Capitolo 18
Eros...
Mi vesto con i miei pantaloni più comodi e una camicia lunga che assomiglia a quelle che indossano qui, ha pure il colletto con questa specie di spacco. Menomale che Aditi non pretende una veste troppo formale, potrei non sopportarlo.
Esco dalla stanza e mi fermo in cima alle scale, dal piano di sotto non arriva nessuna voce, solo i classici rintocchi delle stoviglie e di qualcosa che cuoce sul fuoco. Ma non credo che troverò la moglie di Aditi a cucinare, non mi sembra il tipo. Scendo e mi guardo attorno, uno strano odore di verdure mi raggiunge.
Mi affaccio nel salone, di Pooja o di Clio non c'è anima viva. Credo che le bambine siano ancora nelle loro stanze. Mi volto e la donna che era in Italia con Clio è ferma davanti alla porta della cucina.
«Cerca padrone Narayan?»
«Ehm, sì...» Mi avvicino a lei, quegli occhi scuri e contornati da una fitta ragnatela di rughe mi seguono attenti. «Cercavo Clio.» Più che altro per sapere come evitarla.
«Kalpana no è a casa. Andata con signora Pooja in mercato.»
Ah, vero, glielo aveva chiesto.
Annuisco e gli sorrido. «Grazie.»
Mi volto ma lei mi richiama. «Signor Aditi aspettarla in suo studio.»
La guardo da sopra la spalla. «Aditi mi aspetta nel suo studio?»
Lei annuisce, si volta e sparisce in cucina.
Un accenno di sorriso poteva anche farlo...
Mi avvicino alla porta dello studio di Aditi e busso, mi invita subito a entrare.
«Permesso. Buongiorno.» Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «Scusi se sono un po' in ritardo, ma─»
Mi volto verso di lui e mi blocco di fronte all'uomo in piedi accanto alla scrivania alla quale Aditi è seduto, lo stesso che ieri sera era alla piantagione con Hiresh.
Aditi mi sorride. «Buon giorno, Eros. Posso presentarti il mio contabile, Chandrak Kumar?» Lo indica con la mano aperta.
Il signor Kumar si avvicina e mi tende una mano. «Piacere di conoscerla, signor Sansoni.»
Resto spiazzato dal suo saluto, guardo la sua mano, confuso, ma ho la presenza di spirito di stringergliela. «Piacere mio, signor Kumar.»
Lui ridacchia sotto i baffi. «Sì, conosco molto bene gli usi di voi italiani, ho vissuto in Italia per alcuni anni.»
«Ah...» Annuisco. Vorrei tanto chiedergli cosa ci faceva ieri notte nella piantagione con Hiresh.
Si prende un baffo con le dita e se lo liscia. «Il signor Narayan mi ha parlato del vostro accordo, signor Sansoni. Sono lieto di comunicarle che la raccolta di quest'anno sarà molto proficua.» Si volta e torna al fianco della scrivania. «Devo però confessarle che una bella quantità di quel caffè ancora da raccogliere è già stato venduto.» Si volta verso di me e mi sorride, sempre con quel baffo tra le dita.
«Ah, beh... forse potremo trovare un modo per venirci incontro. Il signor Aditi non mi aveva parlato di questo fatto.»
«Perché non lo sapeva.» Gli lancia un'occhiata sbrigativa e torna a sorridermi. «Ho dovuto mantenere gli affari del signor Narayan in una sede diversa dal solito, e mi è risultato difficile mettermi in contatto con lui appena ho concluso questo accordo con il mio offerente. Ho potuto farlo solo pochi giorni fa e solo dopo il signor Narayan mi ha parlato del vostro accordo.»
Mi avvicino alle due poltroncine di fronte alla scrivania e mi siedo. «Sono certo che Aditi saprà coprire la mancanza.»
Aditi sembra compiaciuto della mia risposta. «Mi fa piacere che hai così fiducia nelle mie capacità, Eros. Sono sicuro anch'io che troveremo un modo per venirci incontro.»
Annuisco in direzione del signor Kundar. «E, mi dica, lei segue anche gli affari del signor Hiresh Aditi?»
Alza di scatto lo sguardo su di me. «Sì. Perché me lo chiede?»
«Perché il signor Aditi me ne aveva accennato. Mi chiedevo se anche il raccolto del signor Hiresh sarà rigoglioso come quello del signor Aditi.»
Lui assume una faccia seria e scocciata. «Non sono solito parlare degli affari degli altri miei clienti, ma considerato la vicinanza delle due piantagioni, possiamo dedurre da soli che la raccolta sarà soddisfacente per entrambi al solito modo.»
Annuisco. «Mi fa piacere sentirlo.»
