Capitolo 12
Eros...
Non vedo l'ora che questa pagliacciata finisca, almeno potrò togliermi questa veste bianca e lucente. Mi sembro un clown. Poi con questo turbante in testa non ne parliamo.
E non ne posso più di questo sacerdote indiano che cantilena chissà cosa, una nenia soporifera che legge da un libro davanti a sé che dovrebbe essere sacro, almeno così mi hanno detto, e che io non capisco. Avrebbero potuto mettermi almeno un traduttore. Che razza di cerimonia!
Anche stare seduto in ginocchio a terra tutto questo tempo non è comodo. Mi hanno messo un cuscino ma la situazione sta diventando dolorosa.
Il borbottio delle persone attorno a me si zittisce di colpo. Cos'è successo?
Manuel, seduto accanto a mister Narayan e all'ambasciatore alle mie spalle, smette di colpo di chiacchierare, per la pace delle orecchie di mister Narayan. Ma non capisco perché.
Una strana presenza alle mie spalle mi costringe a voltarmi. Incrocio lo sguardo scuro di Clio, quei due chicchi di caffè che sembrano scavarmi dentro. La sua espressione è rammaricata, con il viso contornato da quel tessuto rosso sembra una bambina colta in fallo e abbassa lo sguardo, al naso ha un enorme orecchino d'oro legato all'orecchio da una cordicella. Si inginocchia accanto a me e resta immobile a seguire la nenia del sacerdote. Le mani posate sulle cosce, la pelle scurita da una serie di disegni neri, come se avessero usato un centrino di pizzo come stencil su di lei. Sono tanti piccoli ghirigori, cerchietti e cornici fatti con l'henné. Conoscevo già questa strana usanza, ma non so se mi piace.
Deglutisco. Osservo il suo profilo perfetto, il suo viso semi celato da un tessuto trasparente. Il suo vestito rosso esalta i suoi lineamenti delicati, e il suo profumo dolce mi accarezza i sensi. In un lampo vari fotogrammi di lei distesa sul mio letto mentre si dimena nell'orgasmo mi rimbalzano nel cervello.
Sei un cretino, Eros. Smettila di pensarla in questo modo!
Mi guarda con la coda dell'occhio. «Fa' quello che faccio io.» Sussurra.
Come? Che devo fare?
Il sacerdote cambia nenia, cantilena in modo ancora più noioso, e Clio si china in avanti fino a toccare il pavimento con la fronte. Mi affretto a imitarla. Si tira su e mi tiro su anch'io.
Continua a prestare attenzione al sacerdote con un'espressione serafica, dolce.
È davvero bellissima vestita così. Sembra una principessa Disney.
Porca miseria! Ancora non ho capito che è tanto bella quanto subdola!
La nenia sembra non finire più. Capissi almeno cosa sta dicendo.
All'improvviso Clio si china una seconda volta con la fronte fino al pavimento e si alza in piedi. Mi affretto a imitarla.
«Vieni con me.» Bisbiglia.
Si avvicina al piccolo podio dove è seduto il sacerdote, e mi fa cenno di precederla.
Confuso, le vado davanti e lei si avvicina al mio orecchio. «Fa' quattro giri attorno al podio del sacerdote.»
Che usanza strana. Ma non mi resta che ubbidire.
Giriamo attorno a questo piccolo podio quadrato con un baldacchino e una cupola sul tetto, come i classici edifici antichi dell'india. Alcuni ragazzini ci riprendono con il loro telefonino, e tra la folla seduta a terra appare anche un fotografo che ci riprende da varie angolazioni.
Avremo dei ricordi, che bello...
Alla fine del quarto giro torniamo a sederci a terra nello stesso punto di prima. Di nuovo.
La musichetta che accompagnava la nenia si interrompe, ci alziamo tutti in piedi e questa volta sembra che il sacerdote inizi a recitare delle preghiere.
Che strazio!
