Capitolo 25

Uno strano rumore mi sveglia. Apro gli occhi e mi stiro tra le lenzuola di seta rossa, uno sbadiglio mi sorprende, ma non faccio niente per nasconderlo. Qui mi sento come a casa.

Mi volto, ma il letto dall'altra parte è vuoto. Ok, lei si sveglia sempre prima di me. Scommetto che sta già preparando il caffè.

Mi scopro e mi alzo, recupero la camicia dalla poltroncina sotto alla lampada e la indosso. La abbottono e faccio un giro attorno all'ultima creazione di alta moda addosso al manichino al centro della stanza. Le pieghe della gonna fanno sembrare la silhouette femminile ancora più aggraziata. La scollatura che arriva a mostrare il solco tra i seni rende l'abito molto sensuale, anche se credo che solo donne con un fisico minuto come il suo possano indossare qualcosa di simile. Non capisco molto di moda, ma le creazioni di Sabina mi sono sempre piaciute.

Mi infilo i pantaloni e cammino scalzo verso il grande salone. «Sabi, tesoro, dove sei finita?»

Do uno sguardo al divano e all'enorme televisore appeso alla parete mentre attraverso il corridoio. Entro in bagno e mi libero la vescica. Con il suono dello sciacquone vado nel salone, Sabina è seduta alla grande tavola di legno su cui lavora. Ha la testa appoggiata sui suoi fogli di lavoro, i capelli ricci sparsi sul tavolo a coprire la mano sinistra, vuoi vedere che ieri sera si è addormentata mentre lavorava? Eppure mi sembra di ricordare che si fosse addormentata con me.

Mi avvicino, il suo corpo è immobile. Qualcosa nell'aria mi fa rizzare i peli sulle braccia. Uno strano senso di paura si impadronisce di me. Rallento il passo e mi allungo per vederla meglio. La sua mano destra, dietro la sua testa, stringe tra le dita inermi una pistola.

«Sabina...»

Con un altro passo riesco a inquadrare anche il foro che ha sulla tempia destra, dal quale parte un rivolo di sangue ormai secco che macchia di rosso i fogli sotto di sé.

Un conato di vomito mi fa strabuzzare gli occhi e fare un passo indietro. Deglutisco e mi costringo a distogliere lo sguardo da lei. Devo andare via di qui.

Torno di corsa in camera e mi infilo le scarpe, sul comodino di Sabina c'è una copia dell'ultimo numero di Moda2000, una nostra foto mentre usciamo dal suo appartamento mi dipinge come il suo toyboy... Un altro conato mi fa bloccare sul posto, mi porto una mano alla bocca per impedirmi di vomitare.

Attraverso il salone cercando di non guardare nella sua direzione ed esco nel pianerottolo. Chiamo l'ascensore e aspetto. Oddio, ci sta mettendo troppo! Inizio a scendere le scale, arrivo al pianerottolo inferiore e il campanello mi avvisa che è arrivato all'attico di Sabina. Troppo tardi.

Corro fino in fondo ed esco dal portone principale. Mi guardo attorno, mi tremano le mani.... Adesso dove vado? Da Manuel. Sì, devo andare da lui!

***

Manuel mi sbatte sulla sua scrivania il numero di Moda2000 che Sabina aveva sul comodino. «Lo hai letto?»

Ho ancora lo stomaco sotto sopra, scuoto la testa.

«Hanno scoperto i cinquantamila euro che Sabina ha versato sul tuo conto, quelli che ha voluto regalarti per il tuo compleanno. Adesso sei un indiziato, Eros.»

«Cosa!» Afferrò il giornale e lo apro nell'articolo incriminato. Inizio a leggere ma le lettere si accavallano davanti ai miei occhi, non riesco a capire cosa c'è scritto.

Di colpo mi chino in avanti e rimetto la cena della sera prima.

Manuel si allontana dalla scrivania con una spinta. «Cristo santo, Eros!»

«Vedo che è rimasto muto.» Valerio mi riporta al presente. Mi sta osservando con la classica espressione derisoria di chi crede di avermi in pugno. «Lo devo ammettere, speravo che mi dicesse che non è lei quel Eros Sansoni al quale la povera Sabina lasciò più di cinquantamila euro prima di suicidarsi.»