Aditi si appoggia all'indietro contro lo schienale e congiunge le mani sulla scrivania. «Immagino che ormai non avrai più bisogno del tuo lavoro secolare in Italia. Tutte le tue energie saranno per la piantagione. Dopotutto gli affari sono affari, e sarebbe giusto che i proprietari della ditta per la quali lavori possano sostituirti.»
«Non si preoccupi, Aditi, posso pensarci personalmente.» Gli sorrido.
Lui contraccambia il sorriso e fa cenno con la testa di essere d'accordo.
Mi alzo dalla poltroncina. «Allora, se permettete, mi metto subito all'opera, così non perdiamo tempo.»
Entrambi annuiscono.
Il signor Kurmar si siede al posto da me lasciato libero. «Comincerò a lavorare sui documenti che ci servono e tornerò per la sua firma.»
Annuisco e mi congedo da loro. Mi affretto a uscire dallo studio e recupero il cellulare dalla tasca. Esco in giardino e clicco sul contatto di Manuel. Il telefono fa quattro squilli. Cinque. Sei. Sto per chiudere ma la voce di Manuel mi interrompe.
«Pronto?» Biascica.
«Buongiorno, Manuel. Ti ho svegliato?»
Un debole grugnito mi suggerisce che ho ragione. «Cazzo, sono le cinque e mezzo di mattina. Mi sveglio tra due ore. Che hai da chiamarmi a quest'ora?»
Sgrano gli occhi. «Scusami, qui sono le dieci, non pensavo al fuso orario.»
Lui sbatte la lingua contro il palato. «Richiamami a un orario in cui saprò connettere.» Un lieve click e chiude la telefonata.
Alzo gli occhi al cielo. Ok, dovevo immaginarmelo.
Rimetto il cellulare in tasca e volto lo sguardo tra la vegetazione della tenuta di Aditi. Seduta su una panchina in mezzo al verde, la sorella di Clio sta leggendo un libro. Ha l'espressione assorta, un velo rosa chiaro le circonda i capelli neri, e lo sguardo furbo non l'abbandona mai. Che tipo interessante. Assomiglia moltissimo a sua sorella, anche se i suoi lineamenti indiani sono molto più marcati di quelli di Clio. Beh, in effetti Clio è indiana solo per metà.
Mi avvicino e mi fermo davanti ai suoi piedi. «Ciao.»
Sbatte le palpebre e alza la testa. «Oh... ciao.» Si guarda intorno. «Che ci fai qui?»
«Ero in riunione con tuo padre e il suo contabile. Tu?»
Lei arriccia il naso. «Col signor Kundarm? Quell'asino ragliante che si crede un leone?»
Ridacchio. «Lo conosci bene?»
«Per fortuna no, ma da quando papà ha preso a lavoro quell'uomo gli affari sono andati a calare. Certo, la colpa è del raccolto e della qualità del caffè, ma è una strana coincidenza lo stesso.»
Mi siedo accanto a lei. «Puoi star tranquilla, ha assicurato che il raccolto di quest'anno sarà corposo e frutterà molto.»
Arriccia il naso un'altra volta e fa spallucce. «È la stessa cosa che ha detto anche l'anno scorso e l'anno prima. E poi papà ha dovuto licenziare uno dei nostri autisti e pure la cameriera e la cuoca. Poi ha preso Darika che non ci sa fare un bel niente.» Sorride a bocca storta.
Interessante. Questo signor Kundarm mi convince sempre meno.
Tra le mani stringe un libro con una copertina nera. «Cosa stai leggendo?»
Lo scuote su e giù. «No... niente di particolare.» Lo chiude e lo mette di lato. «Roba di scuola.»
Le sorrido. «Ti piace studiare?»
«Sì, ma non tutto.»
«In che senso?»
«Amo i numeri, i calcoli matematici e i conti di qualsiasi genere. Ma mamma e papà mi fanno studiare soprattutto storia, lingue e letteratura.»
«E tu gli hai detto che ami di più i numeri?»
Distoglie lo sguardo e osserva l'erba ai suoi piedi. «Per una donna certi studi non sono indicati. Quella è roba da uomini.»
Corrugo la fronte, pensano ancora con questi termini?
«Posso chiederti cosa vorresti fare da grande?»
Alza su di me uno splendido sorriso. «Quello che fa papà.»
«Dirigere la piantagione?»
Annuisce, vigorosa. «Sono cresciuta in quella piantagione, quando ero più piccola papà mi ci portava spesso. Mi parlava spesso anche del nonno, di come fosse tutta la sua vita e di come ha ereditato da lui l'amore per quelle piante.» Abbassa lo sguardo in modo timido. «Sono ancora troppo piccola per conoscere il sapore del caffè, ma so come funziona la crescita e la raccolta. Ho partecipato in passato a diverse raccolte, ho assistito agli uomini che lo raccoglievano e lo impacchettavano per la spedizione e l'esportazione. So addirittura in quale paese lo esportiamo maggiormente.»
