Capitolo 26

Kalpana...

Valerio si china verso di me. «Credimi, tuo marito non è quello che pensi.»

Faccio un passo indietro ma il mio piede inciampa sull'ultimo scalino, non posso allontanarmi. «Non voglio starti a sentire, voglio che tu faccia la tua intervista a mio padre e poi te ne vada.»

«Invece sarebbe meglio se tu mi ascoltassi, Clio.»

Lo incenerisco con lo sguardo. «Kalpana, sono Kalpana per te.» Clio è come mi chiama Eros, e qui solo lui può chiamarmi così.

Un movimento alla mia sinistra attrae la mia attenzione, Eros è uscito dallo studio di mio padre e ci sta fissando con lo sguardo affilato.

Sobbalzo, indico a Valerio di tacere con un colpo al braccio e mi allontano da lui con un passo di lato. «Eros...»

Lui si avvicina. «Di cosa stavate parlando?»

«Ma... niente. Stavo solo dicendo che...» Indico la porta dalla quale è uscito. «Forse adesso mio padre può rilasciare l'intervista.»

«Temo di no.» Si avvicina ancora e sposta uno sguardo irritato su Valerio, immobile e serio di fronte a me. «Adesso ha da fare, non credo che possa rilasciare interviste.»

Valerio fa un cenno di assenso con la testa. «Aspetterò.»

Si guardano in cagnesco senza aprire bocca, sembra che stiano facendo il gioco del silenzio, ma nessuno dei due ha voglia di ridere.

Poso una mano sul petto di Eros, come a interpormi tra i due. «Valerio, prova lo stesso a bussare alla sua porta, forse un momento per te lo trova.»

Valerio sposta lo sguardo da Eros a me e mi fissa meditabondo, stringe le labbra. «Va bene.» Lancia l'ultimo sguardo tagliente a Eros e si allontana.

Eros lo osserva in cagnesco finché non scompare oltre la porta dello studio di papà. Di colpo si volta verso di me. «Di cosa stavate parlando?»

Aspiro dal naso per calmare i nervi, non riesco a capire come mai sia così geloso, ma non gli dirò certamente che ha cercato di allontanarmi da lui. «Niente, te lo giuro.»

Mi fissa negli occhi. «Di qualcosa dovrete aver parlato.»

Scuoto la testa. «Non voglio che ti preoccupi delle stupidaggini che mi dice quell'uomo, lo sai che non lo credo, te l'ho già detto.»

I suoi occhi si rilassano di colpo, sembra si sia appena reso conto di quello che stava succedendo. Chiude le palpebre per un secondo e ammorbidisce lo sguardo. «Scusami... non volevo insinuare che tu...»

Poso entrambe le mani sul suo torace. «Perché non andiamo a farci una passeggiata, oggi che non devi andare in piantagione?»

Osserva il mio viso con attenzione e sorride. «Tutto quello che vuoi.» China la testa e mi dà un bacio sulle labbra.

Gli sorrido. «Vado a cambiarmi.»

Mi volto per salire le scale ma lui mi afferra per un braccio e mi riporta contro di sé. «Se vuoi salgo anch'io... ti aiuto a spogliarti.» Sussurra e mi dà un altro bacio.

«Bleah, che schifo!» Ci voltiamo di scatto verso la cima delle scale, Yashira scende con in mano un libro e il naso arricciato dal disgusto. «Mi piacerebbe andare in giardino senza dover assistere a queste esternazioni di affetto.»

Sospiro rassegnata di sentire i farfugliamenti di mia sorella e mi volto. «Faccio in un lampo.»

Yashira si blocca in mezzo alle scale. «Aspetta, vengo con te.» Le risale e mi segue in camera. Va dritta a sedersi sul letto e comincia a dondolare le gambe come una bambina piccola.

Apro l'armadio e afferro il vestito che voglio mettermi. «Devi dirmi qualcosa?»

«Forse...»

Mi volto a guardarla. Continua a dondolare i piedi ma non sembra a suo agio.

Mi porto di fronte a lei. «C'è qualcosa che non va?»

Ferma le gambe e mi fissa. «Sei sicura di aver sposato l'uomo giusto?»

Cosa! Ci si mette anche lei adesso? «Certo, ne sono convinta. Tu che ne sai?»

«Io? niente.» Scuote le mani davanti a sé. «Figuriamoci. Io al massimo so quello che sento.»

Getto il vestito sul letto al suo fianco e mi siedo dalla parte opposta. «Perché, hai sentito qualcosa?»

Abbassa lo sguardo e inclina per un attimo la testa. «Forse.»

