Non ti basta di avermi fatto cacciare dalla donna che amo, vuoi rigirare il coltello nella piaga?!»
«Quindi non mi ero sbagliato, la ama davvero!»
Cristo, mi sta facendo saltare i nervi. «Sparisci dalla mia vista, stronzo!»
Lui storce la mandibola. «Ok... me lo sono meritato. Ma l'ho capito solo dopo di aver sbagliato. Mi dispiace.»
Posiziono la valigia contro la parete e mi ci siedo, è l'unica cosa che posso fare. «Vaffanculo, Valerio Barani.»
Lui si guarda attorno, incrocia alcuni sguardi di gente che all'improvviso sembra incuriosita dal nostro siparietto. Scuote una mano davanti a sé, come a ricercare il punto perso. «Devi ascoltarmi!»
Mannaggia, mi sta facendo prudere le mani.
«Non mi interessa sentire quello che devi dirmi, mi hai già rovinato la vita, adesso mi stai anche triturando le palle. Fammi un favore, vattene!»
«Ok, parlo lo stesso.» Si china e si siede sui talloni. «Conosco il cugino di Kalpana, quel certo Hiresh, so che non è il bravo cugino che si dipinge.»
Sbuffo. «Ma non mi dire.»
«Mi immaginavo che anche tu avessi intuito qualcosa─»
«Non mi interessa quello che devi dirmi, giornalista.» Prendo il mio cellulare e inizio a girare tra le foto... non ho nemmeno una connessione per poter viaggiare su internet, accidenti!
«Invece credo che ti interessi, se non vuoi che Aditi Narayan perda tutto, e con lui anche la tua preziosa Clio.»
Un momento... «Di cosa stai parlando?»
Esala un grosso respiro. «Io conosco quel tale, Hiresh, e so che sta complottando qualcosa ai danni di Aditi, sta organizzando un colpo per mandarlo in mutande, per togliergli la piantagione e─.»
«Frena, frena, fenomeno.» Corrugo la fronte e scuoto la testa. «Di cosa stai parlando? Come fai a sapere queste cose?»
Esala un secondo grosso respiro. «Sono un giornalista, Eros. Sto tenendo d'occhio da diverso tempo quel tipo, Hiresh. È già coinvolto assieme ad altri personaggi poco raccomandabili in situazioni poco chiare, ha già intascato diversi soldi a danni di altri uomini facoltosi, ma la polizia finora non ha mai avuto abbastanza prove per inchiodarlo.»
«Dici sul serio?»
«Sì, devi credermi, sei il solo a cui posso dirlo.»
«E perché non lo hai detto prima?»
«È difficile da spiegare. Posso solo dirti che sto tenendo d'occhio Hiresh già da circa due mesi. Il suo scopo primario è quello di far fallire Aditi.»
Mi fissa speranzoso, per una volta l'aria da sapientone so tutto io è svanita dalla sua faccia.
«E con Clio ci hai parlato?»
Distoglie un attimo lo sguardo. «Ci ho provato, ma appena ha capito che sono stato io a denunciarti a suo padre mi ha cacciato di casa. Non ha voluto sentire ragioni.»
«Sei tu che hai dato ad Aditi quello stralcio di giornale, come volevi che ti trattasse?»
«Già... e ho capito di aver fatto un'enorme cazzata appena ho visto apparire Hiresh.» Si passa una mano sulla guancia e scuote la testa. «È entrato nello studio di Aditi come una furia, ha iniziato a confabulare in lingua indiana di come tu non fossi all'altezza della situazione, io non capivo di cosa stesse parlando, ma poi appena ha visto il foglio che gli stavo mostrando si è calmato e deve aver pensato di sfruttare l'occasione.»
Digrigno i denti. «Quel gran figlio di puttana!»
«Già, puoi dirlo forte. In un modo o nell'altro aveva già in mente di farti fuori, e per lui io sono stata la manna dal cielo. Appena l'ho visto mi sono reso conto dell'errore che stavo facendo, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.»
Scuoto la testa. «Non vedo cosa possa fare io in merito.»
«Puoi aiutarmi a smascherarlo.»
«E come?»
Rotea gli occhi al cielo. «Non posso spiegartelo qui, in mezzo a questo casino.»
Sorrido a mezza bocca. «E cosa vuoi fare in proposito?»
Si alza e guarda fuori dal finestrino. «Scendiamo alla prossima stazione, tra...» guarda l'orologio, «dieci minuti.»
Immagino che non abbia altra scelta, se non quella di tornarmene in Italia e lasciarmi questa storia alle spalle. Ma io e Clio siamo sempre sposati...