Il suo entusiasmo è incredibile. «E quale sarebbe?»
Sorride, sorniona. «L'Italia.»
Le sorrido anch'io. La ragazza sa il fatto suo.
Uno scoppio di risate provenienti dall'entrata ci costringono a voltarci. Le due sorelline più piccole escono di corsa dalla porta di entrata, corrono giù per gli scalini e si rincorrono tra le aiuole. Dietro di loro il signor Kundarm e Aditi si fermano di fronte alla porta e scambiano qualche parola. Il signor Kundarm fa un inchino e si congeda da Aditi, si allontana e ci passa davanti per uscire dal cancello, il suo sguardo ci intercetta e si ferma.
«Signor Sansoni, mi ha fatto piacere conoscerla.» Si avvicina e mi tende la mano.
Mi affretto ad alzarmi per stringergliela. «Per me è lo stesso.»
«Ha già sistemato la faccenda con la sua ditta?»
«Oh, no. Non stavo pensando che in Italia sono più di quattro ore indietro rispetto a noi. Li chiamerò a un'ora più consona.»
Annuisce. «Allora tornerò nei prossimi giorni.» Si rivolge verso Yashira alle mie spalle. «Signorina Narayan.»
Lei china la testa e stira le labbra.
Lui sorride ed esce dal cancello.
«Finalmente se n'è andato.» Yashira ha lo sguardo affilato verso il punto in cui è sparito. «Quell'uomo non lo sopporto, non mi fido.» Sgrana gli occhi e mi guarda di colpo. «Oddio... non volevo dire... cioè... Non è che...» Incassa la testa nelle spalle e si zittisce.
Mi rimetto a sedere vicino a lei e ridacchio. «Non ti preoccupare, non ti dirò a tuo padre quello che mi hai detto.»
Mi sbircia intimorita. «Davvero?»
«Certo. Nemmeno a me piace quel tipo.»
«Ah no? E perché?»
«Perché─»
«Yashira!» Il richiamo a voce alta di suo padre ci blocca e ci costringe a voltarci di nuovo verso l'ingresso.
Aditi cammina nervoso verso di noi con lo sguardo adirato.
Yashira mugola accanto a me. «Oh, no...»
Aditi ci raggiunge e si ferma di fronte a noi. «Tua madre non ti aveva detto di badare alle tue sorelle?»
«C'era Darika con loro,» piagnucola lei.
«Darika ha da fare in cucina, non può badare alle tue sorelle, dovevi badarci tu.»
Lei sbuffa. «Ma─»
«Niente ma, va a badare a loro. Mamma ha dato a te questo incarico.»
Yashira si alza con lo sguardo basso, raccoglie il suo libro e si allontana in silenzio.
«Sua figlia, Aditi, è molto intelligente.»
«Ma anche ostinata e impertinente. Forse l'abbiamo viziata troppo.»
Sorrido. «I figli sono fatti anche per venire viziati dai genitori.»
Lui si volta verso di me e mi fissa incuriosito. «Anche lei è un tipo interessante, signor Sansoni. Inizio a capire mia figlia Kalpana.»
Cosa c'entra Clio adesso?
Mi alzo dalla panchina. «Mi cercava?»
Annuisce. «Volevo sapere come si sente a entrare a far parte della nostra piantagione.»
«Oh, sì, devo dire che è emozionante. So che ho tantissime cose da imparare, ma è qualcosa che mi affascina.»
Lui ridacchia. «Proprio quello che speravo.»
Il grande cancello alle nostre spalle si apre e l'auto di Aditi fa il suo ingresso nella proprietà, dal finestrino posteriore il broncio di Pooja ci sorprende mentre ci passa davanti. L'auto si ferma di fronte all'entrata e Kalpana e Pooja scendono dai due sportelli posteriori.
Io e Aditi camminiamo loro incontro. «Moglie mia, tu e Kalpana avete trovato quello che cercavate?»
L'autista apre il bagagliaio e ne estrae diverse buste bianche, che porta direttamente in casa.
Kalpana fa il giro dell'auto e raggiunge suo padre. «Sì, grazie padre.»
«E allora perché mia moglie ha quell'espressione contrariata?»
«Perché tua figlia ha fatto una cosa molto sconveniente.» Sbotta Pooja, il naso per aria e la mascella tirata. «Ma non sarò io a raccontarti cosa ha fatto.»