Getto gli occhi al cielo. «Mi stai stufando, se hai sentito qualcosa dilla, altrimenti taci.» Resto in attesa, ma lei non apre bocca.

Appoggio le mani sul materasso per alzarmi ma lei sbotta. «Ok, ti dirò quello che ho sentito, ma se non ti piace non te la prendere con me.»

Mi rilasso sul letto. «Cosa hai sentito?»

Stringe le labbra e le piega di lato. «Hai presente il giorno in cui è arrivato quel tuo amico giornalista?» Annuisco. «Ecco, hai presente quando hai lasciato lui ed Eros in salone da soli mentre eri andata in cucina?»

Mi sto stancando. «Sì, e allora?»

«Ecco, stavo tornando in salone quando li ho sentiti parlare da dietro la porta. Parlavano di una certa Sabina Concerti. Sai chi sia?»

Scuoto la testa. «Mai sentita nominare.»

«Prima di quel momento nemmeno io. Ma la cosa brutta è che il tuo amico giornalista accusava Eros di averla portata alla tomba.»

Sgrano gli occhi e resto a bocca aperta. «Ma cosa stai dicendo?»

Annuisce, convinta. «Eros ha pure ammesso di non essere stato lui ad averle messo la pistola in mano.»

Mi fischiano le orecchie, mi sembra di avvertire un suono continuo e fastidioso che mi stordisce. «E poi cosa ha detto?»

«Beh...» Si gratta il collo. «Il giornalista gli ha intimato che deve essere lui a dirti la verità sul lavoro che faceva in Italia.»

Mi sento la terra scivolare sotto i piedi. «Perché, che lavoro faceva in Italia?»

Lei fa spallucce. «Non lo so. Poi sei uscita dalla cucina con in mano un vassoio e mi sono nascosta.»

Mi torna in mente la foto che vidi nel suo appartamento, la miniatura di quella ragazza con i capelli rossi che lui ha messo a faccia in giù appena gli chiesi chi fosse. Che sia lei questa Sabina Concerti?

«Oh!» Yashira mi scuote una gamba. «Invece di paralizzarti, cerca di capire la situazione.»

Sbatto le palpebre e scendo dal letto. «Sì... vabbè. Adesso mi sta aspettando.» Con un gesto deciso mi tolgo la veste da casa e mi infilo il vestito per uscire, mi sistemo i capelli allo specchio del bagno e mi faccio il trucco degli occhi con la matita. Osservo la mia immagine riflessa e mi tornano in mente le immagini di me ed Eros mentre abbiamo fatto l'amore l'ultima volta. Ripenso al modo in cui mi ha stretto a sé, alle parole che mi ha rivolto...

"Sei la donna migliore che potessi avere... Non merito una come te... Sei speciale..."

Rivedo le sue mani sul mio corpo, le emozioni che mi ha trasmesso... Scuoto la testa e abbasso lo sguardo. No... non voglio credere che stesse mentendo. Susanna mi diceva sempre che certe cose una donna le sente, e io le ho sentite. Ok, non mi ha ancora detto di amarmi, però─

«Ehi, che hai fatto, ti sei addormentata davanti allo specchio?» Yashira irrompe nel bagno, interrompendo i miei pensieri.

Rimetto nel cassetto i miei trucchi e mi volto. «No... scusa. Devo andare.» Le passo accanto, sento i suoi occhi perplessi su di me, ed esco senza aggiungere altro.

Mi fermo in cima alle scale e osservo la situazione dall'alto. Eros è ancora nell'ingresso. Sembra che avverta la mia presenza per istinto perché alza lo sguardo verso di me e mi sorride anche se non ho fatto alcun rumore. Quel sorriso mi scioglie, dimentico ogni parola di mia sorella e gli sorrido anch'io.

Scendo le scale e lui mi raggiunge ai piedi della scalinata. «Vuoi prendere la macchina di tuo padre, o...?»

Scuoto la testa. «Ti va di fare una passeggiata a piedi?»

«A piedi?»

«Sì, nella tenuta di mio padre.»

«Come vuoi.»

Mi tende la mano, che io prendo, e me la stringe nella sua, se la porta alla bocca e dà un bacio sulle nocche. Il cuore mi si riempie di tenerezza.

Ok, la nostra storia è iniziata in modo strano, direi unico, ma certi messaggi non mentono. La comunicazione non verbale è più importante di qualsiasi parola.

