Capitolo 21
Eros...
Clio sparisce di corsa dentro il bagno, sorrido compiaciuto; nemmeno lei è insensibile al mio fascino. Almeno le ho restituito un po' della medicina che mi ha infuso finora sotto il tetto di suo padre. Da quando oggi le ho detto che volevo costruire un rapporto più disteso sembra abbia rinunciato a sedurmi.
La consapevolezza di questo fatto mi fa smettere di ridere, una punta di amaro mi pungola il petto.
Clio apre l'acqua della doccia, mi volto verso la porta del bagno, immaginandola in questo preciso istante. La mia mente pare stregata, la figura di lei nuda sotto il getto d'acqua appare nitida. L'unica volta che l'ho vista come mamma l'ha fatta mi si è stampata in testa come un marchio. Anche stamani, quando si è presentata con addosso quel vestito attillato e seducente, avrei voluto saggiarne il tessuto per tutta la lunghezza, seguendo il contorno delle sue curve con la lingua. Il suo sguardo ingenuo, come se non si rendesse conto della propria bellezza e dell'effetto che mi fa, mi manda fuori di testa.
O forse davvero non se ne rende conto. No... non posso credere che sia così ingenua.
Chiude l'acqua della doccia e resto con l'orecchio teso, aspettando che esca dal bagno. La porta si apre e lei appare avvolta nell'accappatoio. Il profumo di vaniglia del suo bagnoschiuma mi raggiunge le narici. Attraversa la cabina con rapide falcate e spalanca l'anta dell'armadio.
Ha i capelli raccolti in uno chignon disordinato sulla sommità del capo, non se li è lavati.
Prende una strana veste nera dall'armadio e la appende all'anta. Mi sembra di conoscerla.
All'improvviso si lascia cadere l'accappatoio dalle spalle, che si accumula ai suoi piedi, lasciandola nuda di fronte a me.
Uno strano gomitolo mi si forma in pancia, e il cuore sembra impazzito. Un brivido di freddo mi attraversa la spina dorsale davanti alle sue spalle nude. Quel sedere sodo mi sta parlando, mi prudono le mani dalla voglia di stringerle le chiappe tonde. Ricordo come sono al tatto...
Si china in avanti per raccogliere l'accappatoio e... oddio. Mi sento mancare.
Da sopra la spalla mi sbircia, uno strano sguardo ammaliatore e divertito anima i suoi occhi. Cosa avevo detto prima?
Prende quella veste nera dall'anta e se la infila dalla testa. Il suo fondoschiena viene coperto da questo tessuto impalpabile. Mi mordo il labbro fino a farmi sanguinare, mi ha fatto diventare duro senza nemmeno aprire bocca, e al tempo stesso riesco a maledire la scarsa luce della cabina.
Rimette a posto l'accappatoio e si volta. Adesso benedico che la luce sia tenue, perché quella sottoveste è trasparente. Nera, sensuale...
Accenna un sorriso e avanza verso il letto. Si avvicina in pochi passi e mi costringo a tenere lo sguardo fisso sul suo viso.
Mi sorride e scosta le lenzuola. «Cos'hai? Sembri in difficoltà.»
Bastarda.
Deglutisco, non mi ero accorto di essere rimasto a bocca aperta.
Sorride e si stende accanto a me, si gira su un fianco e si regge la testa con la mano. Il suo sorriso dolce mi fa rizzare anche i peli del petto.
«Buona notte.»
Si tira su e si allunga verso la mia abat-jour per spegnerla. Nel farlo il suo seno passa a pochi centimetri dal mio viso. Sto bruciando.
Di colpo solo la luce dietro di lei la illumina, mettendo in evidenza le sue curve a malapena velate da quella camiciola impalpabile.
«Ho detto buona notte.»
Mi lecco le labbra e faccio un grosso respiro, come faccio a non saltarle addosso? Non lo so nemmeno io.
«Non mi rispondi?» Squittisce.
«Clio, cosa stai facendo?»
La sua espressione si fa di colpo delusa. «Perché?»
