Capitolo 2

Kalpana

5 giorni prima...

Afferro il vaso di vetro dalla credenza, mi avvicino al lavandino e lo riempio d'acqua per due terzi, prendo il mazzo di fiori che ho raccolto dal giardino e lo immergo nel vaso, lasciando fuori le corolle colorate. Vi immergo il naso e aspiro il loro profumo. È delicato, mi rilassa.

Lascio il vaso sul davanzale della cucina ed esco in corridoio, entro nella libreria e mi avvicino allo scaffale alla mia destra.

Dov'è che lo avevo messo? Ah, eccolo!

Con un dito faccio leva sulla copertina del mio Orgoglio e pregiudizio e lo tolgo dallo scaffale, mi avvicino al divano davanti alla finestra e mi accomodo tra i cuscini. Stendo le gambe e mi poso un cuscino sotto la testa e uno come sostegno per le braccia, riprendo il punto del libro che avevo interrotto e ricomincio a leggere.

Ah, che storia d'amore intramontabile. Sarà la terza volta che lo leggo.

"Durante la passeggiata decisero che egli avrebbe chiesto il consenso di Mr Bennet quella sera stessa, Elizabeth si riservò di parlare con la madre. Non sapeva come costei avrebbe preso la cosa, dubitando che tutta la ricchezza e la posizione di Darcy sarebbero bastate a superare la sua antipatia per l'uomo. Ad ogni mo"

Un frettoloso bussare alla porta mi interrompe.

Abbasso il libro sulle mie gambe. «Sì?»

Teja irrompe nella biblioteca, la sua faccia appare preoccupata... vabbè, lo appare sempre. «Kalpana, padre Aditi attende te telefono.» Congiunge le mani e mi fissa, ostinata.

Ci metto due secondi per realizzare. «Mi ha chiamata di nuovo con il telefono fisso?»

«Sai che padre Aditi non ama cellulare.»

Sospiro, metto il segnalibro e mi rassegno a interrompere per l'ennesima volta la mia lettura. «Ok... arrivo subito.»

Con la sua solita stoicità, Teja congiunge le mani e mi attende al lato della porta. Mi affretto a riporre il libro e ad uscire dalla biblioteca.

Richiude la porta e mi segue fino a quella dello studio. «Dice che importante per futuro.»

Sospiro e mi porto le mani alle tempie. «Oh, sì, dovevo immaginarmelo.» Scuoto la testa ma mi affretto ad entrare nello studio di Susanna. La cornetta è posata sul ripiano della scrivania, splendente come tutti gli altri arredi antichi della villa.

Lo afferro e me lo porto all'orecchio. «Pronto, papà.»

«Parla indiano con me, Kalpana

Trattengo l'ennesimo sospiro. «Scusa, padre, mi viene facile dimenticarlo. Come stai?»

«Io bene, figlia mia. Ti ho chiamato per ricordarti il nostro accordo, spero che non ti sia stato facile dimenticare anche quello.»

In realtà speravo che te lo fossi dimenticato tu.

«No, padre. Non ho dimenticato

«Quindi hai buone nuove per me? Hai trovato un degno pretendente che vuole sposarti?»

Siamo tornati nel 1800 e non me ne ero accorta?

«Beh... in realtà... non ho nessuno da»

«Vuoi forse dirmi che intendi sposare tuo cugino come sarebbe giusto?»

Mi sento gelare al solo pensiero. «Beh... volevo solo dire che il mio fidanzato è un tipo timido.»

Lui si mette a ridacchiare. «Allora c'è un pretendente! Credevo che tu avessi intenzione di rimanere... come dite in Italia? Setela?»

«Zitella

«Brava, quello

«Quello si dice per le donne di una certa età non ancora sposate

«Tu hai una certa età, Kalpana, venticinque anni non restano per sempre

Sospiro, ho la nausea a questa frase. «Lo so, padre.» Trascino la sedia e mi metto a sedere, ho paura che la discussione sarà lunga.

«È per questo che ho deciso di venire in Italia, ora che mi hai detto che un ragazzo nella tua vita c'è, non sarà un viaggio a vuoto come sospettavo. Deve solo avere la mia approvazione

Salto sulla sedia e rizzo la schiena. «Vieni in Italia?»

«Certo! L'ambasciatore Bhat mi ha assicurato che si farà la festa in mio onore, è tanto tempo che mi chiede di andare ospite da lui. Ho deciso di accettare.»

Sto sudando freddo. «E quando?»

«Tra dieci giorni. Mi aspetto che allora mi farai conoscere il tuo fidanzato.»

