Capitolo 11
Un uccellino si posa sul davanzale della mia finestra, con due saltelli si avvicina al vetro e guarda dentro, girando la testa a destra e a sinistra.
Qualcuno bussa alla porta, ma lo ignoro.
L'uccellino fa un saltello verso il bordo esterno del davanzale e becca qualcosa tra le sue zampette. Con un altro saltello si avvicina di nuovo alla finestra e torna a guardare dentro.
Chiunque sia alla porta bussa di nuovo e, dato che non rispondo, questa si spalanca. L'uccellino, spaventato, vola via.
«Clio...» Susanna avanza verso il letto e si ferma a guardarmi.
Non distolgo lo sguardo dalla finestra ma sento i suoi occhi addosso, torreggia su di me per diversi istanti. Sospira e si siede sul materasso. «Cosa hai intenzione di fare?»
Faccio spallucce. «Morire.»
«Non esagerare, cosa ti ha detto tuo padre?»
Sospiro. «Mi ha chiesto cosa provo per lui.»
Anche se non la guardo in faccia intuisco lo stesso la sua espressione stupita. «Davvero?»
Annuisco e mi volto verso di lei. «Ma la cosa brutta è che lo ha chiesto anche a lui.»
Scuote le mani davanti a sé. «Aspetta, aspetta un attimo. Spiegami tutto dall'inizio. Tu sei arrivata lì e...?»
Prendo un bel respiro. «Mi ha fatto accomodare e dopo alcuni istanti è arrivato Eros, abbiamo parlato della festa, e poi è arrivato Hiresh. Papà ha voluto che gli raccontasse tutto quello che era successo ieri sera, e Hiresh gli ha detto che era stato avvisato da uno dei suoi uomini che mi ero recata a casa di uno sconosciuto senza avvisare nessuno e per timore che mi succedesse qualcosa era corso lì, ma era arrivato tardi e ha voluto darmi una lezione. Per questo mi ha schiaffeggiata.»
Susanna alza un sopracciglio, disgustata. «E tuo padre non ha fatto niente?»
«Gli ha proibito di farmi seguire ancora dai suoi uomini.»
«E lui?»
«Dalla faccia non era contento, ma non ha obiettato. Papà gli ha fatto capire che io non sono cresciuta con la stessa mentalità delle donne indiane, quindi non doveva permettersi di alzare le mani su di me.»
«Spero che almeno glielo abbia detto con tono duro, anche se secondo me avrebbe dovuto fargliela pagare più severamente.» Alza gli occhi al cielo.
Lo penso anch'io. «Credo che per lo smisurato ego di Hiresh questo sia bastato per dargli una lezione.»
«Può darsi...» Stringe le labbra. «E quand'è che ti ha chiesto cosa provi per Eros?»
«Dopo che Hiresh se n'è andato.»
Sgrana gli occhi. «Ah, lo ha mandato via?»
Annuisco.
«E, insomma, tu cosa gli hai risposto?»
«Che... sono stata bene con lui.»
Susanna mi fissa, stringe le labbra e gonfia le guance. Si tappa la bocca per trattenere una risata ma scoppia a ridere lo stesso.
Le lancio un'occhiataccia. «Sei scema?»
Lei ridacchia dietro la mano. «Scusa, ma non riesco a non immaginare in che modo tu possa essere stata bene con lui.»
Le do una spinta. «Dai, smettila! Non intendevo in quel senso.» Forse un pochino.
Strizza gli occhi e trattiene la risata. «Ok, la smetto...» Ride ancora un po'.
«Basta!» Fa ridere anche me.
Prende un respiro e smette di ridere. «OK, ho smesso, continua.»
Scuoto la testa. «A volte sembri una quindicenne invece di una donna rispettabile di cinquant'anni.»
Getta gli occhi al cielo in un gesto di civetteria. «Lo prenderò come un complimento. Grazie. E poi?»
Sospiro. «E poi lo ha chiesto a lui.» Abbasso lo sguardo. «Lui gli ha risposto che sono molto bella, ma che vuole una donna che lo rispetti.» Se penso alla sua espressione mentre lo diceva mi nasconderei in una buca.
Susanna schiocca la lingua contro il palato. «Sono certa che fosse solo arrabbiato.»
Scuoto la testa. «Mi odia, Susanna. E ha ragione, l'ho tirato in una trappola...»
Non riesco a non pensare a come abbia potuto non prevedere un risvolto simile. Eppure in parte lo sospettavo, ma chissà per quale motivo i miei scrupoli non mi hanno impedito di portare a termine quello che mi ero prefissata.
«E tutto per non sposare Hiresh.» Concludo ad alta voce.
Susanna resta in silenzio con me, mi massaggia la spalla. «Cos'è che ti dispiace di più di tutta questa storia, di averlo ferito o di aver perso la verginità?»
Non capisco la sua domanda. «Di averlo ferito, è ovvio! Non lo conosco molto, ma lo sguardo che mi ha rivolto quando ha realizzato di essere stato preso in giro mi ha... colpito.»
«Sono sicura che troverai un modo di farti perdonare da lui. E io ti aiuterò, in fin dei conti sono io che ti ho imbeccata in questa messinscena.»
Scuoto la testa. «No, invece. Ha detto chiaro e tondo che non è interessato a me.»
Il suo respiro diventa l'unico rumore che riesco a sentire.
Una mano nervosa bussa alla porta e Teja si affaccia. «Kalpana, mister Aditi chiama te a telefono.»
Trattengo il respiro e scambio uno sguardo confuso con Susanna. E adesso cosa dovrà dirmi?