Tiene stretta la mia mano nella sua, calda e morbida. Attraversiamo il giardino e usciamo sulla strada sterrata che percorre i terreni di mio padre e camminiamo verso la piantagione. In silenzio, fianco a fianco, ognuno a godersi la presenza dell'altro. Osserviamo la natura che ci circonda, gli alberi che sorgono alla nostra sinistra e mi godo questi momenti di silenzio assieme a lui. Ogni tanto mi guarda, i suoi occhi mi accarezzano la pelle del viso e il mio piccolo cuoricino ha un breve sussulto. Sono sempre più convinta che i suoi sentimenti siano onesti, ma vorrei tanto averne la certezza da lui.

All'improvviso uno scoiattolo gigante ci taglia la strada.

Eros fa un balzo all'indietro. «Oh, cos'era quello?» Si blocca per un istante e mi trascina verso il ciglio dal quale è sparito lo scoiattolo.

«È uno scoiattolo gigante del Malabar, ti piace?» Mi porto vicino a lui, lo scoiattolo si sta arrampicando su un albero poco distante, sale sul un ramo e si ferma a osservarci.

«Accidenti com'è grosso! E che colori!»

Rido. «È vero, solo qui abbiamo animali con colori sgargianti come il suo.»

Eros è estasiato. «Non avrei mai pensato che potessero esistere scoiattoli con il pelo viola e la coda lunghissima. È enorme!»

«Se venisse esportato in Italia la gente scapperebbe terrorizzata.»

Ride. «Hai ragione.»

Riprendiamo a camminare tenendoci per mano.

«Posso farti una domanda?»

Eros mi sbircia. «Certo. Anche se me ne hai appena fatta una.»

Resto un attimo perplessa e scoppio a ridere. «Hai ragione...» Ridiamo insieme. «Vabbè... ti volevo chiedere se ti sei mai pentito di avermi sposata.»

Lui si ferma di nuovo, costringendomi a fare altrettanto. «Perché me lo stai chiedendo?» Ha la stessa espressione di un bambino offeso.

«Beh... non puoi dirmi che non possa chiedermelo, avevi detto che non volevi sposarmi, lo facevi solo per mio padre.»

Ancora sconvolto abbassa lo sguardo. «Sì, hai ragione. In effetti all'inizio me ne sono pentito molte volte. Ma non per quello che puoi pensare.»

«E per quale motivo?»

Scuote piano la testa. «Sei bellissima, Clio. Come potevo pensare di rimanere indifferente con una moglie come te al mio fianco?»

Corrugo la fronte. «Non credo di capire...»

Sbuffa. «Come puoi pensare che un uomo come me possa dormire tutte le notti assieme a una donna come te senza toccarti?»

«Ah... ora capisco.» Riprendo a camminare con lo sguardo basso.

Mi strattona la mano. «Cosa, cos'è che capisci?» Il suo tono di colpo autoritario mi sorprende.

«Beh... in pratica mi hai detto che ti piace la mia bellezza, no?» Ma che non mi ami.

«Ehi...» mi tira contro di sé. Vado a sbattere contro il suo petto. Con una mano mi alza il mento. «Cosa pensi, che io provi solo attrazione nei tuoi confronti?»

Mi azzardo a sbirciarlo in faccia. I suoi occhi sono così seri...

Non riesco più a guardarlo. «Non lo so, io... so solo quello che mi avevi detto all'inizio.»

«Guardami, Clio.» Alzo con fatica lo sguardo su di lui. Mi inchioda con quegli occhi scuri. «Non pensare nemmeno per un istante che io non ti voglia bene. Sei la donna migliore che potessi mai desiderare, e non sto parlando solo del tuo aspetto fisico.»

«Davvero?»

Mi accarezza una guancia. «Non sono mai stato così sincero in vita mia prima di adesso.»

Ok, non mi ha ancora detto che mi ama, ma non posso pretendere tutto insieme.

Gli sorrido. «Va bene.»

«Bene.» Mi da un bacio a stampo sulle labbra. «E, per favore, non dubitare mai più dei miei sentimenti per te.»

Deglutisco. «D'accordo.»

Mi bacia ancora, mi avvolge tra le braccia e mi tiene avvinta, ed è come se mi stesse dicendo di amarmi. La sua lingua è morbida, delicata, le sue braccia sono forti e protettive... Mi lascio trasportare con felicità nel luogo in cui vuole condurmi, in quella bolla privata fatta solo di noi, e per noi.

Si stacca dalle mie labbra e mi mantiene stretta tra le sue braccia. «Sono felicissimo di averti sposata.»

Le sue parole mi fanno sorridere, scacciano in un soffio tutto quello che Yashira mi ha detto. Ha sicuramente sentito male, origliare è un brutto vizio proprio per questo, si capisce sempre male quello che si sente.