Clio la guarda a bocca aperta. «Non ho fatto niente di sbagliato, ho fatto quello che chiunque con un briciolo di cuore avrebbe fatto.»
Pooja le rivolge uno sguardo adirato. «Vorresti dire che sono insensibile?»
«No, certo che no, ma─»
«Ok, basta così, per favore.» Aditi alza una mano per stoppare il loro battibecco. «Kalpana, per favore, attendimi nel mio studio, devo parlarti di una cosa importante.»
Lei sbatte le palpebre come due ali di farfalla. «Devi parlarmi?»
«Sì... e, Eros, ti prego di attendere il mio arrivo con Kalpana nel mio studio, quello di cui devo parlarle riguarda anche te.» A queste parole Pooja sgrana gli occhi verso di lui, ma Aditi la ignora.
Non capisco, ma non mi sembra il caso di chiedere ulteriori informazioni. «Va bene.»
Faccio un paio di passi verso l'entrata, Clio mi raggiunge e camminiamo insieme fino allo studio di suo padre. Le apro la porta ed entra prima di me.
Raggiunge la poltroncina di fronte alla scrivania e si volta. «Vedo che mio padre ha iniziato a darti del tu.»
«Gliel'ho chiesto io e lui ha acconsentito.»
«Ma tu continui a dargli del lei.»
Alzo le sopracciglia. «Dice che data la natura della nostra unione, non è il caso che gli dia del tu. Però mi ha permesso di chiamarlo per nome.»
Si lecca le labbra. «Devi piacergli tanto.» Mi sorride.
Le sue labbra si distendono. Sono così rosa e sode. Così morbide...
La porta si apre di scatto e Aditi entra. «Grazie per avermi aspettato.» Attraversa la stanza e si siede alla sua scrivania. «Pooja mi ha detto che hai comprato molte più vesti di quelle che ti servivano, e tutte per aiutare un bambino.»
Clio sbatte le palpebre, a disagio. «Non potevo ignorare il male che affligge quel bambino, padre. Io─»
Lui alza una mano per zittirla. «Non ti preoccupare, Kalpana, hai fatto bene.»
«Ah. Allora perché mi hai chiamato qui?»
«Non ho chiamato solo te, ho chiamato anche tuo marito.»
Kalpana mi sbircia e torna a guardare lui. «E perché?»
Suo padre indica le due poltroncine di fronte a sé. «Sedetevi. La cosa riguarda entrambi.»
Io e lei ci scambiamo uno sguardo incuriosito ma ci sediamo come ci ha chiesto. Entrambi restiamo in silenzio mentre Aditi apre il primo cassetto della sua scrivania e cerca qualcosa tra i vari documenti presenti. Ne estrae una cartelletta anonima e la posa di fronte a sé. «Ti ricordi che ti avevo detto, subito dopo il matrimonio, che ti avevo preparato una sorpresa di nozze?»
Kalpana corruga la fronte. «Pensavo che il tuo regalo di notte fosse la camera da letto che hai fatto preparare per noi.»
L'espressione di Aditi si fa inorridita. «Mi offendi, figlia mia. Pensi che come regalo di nozze alla mia primogenita possa regalarle solo una stanza nella mia dimora?»
Clio abbassa lo sguardo. «Ci sono alcune cose delle quali Pooja mi ha accennato e che riguardano le tue finanze, papà. Quindi credo che non sia il caso che spendi altri soldi per me.»
«Qualsiasi cosa ti abbia detto Pooja non deve riguardarti.» Aditi mi sorride. «Perdonami, Eros, mi è stato detto che stamattina ti hanno trovato a dormire sull'amaca in giardino.» Ridacchia sottovoce.
Un fuoco di vergogna mi incendia il petto in un secondo. «Sì, io... ieri notte non riuscivo a dormire, e...» Cosa cavolo posso dire? «Ho trovato sollievo in giardino.»
Aditi mi studia con attenzione. Sposta lo sguardo su Clio, immobile su quella poltroncina, e afferra la sua cartelletta. «Kalapana, tu conosci il Marajas' Express, vero?»
Clio alza un sopracciglio e sgrana gli occhi, le mandibola le cade lasciandola a bocca aperta. «Che cosa?»
Ho paura di aver capito, ma spero tanto di sbagliarmi.
Lui apre la cartelletta e ci mostra i due pezzi di carta che contiene. «Nessuno può aver niente da ridire su questo mio regalo, perché ormai i biglietti sono già stati comprati da tempo, e ci rimarrei veramente male se venissero sciupati o rivenduti.»
Davanti a quei due biglietti ho un misto di nausea e paura. Non oso pensare quanto dovrà durare questa ennesima tortura che mi aspetta.
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