Di colpo la cerimonia ha fine e tutti gli invitati ci sommergono per congratularsi con noi. Molte donne si accalcano attorno a Clio, si inchinano di fronte a lei e le fanno le proprie benedizioni. Almeno credo.
Lei sorride a tutte, e con quel sorriso sembra risplendere più di tutto l'oro che si porta addosso.
Di colpo si blocca con lo sguardo su suo padre, alle spalle delle donne che la circondano, le quali si aprono come le acque di Mose permettendogli di raggiungerla. «Sono felice di vederti con queste vesti. Sei bellissima, figlia mia.»
Lei fa una sorta di inchino con le mani giunte sotto al mento. «Grazie, padre.»
L'ambasciatore e Manuel si affiancano a noi, Clio sorride anche al padrone di casa e fa il solito inchino. «Grazie per la bellissima festa che ha organizzato, signor Bath.»
«Non mi capita tutti i giorni di ospitare un matrimonio indiano nella mia ambasciata. E meno ancora quello della figlia di un mio caro amico. Ne sono onorato.»
Il sorriso di Clio mi fa imbambolare a fissarla. È così bella... e io sono fottuto.
«Sarò felice di scortarvi in India per il fine settimana.» Narayan ha un sorriso divertito mentre mi fa salire il cuore in gola. «Ho già in mente per voi una piacevole sorpresa, spero che la gradirete entrambi.»
Sono sconvolto. «Dobbiamo andare in India?»
«Ma certo che dovete!» Manuel si immischia affiancandosi a me. Con quel turbante pare un cretino. «Altrimenti a cosa è servita tutta questa pagliacciata?»
Tre paia d'occhi indignati si posano su di lui.
Lui incassa la testa nelle spalle e tossisce a bocca chiusa. «Volevo dire... che... la cerimonia vi ha uniti come marito e moglie... e... ed è giusto che tu ora vada a visitare il luogo dove tua moglie è cresciuta.»
Scuoto la testa senza dare nell'occhio, se imparasse a stare più zitto farebbe una figura migliore.
L'ambasciatore alza una mano per indicarmi una porta in un angolo del grande salone. «Laggiù c'è una stanza dove potrai cambiarti.»
«Posso cambiarmi?»
Lui sorride, divertito. «L'ultima usanza indiana prevede che lo sposo vesta con abiti occidentali.»
«Ah... allora, se permettete, vado a cambiarmi subito. Queste vesti sono molto lussuose, ma non sono abituato a portarle e ho paura di sporcarle.» Chino la testa verso l'ambasciatore e verso il signor Narayan. «Con permesso.»
Entrambi mi sorridono, mi volto e mi allontano. Nel farlo lancio un'occhiata sbrigativa a Clio, rimasta in silenzio per tutto il tempo, anche lei imbambolata a fissarmi, e non sembra serena dall'espressione che ha.
Le do le spalle e mi avvicino alla porta. Beh, che cosa pretendevi? Che ti abbracciassi come se aspettassi di sposarmi con te da una vita?
«Aspettami, Eros.» Manuel appare al mio fianco. «Vengo con te, così mi levo anch'io questo cappello.»
«È un turbante, Manuel.»
«Sì, quel che è.» Scuote una mano in aria con fare vago e mi apre la porta. Mi fa entrare e la richiude alle sue spalle. Mi sorride e sfrega le mani fra loro. «Ce l'abbiamo fatta, lo sapevo che─»
«Non dire altro!» Sbotto a un palmo dal suo naso. «Se sono in questo casino è anche grazie a te, e al tuo grande senso degli affari, che fa schifo!»
Mi fissa con aria offesa. «Hai appena sposato una figa stratosferica e pure ricca e ti arrabbi con me?»
Non riesco più a guardarlo. Mi volto e apro un armadietto alla mia destra. Un completo elegante blu scuro con tanto di camicia e cravatta sembra aspettare solo me. Lo afferro dalla gruccia. Ha fini righe azzurre in perpendicolare.
Manuel si toglie il turbante e lo posa sul tavolino vicino. «Invece di ringraziarmi mi ignori?» A quanto pare non ha finito la sua sceneggiata. «Bell'amico che sei, e questo è il tuo ringraziamento.»