Assottiglio lo sguardo. «Lei non sa di cosa sta parlando.»

Sgrana gli occhi. «Come? Vuole dirmi che esiste un altro Eros Sansoni che ha imbrogliato quella donna?»

Non riesco più a guardarlo. «Non le ho certo messo io la pistola in mano.»

«Oh, certo che no. Ma nemmeno l'ha aiutata a non commettere quell'ultimo gesto.»

Digrigno i denti. «Come lo ha scoperto?»

«Gliel'ho detto, il mio amico è stato il primo ad averla riconosciuta. In realtà già durante il viaggio mi ripeteva di averla già vista, e una volta tornato in Italia mi ha mandato un articolo di giornale via email che parlava di quella povera donna. Tra l'altro era una donna ricca e facoltosa, una dea della moda, non è stato difficile per lui ritrovare wuell'articolo. Se non fosse stato per lui io non avrei mai saputo chi fosse in realtà.»

Lo gratifico di un'occhiataccia. «E adesso cosa vuol fare, dire tutto a Clio?»

Lui mi fissa e arcua le sopracciglia. «Devo allora pensare che la signorina Narayan non è la sua prossima vittima ma che sia effettivamente innamorato di lei?»

Stringo i pugni per impedirmi di scaraventarmi su di lui e prenderlo a botte. «La signora Sansoni!» Sbotto. «Lei e io siamo legalmente sposati. Sia per lo stato italiano che per quello indiano.»

Ridacchia. «Già... Allora presumo che lei sappia del suo passato.»

Abbasso lo sguardo e stringo i pugni ancora di più. Il nervoso mi fa tremare le mani. Me lo sentivo che quest'uomo sarebbe stato fonte di guai.

La sua risatina beffarda mi fa imbestialire. «Sarebbe bene che fosse lei stesso a dire la verità a sua moglie. Se davvero le vuole bene.»

Lo incendio con lo sguardo e nello stesso momento Clio rientra in salone reggendo un vassoio carico di bicchieri. «Ho preparato un po' di latte macha per tutti. Purtroppo non so dove stanno le cose in quella cucina se no avrei preparato qualcosa di più occidentale.» Posa il vassoio sul tavolo al centro e alza lo sguardo su di noi. «Tutto a posto?»

Mi sforzo di distogliere lo sguardo da Valerio e le sorrido. «Sì, certo, tutto a posto. Io e il signor Barani stavamo solo ricordando i luoghi che abbiamo visitato insieme.»

Valerio si allunga per prendere un bicchiere. «Anche se la seconda metà del viaggio passavate la maggior parte del tempo nella vostra cabina invece che con il resto della comitiva.»

Clio arrossisce e si siede accanto a me. «Beh... in fin dei conti siamo novelli sposi.» Si allunga per prendere i due bicchieri rimasti e me ne porge uno.

La ringrazio con un sorriso e ne bevo un sorso. Non ne sento il sapore, tutta la mia rabbia si sta rimescolando nello stomaco, tutti i miei sentimenti stanno cuocendo come se al posto della pancia avessi un calderone incandescente.

Non può andare tutto a rotoli una seconda volta... Clio non deve sapere nulla di quello che ero prima.

***

Scosto il piatto ancora pieno e afferro le mie cosce sotto il tavolo, conficco le unghie nella carne, sperando che il dolore fisico possa distrarmi dal senso di nausea che mi sta invadendo.

«E posso solo ammettere quanto quell'esperienza sia stata emozionante per me.» Valerio si versa un po' d'acqua ma non la beve, parlare del suo lavoro è più importante. «In fondo, per mostrare alle persone la realtà bisogna correre qualche rischio.»

Mio dio...

Con la coda dell'occhio noto Clio seduta al mio fianco che mi sta fissando preoccupata, speriamo non mi faccia domande. Non vorrei che pensasse che sono così geloso. La mia non è gelosia.

Aditi annuisce, si appoggia coi gomiti al tavolo e incrocia le dita delle mani tra loro. «Il lavoro di giornalista può essere pericoloso, ha ragione.»

