Capitolo 13
Kalpana...
Il calore del sole sulla faccia mi sveglia. Apro gli occhi e la tenda aperta alla finestra mi fa strizzare le palpebre.
«Oddio...»
Mi passo una mano sulla faccia e mi rendo conto che il lato del letto opposto al mio è vuoto. Mi tiro a sedere e mi appoggio sui gomiti. Dov'è finito?
La porta del bagno è aperta ma da lì non arriva nessun rumore.
Scosto il lenzuolo e scendo dal letto, mi infilo le pantofole ed esco in corridoio. Scendo al piano di sotto e mi avvicino alla cucina, delle voci mi raggiungono e mi fermo a origliare dietro la porta.
«Mi fa piacere che abbia dormito bene, signor Sansoni.» Susanna ha un tono di voce allegro, ma con una sfumatura cauta.
«Per favore, mi dia del tu, signorina Lenzi, non sono abituato a farmi dare del lei.» Dai rumori di posate contro la porcellana, sembra che stiano facendo colazione.
Il caffè viene versato nella tazza, la mano che lo gira sembra quella di Eros; il movimento di Susanna è molto più veloce.
«Solo se lo farai anche tu, nemmeno a me piace che mi si dia sempre del lei.»
Una tazzina viene posata sul piattino. «Per me va benissimo. Questa villetta è davvero molto bella, Susanna.»
«Grazie. Appartiene alla mia famiglia da diversi anni. Io l'ho solo modernizzata.»
«Si vede che siete benestanti in famiglia.»
Per un attimo tacciono entrambi. Susanna scoppia in una risatina. «Sì... certo.»
Eros sbuffa. «Scusa. Non sono abituato a dormire in una stanza con il caminetto e a svegliarmi con il canto degli uccellini.»
Susanna ride ancora. «Non ti preoccupare. Mi fa piacere che la stanza ti sia piaciuta. Mi piacerebbe se poteste restare di più, invece dovrete partire domani stesso.»
«Già... Almeno ho tutto il tempo di andare da mia madre per avvisarla che dovrò partire per qualche tempo.»
«A proposito, non ho visto nessuna donna italiana al matrimonio che poteva essere tua madre, e nemmeno─»
«Perché non c'era.» La interrompe.
Restano in silenzio. Una sedia viene trascinata. «Mi dispiace, non sono affari miei.» Si scusa Susanna.
«No, infatti.»
«Spero solo che un giorno potrete avvicinarvi, tu e Clio.»
Lui sbuffa. «Non credo proprio.»
Susanna si alza, si allontana e posa qualcosa dentro il lavandino. «Io la conosco, è una cara ragazza. Sono sicura che─»
«Perdonami, Susanna, ma non credo che tra me e Clio potrà mai esserci qualcosa di più di quello che c'è adesso.»
Mi fisso a guardare le mattonelle del pavimento, gli occhi mi si inondano di lacrime e un fischio sordo mi riempie le orecchie. Le sue parole e il tono con cui le ha pronunciate sono state peggio di una stilettata. Mi sto rendendo conto che nel mio piano non avevo tenuto conto dei suoi sentimenti.
All'improvviso esce dalla porta della cucina, si accorge della mia presenza e si blocca a fissarmi. I suoi occhi percorrono il mio corpo appena velato dalla camicia da notte. Il suo lento excursus mi inchioda sul posto, si sofferma per alcuni istanti all'altezza del seno, sui fianchi e sulle cosce, digrigna i denti e torna ai miei occhi. «Devo uscire, sarò di ritorno per l'ora di pranzo.» Si volta e raggiunge scale, le imbocca e sparisce dalla mia vista.
«Clio.»
Susanna mi fa sobbalzare. Mi volto ed entro in cucina, tento di tenere a bada i battiti accelerati del mio cuore.
«Buongiorno, Susanna.» Bofonchio. Scanso la sedia più vicina a me e mi accascio sul tavolo, ho il morale a terra. Di fronte a me c'è un piattino con le briciole di quello che presumo essere stata una brioche e una tazzina di caffè già finito. Era seduto qui.
