Capitolo 19
Kalpana...
Il letto di questa cabina è molto più stretto di quello dove abbiamo dormito finora. Lo raggiungo e passo le dita sul lenzuolo liscio. Vicino al cuscino, con i chicchi di caffè, hanno scritto in italiano: "Buona luna di miele signori Sansoni." Con una mano raccolgo i chicchi e li tolgo dal letto.
Sul marciapiede della stazione papà, Pooja e le mie sorelle si guardano attorno alla mia ricerca. Sul tappeto rosso davanti a loro stanno passando tre turiste che sorridono a tutti, si inchinano imitando il saluto indiano davanti al personale del treno e chiacchierano tra di loro come tre ragazzine sceme. Avranno più o meno diciotto anni.
Alzo una mano per salutare mio padre, ma loro non mi vedono. Esco nel corridoio e abbasso il finestrino. «Papà, Pooja.» Scuoto una mano. «Non mi avete vista?»
«Figlia mia.» Papà attraversa il tappeto rosso, passando davanti a una coppia di turisti di circa sessant'anni, e si ferma davanti a me. «Il vetro da fuori è specchiato, non possiamo vedere dentro il treno.»
«Ah, vero, me ne ero dimenticata.» Sorrido.
Yashira si affianca a papà. «Divertitevi, questa è una delle cose che bisogna fare almeno una volta prima di morire.»
Scoppio a ridere. «Vedrò cosa posso fare per seguire il tuo consiglio.»
La fila di turisti che deve montare in carrozza si esaurisce, gli ultimi sono due ragazzi con entrambi pantaloncini con le tasche e una magliettina leggera, sulle loro spalle uno zainetto e un piccolo trolley ciascuno. Il personale del treno raccoglie il tappeto rosso, aiutato dal capostazione. Tutti i turisti sono già saliti, il fischio del macchinista rimbomba nella stazione e nelle mie orecchie. Sorrido a mio padre e saluto lui e Yashira, con una mano saluto anche Pooja, Surya e Tapti e il treno parte. Si allontana a passo d'uomo, saluto un'ultima volta mio padre mentre il treno prende velocità. Chiudo il finestrino e il treno esce dalla stazione. Mi volto e torno nella cabina.
Eros è in piedi di fronte al letto, due uomini del personale stanno sistemando le nostre valigie negli appositi spazi, entrambi ci fanno un inchino e si dileguano.
Eros mi guarda come se si rendesse conto solo adesso di dove si trova.
Punta un dito contro il letto. «Da che parte vuoi dormire?»
Per un attimo mi sembra di far parte di una coppia normale, intenta in una conversazione normale. «Per me è uguale.»
Lui si avvicina al lato sinistro del letto e si siede. «Purtroppo siamo costretti a dividerlo questo, non esiste nessun divano pieno di cuscini o amache appese in giardino da poter utilizzare al suo posto.»
Un brivido di indignazione mi percorre. «Mi dispiace.»
«Smettila di dispiacerti, per favore!» Sbotta. «Mi fai saltare i nervi.»
Abbasso lo sguardo. «Scusa.»
«Tzé.» Si alza di scatto. «Vado nella carrozza bar a bere qualcosa.»
Esce dalla cabina e si richiude la porta alle spalle. Mentre il treno prosegue la sua corsa la voce del comandante ci dà il benvenuto a bordo e ci invita a recarci nella carrozza bar per usufruire di un piccolo benvenuto e di un aperitivo offerti dallo staff.
Sospiro amareggiata ed entro nel bagno. La vasca occupa tutto lo spazio sotto al finestrino, il water e la doccia sono quelli standard da casa e le tende bianche danno un tocco di classe che rende il bagno come quello di un piccolo appartamento londinese di lusso. Nemmeno in Italia hanno treni con dei bagni così.
Mi avvicino al lavandino e mi guardo allo specchio. La solita faccia anonima mi restituisce uno sguardo spento. Cosa ha visto Eros in me la prima volta? Sono così insulsa, il mio aspetto è... niente.
Apro il rubinetto e tuffo le mani nell'acqua fredda, allargo le gambe per mantenermi in equilibrio ai sobbalzi del treno, mi chino e mi sciacquo la faccia. Osservo il mio riflesso allo specchio, il viso bagnato e smunto.