Sbuffo. «Sai bene, perché!»
Con tutta la buona volontà che ancora mi appartiene mi volto di lato dandole le spalle. Ho un'erezione dolorosa che non riesco nemmeno a dominare. È troppo tempo che non mi sfogo, e avere lei accanto non aiuta.
Sospira di delusione, si abbassa nel letto e spegne la sua abat-jour.
Rimaniamo al buio più completo. E io che pensavo di riuscire a tenerla a bada con la sola forza di volontà. E io che pensavo che fosse del tutto ingenua a questo genere di cose...
***
«Il lago che stiamo attraversando, il lago Pichola, è un lago artificiale che prende nome dal paese vicino, Picholi.»
La traduttrice ripete in italiano quello che la guida turistica spiega in inglese in cima al battello. Hanno entrambi un microfono per amplificare la voce.
«È stato realizzato nel 1362 per l'irrigazione della città e dei suoi dintorni.»
Gli altri viaggiatori seduti attorno a noi sembrano a proprio agio, sono dei perfetti turisti in visita su uno dei luoghi più caratteristici di questo paese. La maggioranza degli uomini indossa comodi pantaloni corti con le tasche, un po' come quelli che indosso anch'io. Le tre ragazzine hanno degli short inguinali che lasciano poco spazio all'immaginazione. La coppia finlandese, o svizzera, si è portata dietro un piccolo zainetto per gli effetti personali ciascuno, e ci sono cappellini e occhiali da sole come se piovesse.
Invece Clio sembra una vip in qualche luogo di villeggiatura. Al posto dei comodi pantaloni come quelli che indosso io, ha una lunga gonna a pieghe, che svolazza al vento come una bandiera. Ai piedi comode scarpe di tela con la stringa avvolta attorno al polpaccio più volte. Una maglietta semplice e femminile riesce ad accentuare il seno perfetto, peccato solo per il giubbetto di salvataggio arancione, che siamo stati costretti a indossare. I capelli li ha lasciati sciolti, in balia del vento. Per coprirsi dal sole ha un paio di occhiali scuri dalla montatura nera con alcuni strass e un cappello di paglia a tesa larga. Sembra una dama dell'Ottocento.
Un alito di vento trasporta con sé anche il suo profumo, dritto nelle mie narici. Sospiro irritato e mi volto a guardare l'acqua incresparsi sui fianchi dell'imbarcazione.
Quel depravato del giornalista si è seduto alcuni posti davanti a noi e spesso e volentieri si volta a guardarla. Altro che intervista...
In questo momento sembra concentrato sulle parole della guida turistica ma se si volta di nuovo lo fulmino. Già, probabilmente lui conosce l'inglese a menadito. Come la stessa Clio.
Lei si porta una mano sulla testa per tenere fermo il cappello. Il suo profilo accarezzato dai raggi del sole è perfetto, è disegnata. La sua pelle si sta abbronzando e quel lieve colorito rossastro sul naso le dona.
Si volta verso di me e mi sorride. Ricambio il sorriso, insieme a un piccolo fremito indistinto nel mio petto. È davvero bella.
E io sono un cretino! Se mi lascio a queste considerazioni su di lei col cazzo che riuscirò a resisterle ancora per molto. Col suo modo di fare ingenuo e al tempo stesso sensuale solo un cretino come me può credere di riuscire a starci così accanto e non toccarla.
Ieri sera mi sarei messo a piangere. Sono rimasto sveglio non so fino a quando, sperando che la mia voglia di lei diminuisse. È stato frustrante.
«Questo lago ospita quattro piccole isole,» la guida turistica ne indica una in lontananza alle sue spalle, davanti a noi. «Quella più imponente è senza dubbio quella che ospita il Lake Palace. Un tempo veniva utilizzato dai nobili come residenza estiva e, come sono sicura che apprezzerete, visiteremo tra poco.»
Un lieve mormorio di apprezzamento si leva attorno a me.
Clio batte le mani in modo silenzioso. «Che bello!»
«Non dirmi che tuo padre non ti ci ha mai portata.»