«Ehi.» Susanna viene a sedersi accanto a me. «Non voglio vederti con questo broncio.»
Sospiro. «È facile parlare, per te. Non hai sposato un uomo che ti odia.»
«Non ho avuto l'impressione che ti odiasse.»
«Ah, no? E perché non dovrebbe? L'ho raggirato per raggiungere i miei scopi senza tener conto di come poteva sentirsi. L'ho ferito.»
Sospira di pazienza e posa una mano sulla mia spalla. «Sono pronta a scommettere che prima o poi cambierà idea su di te, che capirà il perché hai fatto tutto questo.»
Lancio un'occhiata al corridoio per assicurarmi che non stia scendendo dal piano di sopra. «Ti sbagli. Con mio padre ha un accordo, mi ha sposato per salvare le apparenze, ma dopo questo anno scioglierà il matrimonio se dimostrerà di non averlo consumato.»
«È questo che ti ha detto?»
Annuisco.
Sbuffa divertita. «E come crede di tener fede a questo accordo?»
Non capisco, le lancio un'occhiata strana. «Di cosa stai parlando?»
Dei passi lungo il corridoio ci avvisano del suo arrivo e mi zittisco. Eros si affaccia sulla porta della cucina. «Sarò di ritorno per l'ora di pranzo. Ciao, Susanna.» Mi lancia un'occhiata inespressiva e si avvia verso l'ingresso.
«Ci vediamo dopo, Eros.» Cinguetta lei.
Lui esce e si richiude il portone alle spalle.
«Mi piace che abbiate già fatto amicizia.» La apostrofo con sarcasmo. «Lo chiami per nome, gli dai del tu...»
Lei ride. «Sei gelosa?»
Stringo le labbra. «Ho paura di sì.»
Con un accenno di sorriso, Susanna mi guarda e scuote il capo. «Io non sarei così pessimista se fossi in te.»
Ecco che cerca di tirarmi su nonostante le evidenze remino contro. «Come fai a esserne così sicura?»
«Perché ho visto lo sguardo con cui ti ha guardato appena è uscito di qui, e non era quello di un uomo indifferente.»
Sbuffo. «Non significa niente.»
«Vedremo.» Si alza e toglie il piattino con le briciole e la tazzina di Eros dal tavolo, mette tutto nel lavandino. «Vuoi un caffè?»
«Sì... ma Teja dov'è?»
«Oh, è uscita presto, questa mattina. Ha detto che aveva da fare.»
Mi accascio sulla sedia. «Nemmeno lei è contenta di questa situazione, glielo leggo negli occhi.»
Susanna arriccia la bocca ma non ribatte, accende la macchinetta e prepara la tazzina.
Attraverso il corridoio lo squillo del telefono fisso del suo studio arriva fino a noi.
***
Aeroporto Internazionale di Kochi, India
Due giorni dopo
L'aereo atterra sulla pista e la percorre per tutta la sua lunghezza, dall'oblò osservo gli altri aerei parcheggiati fuori dagli hangar mentre passiamo loro accanto. Rallentiamo fino a fermarci del tutto, le hostess ci avvisano della temperatura e dell'orario di arrivo e ci permettono di alzarci dai nostri posti.
Eros, accanto a me, evita di voltarsi anche per sbaglio dalla mia parte, come ha fatto per tutto il viaggio. Si alza e segue il tipo che mio padre ci ha messo a disposizione per accompagnarci fino a casa. Mi ignora, come se io non esistessi.
Mi chiedo se avesse avuto lo stesso questo comportamento se papà fosse venuto con noi e non fosse partito di fretta e furia il giorno prima.
Nemmeno Teja è con me per farmi compagnia, ha preferito partire con mio padre. Ha detto che non voleva mettere il naso negli affari di una coppia appena sposata, che la sua presenza sarebbe stata di troppo. Come se non sapesse come stanno davvero le cose.
