Capitolo 14
Eros...
Sbatto la porta del bagno alle mie spalle e mi strappo i vestiti di dosso. Dio, come riesce a farmi saltare i nervi! Lascio tutti i miei indumenti a terra ed entro nella doccia, apro il rubinetto e il getto d'acqua gelata si scaglia sulla mia pelle come mille lame appuntite. Lancio un grido di dolore e mi scosto contro le mattonelle, fuori dal getto d'acqua. Giro il rubinetto dalla parte opposta e assaggio l'acqua con una mano. Ok, adesso è accettabile.
Mi rimetto sotto il getto e mi lascio bagnare, inerme. Alzo la testa e chiudo gli occhi, le braccia abbandonate lungo il corpo.
Lascio che l'acqua mi entri nelle orecchie, che sbatta sulle palpebre chiuse, mi solletichi la pelle delle spalle.
Si ostina a volersi scusare... ma quali scuse! Non posso credere che adesso le dispiaccia. Ha ottenuto quello che voleva senza tener conto dei miei sentimenti. Cosa crede, che io ami farmi prendere in giro dalle donne?
Ci sono cascato come un cretino, mi ha preso all'amo con quei capelli lisci, con quegli occhi scuri e profondi... quella pelle vellutata e profumata.
Strizzo gli occhi e scrollo testa, ci sono cascato di nuovo!
Afferro la prima boccia di bagnoschiuma che trovo e me ne lascio cadere un bel po' sulla mano, me la spalmo addosso e la fragranza di vaniglia mi solletica le narici. Cazzo, è un bagnoschiuma da femmina!
***
L'ingresso alla piantagione assomiglia a quello di un parco giochi. Il cancello maestoso, con sbarre di ferro colorate di giallo e verde, sembra dipinto da poco, e anche le siepi tutte attorno sembrano appena potate. Scendo dall'auto, insieme al signor Narayan dalla parte opposta della macchina, e mi raggiunge. «Ora glielo posso dire: ha un aspetto un po' stanco, stamattina.» L'ombra di un sorrisetto gli increspa le labbra.
Ha uno strano modo di rigirare il coltello nella piaga. Come se a me diverte restare nella stessa stanza con Clio e non poter fare niente con lei. «Non si preoccupi, signor Narayan, non intendo venire meno al nostro accordo.»
La sua espressione non si scompone e rivolge lo sguardo alla sua piantagione. «Non lo metto in dubbio, ma spero sempre che possa cambiare idea.»
«Non succederà.»
Resta in silenzio. La macchina dietro di noi riparte e si allontana verso il garage poco distante. Lui schiocca la lingua contro il palato. «Vede questo posto, signor Sansoni? L'ho ereditato da mio padre, in un periodo in cui pensavo a tutto tranne che al lavoro.» Alza una mano e indica la piantagione. «Sono cresciuto tra quelle piante e quegli alberi, a dieci anni conoscevo già tutta la filiera di raccolto per il caffè. Ma quando poi ho iniziato ad avere l'età per prendere il suo posto nella gestione avevo la testa da tutt'altra parte. La piantagione non mi interessava, il mio cuore e la mia testa erano in Italia. E quando poi mio padre è morto ho dovuto imparare tutto in fretta.» China la testa e la scuote appena. «Kalpana è donna, ma è la mia primogenita. Dio ha voluto che non avessi figli maschi, e quindi sarà lei a ereditare la piantagione quando io sarò richiamato in cielo.»
«Da quanto ho potuto conoscerla, sua figlia è una ragazza in gamba, signor Narayan, sono certo che farà un ottimo lavoro con la piantagione.»
«Ma una donna deve pensare alla casa, ai figli, al marito stesso e ad altre mille cose. Non può pensare anche al lavoro. Per questo vorrei che suo marito possa prendere il suo posto nella piantagione.» Mi guarda e torna a sorridermi. «Faccio così male a continuare a sognare?»
«Capisco i suoi desideri, signore, ma─»
Alza una mano di scatto. «Sì, non c'è bisogno che mi ripeta la sua causa.» Sospira. «Vogliamo andare?»
Annuisco e ci avviciniamo al portone. Un uomo con vesti semplici e lisi e degli strani baffetti sotto al naso accorre per aprire il cancello, lo spalanca e si inchina, mentre io e il signor Narayan lo varchiamo.