Scuote la testa. «Non credere che io conosca l'India così bene, ho passato pochissimo tempo in questo paese. Ma già lo sai.»
È vero, me ne ha già parlato. Sarà anche la figlia di un ricco magnate indiano ma è italiana sotto tutti gli aspetti.
Mentre la guida turistica continua a parlare dell'hotel che stiamo per visitare, quando è stato costruito e in quanto tempo, appare alla nostra destra. Un coro di meraviglia si alza dalla nostra piccola imbarcazione, e devo ammettere che anche per me è davvero maestoso.
Una struttura tutta bianca, di marmo, con le classiche cupole sulla sommità, sembra ergersi dalle acque come una nave enorme semi sommersa. Alcuni alberi fanno capolino qua e là, sopra le mura, e le migliaia di finestre che si affacciano verso di noi danno l'idea dei ponti di una nave ancorata lì da sempre.
Ci avviciniamo all'entrata di questa sorta di hotel galleggiante, quattro sculture a grandezza naturale a forma di elefante con la proboscide alzata ci danno il benvenuto. Alle loro spalle una serie di archi con la punta, come nello stile indiano, delimitano le pareti del giardino che si intravede subito dietro. Sopra questi archi, diverse bandiere colorate svolazzano al vento.
Un po' per volta ci alziamo dai propri posti e scendiamo dal battello. Mi affretto a scendere prima di Clio e ad aiutarla porgendole una mano. Mi lancia un veloce sguardo sorpreso, ma accetta il mio aiuto senza pensarci troppo e mi affianca sulla terra ferma.
Mi sorride e ho la tentazione di prenderla per mano. La sfioro appena con il palmo e già questo lieve contatto mi manda in confusione. Lei abbassa lo sguardo ma non sembra turbata più di tanto. Starà fingendo?
Mi rendo conto che sto facendo la figura dello stupido, ogni sorriso che mi rivolge annienta di un po' la barriera che ho costruito tra noi. Sospiro di irritazione, devo ricordarmi del tiro che mi ha giocato, e di quello che è capace di fare.
Aspettiamo che anche l'ultimo turista sia sceso dal piccolo battello e la guida turistica ci permette di toglierci questi giubbetti di salvataggio e di entrare nell'immenso giardino di questo hotel.
In pratica è una distesa di cemento con delle aiuole, da cui sorgono alcune palme. Ma la cosa sorprendente è lo spettacolo inaspettato a cui assistiamo.
La pavimentazione è abbellita con almeno un centinaio di sedie adornate da tessuto arancione e giallo, tutte rivolte verso un altare con un arco di legno ricoperto di fiori rampicanti.
Clio si guarda attorno con gli occhi sgranati, estasiata. «Oddio, ci sarà un matrimonio.»
Stringo le labbra «Come mai il nostro non aveva questo tipo di decorazioni?»
Dondola la testa e abbassa lo sguardo. «Mio padre e l'ambasciatore hanno dovuto fare tutto con un minimo preavviso. È già tanto se abbiamo avuto addobbi floreali e degli invitati.»
«Già...» Ok che era una cerimonia solo di facciata, ma ripensandoci è anche vero che mia madre non era presente. Se fosse stata al corrente che mi sposavo avrebbe abbellito lei l'intera ambasciata.
La guida turistica ci fa visitare l'interno dell'edificio, la sala comune, la hall, fino al bar al piano più alto dal quale è possibile ammirare il panorama dagli archi simili a quelli che ci hanno accolto al battello. Sotto a ogni arco hanno posizionato un tavolino rotondo in ferro dipinto di bianco, con due sedie coordinate. Ogni colonna che divide un arco dall'altro è lavorata con intarsi in altorilievo. Doveva essere un vero e proprio orgoglio quando fu costruita.
Ognuno si siede a un tavolo a scelta e Clio non se lo fa ripetere due volte. Mi guarda e mi sorride, come se fossimo a tutti gli effetti una coppia innamorata.
Un muscolo involontario mi fa piegare le labbra in una smorfia simile a un sorriso, le sorrido, ma non dimentico i guai che mi ha combinato.