Riprendiamo a camminare e sulla nostra destra, a una ventina di metri dalla strada, sorge la casa che papà sta facendo costruire per me.

Gli punto un dito contro. «Ti va di visitarla?»

«Quel cantiere? Te lo volevo chiedere, cos'è? Sembra una casa.»

«Lo è.» Mi volto verso di lui per guardarlo negli occhi. «È quella che mio padre sta facendo costruire per me. Anzi... per noi.»

Per un attimo sbianca in volto. «Per noi?»

«Sì... c'è qualche problema?»

Resta a bocca aperta, sembra spaventato. «No...» Scuoto lieve la testa e sbatte le palpebre. «Tutto bene. E poi tuo padre me ne aveva accennato... me ne ero dimenticato.»

Sono confusa. «Vorresti visitarla?»

«Ci si può entrare?»

«È casa mia, certo che ci posso entrare.»

Annuisce e accenna un sorriso. «Certo.»

Lo guido lungo il piccolo viottolo ancora sterrato circondato da erba alta e incolta, che parte dalla strada e va diritto a quello che sarà l'ingresso, che adesso è solo un'apertura nel muro senza alcun infisso. Le pareti interne le hanno terminate, c'è già anche il luogo in cui sorgerà la scala che andrà al piano di sopra. Ma i lavori sembrano fermi da diverso tempo, la betoniera ospita un ragnetto che ha creato una bella ragnatela al suo interno.

«Guarda!» Eros mi indica un altro scoiattolo gigante che si affaccia da una delle finestre, anch'esse senza infissi.

«I lavori sono molto a rilento.»

«È comprensibile dato come vanno gli affari a tuo padre.»

Mi volto verso di lui. «Perché, come stanno andando?»

«Scusa, ma non ti sei accorta che ha dovuto licenziare molto personale? Anche Pooja si è lamentata che ha dovuto licenziare la domestica che aveva prima.»

È vero... me ne stavo dimenticando. «Hai ragione. Anche Yashira mi ha spiegato che le cose ultimamente sono un po' peggiorate.» Osservo i soffitti, dai quali pendono altre ragnatele.

«Lo ha detto anche a me, specie da quando ha assunto quello strano contabile.»

Scuoto la testa. «Non vedo come potrebbe. Tutto dipende esclusivamente dal raccolto del caffè, mica da chi gli fa i conti.»

Lui stringe le labbra. «Ammetto di non essere un esperto, ma da quel che ho potuto capire di tuo padre, nemmeno lui ne capisce molto di contabilità e mercato.»

Non ho mai sentito un discorso simile riguardo a mio padre. «Non puoi dirlo, da quant'è che sei qui? Un mese? Non puoi saperlo.»

Mi guarda confuso. «E se ti dicessi di aver visto il contabile di tuo padre insieme a tuo cugino Hiresh parlare in modo sospetto alle cinque di notte dentro la piantagione di tuo padre?»

Sbuffo di ironia. «Non vedo perché avrebbero dovuto trovarsi lì e non nella piantagione di Hiresh.»

Lui si avvicina con la fronte corrugata. «Solo questo ti chiedi, del luogo in cui si sono trovati? E non ti chiedi del perché si sono incontrati alle cinque di mattina e del perché Hiresh abbia dato al signor Kundarm una borsa piena di soldi?»

Resto imbambolata. «Davvero?»

«Certo, puoi credermi.»

Sono confusa. «E non sai quello che si sono detti?»

Sbuffa e rotea gli occhi. «Ero troppo lontano, e anche se li avessi sentiti non avrei capito niente di quello che si sono detti. Io non capisco la vostra lingua.»

È vero.

«Ma perché non me lo hai detto prima?»

Stringe le labbra e abbassa lo sguardo. «Hai ragione, avrei dovuto. Ma è successo prima che partissimo per il viaggio in treno e sinceramente quando siamo tornati pensavo a tutto tranne che a quello che ho visto.»

Mi guardo attorno tra le mura ancora spoglie della casa in costruzione, in ansia. «Dobbiamo dirlo a papà, subito.» Mi volto e mi dirigo verso la porta dalla quale siamo entrati.

Se Hiresh sta cercando di sabotare mio padre lo sputtanerò e gli farò mangiare i soldi che ha dato a quell'uomo.

***

Apro la porta d'ingresso e tre paia di occhi si puntano su di noi, e non sono benevoli. Ma non stanno guardando me, stanno guardando Eros, al mio fianco.