Forse dovrei abbellire la confezione...
Mi asciugo e corro a prendere il mio trolley, lo poso sul letto e lo apro. Sotto le camicie da notte scovo la mia trousse, corro di nuovo in bagno ed estraggo la piccola palette di colori. Li uso malvolentieri ma, quando ho conosciuto Eros, Susanna mi aveva truccata come una bambola di porcellana, vediamo se riesco a fare qualcosa di decente.
Sporco l'indice nell'ombretto marrone e lo spalmo su tutta la palpebra mobile, lo macchio nel nero e creo una sorta di sbavatura all'angolo esterno dell'occhio, per aprirmi lo sguardo. Con l'aiuto di un piccolo pennellino applico un tocco dell'ombretto bianco nell'angolo interno. Con la matita nera riesco a farmi una linea perfetta lungo la parte superiore dell'occhio destro, mi puntello con i gomiti contro lo specchio e cerco di farne un'altra sull'altro occhio. Osservo le due linee differenti con una smorfia di disgusto. Sono un disastro.
Con un pezzetto di carta bagnata soffrego la palpebra per togliere la matita, ma riesco solo a spargere la matita su mezza palpebra. Sono un disastro!
E se faccio la stessa cosa anche all'altro?
Bagno un altro pezzetto di carta e lo soffrego sull'altra palpebra. Il treno ha un sussulto un po' più forte e mi macchio la tempia di nero.
Accidenti, adesso sembro una scacchiera.
Prendo lo struccante dalla trousse e tolgo tutto lo schifo dalla mia faccia. Forse è meglio se mi limito con pochi trucchi. Macchio le palpebre con l'ombretto marrone e apro lo sguardo con il mascara. Credo che per stasera possa bastare.
Torno in camera e prendo il vestito rosa antico con il velo che ho comprato l'altro giorno con Pooja. A proposito, devo ricordarmi di telefonare a Teja per quel bambino, voglio sapere se i dottori lo hanno visitato.
Mi avvolgo i capelli con il velo e indosso la cintola di stoffa attorno ai fianchi. Credo di essere presentabile.
Sciolgo le spalle ed esco nel corridoio. Da che parte devo andare? Mi volto a destra e a sinistra, il rumore del treno mi confonde. Da che parte era la carrozza bar?
«Permesso?»
Mi volto di scatto, un uomo molto alto con il mento volitivo e le spalle larghe è dietro di me che deve passare.
«Mi scusi.» Mi appoggio contro la parete e lui passa.
Decido di seguirlo. Attraversiamo la carrozza successiva, lui si volta e mi sorride da sopra la spalla. Si ferma tra una carrozza e l'altra e mi indica la strada. «Dopo di lei, signorina.»
Gli sorrido. «Grazie.» Gli passo davanti. «La carrozza bar è da questa parte, vero?»
«Mancano solo due carrozze, non potremmo perderci nemmeno se lo volessimo.»
Ridacchio e riprendo a camminare. «Sarebbe davvero ridicolo se ci perdessimo sopra un treno.»
«Lo scriverebbero domani sul giornale locale: "Due turisti si perdono sopra il treno più lussuoso dell'India".» Ride.
La sua voce è molto profonda, mascolina.
Rido anch'io. «Diventeremmo gli zimbelli dei turisti.»
Delle voci confuse ci raggiungono lungo il corridoio, credo che siamo arrivati a destinazione.
La carrozza termina e la porta successiva si apre in un locale aperto e luminoso. Molte persone sono riverse sui vari divanetti a chiacchierare e scherzare. Deliziosi tappeti orientali attutiscono i passi degli avventori, che sembrano riversi tutti qui dentro. Ognuno ha in mano un aperitivo o un salatino da gustare.
«Accidenti quanta gente!»
«Credo che tutti i turisti del treno siano concentrati in questa carrozza.» Una musica allegra si diffonde. Il mio ospite mi allunga una mano. «Mi scusi, non mi sono presentato, sono Valerio Barani.»
«Oh, mi scusi.» Mi affretto a stringergli la mano. «Kalpana Narayan.»