«Vuoi qualcosa da bere?»
Lei si guarda attorno. «Non c'è un cameriere che ti serve al tavolo?»
Seguo il suo sguardo, davanti al bar ci sono solo i due svizzeri e la coppia di amici con le camicie hawaiane che erano con noi sul treno, oltre alle due guide turistiche. «Direi di no.»
«Portami un succo di frutta allora.»
Inarco un sopracciglio, adesso mi ha scambiato per un cameriere?
Mi fissa e, per fortuna, si rende conto di avermi appena dato un ordine.
«Oh, scusa. Ci vado io.» Si alza e si avvia al bar.
Mi siedo al suo posto. Diversi battelli navigano tra una sponda e l'altra del lago, l'acqua risplende di una calda luce verde sotto di loro, e la vegetazione fa da contorno a un panorama primitivo.
Ripenso alla distesa di sedie che abbiamo trovato nel giardino di ingresso, al matrimonio che dovrà compiersi qui questo pomeriggio. La strana immagine di Clio vestita con un abito da sposa occidentale mi riempie la mente.
Ma cosa sto pensando?
Sbatto le palpebre diverse volte per scacciare questa idea assurda. Mi volto per cercarla con lo sguardo, ma che fine ha fatto?
Tra tutte le persone di fronte al bancone mi soffermo su quel giornalista... che faccia da culo! Però accidenti se è alto.
Sposto lo sguardo sulla donna con cui sta parlando... e sgrano gli occhi. Clio annuisce con un sorriso divertito sulle labbra. Gesticola con un bicchiere pieno di succo, una goccia le cade addosso, sulla scollatura della maglietta. Lui scuote una mano in modo nervoso, si volta e prende un paio di fazzolettini dal bancone alle sue spalle, con questi si allunga verso la macchia di succo.
Cosa diavolo crede di fare?
Mi alzo di scatto e mi avvicino con rapide falcate. «Posso suggerirle di lasciare che sia mia moglie, o io, a pulirla da quella macchia?» Gli strappo i tovaglioli di mano e tampono la maglietta a Clio, poco sopra il seno.
Clio alza su di me due occhioni stupiti. Mi blocco con la mano sul suo cuore. I nostri visi sono vicinissimi, i nostri sguardi sono ancorati l'uno all'altro... il suo battito cardiaco bussa prepotente contro il mio palmo.
«Ha ragione... mi scuso di nuovo.» Si intromette il guastafeste. «Non avrei dovuto offrirmi per aiutarla.»
Lascio la presa e le tendo i fazzoletti, che afferra e continua a tamponarsi la macchia. Mi volto verso di lui. «Si sta scusando un po' troppo spesso ultimamente, signor Barani.»
Lui sorride. «Ha ragione. Mi sto solo assicurando l'intervista che sua moglie mi ha promesso.»
«Mia moglie non le ha promesso un bel niente.» Mi volto verso di lei. «Vogliamo tornare al tavolo?»
Clio mi guarda confusa, sposta lo sguardo da me a lui, annuisce e mi precede verso il nostro tavolo. Lancio uno sguardo di sfida a questo idiota e la seguo.
Lei si siede al tavolino che avevo lasciato libero, irrigidisce la schiena e beve il suo bicchiere con lo sguardo fisso sul lago.
La guida turistica ci passa accanto. «Abbiamo pochi minuti prima di tornare sul battello e far ritorno al treno per il pranzo. Mi dispiace interrompere questa dolce pausa, ma il tempo non è a nostro favore.»
Io e Clio ci alziamo in silenzio e ci accodiamo per tornare al piano di sotto e al battello. Lei mi cammina accanto in silenzio, evita ogni minimo contatto, anche accidentale. Si rimette il giubbetto di salvataggio senza alzare lo sguardo su di me e monta sul battello prima che io possa anche solo avvicinarmi per aiutarla.
Mi sta punendo per come mi sono comportato con quel cretino.
Scuoto la testa e monto sul battello, che stupida!