Valerio prende un pezzo di naan e fa la scarpetta. «È proprio così.» Se la ficca in bocca e riprende a parlare con la bocca piena. «In alcuni momenti ci vuole una certa dose di coraggio.»

Che schifo.

Da bravo padrone di casa, Aditi annuisce. «Sarò lieto di rilasciarle un'intervista, domattina.»

Pooja inarca le sopracciglia. «Non vai in piantagione, domattina?»

«No, domattina dovrebbe tornare il signor Kundarm.» Si volta verso di me. «A proposito, dovevo avvisarti che domattina concludiamo quello che avevamo iniziato l'altro giorno.»

«Oh, benissimo.» Faccio un cenno di assenso.

Lui abbassa gli occhi sul mio piatto intonso. «Non hai fame?»

Il pollo taki con le verdure è ancora intatto. «No... mi scusi.»

Lo sguardo preoccupato di Clio sta continuando a perforarmi la faccia. «Va tutto bene?» Sussurra.

Annuisco appena, ma non so se ha capito.

Anche Valerio mi sta guardando incuriosito. Si pulisce la bocca e si volta verso Aditi. «So che non sono affari miei, ma posso chiederle quali sono questi affari che dovete terminare?»

«Oh, niente, dobbiamo finire di compilare alcuni documenti importanti sulla piantagione di caffè.»

Lui annuisce, meditabondo, e mi rivolge uno sguardo accusatorio.

Basta, non lo sopporto più.

Mi alzo di scatto. «Scusate... mi sento poco bene.»

Con la coda dell'occhio noto Valerio sorridere in modo antipatico mentre attraverso la sala da pranzo ed esco nell'ingresso. Anche gli altri mi stanno fissando, e non saprei quale sguardo mi infastidisce di più.

Afferro il corrimano delle scale e balzo sugli scalini, corro al piano di sopra e mi chiudo la porta di camera alle mie spalle, faccio due passi e mi fermo al centro della stanza, le mani tra i capelli. Dio, perché doveva conoscere proprio un giornalista italiano?

La porta alle mie spalle si apre e si richiude. Clio mi fissa, preoccupata, e si avvicina. «Eros, tutto bene?»

Sospiro. «Sì, certo...»

Posa le sue mani fresche e affusolate sulle mie braccia e mi costringe a guardarla negli occhi. «Lo so, mi dispiace che lui rappresenti qualcosa di brutto per te, ma non voglio che te ne preoccupi.»

«Di cosa stai parlando?»

Storce le labbra. «Non so... mi sono ricordata quello che mi hai detto sul treno e adesso mi dispiace tanto di averlo fatto venire qui, ma─»

«A cosa ti riferisci?» La interrompo, questa cosa è strana.

Lei deglutisce. «A quello che mi hai detto circa il renderti cornuto... sai, so che ancora non ci conosciamo tantissimo, ma io non ti farei mai le corna.»

Osservo i suoi occhi preoccupati. Sono più scuri del solito. «Clio, io─»

«No per favore. Voglio che tu sappia che ti capisco. E che ti amo.» I suoi occhi diventano di colpo umidi, luccicanti di sentimento. «E che mi dispiace tanto se ti ho messo in una brutta situazione col giornalista. Farò in modo che faccia la sua intervista e se ne vada il prima possibile.»

Cosa ho fatto per meritarmi una donna così?

«Sei la donna migliore che poteva capitarmi.» Sussurro.

Lei sorride a labbra storte e abbassa lo sguardo. Le poso una mano sulla guancia e traccio il contorno delle sue labbra con il pollice.

Come fai ad amarmi se nemmeno mi conosci?

Mi avvicino e la bacio. Accarezzo la sua lingua con la mia, lei contraccambia, in un gioco che lancia dardi infuocati alla mia virilità. La avvolgo tra le braccia e la stringo a me, voglio farle sentire il mio desiderio. Lei si stacca appena e sobbalza, trattenendo il respiro. Le sorrido e riprendo a baciarla. Per fortuna contraccambia senza remore, con una mano afferra la mia maglietta e mi trattiene. Un gesto che mi dà alla testa, che mi spinge a schiacciare il mio sesso contro il suo.