«Piace─» Di colpo sgrana gli occhi. «La figlia del magnate del caffè?»
Sorrido. «Sì... sono io.»
«È un vero piacere conoscerla, signorina. Ehm...» Si guarda attorno. «È qui da sola?»
«No, mi scusi. In realtà adesso sono Kalpana Sansoni. Sono qui con mio marito.» Mi allungo per cercarlo oltre le persone in piedi davanti a noi. «Che dovrebbe essere qui.»
Corruga la fronte e sposta uno sguardo vago tra la folla. «Ecco perché non l'ho vista nell'hotel in cui abbiamo soggiornato prima di partire.» Annuisce e sembra riprendersi dalle sue considerazioni private. «Ma sono sicuro che suo marito sia qui da qualche parte. Forse al bancone del bar.»
Seguo il suo sguardo e dietro una coppia di sessantenni scorgo Eros seduto al bancone che mi fissa torvo. Non so perché ma il cuore mi fa un balzo in gola.
«Con permesso.» Mi avvicino mantenendo il contatto visivo, ma lui distoglie il suo e si volta verso l'uomo in piedi di fronte a sé.
Mi sta evitando.
Mi fermo al suo fianco ad ascoltare quel tipo lodare il giro che il treno ci farà fare. Ridacchia e sposta lo sguardo su di me.
Eros mi sbircia. «Perdonami, Claudio, ti presento mia moglie Clio.» Mi indica con una mano. «Clio, ti presento il signor Claudio Rispoli. Viene da Agrigento.»
Questi sorride e tira su le spalle. «Non mi avevi detto che eri qui con tua moglie.»
«Non me ne hai data molta possibilità.» Borbotta Eros con un sorrisetto.
Claudio mi sorride e mi allunga una mano. «Piacere di conoscerla, Clio. Ho appena conosciuto suo marito e non credevo che avesse una moglie tanto bella.»
Gli sorrido lusingata e gli stringo la mano. «La ringrazio, signor Rispoli. Ma mi dia pure del tu.»
«Con piacere. Allora ti chiedo di ricambiare il favore. E... è tanto che siete sposati?»
«In realtà questa dovrebbe essere una sorta di luna di miele.»
Lui sgrana gli occhi e li sposta tra me e Eros in continuazione. «Allora congratulazioni, siete sposi novelli.»
«Già...» Eros borbotta contrariato e beve un sorso dal suo bicchiere.
Ho detto qualcosa di sbagliato?
Il signor Rispoli finisce il suo bicchiere, lo lascia sul bancone e si guarda attorno. «Io... vado a cercare il mio amico. È stato un piacere conoscervi.» Ci sorride in modo tirato e si confonde tra la folla che ci circonda.
Eros gira sullo sgabello e si scola il bicchiere. «Vado a prepararmi per la cena.» Con un salto si alza e si dirige verso la nostra carrozza.
Sparisce oltre le persone che affollano il bar e io resto da sola. Da sola in mezzo a tutta questa gente.
«Vuole qualcosa, signora?» Il barista prende il bicchiere lasciato da Eros.
Scuoto la testa e mi guardo le mani. Mi tormento una pellicina.
Questo viaggio sarà una vera tortura per entrambi.
«Buona sera, Kalpana.» Valerio si ferma di fronte a me e mi sorride. «È riuscita a trovare suo marito?»
Deglutisco. «Oh... sì.» Do due colpi di tosse. «Sì, grazie.»
Si guarda attorno. «E dov'è?»
«È ehm... tornato in cabina per cambiarsi.»
«E l'ha lasciata qui da sola?»
Faccio spallucce. «Non si sentiva molto bene.»
Lui aggrotta le sopracciglia per un attimo. «Posso offrirle qualcosa da bere?»
«Ehm... credo che ogni aperitivo sia già compreso nel costo del biglietto. Ma grazie.»
Lui resta un attimo scioccato e scoppia a ridere. «Oddio, mi perdoni, Kalpana, ha ragione.» Si siede sullo sgabello accanto al mio. «Ma non vedo perché dovrebbe passare queste prime ore di viaggio da sola.» Alza un dito in direzione del barista e ordina due aperitivi. «Le piace dolce?»