Mi alzo e lo seguo fuori dall'aereo. Il cielo dell'India è coperto da una serie di nuvole piccole e grigie. Nemmeno il tempo mi dà il benvenuto.
La nostra guida, ovvero il povero Harshal, si ferma in fondo alla scaletta e ci sorride. «Benvenuto in India, signor Sansoni.
«Grazie...»
«Mi chiami pure Harshal.» Indica l'entrata all'Hangar. «Volete seguirmi da questa parte?»
Ci precede in quella direzione, ma Eros si guarda alle spalle. «E i nostri bagagli?»
Seguo il suo sguardo. «Ci pensa il personale dell'aereo a portarli nella nostra macchina.»
«Ah...» Con lo sguardo inespressivo si volta e raggiunge Harshal, a pochi metri da noi.
Non mi resta che seguirlo.
Harshal si inoltra attraverso il grande portellone e si ferma accanto al Mercedes di papà, fa un breve inchino e apre lo sportello per farci salire sui sedili posteriori. Eros fa un cenno di ringraziamento con la testa e monta in macchina, io mi fermo di fronte a lui e gli sorrido. «Grazie, Harshal.»
«Prego, signorina Narayan. Sono felice di servirla.»
Congiungo le mani sotto al mento e faccio un piccolo inchino, raccolgo la mia gonna e monto anch'io.
Eros si è posizionato all'estremità opposta del sedile e si ostina a guardare fuori dal finestrino. Chissà perché mi aspettavo che mi aiutasse a montare in macchina. Mi sistemo accanto a lui in silenzio, mi mordicchio il labbro superiore e cerco di non voltarmi dalla sua parte. È difficile farsi perdonare da qualcuno che non ti rivolge la parola e finge che tu non ci sia.
Harshal apre il bagagliaio e aiuta il personale dell'aereo a posizionare i nostri bagagli, li saluta con cordialità e monta al posto del guidatore. E l'altro autista dov'è?
«Harshal, guiderai tu fino a casa?»
Lui mi guarda dallo specchietto retrovisore. «Sì, signorina.»
«E che fine ha fatto Nand?»
«Oh, vostro padre ha dovuto fare alcuni cambiamenti, ultimamente.» Mette in moto e con calma esce dall'Hangar.
«Cambiamenti?»
«Sì, signorina.»
Strano, Nand lavora per lui da diverso tempo, mi sembra che avessi circa tredici anni quando lo assunse come autista personale. Pensavo che lo avrei trovato qui ad attenderci per portarci a casa. E se Harshal non si è prodigato in ulteriori chiarimenti vuol dire che non può parlarne.
Molto strano.
Ci allontaniamo dalla pista di atterraggio e Harshal si avvicina al centro abitato, nelle terribili strade trafficate di Kochi. Ci accodiamo alla lunga scia di macchine che camminano come un enorme serpente eterogeneo, incrociandosi con altri veicoli o motocicli che arrivano dalle vie laterali, senza fermarsi, senza sosta.
L'espressione di Eros è di puro terrore mentre un ragazzo in motorino costeggia la nostra auto a pochi centimetri da lui, costretto tra noi e un pulmino carico di persone e di merce ricoperta da un telo. Non oso aprire il finestrino, non vorrei che il rumore del traffico ci ferisca i timpani.
«Ma le strade sono sempre così trafficate?» Eros mi guarda con due occhi enormi.
«Sì... qui è sempre così.»
«E come è possibile che non si scontrino tra loro?»
Beh, mi sta guardando, è già un passo avanti.
«In realtà succede, anche molto spesso.»
«Ma non esiste un codice della strada?»
Scuoto la testa. «No, qui no, ognuno guida come meglio riesce. Infatti ci sono molti morti al giorno per incidenti stradali.»
Sbatte le palpebre, scioccato, e torna a guardare fuori.
In effetti per chi vede queste strade per la prima volta può rimanere sconvolto dal numero di mezzi che vi trafficano, e anche dall'inesistente codice della strada. Qui non ci sono regole, c'è da rimanere stupiti se si riesce a vivere per strada senza fare incidenti.