Se non fossi già seduta sono sicura cadrei per terra. «Ah... sì... certo...»

E ora come faccio?

«Bene, non vedo l'ora di conoscerlo. Ti saluto, tesoro mio

Chiude la telefonata e io rimango ad ascoltare il rumore della linea telefonica e del mio respiro. Qualcuno appoggia la mano sulla mia spalla e sobbalzo, mi lascio cadere la cornetta di mano e alzo lo sguardo su Teja. «Sono finita, Teja.»

Lei mi accarezza i capelli. «No parlare così. Tutto andrà bene. Le cose sistemano sempre.»

Afferro la sua mano e mi scappa una lacrima. «E come? Come può andare meglio questa situazione? Io non mi voglio sposare, e men che meno con mio cugino Hiresh.»

«Lo so, però Hiresh buon partito.»

«Ma è mio cugino!» Mi affloscio sulla sedia. «E poi non lo sopporto. Ah, questa usanza indiana fa proprio pena!»

Teja mi accarezza le spalle. «Andrà tutto bene. Basta lamento. Lamento è arma di deboli.»

Sospiro. «Hai ragione...» Le stringo la mano. «Ho paura che deluderò mio padre. Ma non posso sposare Hiresh. Io voglio sposare qualcuno che amo.»

«Lo so. Ma tuo padre deve dare piantagione in mano di uomo.»

Alzo gli occhi al cielo. «Come se io fossi venuta qui a studiare per niente.»

«La istruzione è tesoro che nessuno può ruba.»

Prendo un grosso respiro e lo ributto fuori. «E non voglio nemmeno trovare un fidanzato fittizio solo per accontentare mio padre.» Mi alzo e mi trascino fuori dallo studio.

«Clio.» Susanna mi raggiunge lungo il corridoio. «Come mai eri nel mio studio? Non dirmi che tuo padre ti ha di nuovo telefonato.»

«Sì, hai indovinato.» Abbasso lo sguardo e le passo accanto senza fermarmi, Teja esce dallo studio e si chiude la porta alle spalle.

«Cos'è successo, Teja, perché la tua padrona fa quella faccia?»

«Padrone Aditi vuole conoscere fidanzato di Kalpana.»

Mi volto, Susanna mi guarda sconvolta. «E adesso?»

Sospiro e torno indietro. «Non lo so. Ha detto che verrà tra dieci giorni per una festa all'ambasciata indiana e vuole che gli presenti il mio ragazzo.»

«E tu cosa gli hai detto?»

«Che... il mio ragazzo è un tipo timido, e che è per questo che non gliel'ho ancora presentato.»

Ha una faccia sconvolta. «E cosa gli dirai quando ti chiederà di presentarglielo durante la festa?»

Mi stringo tra le braccia e le do le spalle. «Non lo so. Lui vuole farmi sposare Hiresh, lo sai, ma io non voglio.»

Si avvicina e mi mette una mano sulla spalla. «Posso solo immaginare come puoi sentirti.»

Mi volto di colpo e le getto le braccia al collo. «Non so cosa fare...»

Mi accarezza la schiena. «Potresti sempre inventargli una scusa. Potresti dirgli che il tuo ragazzo è dovuto partire e non puoi presentarglielo... non lo so, Clio. Non so cosa dirti.»

Mi stacco da lei e mi asciugo le guance. «Tu dici che se gli rifilassi una frottola simile ci crederebbe?»

«Dico che tuo padre ha un debole per te, già il fatto che ti abbia lasciata crescere in Italia con me per tutto il tempo dei tuoi studi la dice lunga, soprattutto per il tipo che è. Sono certa che qualsiasi cosa gli dirai lui la berrà senza batter ciglio.»

Torno a dargli le spalle. «Ma non vorrei dovergli mentire. Cosa posso fare?»

Susanna sospira. «Potresti trovarlo in questi giorni.»

Le lancio un'occhiata scettica. «Credi che io sarei capace di fidanzarmi in una settimana?»

Fa spallucce. «Perché no, non ti manca niente, sei una bellissima ragazza, intelligente e giovane. Il tuo problema principale è che fai una vita sociale pari a quella di un criceto.»

Ecco tornata la solita solfa. «Ma non è vero!»

«Ah no? Quando è stata l'ultima volta che sei uscita con una tua amica? Che sei andata a mangiare fuori la sera? Che sei uscita con un ragazzo?»

Sbuffo e mi allontano. «Hai sempre ragione tu.»

«Oh, andiamo.» Mi cammina dietro lungo il corridoio. «Non puoi credere che tu faccia la vita di qualsiasi altra ragazza italiana della tua età.»