Prendo un grosso respiro e inizio a sbottonarmi questa specie di giacca inamidata che ho addosso. «Lasciami in pace, Manuel...»
«Hai appena messo la parola fine a tutti i tuoi guai finanziari, e poi questa storia durerà solo un anno, dopo potrai riprendere la tua vita monotona di prima.» Schiocca la lingua contro il palato. «Se non fosse per me saresti ancora a chiedere l'elemosina ai tuoi genitori per mangiare, e invece di ringraziarmi che fai?»
Appendo la giacca bianca dentro l'armadio. «Non mi importa se credi di avere qualche merito in tutta questa storia. Chi si è appena consacrato alla causa sono io, non te. Narayan evidentemente non ha fatto molte ricerche sul mio passato, ma non posso permettermi il rischio che la verità sulla mia carriera da gigolò si diffonda e arrivi alle orecchie di mia madre. Altrimenti avrei potuto anche dire di no a questa pagliacciata, come l'hai definita te.» Mi tolgo anche i pantaloni e prendo quelli del completo.
«E avresti voluto mandare a monte tutta questa faccenda per non dire la verità a tua madre?»
Digrigno i denti e aspiro dal naso. «Mia madre non è come le donne che conosci tu, se sapesse che facevo il gigolò ne morirebbe.» Mi chiudo la cintura e mi infilo le scarpe. «Lei sapeva che lavoravo per una società di credito, era così che giustificavo i soldi che guadagnavo.»
«Invece adesso a vendere aspirapolveri sei più appagato, eh?»
Sospiro per trattenere la rabbia. «Per favore, vattene. Che ci sei venuto a fare qui?»
Mi lancia uno sguardo schifato ed esce dalla stanza. Dal grande salone arriva una musica allegra, di festa. Sospiro e mi abbottono la giacca gessata.
Esco dalla stanzina e approdo in una vera e propria festa. I musicisti si stanno dando da fare, la gente ha ripreso a ballare come prima della cerimonia, alcune bambine saltellano festose a ritmo di musica, fanno cerchio attorno a Clio, che imita i loro movimenti.
Ride e saltella a piedi nudi insieme a loro, anche i suoi piedi sono disegnati all'henné, le prende per mano e balla a ritmo di musica ridendo spensierata, sembra lei stessa una bambina.
Il suo sguardo mi intercetta e il sorriso svanisce dalle sue labbra. Smette di ballare e mi fissa con l'espressione colpevole, bisbiglia qualcosa a una delle bambine e si avvicina. «Non vedo tua madre da nessuna parte.»
Non riesco nemmeno a guardarla. «Non ho avvisato i miei genitori.»
Il suo silenzio è più loquace di qualsiasi parola. «Ah.»
«Non mi andava di coinvolgerli in una cosa falsa.»
«Capisco.» Abbassa lo sguardo e assume un'espressione affranta.
Sarà sincera o vuole solo ingannarmi un'altra volta? Beh, non ci cascherò di nuovo.
Alcune donne si avvicinano tenendo tra le mani un lungo foulard rosso, lo alzano in aria e lo mantengono aperto sopra le nostre teste, iniziano a parlare tutte insieme in una cacofonia di suoni indistinguibili.
Senza alzare lo sguardo su di me Clio si avvicina. «Dicono che dobbiamo uscire in giardino mentre ci tengono questo lenzuolo sopra la testa.»
«Certo...» Speriamo che sia l'ultima.
Scortate dalle tante donne, avanziamo fianco a fianco fuori nell'enorme giardino fiorito. È evidente l'amicizia che lega il signor Narayan con l'ambasciatore, questo posto è stato addobbato come una bomboniera. E da quando sono arrivato li ho visti sempre accanto, in piena sintonia. Però non vedo più Manuel, che fine ha fatto?
Il fotografo appare all'improvviso davanti a noi e inizia a scattarci foto a raffica. Mi acceca con quel flash!