Da una casupola alla nostra sinistra esce fuori quello che è piombato in casa mia quella sera, Hiresh. Scommetto che è stato lui ad avvertire i paparazzi.
«Zio Aditi, felice di vedervi.» Fa un breve inchino e mi gratifica di un'occhiata gelida. «Signor Sansoni.»
Annuisco in segno di saluto. «Signor... mi perdoni, ma non ricordo il suo nome.»
Mi ghiaccia con lo sguardo. «Narayan. Hiresh Narayan.» Sputa avvelenato.
Uno a zero, buffone.
«Buongiorno, signor Narayan.»
«Hiresh è il figlio del mio defunto fratello. Ha infatti ereditato la piantagione che confina con la nostra, a est della zona.»
«Ah...» Ecco perché si pavoneggia tanto.
«Saltuariamente mi preoccupo anche del ricavo della piantagione di mio zio.» Guarda in lontananza con fare drammatico, come un degno attore di film d'amore. «Senza di me questa piantagione avrebbe visto giorni bui, io conosco ogni segreto della pianta di caffè.»
«In effetti devo ringraziarlo per quando sono stato assente.» Narayan accenna un sorriso. «Vogliamo iniziare questa visita?»
«Con piacere.» Sorrido e lui mi precede verso l'entrata vera e propria della piantagione. Davanti a noi si apre un campo con file e file di piante alte ameno due metri tra le quali sono state raggruppate tutte le foglie secche e i rami spezzati in un cumulo unico che percorre come un serpente tutto il corridoio tra le due fila di piante. Ogni tanto, la distesa è intervallata da alberi alti di banano.
«Vuole una banana, signor Sansoni?» Hiresh si allunga all'albero più vicino e afferra una banana dal casco appeso.
«Ah... grazie.»
Lui ride e la sbuccia, si appoggia al tronco e inizia a mangiarla con un sorrisetto spocchioso sulle labbra.
Sono interdetto, ma chi si crede di essere?
Il signor Narayan ridacchia a bassa voce. «Hiresh ogni tanto ama scherzare. Quello è un platano, non un banano.»
«Io le ho chiesto se voleva una banana, non un platano.» Bofonchia Hiresh a bocca piena. Sorride ancora e getta la buccia verso un cestino poco distante, questa rimbalza sul bordo e cade a terra.
«Capisco.»
Anche il signor Narayan continua a ridacchiare, ma l'arrivo improvviso del guardiano della piantagione lo fa smettere di colpo. Questi si china al suo orecchio e gli sussurra qualcosa.
Narayan annuisce. «Mi dispiace, signori, ma la mia signora mi richiama al telefono, e molto probabilmente devo assentarmi diversi minuti.»
«Si figuri, signor Narayan.»
«Vada pure, zio.» Hiresh si stacca dall'albero e si pulisce le mani con un fazzoletto. «Continuo io la visita al nostro ospite.»
«Va benissimo, grazie.» Narayan si volta e si allontana.
«Mio zio è un uomo di larghe vedute,» Hiresh si mette al mio fianco consultando il panorama, «ma su alcune cose è ancora all'antica. Tipo il suo rifiuto di comprare un cellulare.» Con disinvoltura, cammina al mio fianco. «La vedo un po' sciupato, signor Sansoni. Ha fatto le ore piccole?»
Ma cosa gliene frega a questo pallone gonfiato?
«E anche se fosse? È mia moglie.»
Alza le mani in segno di resa ma la sua espressione tagliente non si smorza. «Non volevo offenderla. Ho solo sentito voci in cui si dice che lei e Kalpana non andate molto d'accordo.»
«Non sono affari suoi.»
«Come? Mi vuole dire che dopo essersi presa quello che le interessava, la dolce Kalpana ha mostrato vero interesse nei suoi confronti.»
Mi sta facendo saltare i nervi. «Per sua informazione, quello che facciamo io e mia moglie non le interessa. Quello che le interessa è che ha sposato me, non lei. Con tutto ciò che ne consegue.»
Quel sorrisetto idiota sparisce con mia gioia dalla sua faccia. «Già, con tutto quello che ne consegue.»