Ci allontaniamo dal centro nevralgico della città, ci lasciamo alle spalle le strade più trafficate e appare in lontananza il palazzo di mio padre. Lungo la strada che stiamo percorrendo, un tizio si ferma e si mette a urinare contro un muro al centro della via.
Per la seconda volta, Eros mi volta verso di me con lo sguardo scioccato. «Ma... così, in pieno giorno?»
Annuisco. «Se non si vuole che usino i muri della città come bagni pubblici si devono decorare con immagini sacre.»
«Cioè?»
«Immagini degli dèi.»
«Ah...» Annuisce e torna a guardare fuori dal finestrino.
Per lo meno mi ha rivolto la parola, è già un passo avanti. Quando siamo partiti dall'Italia credevo di essere trasparente. Un piccolo lume di speranza si accende nel mio petto.
La Mercedes di papà rallenta e si ferma di fronte al cancello della proprietà privata, Harshal lascia il motore acceso e scende dall'auto, suona al citofono posto al lato del cancello e rimonta in macchina. Eros osserva la facciata della villa, o quel che riesce a vedere attraverso l'enorme giardino, mal celando la sua curiosità. I suoi occhi guizzano in ogni direzione.
Il cancello si apre e Harshal guida di fronte all'entrata principale.
È proprio come la ricordavo: calma, fresca, allegra...
Harshal mi apre lo sportello e metto piede nel vialetto di fronte alla villa, il profumo di incenso e di fiori penetra nelle mie narici e mi riporta indietro nel tempo, a quando ero bambina... Appesa al tronco di quell'albero c'era un'altalena fatta di corda e legno, mia madre amava spingermi e farmi dondolare interi pomeriggi. In mezzo a quei cespugli e a quelle aiuole giocavamo a nascondino, o ci stendevamo su una coperta e la ascoltavo mentre mi leggeva un libro. Mi sembra di risentire le sue risate quando mi rincorreva─
«Kalpana, sei arrivata?» Dall'atrio della villa rimbomba la voce di mia sorella.
Mi volto e una bellissima ragazza di quindici anni esce dalla porta d'ingresso e mi corre incontro.
«Yashira!» strillo.
Si fionda su di me e avvolge le mie spalle con le braccia. «Finalmente sei qui! Mi sei mancata così tanto!»
«Anche a me sei mancata tanto!»
Mi scioglie dal suo abbraccio e guarda alle mie spalle. Seguo il suo sguardo, Eros ci sta fissando dall'altra parte dell'auto.
«Allora lui è tuo marito?»
Solo adesso mi rendo conto che ha parlato sempre in lingua indiana. «Sì... ma non parla la nostra lingua, parla solo italiano.»
«Oh.» Fa il giro dell'auto e lo raggiunge, congiunge le mani sotto al mento e fa un inchino. «Piacere di conoscerti, io sono Yashira, sorella minore di tua moglie.» Un perfetto italiano esce dalle sue labbra.
Eros è per un attimo spiazzato, ma annuisce e sorride. «Il piacere è tutto mio, io sono Eros.» E le allunga una mano.
«Oh...» Yashira è altrettanto spiazzata ma ha la prontezza di stringergliela. «Piacere.»
Faccio il giro dell'auto e li raggiungo. «Hai imparato bene a parlare italiano.»
Annuisce. «Papà mi ha fatto seguire da un insegnante personale.» Sorride a Eros. «E adesso sono felice di mettere in pratica i miei studi.»
«Kalpana, finalmente sei arrivata.»
Mi volto verso l'ingresso. Dal vestibolo, con un sorriso trionfante, Pooja ci sta venendo incontro. «Mi fa piacere di rivederti a casa dopo tutto questo tempo.» Mi raggiunge e mi abbraccia. Il suo sguardo viene subito attratto da Eros alle mie spalle. «E tu devi essere il nuovo membro della famiglia.» Fa il tipico inchino con le mani giunte. «Felice di conoscerti.»