***
Il cameriere appare al nostro tavolo. «Cosa ordinate?»
Clio dà un'ultima occhiata veloce al menù e lo chiude. «Un semplice piatto di riso in bianco. Grazie.»
È stata tutto questo tempo a consultare il menù per poi scegliere del riso in bianco?
«Stai poco bene?»
Lei si posiziona il tovagliolo sulle ginocchia. «No, non ho molta fame.» Non mi guarda nemmeno.
Il cameriere si volta verso di me. «E lei, signore?»
«Anch'io prendo del semplice riso, ma anche questo Palak paneer, credo che si dica così.»
Il cameriere fa il suo inchino. «Sì, signore.» Prende i nostri menù e si allontana.
Clio si versa un bicchiere d'acqua gassata. «Anche tu hai ordinato leggero.»
«So che stasera mangeremo in un posto particolare e non voglio dovermi limitare.»
Per la prima volta alza lo sguardo su di me. «E come lo sai?»
Le sorrido. «È scritto sulla brochure del viaggio.»
Abbassa lo sguardo e le guance le si colorano appena. «Ah...»
È deliziosa quando è imbarazzata.
Il suo occhi vagano attorno a noi e si posano su qualcosa o qualcuno alle mie spalle, sto per voltarmi ma il giornalista appare accanto al tavolo.
Posa tra noi una rosa, rivolta a Clio, le fa un cenno col capo e si volta verso di me. «So che il biglietto copre anche i pranzi a bordo di questo treno, ma mi piacerebbe avere modo di scusarmi per il piccolo diverbio che si è creato tra noi, nato senza dubbio da un fraintendimento.»
Inarco le sopracciglia. «E come ha intenzione di fare?»
«Secondo l'itinerario descritto della brochure, stasera ci fermeremo a cenare in un luogo particolare, ma nessuno ci vieta di staccarci dal gruppo e cenare in un posto diverso. Basterà tornare al treno in tempo.»
Gli occhi di Clio diventano splendenti di colpo. «È davvero una be─»
«La ringrazio, ma vorremmo rimanere con la comitiva,» la interrompo. Lei sgrana gli occhi, confusa. «Non vogliamo correre il rischio di fare tardi inutilmente.» Gli sorrido.
Lui annuisce a bocca chiusa. «Capisco. Possiamo allora cenare insieme allo stesso tavolo?»
Oddio, sta iniziando davvero a rompere. «Dipenderà dalla situazione.» Stiro le labbra.
Annuisce scuotendo la testa. «Vi lascio al vostro pranzo. Arrivederci.» Fa un rigido inchino verso di me e verso Clio come un manichino, si volta e torna nella carrozza dietro le mie spalle.
«Perché non hai accettato?» Clio ha gli occhi duri.
«Non dirmi che vorresti passare una serata con quel tipo.»
Fa spalluccia. «Non è male.»
Non è male? «Dici sul serio?»
Lei sposta gli occhi tutt'attorno, a disagio. «In realtà, dopo un primo screzio, mi ha chiesto scusa e sembrava molto sincero.»
«Hai detto bene, sembrava.»
La porta in fondo al vagone ristorante è sempre chiusa, ma il cameriere non viene più? Clio ha la faccia scioccata, mi fissa a bocca aperta, come se non capisse. È così difficile comprendere che non voglio che un uomo faccia la corte a quella che si suppone essere mia moglie? Poco importa la natura della nostra unione.
La porta si apre e il cameriere entra con tutti e tre i nostri piatti in mano.
Finalmente!
Ci posa il riso davanti e il mio piatto di verdure di lato, ci augura buon appetito e se ne va. Gli altri commensali stanno già mangiando attorno a noi da un pezzo, mi stavo innervosendo a essere l'unico ancora a stomaco vuoto.
Clio porta la forchetta alle labbra senza alzare lo sguardo dal piatto un solo istante. Sembra una bambina che è appena stata sgridata dal padre. Avrà anch eavuto una vita difficile senza la madre, ma dà l'idea di essere stata lo stesso molto viziata.
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