Mi volto verso il cancello. «Credo che per oggi quello che ho visto della piantagione sia sufficiente.» Faccio un passo ma mi fermo. «Preferisco continuare la visita con il padre di mia moglie. Buona giornata.» Non aspetto un suo saluto, mi allontano e basta.
Il guardiano accorre per aprirmi il cancello appena mi vede, fa il suo consueto inchino e sparisce di nuovo dentro la piccola casupola.
Mi incammino lungo la strada sterrata che porta alla villetta del signor Narayan, il sorrisetto di quel cretino è la cosa più irritante che mi è capitata da quando è iniziata tutta questa storia. Ma ripensandoci la costante presenza di Clio accanto a me durante la notte è peggio.
La prima sera sono svenuto dalla stanchezza, ma già dalla seconda non sono riuscito a chiudere occhio se non nelle ore piccole.
Il suo profilo, il suo profumo, i suoi movimenti aggraziati anche durante il sonno mi hanno tenuto sveglio nonostante la rabbia che avevo in corpo. Sono rimasto a osservare il suo viso rilassato nel sonno per non so quanto tempo, incapace di credere che una ragazza così bella potesse ordire un imbroglio così spietato.
Non posso credere di essermi lasciato prendere per il culo da una fata con la pelle scura e gli occhi che assomigliano a due chicchi di caffè.
Alzo lo sguardo e mi fermo di colpo. Mi volto per controllare quanta strada ho percorso. Direi che sono circa a metà. Non me ne sono nemmeno accorto.
Riprendo a camminare, alzando una bella nuvola di polvere dietro di me. Poco lontano appaiono alcuni alberi della tenuta del signor Narayan.
Non avrei mai immaginato di finire in un posto simile, nemmeno per un brutto scherzo del destino. Sembra di essere in una di quelle favole de Le mille e una notte, circondato da piante tropicali ed edifici asiatici e affascinanti.
Raggiungo l'angolo più estremo della tenuta e percorro il suo perimetro fino al cancello di entrata. Quello piccolo per entrare a piedi è aperto. Sguscio dentro e attraverso il viale polveroso di fronte alla facciata della villa.
E adesso cosa faccio, torno in camera a subire la sua presenza?
Sospiro e mi avvicino all'ingresso.
Un movimento alla mia sinistra attira la mia attenzione. Tra le siepi e i cespugli c'è qualcosa che si muove, a una decina di metri da me. Mi avvicino tenendomi nascosto e mi affaccio dietro un alto cespuglio. Clio è distesa su un'amaca appesa tra due alberi. Con una mano si spinge contro il tronco vicino per dondolarsi e con l'altra regge un libro, dal quale non stacca gli occhi un solo istante.
La sua veste le aderisce al seno evidenziando quelle curve morbide, tiene i piedi in alto e la gonna le è salita fin sopra le ginocchia, mettendo in mostra quelle gambe affusolate e vellutate. Quella pelle di seta...
All'improvviso il cellulare dalla mia tasca inizia a squillare facendomi sobbalzare e facendo distogliere Clio dalla lettura. Mi fissa con le labbra rilassate e un lieve rossore sulle guance.
Il cellulare continua a squillare come un elemento estraneo alla natura che mi circonda. Mi volto e lo prendo dalla tasca. Uff, mia madre.
«Pronto, mamma?»
«Tesoro, come stai? Sono giorni che non ti fai più sentire.»
Roteo gli occhi ma la assecondo. «Sto bene, grazie. Non ti preoccupare.»
«Com'è l'India? Cosa ti fanno fare?»
«Beh... è molto bella, ma per essere sinceri per ora ne ho visto poco. Sono appena tornato dalla piantagione.»
Lei ha un singulto. «Ti fanno lavorare nei campi?»
Mi mordo la lingua. «Ma no, che vai pensando?»
«Sicuro?»
«Se sono sicuro di non fare lavori nei campi? Certo!»
«Mmh... se lo dici tu.»
Cambio orecchio e faccio qualche passo verso l'entrata della villa. «Cos'è quel tono scettico?»
«È che sei partito così all'improvviso che è difficile credere che tu sia là solo per lavoro.»
Mi sforzo di ridacchiare ancora. «E per quale altro motivo dovrei essere qui?»