Eros rimane spiazzato a fissarla, con un lieve movimento del capo.
Mi affretto a fare le presentazioni in modo che anche lui capisca. «Ti presento mio marito Eros, che purtroppo parla solo italiano. Eros, lei è la nuova moglie di mio padre, Pooja.»
Eros sposta in modo nervoso gli occhi da me a lei e imita il suo inchino. «Il piacere è tutto mio, signora.»
Pooja mi rivolge un sorriso divertito. «Un perfetto gentiluomo, a quanto vedo.» Rivolge a Yashira uno sguardo severo. «Vedo che hai già fatto la conoscenza con la mia figlia più grande. Che dovrebbe essere in camera sua a studiare.» Aggiunge alla fine con una nota di rimprovero.
Lei stringe i pugni, stizzita. «Madre, come potevo rimanere tra quattro mura con il ritorno di Kalpana?»
«Avresti dovuto restare con le tue sorelle. Ma ormai è andata così.» Si volta verso Eros e si profonde in un enorme sorriso. «Chiedo perdono per questa strana accoglienza. Vieni pure in casa, vorrai riposarti dopo il lungo viaggio.» Gli si affianca e lo prende per il braccio.
«La ringrazio, signora Narayan.» Eros è spaesato, ma le cammina accanto con educazione.
Lo guida verso l'entrata. «Posso offrirti qualcosa da bere?»
«Volentieri, grazie...»
Io e Yashira ci guardiamo perplesse. Lei fa spallucce. Sì, lo so che Pooja è fatta a modo suo, mi ha ignorato.
La prendo a braccetto e seguiamo Pooja ed Eros in casa. «Ma papà?»
«È alla piantagione. Ha detto che tornerà appena si sarà liberato.»
«E la mia Teja, invece?»
Lei si stringe nelle spalle.
Pooja ed Eros ci precedono in salotto, con i bellissimi divani che io adoro, sono felice per la prospettiva di potermici rilassare di nuovo sopra. Surya e Tapti sono sedute sul tappeto ai piedi del divano, intente a giocare con delle bambole e a disegnare. Surya alza gli occhi su di me e li sgrana. «Kalpana?»
«Sì, sono io!»
Salta su come una molla e mi corre incontro. Faccio appena in tempo a chinarmi e ad avvolgerla tra le braccia. «Che bello che sei tornata!»
Tapti si alza e ci osserva incuriosita. L'ultima volta che l'ho vista era piccolissima, non so se si ricorda di me.
«Tapti, sono tua sorella Kalpana. Non mi saluti?» Le parlo in punjabi, forse si ricorda meglio.
Lei si aggrappa alle gonne di sua madre e si mordicchia un ditino, il piedino che dondola, indecisa sul da farsi.
«L'ultima volta che sei stata qui aveva appena un mese, è impossibile che si ricordi di te.» Pooja si accomoda sul divano. «Ti prego, Eros, accomodati. Gradisci un lassi?»
Eros si siede a una certa distanza. «Temo di non sapere cosa sia.»
«È una bevanda a base di yogurt bianco.» Yashira si siede accanto a lui. «Sono sicura che ti piace. Posso averne anch'io, mamma?»
«Sarebbe meglio di no, Yashi. Ne hai già bevuti abbastanza.»
Lei abbassa le spalle e assume un'espressione delusa. Sorrido alla sua reazione, mentre Surya mi avvolge il collo con un braccio.
«Quanto stai?»
Mi alzo e la prendo in braccio, alzandola di peso. «Non lo so, ma non credo di andare via tanto presto.»
Lei ridacchia e mi dà un bacino sulla guancia. Non posso che ridere anch'io di fronte alla sua allegria contagiosa. Lo sguardo mi cade su Eros, mi sta fissando con aria trasognata, come se fosse con la mente da un'altra parte. Pooja suona un campanello posato sul tavolo basso e lui sbatte le palpebre e si risveglia.