Strizzo le palpebre e freno l'impulso di coprirmi gli occhi con la mano. «A cosa serve questa ennesima... usanza?»
Clio si avvicina, sempre senza guardarmi in faccia. «Questa usanza di tenere un lenzuolo sopra le nostre teste avrebbero dovuto farla i miei fratelli, come a indicare che mi avrebbero protetto comunque anche se lascio la casa di famiglia. Ma dato che io non ho fratelli ma solo sorelle, e loro non sono qui, hanno deciso di farlo le donne della comunità indiana presenti.»
«Certo...»
Sbuffa dal naso in un accenno di risata.
«Che c'è da ridere?»
Alza uno sguardo divertito su di me. Non posso negarlo, quegli occhi sorridenti hanno il potere di farmi ripartire il cuore.
«È la seconda volta che dici certo alla mia spiegazione.»
Distolgo lo sguardo e lo fisso oltre le sue spalle. «Non vedo cosa ci sia da ridere.»
Cambia espressione di colpo e abbassa di nuovo lo sguardo. Per un attimo ho l'istinto di infilare le dita tra i suoi capelli e chiederle scusa, ma mi trattengo appena in tempo. La sua bellezza mi fa dimenticare quanto sia falsa.
Facciamo il giro dell'enorme giardino con questo lenzuolo mantenuto sopra le nostre teste, mentre il fotografo continua a scattare foto a raffica e la gente a ballare e a divertirsi attorno a noi. Ho paura che questa festa durerà ancora troppo...
Il lenzuolo viene tolto e ripiegato e noi ci ritroviamo da soli a osservare la festa che si svolge davanti a noi. Nessuno dei due osa parlare, nessuno dei due vuole interrompere questa tregua in cui gli invitati a questa festa non sono interessati a noi.
Tra la folla che chiacchera e ride si stacca una donna con un lungo vestito grigio, stretto in vita da un ricamo che esalta una scollatura vistosa. Ah, la riconosco, è quella che ha portato via Clio da casa mia. Forse l'amica di cui mi ha parlato.
«Eros, posso presentarti Susanna Lenzi?» Clio me la indica.
Questa ci raggiunge e mi tende una mano. «Mi fa molto piacere conoscerla, signor Sansoni. Sono Susanna Lenzi, sono una cara amica di Clio, nonché amica della sua defunta madre.»
Resto un attimo perplesso se contraccambiare la stretta, ma in fondo questa donna non mi ha fatto niente. Le stringo la mano. «Piacere di conoscerla, signora Lenzi.»
«Signorina, grazie. Volevo farle sapere che mi fa molto piacere ospitarla nella mia casa, per questa sera.»
Questa mi è nuova. «Pensavo che avremmo dormito qui in ambasciata, o presso il signor Narayan.»
«Anch'io.» Che lo pensasse anche Clio mi rende ancora più stupito.
Susanna le sorride, e sorride anche a me. «Lo so, e in effetti è la cosa più logica da pensare dopo la cerimonia di matrimonio. Ma ho parlato con tuo padre, gli ho espresso il desiderio di averti un'ultima volta in casa mia prima che tu parta per l'India con tuo marito. E gli ho fatto capire che anche a te sarebbe piaciuto. E...» Si stringe nelle spalle.
Questa donna avrà sì e no cinquant'anni ma ha un modo di fare da ragazzina.
Clio le sorride e le afferra le mani. «Che bello, ti ringrazio!»
«Ho già fatto portare alcune cose che possono servirvi nella mia stanza per gli ospiti al piano di sopra, così avrete tutta la privacy che desiderate.»
«Perché non me lo hai detto prima?»
«Volevo chiederlo a tuo padre prima di dirtelo, non volevo che avesse già altri programmi per voi e io rischiassi di rovinarglieli. Anche se lo sai che quando si tratta di accontentarti farebbe di tutto.»
Le guance di Clio si colorano di un delicato rosso. La fa sembrare una bambina.