Mi rifugio in cucina e fingo di non sentirla, apro il frigo, cosa posso prendere? «È finito il succo all'ananas?» Ah no, eccolo. Lo afferro dallo sportello e lo richiudo.

Susanna si piazza di fronte. «Posso farti conoscere un paio di ragazzi niente male.»

Sbuffo, apro il cartone del succo e ne bevo un po' dal beccuccio. «Ci hai già provato, ti ricordi? E non è andata bene.» Mi siedo a tavola e continuo a bere.

Lei si china sul tavolo. «Sei tu che lo hai snobbato solo perché studiava ingegneria. Non sono mica tutti come Fantozzi.»

Ridacchio e richiudo il cartone del succo. «L'ho snobbato perché pensava che io, essendo indiana, sarei rimasta a casa ad aspettare il marito tutto il giorno.»

Si mette a sedere sulla sedia di fronte. «Fa lo stesso. Io stasera devo tornare al lavoro, ma domani sera vieni con me?»

Oddio.

«Dove?»

Batte una mano leggera sul tavolo e si alza. «A divertirci. Sarò anche più grande di te ma non sono ancora così vecchia da non sapere come ci si diverte in questa città.» Si allontana ed esce dalla cucina.

«E se ti dicessi di no?» Le urlo dietro.

«O vieni con me o dirò a tuo padre le cose come stanno!» Mi risponde dalla stanza accanto. «Ti ricordo che si fida di me.»

Sbuffo di nuovo e mi accascio sul tavolo, ma cosa ho fatto di male?

***

Il barman lancia lo shaker sopra la sua testa, quest'ultimo compie un'evoluzione in aria, lo riafferra in volo, lo agita ancora un po', lo stappa e versa il contenuto in due bicchieri bassi, mette in ognuno la buccia dell'arancia a forma di spirale e li spinge di fronte a noi.

Susanna afferra il suo e lo scontra contro il mio. «A noi!» Si volta verso la sala piena di gente e ne beve un sorso.

Mi guardo attorno, scocciata, prendo il mio bicchiere e la imito. La musica stordisce, non capisco come faccia la gente a divertirsi con questo fracasso. C'è una ragazza poco lontana da noi, anch'essa seduta al bancone, che è stata avvicinata da un tipo con la cresta e i capelli rasati ai lati, un anello al naso e la faccia disegnata con tatuaggi di croci e scritte gotiche. Sorridono e sembrano avere intesa. Lei è normale, carina, bionda, sexy... come fa a piacerle un tipo simile?

In realtà ci sono diverse coppiette che ballano e chiacchierano ai divanetti, e ognuno ha la propria dose di originalità. Ce ne sono due che da quando siamo entrate si stanno baciando senza staccarsi un attimo, non ho ancora capito che faccia hanno. Altri due stanno ballando al centro della pista come se si trovassero alla fiera del liscio, si muovono tenendosi per mano, si allontanano e si abbracciano dondolando insieme, mentre gli altri attorno a loro saltellano sul posto e si muovono secondo la musica. Eppure avranno al massimo quarant'anni...

«Hai visto qualcuno di interessante?» Susanna continua a sorseggiare il suo cocktail e si guarda attorno, una gamba accavallata in bilico sullo sgabello.

«Macché, sono tutti in coppia, cosa vuoi vedere?»

Beve un sorso e si lecca le labbra. «Attendi un altro po', in fondo siamo entrate da pochi minuti.»

«Pff...» Sbuffo e bevo un altro sorso.

Sulla pista si è aggiunta una nuova coppia, questi sembrano appena ventenni, lei ha una minigonna inguinale, lui i jeans strappati e la camicia aperta fino allo sterno.

«Scusa, ma perché mi hai portato in questa discoteca dove sono tutti in coppia?»

Non mi risponde. Mi volto verso di lei e al suo posto c'è un ragazzo con dei profondi occhi verdi e un pizzetto curato.

Mi sorride e due fossette si intravedono sulle sue guance. «Non è una discoteca, è un discobar.»

Sgrano gli occhi, mi guardo attorno sbattendo le palpebre, alla ricerca di Susanna. «Ma dove...»

«Oh, scusa, scusa.» Il tipo alza le mani per farmi cenno di calmarmi. «La tua amica l'ho vista andare verso i bagni, da quella parte.» Mi indica una parete in fondo alla sala. «E io me ne sono approfittato e mi sono seduto qui... Spero di non disturbare.»

Stiro le labbra in un sorrisetto, se me ne vado e torna Susanna non mi trova. «No... stai pure.»

Mi porge una mano. «Sono Gabriele.» Mi fissa con quel sorriso autentico e la mano tesa.