«Ma dov'è finita quella donna?» Pooja suona il campanello una seconda volta, ma non accorre nessuno. Si alza e sorride a Eros. «Perdonami, ma temo che sia successo qualcosa alla governante. Vado a vedere cosa la trattiene.»
Eros stende le labbra in un sorriso di circostanza e scuote appena la testa. Tooja si allontana e Surya si allunga verso il pavimento per farmi capire di metterla a terra. La accontento e corre dietro a sua madre.
Yashira balza in piedi. «Sicuramente Darika è nel giardino sul retro a fumare e non sente il campanello. Io vado a vedere se trovo del lassi già pronto.»
Sparisce e io e Eros rimaniamo da soli con la piccola Tapti, che si è spostata sul tavolino basso per disegnare. Lui si guarda attorno, forse per non volgere lo sguardo verso di me. Sto iniziando a chiedermi se mi merito davvero tutto il suo astio.
Tapti alza il foglio in aria e lo sventola sotto al suo naso, glielo lascia tra le mani e lo osserva, mordendosi il ditino.
«Grazie, è per me?»
Lei non gli risponde, resta immobile a guardarlo, dondolando il piedino.
«È troppo piccola per parlare italiano, Eros.» Mi avvicino per sbirciare il disegno.
Lui non alza lo sguardo su di me nemmeno per un istante. «Già...»
Fingo che la sua risposta arida non mi abbia dato fastidio e inclino il capo per guardare il disegno. Tapti ha disegnato un uomo che dai colori e dai vestiti sembra papà, in fondo quella che dovrebbe essere la nostra tenuta e in alto al foglio, appena sotto una striscia di azzurro che dovrebbe essere il cielo, ha disegnato qualcosa che assomiglia a un aereo.
«È molto bello, grazie.» Eros glielo rende, ma Tapti non si muove, rimane immobile a fissare il disegno davanti a sé. «Non lo vuoi più, me lo regali?»
Lei resta immobile.
Mi chino accanto a lei e le sussurro in lingua punjabi quello che le ha detto Eros, lei lo guarda e annuisce.
Eros sorride. «Grazie, allora.» Lo piega e lo tiene tra le dita.
Tapti mi guarda, le traduco quello che le ha detto Eros. Lei gli sorride e subito si volta e corre fuori dal salotto.
«Hai fatto colpo su mia sorella, Eros.»
«Già.» Ripiega il foglio una seconda volta e lo infila in tasca. «Almeno questa volta posso stare tranquillo che non mi tirerà in uno sporco imbroglio solo per soddisfare i suoi desideri.»
Resto di ghiaccio alle sue parole, lo fisso a bocca aperta, incapace di parlare. E, come dovevo aspettarmi, lui non mi guarda nemmeno.
Dal cortile esterno i freni di una macchina attirano la sua attenzione. Si alza in piedi, continuando a ignorarmi, si avvicina alla finestra e scosta la tenda rossa. «Oh, è arrivato tuo padre.»
I passi di qualcuno alle mie spalle mi fanno alzare di scatto. «Finalmente è arrivato mio marito, Eros.» Pooja è ferma sulla soglia del salotto con il suo solito sorriso generoso e le mani giunte in grembo. «Sono sicura che non vede l'ora di farti fare un giro della piantagione.»
Eros si volta verso di lei e fa due passi. «Anche per me visitare la piantagione sarebbe interessante, ma prima gradirei riposarmi un po'.»
Una donna che non conosco passa accanto a Pooja tenendo in mano un vassoio con alcuni bicchieri colmi di lassi, li posa sul tavolino vicino ai colori e ai disegni di Tapti ed esce di nuovo dal soggiorno.
Pooja la segue con lo sguardo schifato ma subito si ricompone e torna a sorridere. «Sono certa che mio marito non avrà niente in contrario.»
Papà appare alle spalle di Pooja. «Figlia mia, sono felice di trovarti a casa!»
La sua vista mi fa dimenticare per un attimo ogni pena, gli corro incontro e lo abbraccio. «Grazie, papà. Anch'io sono felice di essere a casa.» Mi stacco e mi guardo attorno. «Ma non vedo Teja da nessuna parte.»