Do due colpi di tosse. «Immagino che non posso rifiutarmi davanti alla sua gentilezza, signorina Lenzi.»
Forse ho risvegliato in loro la consapevolezza che esisto anch'io perché entrambe mi guardano per un attimo a bocca aperta.
«Ah, ha ragione, signor Sansoni. Deve scusarmi. Lei aveva già in mente qualcosa per questa sera?»
«Certo che no. Tutto questo per me è tanto improvviso quanto inaspettato. La vostra ospitalità è ben accetta.» Lancio un'occhiataccia a Clio. «Andare nel mio appartamento credo che non sia consigliabile a questo punto, farei sentire entrambi a disagio.»
Quei due chicchi di caffè perdono in un istante tutta la loro vivacità, l'allegria e il colorito spariscono dal suo volto.
La signorina Lenzi dà due colpi di tosse. «Appena potremo andare sarò felice di accompagnarvi. Ora, scusatemi, ho promesso a una signora che le avrei insegnato le differenze tra un matrimonio indiano e uno italiano.» Si allontana di scatto lasciandoci soli.
Clio ha lo sguardo rivolto a terra. «Vorrei potermi in qualche modo scusare per─»
«Non mi sembra né il luogo né il momento adatto per discutere di queste cose.» Distolgo lo sguardo dal suo viso dispiaciuto. «Non voglio dare spettacolo di fronte a tutta questa brava gente.»
Per fortuna ha la compiacenza di rimanere in silenzio.
***
Susanna apre la porta della camera degli ospiti e accende la luce. «Ed eccoci arrivati. Ho già fatto portare alcune cose che possono esservi utili negli armadi, avete un bagno tutto per voi.» Si rivolge solo a me. «Se ha bisogno di qualcosa, Clio può esserle utile, conosce questa casa bene quanto me. Passate una buona notte.» Mi sorride, si china per baciare Clio sulle guance e si allontana.
Clio si volta da sopra la spalla. «Buona notte, Susanna.»
Lei le sorride e sparisce lungo il corridoio.
Faccio due passi nella stanza e arrivo ai piedi dell'enorme letto, sormontato da almeno una decina di cuscini e ricoperto da un copriletto ricamato con dei fiori. I comodini e l'armadio di legno, laccati di bianco, fanno sembrare di essere in una stanza di un hotel di lusso a cinque stelle. Le linee morbide dei mobili sono accentuate sulla testata del letto. Letto sul quale pende una zanzariera appesa al centro del soffitto e tirata ai quattro angoli da dei fili invisibili. In un angolo della stanza, vicino all'enorme bovindo, c'è un caminetto spento, con un parascintille di ferro battuto con una intricata fantasia.
Quando i soldi non mancano...
Clio chiude la porta alle mie spalle. «Spero che la stanza sia di tuo gradimento.» Tiene le mani unite dietro di sé e lo sguardo basso.
Scosto la tenda, appoggio un ginocchio sui cuscini del bovindo e guardo fuori. Oltre il rigoglioso giardino illuminato da lampioni a energia solare si vedono le altre villette della zona ricca della città. «Di cosa hai detto che si occupa la tua amica Susanna?»
«Ha una cattedra all'università, insegna scienze politiche.»
Mi volto. «Allora era una delle tue insegnanti?»
Mi fissa sorpresa. «Sì... ero nella sua classe.»
Annuisco. Apro l'anta dell'armadio e noto con piacere un pigiama maschile di seta appeso in bella mostra. In basso la mia valigia con i miei effetti personali. Mi allargo la cravatta e mi tolgo la giacca. Mi sbottono la camicia e la faccio uscire dai pantaloni. Mi sento già meglio.
«Che stai facendo?»
Sussulto per un attimo alla sua domanda ma non ho intenzione di fermarmi a causa sua. «Sono stanco, è stata una giornata stressante.» Appendo la giacca e la cravatta a una gruccia, mi volto e mi tolgo le scarpe, mi sbottono i pantaloni e alzo lo sguardo su di lei, seduta al centro del letto, ancora con quel vestito rosso che si allarga attorno alla sua figura come la corolla di un fiore. I suoi occhi, quegli occhi sorprendenti che mi guardano feriti, hanno tutta l'aria di appartenere a una persona in pena.