Mi alzo e annuisco. Lui sorride e afferra la mia valigia, si fa strada tra la gente e si posiziona di fronte all'uscita. «Quando apre sbrighiamoci a scendere perché sarà il delirio.»
Non mi risulta difficile crederlo.
***
Valerio mi precede dentro il suo appartamento, accende la luce e mi fa cenno di entrare.
«Accomodati.»
Non sono ancora pronto a dargli tutta la mia fiducia, ma qualcosa mi dice che è forse l'unico modo che ho per aiutare Clio. Potrebbe essere l'unica opportunità che ho per fare davvero qualcosa per lei.
La stanza è un caos infinito di giornali, pile di fogli stampati e accatastati in disordine sopra la scrivania, sul divano, sul tavolo dell'angolo cucina, e anche per terra. Un computer portatile è appoggiato sulla scrivania, sommerso da bloc notes gialli con diversi appunti. Non lo facevo così disordinato.
«Così questo è il tuo appartamento?»
Valerio si avvicina al suo computer, strappa tutti i bloc notes e li appallottola nella mano. «Sì...» li butta nel cestino, «spendo una stupidaggine a stare qui, e mi torna molto comodo.» Scosta la sedia e si siede alla scrivania. «Non è nemmeno troppo lontano dalle proprietà di Aditi Narayan.» Apre il portatile e lo accende, allunga una mano dietro di sé a indicarmi il divano. «Accomodati pure.»
E dove? Non c'è un centimetro quadrato libero?
Mi lancia un'occhiata da sopra la spalla e si volta. «Siediti, Eros.»
«Come faccio a sedermi?»
Guarda il suo divano e sgrana gli occhi, si affretta a spostare alcune pile di fogli per terra. «Hai ragione, perdonami ma io qui ci lavoro e basta. È difficile che faccia vita sociale.»
Mi siedo nel punto che mi ha liberato. «Puoi spiegarmi adesso la situazione di Hiresh? In che senso lo stai tenendo d'occhio da tempo?»
«Sì, certo...» Afferra il suo portatile e me lo porta. «Questo è un articolo che ho scritto tre mesi fa, riguarda il furto di una macchina di uno degli uomini più ricchi dell'India.» Scorre nell'articolo e mi indica un punto. «Vedi, la macchina era stata rubata la sera dopo una festa nell'appartamento di lusso del proprietario dell'auto, e fu ritrovata cinque giorni dopo sul ciglio di una strada deserta a diversi chilometri. La targa era stata cambiata, apparteneva a un meccanico della zona al quale avevano noleggiato una macchina alcuni giorni prima e non gliela avevano mai riportata. Si pensa che─»
«Ma cosa c'entra tutto questo con Hiresh? E poi credevo che tu lavorassi in Italia.»
«No, io no, il mio collega lavora in Italia, Claudio, quello che era con me sul Marajas' Express.» Mi posa il portatile sulle ginocchia e si avvicina con la sua poltrona a rotelle. «Io sono un reporter freelance, lavoro in India da un paio di anni. Qui la concorrenza è limitata, si lavora bene.»
«Ecco perché conoscevi così bene Narayan.»
«Sì, è uno degli uomini più ricchi di questo paese. O almeno lo era fino a qualche anno fa.»
Scuoto la testa in segno di assenso. «In effetti ho notato subito che c'era del malcontento. Quando siamo arrivati Clio si era stranita del fatto che suo padre avesse licenziato il vecchio autista, tenendone uno solo, e avesse licenziato sia la cuoca che la governante che avevano prima, prendendone una che, da quanto ho capito, non è molto brava nel suo lavoro. Forse prende di meno ed è per questo che l'ha assunta.»
«Ok, ma leggi qui.» Scorre nell'articolo e seleziona una riga. «Parti da qui.»
«Nel bagagliaio della macchina sono state trovate tracce di caffè in grani e di stupefacenti.» Gli lancio un'occhiata sconvolta. «Ancora da capire le cause che hanno portato i ladri ad abbandonare un'auto così costosa dopo averla rubata. Alcuni inquirenti hanno ipotizzato che il carico che trasportava fosse quello destinato allo spaccio europeo...» L'articolo continua ma io smetto di leggere. «Fammi capire, tu pensi che Hiresh sfrutti lo smercio di caffè verso l'Europa per contrabbandare cocaina?»
«In parte sì. Ma dopo che il suo scagnozzo ha abbandonato l'auto in mezzo alla strada, che poi si è scoperto perché era rimasto a secco, rischiando di fargli saltare in aria una bella partita di droga, forse ha deciso di non usare più il caffè che viene prodotto dalla sua piantagione per camuffarla, ma ha deciso di servirsi del caffè della piantagione di Narayan. In fondo coltivano due tipi di caffè diverso.» Riprende il computer e lo riporta sulla scrivania. «Devo solo capire come crede di poterci riuscire.»