Per amore delle buone maniere infilo la mano nella sua. «Clio.»

La sua mano è calda, liscia. Non sembra la mano di un lavoratore. O fa un lavoro di ufficio o non lavora proprio.

«Hai un nome molto bello. Come i tuoi occhi.»

Mi viene da ridere ma mi trattengo. «Grazie.» I miei occhi non hanno niente di speciale. Sono scuri, troppo grandi e anonimi. «Anche il tuo sorriso non è niente male.» In effetti non mi dispiace.

Lui sembra imbarazzato, abbassa il viso e si sfrega le mani sui pantaloni. «Grazie... non sei la prima a dirlo.»

Mm... dev'essere un narciso, anche se un bel narciso. Ok, stiamo al gioco...

«Vieni spesso qui?»

«No, non spesso, ma è la prima volta che trovo una compagnia che mi piace.»

Sorrido, non so come replicare. Poso il bicchiere ormai vuoto sul bancone. «E vieni qui per accalappiare o solo per la musica?»

Lui ride e si indica un orecchio. «Per la musica?» Strizza un occhio, fingendosi infastidito. «Qui davanti al bancone è l'unico posto in cui si può parlare senza dover urlare...» Sposta gli occhi sul mio bicchiere e lo indica. «Posso offrirtene un altro?»

Mi stringo nelle spalle. «Ma─»

Si volta verso il barista interrompendomi e alza un dito in aria. «Mi fai altri due spritz?»

Il barista annuisce e Gabriele torna a sorridermi.

«E se non lo volessi?»

Sgrana gli occhi. «Oddio, scusa...» Si volta di nuovo verso il barista.

Scoppio a ridere. «No... non lo chiamare,» poso una mano sulla sua spalla, «volevo metterti alla prova.»

Torna a sorridermi. «E io ci sono cascato. Ho superato la prova?»

«Direi di sì.»

Alle sue spalle appare Susanna che mi fa il pollice in su e l'occhiolino. Bastarda, lo ha fatto apposta!

Anche lui lancia un'occhiata alle sue spalle, Susanna gli sorride e si allontana. «C'è qualche problema con la tua amica?»

Lei si confonde tra la folla. «No... è solo una che non riesce a farsi gli affari suoi.»

Mi sorride, e mi distrae. «Ti va di fare due salti?»

Il barman ci mette davanti i due bicchieri pieni, lui li prende entrambi, ne porge uno a me e beve un sorso dal suo.

«Due salti?»

«In pista.» Allunga il braccio con il bicchiere verso la gente che balla.

Bevo un sorso anch'io. «Ah... perché no?»

Non so se è questo spritz, ma sento il bisogno di muovermi un po'. Poso il bicchiere sul bancone del bar, Gabriele appoggia il suo vicino e li copre con un tovagliolo. Lancia uno sguardo al barista che annuisce in un muto scambio di comunicazione tra loro e si alza dallo sgabello.

Mi rimetto in piedi e devo alzare la testa per guardarlo in faccia. È davvero molto alto.

Il suo sorriso mi destabilizza. «Sai ballare?»

Oddio. «No.»

Mi prende per mano. «Nemmeno io.» Si volta e mi trascina in mezzo alla folla che balla.

Inizia a dondolarsi da un piede all'altro a ritmo. Lo imito e cerco di seguire la musica, piano piano mi lascio andare, aiutata dal suo sorriso e dai suoi occhi chiari che non mi mollano un attimo.

«Sei brava!» Urla per farsi sentire.

«Grazie!» Mi sto divertendo.

La musica è incalzante, i movimenti sempre più sensuali. Lui si avvicina, mi posa una mano sul fianco e avvicina i nostri corpi. I nostri bacini si sfiorano.

Alzo la testa per guardarlo in faccia, mi sta fissando ma non più con quel sorriso bellissimo, il suo sguardo adesso è serio, concentrato su di me.

Smette di ballare e costringe me a fare lo stesso, si avvicina ancora di più al mio corpo, credevo che non fosse possibile, mi incatena con i suoi occhi e si china per baciarmi.

Sbatto le palpebre mentre appoggia le sue labbra sulle mie, mi sento avvampare.

Appoggio le mani contro le sue spalle e lo spingo via da me. «Sei pazzo?»

«Oh... andiamo...»

Torna a baciarmi, ma lo respingo di nuovo. «Direi che non hai capito niente.»

Si passa una mano tra i capelli e sospira. «Scusa... mi sono lasciato prendere la mano.»

«Mi è passata la voglia di ballare.»