Deglutisce. «Volevo avere la possibilità di scusarmi con─»
«Non ce n'è bisogno.» Lei sussulta alla mia interruzione e abbassa lo sguardo. Mi tiro giù i pantaloni e rimango in mutande di fronte a lei. «Guardami.»
Sposta lo sguardo dappertutto tranne che su di me.
Faccio un passo verso di lei e alzo la voce. «Guardami, ho detto!»
Alza quei due chicchi di caffè su di me. Ho un attimo di defaillance.
Digrigno i denti. «Se ho acconsentito a sposarti è solo perché sono un signore, a differenza di quello che puoi pensare di me.» Apre la bocca per ribattere ma la blocco con un cenno della mano. «Non ha importanza quello che c'è stato tra noi, ho acconsentito a sposarti perché, a detta di tuo padre, ho approfittato di te e della tua ingenuità e per colpa di qualcuno che ha avvisato i paparazzi adesso si è sparsa la voce di noi, e ha macchiato anche la sua immagine. Ma per fortuna anche tuo padre è un signore e mi ha dato un anno di tempo per salvare le apparenze e sciogliere questo matrimonio fasullo. A patto che non ti tocchi nemmeno con un dito.» Mi chino sul letto e mi porto davanti al suo viso. «E se Dio vorrà, dopo questo anno potrò non vederti mai più.» Le do le spalle di colpo e mi metto il pigiama.
Lei rimane immobile a fissare in basso.
Mi infilo sotto il copriletto e spengo l'abat-jour. «Per favore, spegni la luce quando hai finito.»
Si alza e presumo inizi a spogliarsi. Dev'essere un'operazione complicata perché ci sta più del tempo che ritenevo necessario. Si avvicina alla porta del bagno, accende la luce e spegne quella della stanza. Apre l'acqua della doccia e si tuffa sotto il suo getto.
Da qui riesco a vedere solo un angolo della doccia, ogni tanto appare un braccio o un polpaccio affusolato, la mia fantasia riesce a riempire le lacune di quello che non riesco a vedere.
Riesco a immaginare quel seno pieno e tondo colpito dal getto d'acqua, vedo la sua mano passare la spugna insaponata lungo le sue curve, sulla pancia piatta e attorno ai fianchi. Riesco a immaginarmela mentre versa dell'altro sapone sulla spugna per poi passarsela tra le cosce, tra quelle pieghe che so sapere di buono, di esotico e di dolce. Mi immagino il suo corpo ricoperto di schiuma profumata, scivoloso al tatto. Morbido... invitante.
All'improvviso appare alla porta avvolta in un accappatoio, i capelli trattenuti in cima alla testa da una pinza enorme. Il tessuto le aderisce addosso come una seconda pelle, incapace di assorbire tutta l'acqua in eccesso.
Ci fissiamo negli occhi, un tamburo sotto ai pettorali e quel muscolo involontario che mi tira tra le gambe.
Distolgo lo sguardo, cerco di calmare i miei bollenti spiriti.
Lei si porta dalla parte opposta del letto, si toglie l'accappatoio e mi azzardo a sbirciarla un'ultima volta. Ho una fugace visuale del suo corpo perfetto e nudo. Mi volto di scatto, accidenti a me e alla mia curiosità.
Si avvicina all'armadio e apre un'anta, traffica con le grucce, forse indossa una camicia da notte. Torna al letto e il suo peso muove il materasso. Si stende e si copre col lenzuolo, il profumo del suo bagnoschiuma mi accarezza il naso.
Il solo immaginarla distesa accanto a me mi fa rizzare i peli sulle braccia, il sangue pompa più veloce, ricordandomi necessità che non voglio soddisfare.
Mi sto accorgendo di aver appena accettato di vivere per un anno dentro una gabbia di tentazioni.
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