«Semplice, sposando Clio.»
Le sue spalle si irrigidiscono e si volta. «Ma Clio è sposata con te.»
Arriccio il naso. «Adesso che sono fuori dai giochi non sarà difficile buttarmi fuori del tutto.» Sicuramente mi vedrò recapitare i fogli di divorzio da firmare nei prossimi giorni. Mi blocco con lo sguardo fisso nel vuoto. «Il signor Kundarm... lui ha redatto il contratto che mi vede proprietario della piantagione assieme a Clio.»
«Vuoi dirmi che Narayan ha già fatto il passaggio di proprietà e che adesso sei tu il proprietario?»
«Sono il co-proprietario. La maggior parte è sempre intestata ad Aditi.»
Si volta di scatto e si trascina con le rotelle verso di me. «Quindi se noi andassimo a verificare verrebbe fuori il tuo nome tra i proprietari della piantagione.»
«Credo proprio di sì. Sempre che il signor Kundarm abbia registrato l'atto. Cosa che potrebbe benissimo non aver fatto, dato che Hiresh lo ha corrotto.»
Sgrana gli occhi. «Come fai a sapere che lo ha corrotto?»
Mi stringo nelle spalle. «Li ho visti. Era notte, stavo passeggiando per i fatti miei fuori dalla piantagione di Narayan e dalla finestra ho visto Hiresh dare a Kundarm una bella borsa con dei soldi dentro.»
Mi fissa a bocca aperta. «Interessante.»
«E dato che questa specie di contabile si è fatto corrompere forse non ha registrato il mio contratto.»
«Si fa presto a controllare.» Con gesti decisi e veloci, digita qualcosa nel suo computer e si china verso lo schermo. «Invece sì, posso annunciarti con sicurezza che sei il proprietario della piantagione per il venti per cento.»
Sgrano gli occhi. «È una bella percentuale.» Mi alzo e mi chino davanti allo schermo, è la versione digitale del contratto che ho firmato.
«E questo non è niente. La tua percentuale ti permette di entrare e uscire dalla piantagione senza che nessuno possa impedirtelo. Di usufruire del terreno della piantagione e prendere una percentuale di caffè per te stesso, per farci quello che vuoi. Ma ovviamente lo sai, vero?» Mi rivolge un sorriso inquietante.
Roteo gli occhi. «Forse mi sono dimenticato di leggere il contratto quando l'ho firmato.»
Sgrana gli occhi e riporta l'attenzione al contratto.
Mi avvicino al computer. «E con solo questa arma dalla nostra parte tu credi di poter sventare i suoi loschi piani di accaparrarsi la piantagione di Aditi?»
«Perché no?»
«E come pensi di farlo, siamo solo in due, un uomo spiantato e un giornalista da strapazzo.»
Mi rivolge uno sguardo offeso. «Chi ti ha detto che siamo solo noi due?»
Deglutisco. «Perché, chi altro c'è?»
Inarca un sopracciglio, come a prendersi gioco di me, e si rimette a digitare chissà cosa al computer. «Credi davvero che io mi impelagassi dietro un trafficante di droga senza l'aiuto di qualche esponente delle forze dell'ordine?»
Faccio spallucce. «Che ne so, non ne hai fatto menzione finora.»
«Tranquillo, non siamo soli.»
In effetti ha l'aria troppo sicura per uno che vuole mettere i bastoni tra le ruote a un trafficante di droga abbastanza ricco.
«E tu e il tuo amico poliziotto avete già in mente un piano?»
Lui spegne il computer e lo chiude. «Ancora no, ma gli ho appena mandato un messaggio, mi risponderà appena potrà.» Si alza e si dirige verso l'angolo cottura. «Ti va qualcosa da mangiare?» Spalanca il frigorifero e ci ficca la testa dentro.
Mi guardo attorno tra i cumuli di giornali e la polvere che sovrasta ogni cosa, mi trascino sul bordo del divano e mi lascio sprofondare. L'idea che Clio non voglia più vedermi mi atterrisce. Vuoi vedere che adesso mi sentirò in debito con questo coglione di giornalista? Mi sta dando l'unica opportunità di fare veramente il marito.
I suoi chicchi di caffè mi appaiono all'improvviso, dolci e scuri come quando facevamo l'amore. Chiudo gli occhi e mi massaggio le palpebre. Accidenti a me!
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