Sono senza parole. «Senta, la ringrazio, ma─»
«Non deve preoccuparsi. Mi dà solo fastidio vedere una bella donna da sola in una situazione come questa.»
Il barista ci avvicina due bicchieri colmi di un liquido azzurro.
Scuoto una mano in aria. «La ringrazio, ma non credo che sia opportuno.»
«Ha paura che suo marito la veda con me?»
Se mi vedesse credo che non potrebbe importargli di meno. «Dico solo che non so se è il caso─»
Lui afferra entrambi i bicchieri e me ne allunga uno. «Non siamo certo soli in una stanza. Non ho nessuna intenzione di approfittarmi di lei, signora Sansoni. Ma da una parte ha ragione, ho un secondo fine.»
Afferro il bicchiere e aggrotto la fronte. «E quale?»
«Oddio...» Sbuffa e dà una rapida occhiata in giro. «Mi vergogno un po' a parlarne adesso, anche perché avevo promesso al mio amico che non avrei parlato di affari per tutto il viaggio.»
Sono confusa. «Vuole parlare d'affari con me?»
«Non con lei, ma con suo padre.»
Sbatto le palpebre. «Mio padre?»
Posa il bicchiere sul bancone. «Non può capire che colpo di fortuna sia per me aver incontrato la figlia di uno degli uomini più ricchi dell'India. Sono un giornalista e per me sarebbe un vero scoop riuscire a intervistare suo padre.»
«Ah...» Sospiro di sollievo e bevo un sorso del mio bicchiere. «Avevo iniziato a temere chissà cosa.» Mi lecco le labbra e ne bevo un altro sorso.
«Non vorrei tediarla con la mia insistenza, anche perché presumo che anche lei sia in vacanza, ma per me sarebbe molto importante.»
Sorrido. «Sono certa di poter mettere una buona parola con mio padre quando torneremo a casa.»
«Davvero lo farebbe?»
Annuisco. «Non vedo perché no.»
Il suo sorriso si allarga. «Allora dobbiamo festeggiare.» Afferra di nuovo il suo bicchiere e lo fa scontrare con il mio. «All'intervista a Narayan.» E beve un sorso del suo cocktail.
«All'intervista.» Gli faccio eco e bevo un altro sorso.
Eros appare all'improvviso accanto a me. «Vedo che ti diverti.»
Per poco non mi rovescio il bicchiere addosso, mi asciugo le labbra e lo poso sul bancone. «Eros... ti presento il signor Barani.»
Valerio allunga una mano verso Eros. «Valerio Barani, signore, lieto di conoscerla.»
Eros non abbassa nemmeno lo sguardo su quella mano. «Io e mia moglie siamo in luna di miele, non le sembra inopportuno trattenersi con lei in mia assenza?»
Valerio ritira la mano. «Beh, io...»
«Eros, stavamo solo parlando, e il signor Valerio non ha─»
«La ringrazio, signora Sansoni, ma suo marito ha ragione, sono stato inopportuno.» Valerio mi interrompe e tira su le spalle. È più alto di Eros di almeno dieci centimetri. «Non sono venuto con l'intento di intrattenere sua moglie, ma capisco che può dare fastidio, quindi tolgo il disturbo. E mi scusi.» Mi rivolge un'occhiata sbrigativa, accompagnata con un gesto di congedo, e si volta.
Eros lo osserva allontanarsi lungo la carrozza e tra le persone. «Che cosa voleva quel tipo?»
«È un giornalista, sa chi è mio padre e mi ha chiesto se potevo parlargli per un'intervista.»
Si volta e mi fissa negli occhi. «Non dirmi che credi a questa cazzata!»
Non so cosa rispondere. «Perché non dovrei?»
Sbuffa di finto divertimento. «Sei davvero ingenua, non conosci i modi degli uomini per abbordare le donne.»
La sua arroganza mi indispone. «Sarò anche ingenua, ma non credo proprio che volesse abbordarmi dopo avergli detto di essere sposata e di trovarmi qui con mio marito.»
«Tzé, gli uomini ci provano sempre, anche quando la donna non è disponibile.»
Sono sempre più confusa. «Pensavo che non ti sarebbe interessato se parlavo con un altro uomo.»