«Mi ha chiesto il permesso di andare a visitare sua sorella e le ho permesso di restare alcuni giorni con la sua famiglia. Credo che se lo meritasse.»
Annuisco. «Hai fatto bene.»
Eros accorre a stringergli la mano. «Piacere di rivederla, signor Narayan.»
Papà contraccambia la stretta. «Anche a me fa piacere vederla qui, signor Sansoni. Vedo che ha già conosciuto mia moglie.» Si volta verso Pooja, che è rimasta in disparte, come si conviene. «Sono sicura che sia stata una buona padrona di casa, anche ai suoi occhi.» Guarda me e Eros. «Posso avere l'onore di scortarvi nella vostra camera?»
***
Quella che un tempo conoscevo come una comune camera per gli ospiti è diventata una elegantissima camera da letto dall'aria sofisticata e piena di stoffe colorate. Il letto, un tempo semplice e normale, è stato sostituito da un formidabile baldacchino con candide tende bianche, un vivace copriletto dai toni caldi del rosso e dell'arancio e due set di cuscini, a destra arancione e a sinistra azzurro, come a sottolineare la parte maschile e quella femminile.
Un tappeto persiano circonda il letto e riprende i colori del copriletto, le pareti sono di una nuance appena più chiara e decorate con un disegno dorato. I mobili sono in legno lavorato e traforato, di un caldo color mogano. Di fronte alla porta finestra, un divano sormontato da almeno una dozzina di cuscini colorati e un tavolino con gli stessi colori formano una sorta di angolo-soggiorno. Davanti al letto, la porta del bagno privato.
Mio padre fa alcuni passi sul parquet scuro e si volta con le braccia aperte. «Spero che il vostro rifugio vi piaccia, finché sarete qui.»
I muscoli della guancia di Eros si tendono. «Signore?»
«Avanti, signor Sansoni, non impedisca a un uomo anziano di sognare.» Ride.
Non sono sicura di capire.
Eros avanza verso il letto e posa una mano sul legno intarsiato del baldacchino. «È davvero una camera notevole, signore.»
«Sono contento che vi piaccia.» Papà ha uno strano sorriso. «Avrai notato delle differenze dall'ultima volta che sei stata qui, non è vero, Kalpana?»
«Dire differenze è riduttivo.»
«Sì, lo so... speravo davvero che venissi ad abitare qui con tuo marito un giorno o l'altro, ho voluto creare uno spazio confortevole per una giovane coppia.»
Eros ha le labbra arricciate e l'aria disgustata, sembra che abbia appena ingoiato un cucchiaio di veleno amaro. Non riesco più a guardarlo.
Mio padre fa sentire due colpi di tosse. «Ok, vi lascio, in modo che possiate riposare. I vostri bagagli sono già stati portati qui e disfatti, i vostri vestiti sono nell'armadio. Buona serata.» Esce dalla stanza e ci lascia soli.
Eros espira a lungo dal naso. «Vado a fare una doccia.» Apre l'anta dell'armadio e resta per un attimo interdetto; tutti i suoi vestiti sono riposti con cura negli scomparti e appesi alle grucce.
Mi avvicino alle sue spalle. «Volevo dirti che non è vero che ti ho usato per i miei scopi.»
Si volta di scatto con l'espressione di un diavolo. «Vuoi forse dirmi che non mi hai fatto credere di voler venire con me per poi farci beccare in atteggiamenti intimi da tuo cugino?»
«No, non era questa la mia intenzione!»
Si avvicina di un passo. «E allora qual era? Perché se qualcuno qui ha ricevuto proprio quello che voleva quella sei tu.»
I suoi occhi scuri sembrano due pozzi neri di rabbia e rancore. Non riesco più a sostenere il suo sguardo. «Mi dispiace.»
«Tzè,non me ne faccio niente delle tue scuse. Mi consola solo il fatto che questa farsa durerà solo un anno.» Afferra alcuni suoi indumenti e sparisce dentro il bagno.
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