Ho bisogno del suo calore per scacciare questa sensazione di inadeguatezza che mi travolge. Non la merito, ma non voglio rinunciare a lei.

***

Il signor Kundarm appone la sua firma sul contratto, lo rotea versa Aditi e glielo avvicina. Aditi mette a sua volta la firma e alza gli occhi su di me. Gira il foglio nella mia direzione e mi allunga la penna.

Mi trema la mano mentre la afferro, avvicino il foglio e cerco lo spazio in cui devo mettere la mia. Osservo quella contenuta del signor Kundarm e quella più appariscente di Aditi, subito sotto, la riga nera ancora vuota.

Stringo la penna e fingo di leggere. Mi trema la mano. Mi faccio coraggio e con un gesto veloce riesco a tracciare il mio nome. Poso la penna sulla scrivania e mi sento come se fossi appena stato travolto da un treno. Prendo il foglio e lo rendo al signor Kundarm.

Questi lo contempla, annuendo con un lento cenno del capo. Prende la sua cartelletta e lo rimette dentro. «Bene, andrò subito a registrare il documento.» Si alza dalla sedia, ci saluta con un gesto della testa e sparisce fuori dallo studio.

«Bene, è fatta.» Aditi ha un'espressione felice e soddisfatta. «Non puoi immaginare il sollievo nel sapere che un uomo di tutto rispettò sarà accanto a mia figlia nella gestione della piantagione di famiglia.»

Già...

«Non so come ringraziarla per la fiducia che mi sta dando.»

«No, non hai motivo. Io devo ringraziare te per aver dato l'amore a mia figlia. È sempre stato molto difficile per lei riuscire a fidarsi di qualcuno.»

«Difficile?»

«Sì... non ha mai avuto una relazione, che io sappia. Teja non me ne ha mai parlato.»

Punto il pollice alle mie spalle. «Sta parlando di quella specie di cameriera che aveva in Italia?»

Annuisce. «Più che cameriera era una sorta di dama di compagnia.» Sghignazza, come a sottolineare l'antichità dell'espressione. «L'ho assunta per starle accanto e non farle dimenticare le sue origini mentre studiava in Italia e all'estero, e in cambio mi teneva aggiornato sulle sue esperienze.»

Ho una sorta di epifania... ora capisco perché sembrava che la spiasse durante la festa. Non sembrava, la stava proprio spiando.

«Ho sempre avuto il sospetto che io non le piacessi.»

Aditi ride. «Può darsi. Tutti i ragazzi che Kalpana conosceva erano ammaliati dalla sua bellezza, ma appena sapevano che aveva origini indiane la deridevano e se ne andavano quasi subito. Almeno da quanto mi diceva Teja.»

Ed è arrivata a venticinque anni ancora vergine. Non riesco a crederci. Per lei devono essere state tante delusioni, chissà come deve essersi sentita. Una donna che viene continuamente respinta solo per le sue origini è raro che resti sicura di sé. E invece Clio non ha mai abbandonato la sua femminilità, è sempre bellissima, forte, sicura.

Aditi picchietta le dita contro il legno della sua scrivania. «Bene, io adesso ho altre cose da fare. Se non ti dispiace...» Con il mento indica la porta.

«Oh, sì, certo.» Mi alzo e mi posiziono dietro la poltroncina. «Mi scusi. Ero sovrappensiero.»

Lui sbatte le palpebre con pigrizia. «Non importa, è comprensibile.»

Non voglio disturbarlo oltre e mi affretto a raggiungere la porta. Gli faccio un cenno di commiato ed esco dallo studio.

In fondo alle scale del grande atrio, Clio e Valerio stanno parlando con un tono di voce molto basso, sembrano in confidenza. Come quando eravamo sul treno.

Lei volta il viso verso di me e si accorge che li sto fissando, sobbalza e picchia un pugno contro il braccio di lui, per avvertirlo della mia presenza. Anche lui mi guarda, e per una volta non sorride. Non so se sia un bene o un male.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top