Lui alza un dito verso il barista per chiedere un altro cocktail. «Non dire cazzate.»
Il barista gli mette davanti un bicchiere simile a quello che aveva prima, lui lo afferra e si allontana.
Resto una seconda volta da sola come una scema. Scolo il mio bicchiere, lo lascio sul bancone e mi alzo. Non ho nessun motivo di restare qui. Mi faccio largo tra la folla e torno nella nostra cabina.
Mi chiudo la porta alle spalle e mi siedo sul letto, la schiena ingobbita dalla tristezza.
Non capisco perché abbia reagito così, sembrava geloso, ma non ha senso. Come può essere geloso se ha dimostrato in mille modi di non volere niente a che fare con me, di odiarmi? Non so perché papà ci abbia costretti a questa gita di una settimana, ma non credo che sortirà effetti benefici.
Come vorrei che invece questa settimana mi aiutasse a farmi perdonare da lui. Magari quella storia di un anno potrebbe dimenticarla e decidere di lasciarsela alle spalle. In fin dei conti mi ha sposato...
Ho bisogno di parlare con qualcuno. Recupero il cellulare dalla borsa e faccio il numero di Susanna. Squilla due volte.
«Pronto, Clio.»
«Ciao, Su, come stai?»
Resta un attimo di troppo in silenzio. «Che succede, tesoro? Ti sento strana.»
Mi siedo sulla sedia del piccolo tavolo sotto al finestrino. «Sto facendo una vacanza di una settimana sul treno più lussuoso dell'India.»
Anche a distanza respiro la sua sorpresa, quell'attimo di ritardo che ripete. «Davvero?»
«È il regalo di matrimonio di mio padre.»
«E siete tu ed Eros da soli?»
«Sì.»
«Ma non mi sembri contenta dalla voce.»
Sospiro. «Come faccio a essere contenta, Su! Io ed Eros, da soli, una settimana intera su un treno e in giro per l'India.»
«Ah... l'uso della camicia che ti ho regalato non ha fatto effetto?»
«Non l'ha nemmeno vista!»
«Clio...» Borbotta con tono consolatorio. «Cosa vuoi fare, lasciar perdere tutto e lasciare che questo anno passi per poi tornare alla vita di prima?»
Mi appoggio con i gomiti contro il tavolo e mi sorreggo la testa. «No, certo che no, ma...»
«Ascolta, Eros in questo momento è un uomo ferito nell'orgoglio. E mi dispiace, perché io avrei dovuto immaginarlo e non ti ho avvisata che avrebbe potuto reagire così.»
«Non è colpa tua. Se non mi fossi ritrovata in quella situazione non avrei dovuto ingannare Eros.»
«Lo so, ma tu non sai niente di uomini, io sì. Comunque non risolviamo niente a recriminare. Dobbiamo trovare un modo per fare andare le cose nel modo che vuoi tu.»
Scuoto la testa. «Eros ormai ha il dente avvelenato, non mi vuole nemmeno sentire.»
Sospira. Resta alcuni istanti in silenzio. «Mi hai detto che siete in treno per un viaggio di lusso da soli?»
«Sì, sul Marajas' Express.»
«È perfetto, non potrebbe esserci un'occasione migliore.»
È pazza?
«Ma che stai dicendo? Ci toccherà stare una settimana da soli, a condividere per forza un solo letto e...» La voce mi muore in gola. Saremo costretti a dormire in un letto più stretto...
Lei sogghigna. «Credo che ci sei arrivata da sola.»
«Lo ha detto anche lui, saremo costretti a dormire insieme nello stesso letto, prima o poi dovrà cedere e parlare con me...»
«E cosa intendi fare, parlare della tua situazione?»
«Certo, dovrà pur ascoltarmi prima o poi.»
Lei sospira, esasperata. «Sei senza speranza.» Sciocca la lingua contro il palato, me la immagino a scuotere la testa contrariata. «Un uomo come Eros lo devi prendere per la gola, te ne ho già parlato. Stammi a sentire e se seguirai i miei consigli tutti i tuoi problemi con lui finiranno.»
Getto gli occhi al cielo. Che Dio me la mandi buona.
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