Faccio per voltarmi ma lui mi afferra per un braccio. «Finiamo i nostri drink e poi decidiamo dove andare?»

«Dove andare?»

«Voglio farmi perdonare.» Mi prende per mano e mi trascina di nuovo verso il bancone del bar. Toglie il fazzoletto dai nostri bicchieri, li afferra entrambi e me ne porge uno.

«A noi.» Li fa scontrare e lo ingolla tutto.

Sono un po' frastornata, forse non devo prendermela più di tanto, in fondo ha solo tentato di baciarmi. «A noi...» Bevo un sorso e mi guardo attorno, ma dove è finita Susanna?

«Finiscilo, porta male se no.» Mi indica il bicchiere.

Ah, ok... Finisco di berlo e mi lecco le labbra, l'ho gustato a malapena. Lui mi toglie il bicchiere, lo posa sul bancone e mi prende per mano. Mi trascina verso l'uscita, tra la folla intenta a ballare, baciarsi e scherzare. Usciamo dalla porta d'ingresso e mi spinge contro il muro esterno, si spalma su di me e mi bacia.

Appoggio le mani sulle sue spalle e lo stacco da me. «Sei pazzo...»

«Oh, scusa.» Rimane a un palmo dal mio naso e sorride. «Andiamo da te o da me?»

Di cosa parla? «Come?»

Avvicina di nuovo le labbra alle mie. «Non dirmi che tu non lo vuoi...» Mi respira addosso, mi schiaccia contro il muro.

Lo scanso di nuovo. «Certo che no, ti conosco appena.» Faccio un passo di lato e mi tolgo dalla sua morsa. Ma chi si crede di essere?

«Ehi, guarda che hai iniziato tu!»

«Ma che stai dicendo?» Mi stringo nelle spalle e mi abbraccio.

«Guarda che mi sono accorto di tutti quei sorrisi e quelle smorfie, non sono mica stupido.»

Questo è scemo.

«Di quali smorfie stai parlando?»

«Come di quali smorfie?» Con un passo mi appiccica di nuovo al muro. «Quelle che mi hai mandato tutta la sera da quando mi sono seduto accanto a te. Con quelle labbra da troia cosa vuoi trasmettere?»

Labbra da troia?

All'improvviso sento la mano formicolarmi. Non mi sono nemmeno accorta di avergli dato uno schiaffo.

«Sei pazza?» Lui fa un passo indietro e si accarezza la guancia. «Che problema hai?» Sbraita.

«Tu che problema hai? Per chi mi hai preso, non sono una delle ragazze che incontri di solito e ti porti subito a letto!»

«Va' al diavolo!»

Mi spinge una spalla e si allontana lungo la strada. Ah sì?

«Ehi, tu!» Gli urlo dietro. Lo raggiungo, lo prendo per una spalla e lo volto verso di me. «Come ti permetti di trattarmi in questo modo, idiota! Chiedi subito scusa.»

Mi fissa a bocca aperta, sbatte le palpebre e scoppia a ridere. «Cosa? Dovresti essere tu a chiedermi scusa.» Si volta e si allontana.

Lo fisso inebetita. A una certa distanza estrae le chiavi dalla tasca e le punta contro una berlina rossa, questa si illumina, monta al posto di guida e sgomma via.

Sono sconvolta.

Susanna si affaccia dalla porta del locale e si guarda attorno, mi intercetta e corre verso di me.

«Clio, pensavo te ne fossi andata, stavo per chiamarti ma dentro il cellulare non prende.» Fa un respiro e corruga la fronte. «Ma che hai?»

Le punto un dito contro. «Non costringermi mai più a incontrare uomini e a uscire per questo scopo, intesi!» Mi volto e cammino con piede pesante verso la nostra macchina.



Spazio autrice...

Ok, ieri vi ho fatto conoscere Eros, oggi vi ho fatto conoscere Kalpana, anche se tutti la chiamano Clio (non proprio tutti). Come vi sembrano questi due casi umani? Sicuramente sono due ceti sociali ben distinti. Lui ha un lavoro che non gli permette di arrivare dignitosamente alla fine del mese, ma ha il suo orgoglio da non voler chiedere aiuto ai genitori. Lei ha un padre molto ricco e vive in una lussuosa villa ospite della migliore amica della defunta madre. Non esattamente la stessa situazione di lui.

Bene, ora che vi ho fatto conoscere entrambi si possono aprire le danze. Se questi due primi capitoli servivano solo a farvi conoscere i protagonisti e la loro quotidianità, dal prossimo inizieremo a vederli insieme...

Si odieranno o sarà amore a prima vista? Secondo voi?

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