«Non lo so. Anche tuo padre dice che ci stai nascondendo qualcosa, e che lo dica lui è strano.»
Mi porto una mano alla fronte. «Puoi stare tranquilla, mamma. Sono qui per lavoro, e basta.»
Lei sospira. «E quando torni in Italia?»
Bella domanda. Chissà se ne ha una di riserva. «Non lo so. Presto.»
Sospira ancora. «C'è qualcosa che non mi torna in questa storia.»
Oddio, perché rende tutto più complicato?
«Non ti devi preoccupare, mamma. Non c'è niente di pericoloso. Tra qualche tempo torno a casa e tornerò a vendere aspirapolveri porta a porta. Come prima.»
Sciocca la lingua contro il palato, come fa sempre quando vorrebbe saperne di più ma non vuole essere impicciona. «E va bene. Allora ti lascio. Chiamami, d'accordo?»
«Va bene, mamma. Te lo prometto.»
«Ciao, amore mio.»
«Salutami papà. Ciao.»
Chiudo la chiamata e mi volto. Clio mi sta fissando immobile con il libro tra le mani e i capelli sciolti che le incorniciano il volto. Ho un breve fremito di fronte a quello sguardo.
Abbassa per un attimo le palpebre e fa un passo verso di me. «Non hai ancora detto a tua madre di me?»
Deglutisco. «Perché avrei dovuto?»
Non risponde e abbassa la testa.
Devo ammetterlo, vederla così triste è come assistere a una stella che si spegne da sola.
Sbuffo dal naso e le passo accanto. «Vado a stendermi un po'.»
«Certo...»
Un refolo di vento porta fino a me l'odore della sua pelle. È come una scarica di adrenalina, una scossa nelle vene.
Ignoro l'effetto che mi dà e mi rifugio in casa.
Nel salone non c'è nessuno, la voce lontana del signor Narayan e di sua moglie mi raggiungono dalla cucina. Sembra che stanno litigando. Tiro su le spalle e salgo al piano di sopra. Forse riesco a dormire un po'.
Entro nella mia stanza e il vento che fa danzare le tende della finestra sembra che porti fino a me il profumo di lei. Ho varie immagini del suo corpo perfetto, tanti piccoli flash che la riguardano da vicino. Tutti ricordi di quell'unica volta in cui l'ho stretta tra le braccia e ho sentito il suo sapore.
Continuo a rammentare quell'occasione, mi prenderei a schiaffi da solo.
Mi tolgo i vestiti e le scarpe e mi butto sul letto, e questa volta il suo profumo è tangibile, più concreto di un soffio di vento. Le lenzuola sono intrise di lei.
Cazzo!
Mi alzo di scatto e a piedi nudi cammino avanti e indietro davanti al letto. Sbuffo. Lei è dappertutto, anche quando non c'è.
Sfinito, mi siedo sul letto e chiudo gli occhi. Sono in una situazione incredibile, sono sposato con la ragazza più bella che abbia mai incontrato e mi sono ripromesso di non avere nessun rapporto con lei. È una tortura, un'agonia.
Riapro gli occhi e osservo la sua parte del letto, i cuscini rotondi uno dietro l'altro... la mia mente è traditrice come non mai, e sotto quelle lenzuola vuote riesco a vedere le sue membra flessuose distese nel sonno. Quel viso rilassato, quelle palpebre chiuse su quella pelle di seta. Mi cullo nella mia fantasia e torno a sdraiarmi accanto a lei. Ed ecco che quelle palpebre si spalancano su di me e mi sorride... una sua mano affusolata si allunga verso di me, all'altezza del mio inguine, e mi afferra nel modo più intimo possibile. Le artiglio un fianco e mi avvicino a lei mentre con una lentezza snervante inizia a muovere la mano avanti e indietro, in un ritmo che mi dà alla testa. Un singulto affannato esce dalle mie labbra. Chiudo gli occhi e la sensazione della sua presa è così forte da sembrare vera. All'improvviso le voci del signor Narayan e di sua moglie si fanno vicinissime. Attraversano il corridoio e passano davanti alla porta della stanza.
Mi risveglio di colpo dal mio sogno a occhi aperti. Sono solo sotto le lenzuola con il mio membro in una mano e il suo cuscino nell'altra.
Non ci posso credere.
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