Lascio la porta aperta e mi avvicino a mio padre, ai piedi delle scale assieme a Hiresh e Valerio. «È successo qualcosa?»

Nemmeno la mia domanda distoglie il loro sguardo da mio marito. Eros è rimasto impietrito al centro dell'ingresso. Mi lancia una veloce occhiata preoccupata ma torna a fissare i tre.

«Signor Sansoni, dobbiamo parlare.» Papà ha lo sguardo duro, non l'ho mai visto così.

Un momento, ma non gli dava del tu?

«Papà, che succede?»

Lui non mi guarda nemmeno.

«Kalpana,» Hiresh fa un passo verso di me. «Sono desolato per quello che sta per succedere, ma─»

«Proprio tu!» Lo incenerisco con lo sguardo, la sua sola presenza mi fa imbestialire. «Tu cosa hai da dire sulla tua relazione con il signor Kundarm?»

Lui trasalisce, chiude la bocca e corruga la fronte. «Il signor Kundarm?»

«Adesso non è il momento, Kalpana.» Papà si avvicina e mi prende per una spalla. «Io e il signor Sansoni abbiamo cose più urgenti di cui parlare.»

«Ma papà, anch'io ho bisogno di parlarti. Hiresh─»

«Signor Sansoni, può venire con me nel mio studio?» Non mi ascolta nemmeno, come se non avessi detto niente.

«Papà...»

Alza la mano per zittirmi e la agita per invitare Eros a seguirlo. Nell'altra mano stringe un foglio di carta, sembra un articolo di giornale.

Lo indico. «Che cos─»

Hiresh mi impedisce di finire la domanda. «Kalpana, lascia perdere.» Posa una mano sulla mia spalla e mi spinge di lato.

Sposto le spalle dalla sua presa. «Non mi toccare!» Mi avvicino di nuovo a mio padre. «Papà, per favore.»

Il suo sguardo adirato però mi inchioda sul posto. «Non ti immischiare, Kalpana.»

Resto scioccata dalla sua reazione, non si era mai rivolto a me con questo tono.

Eros mi passa davanti, con la coda dell'occhio mi lancia un'altra occhiata preoccupata ma segue mio padre e si chiudono nello studio.

Sono basita. «Ma cosa è successo?»

«È successo che l'uomo che hai sposato non è quello che pensi, Kalpana.» Hiresh si mette le mani in tasca e si posiziona al mio fianco. «Mi sento terribilmente in difetto per non averlo scoperto prima, ma per fortuna il qui presente signor Barani ha fatto le sue ricerche in merito ed è riuscito ad avvertirci prima che quell'uomo combinasse qualcosa di pericoloso.»

Non capisco.

Valerio è immobile ancora in fondo alle scale, lo sguardo basso e l'espressione distrutta.

«Posso sapere cosa hai fatto?»

Lui mi rivolge uno sguardo confuso. «Ho provato a dirtelo, ma non mi hai voluto ascoltare, e─»

«E ha giustamente deciso di dire la verità a chi poteva ascoltarlo.» Finisce Hiresh al posto suo.

Ma Valerio non mi sembra molto sicuro. «Che cosa hai detto a mio padre?»

«La verità, che tu non hai voluto sentire, cara cugina.» Hiresh si intromette di nuovo, con la sua solita aria supponente. «Ovvero, che l'uomo che hai sposato è solo un impostore.»

«Adesso basta, Hiresh!» Urlo. «Non voglio più sentirti, vattene da casa mia.»

Sbuffa di divertimento. «Questa non è casa tua.»

«Lo è finché abiterò qui, e finché Aditi Narayan sarà mio padre. Adesso fuori di qui!» Con il braccio teso gli indico la porta.

Nonostante le mie urla la sua faccia da schiaffi non si scalfisce, con un sorrisetto sbilenco ci lancia un'occhiata derisoria e si allontana.

Mi volto verso Valerio. «Adesso posso sapere cosa c'è scritto su quel giornale?»

Lui deglutisce e posa una mano sulle mie spalle. «Per favore, possiamo accomodarci in salotto?»

Muovo la spalla e scanso la sua mano. «No, me lo dici subito, o giuro che mi metto a urlare.»

Lui si guarda attorno, in evidente difficoltà. «Ti prego...»

Sbuffo e decido di accontentarlo. Mi avvio in salotto e attendo che mi raggiunga, chiudo la porta e lo affronto. «Parla.»

Mi sarei aspettata di tutto, tranne di sentire queste parole. No... non è vero. Eros non può aver usato il sesso come lavoro... e non può essere responsabile per la morte di una donna.

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