Prendo coraggio e mi alzo dal letto, passo davanti a Teja che non alza nemmeno lo sguardo su di me e mi precipito verso lo studio. Ha lasciato la cornetta posata sulla scrivania di Susanna, in attesa. Non so perché, ma ho paura di quello che mio padre deve dirmi.
Raggiungo la scrivania e prendo la cornetta. «Pronto?»
«Il signor Sansoni alla fine ha cambiato idea su di te.»
Dire che sono confusa sarebbe proprio minimizzare al massimo.
«Che vuoi dire?»
«Tu sposerai quell'uomo, Kalpana. Ognuno avrà ciò che desidera.»
Qualcuno mi aiuti.
«Puoi essere più preciso?»
Sospira, esasperato. «Adesso vuoi farmi credere che non è questo il risultato che volevi ottenere?»
Sono rammaricata, persino papà se n'è accorto. Chissà cosa deve pensare Eros di me.
«Sì... cioè... sì. Ma non credevo che avrebbe accettato.»
«Ci sono state alcune situazioni che hanno giocato a tuo vantaggio. Dovresti essere felice di non dover sposare Hiresh.»
«Scusa, papà, ma io continuo a non capire...»
«Quel che ti serve sapere è che il signor Sansoni ha acconsentito a sposarti tra due giorni, con rito indiano per giunta. Confido su Teja affinché ti aiuti a recuperare una veste adeguata e a prepararti per essere una perfetta sposa indiana. Gliene ho già parlato e mi ha assicurato che non ci sono problemi.»
Sono senza parole. «Ma─»
«Adesso vuoi forse dirmi che non desideri sposarlo e preferisci sposare HIresh?»
«Sì... cioè, no, ma─»
«Allora niente ma. Ti avviserò per dirti dove e quando, anche se presumo che si farà qui in ambasciata. L'ambasciatore non vede l'ora di preparare tutto.» Aggiunge con una nota di compiacimento.
Sono a bocca aperta. «Va bene...» Borbotto, incapace di reagire.
«Allora ci sentiamo domani, ti auguro buona giornata, Kalpana.»
«Ciao...»
Butto giù la cornetta e resto a fissare di fronte a me, senza mettere a fuoco niente. Sono confusa, Eros ha acconsentito a sposarmi? Ma se ha detto che non vuole una donna che non lo rispetta! E poi non siamo innamorati... beh, però papà ha ragione, era questo quello che volevo.
Mi volto per uscire dallo studio, metto una mano sulla maniglia e mi blocco. No... non è possibile, deve essere stato mio padre a convincerlo. O a costringerlo.
Apro la porta e vago lungo il corridoio verso la mia stanza. Susanna è alla finestra, appena entro si volta e mi raggiunge. «Che ti ha detto?»
Le lancio un'occhiata confusa e scuoto la testa. Mi siedo sul letto e mi rannicchio, portandomi le ginocchia al petto e avvolgendo le gambe con le braccia.
Susanna si siede accanto a me. «È andata così male? Cosa ha detto, vuole farti tornare in India per sposare Hiresh?»
«No...» Scuoto la testa e mi volto verso di lei. «Ha detto che Eros ha acconsentito a sposarmi.»
Lei sgrana gli occhi e resta a bocca aperta. «Dici sul serio?»
Annuisco. «Tra due giorni.»
Il suo sguardo è indecifrabile, non capisco se è felice o divertita. «Beh... abbiamo raggiunto il nostro scopo. Era questo che volevamo, no?»
La fisso sconvolta. «Quale, quello di sposare un uomo che mi odia?»
Lei stringe le labbra, distoglie lo sguardo e mi massaggia le spalle. «Beh... guardala dal lato positivo, avrai la possibilità di farti perdonare da lui in ogni modo. Almeno così Hiresh non sarà più un problema.»
Roteo gli occhi, in questo momento Hiresh è l'ultimo dei miei pensieri.
Non riesco a togliermi dalla mente il suo sguardo ferito quando ha realizzato di essere stato preso in giro da me, le parole che ha detto a mio padre, il suo volere una donna che lo rispetti... l'avergli dimostrato l'opposto di quello che vorrebbe da me.
Come posso sposare un uomo in questa situazione?
«Ehi, un momento!» Susanna mi distrae di colpo dalle mie riflessioni. «Hai detto che vi sposerete tra un paio di giorni?»
Annuisco. «Sì, perché?»
«Dobbiamo preparare tutto, comprarti il vestito, trova─»
«Ha detto papà che ha già chiesto a Teja per tutto quello che mi servirà, e lei ha detto che non ci sono problemi.»
«A Teja? Non dirmi che vi sposerete con rito indiano!»
Faccio spallucce. «Sì...»
***
Due giorni dopo...
Mi fisso il dorso della mano e apro le dita, osservo l'intricato disegno all'henné che Deepika ha fatto per l'addio al nubilato, non sapevo che Teja conoscesse qui una donna indiana che sapesse decorare le mani in questo modo, è stata bravissima.
È davvero curiosa questa usanza di dipingere le mani durante l'addio al nubilato. Sempre che il mio si possa definire addio al nubilato, dato che non abbiamo fatto niente di tutte le tradizioni indiane che esistono. E nemmeno di quelle italiane. Non che abbiamo avuto molto tempo, siamo rimaste in casa, ognuno delle donne della comunità mi ha aiutata a prepararmi per oggi.
Alzo lo sguardo sul mio riflesso allo specchio, l'orecchino al naso e il trucco curato del mio viso mi fanno sembrare diversa. Sembro a tutti gli effetti una donna indiana. Non che mi dispiaccia, anche questo fa parte di me... è solo che ho sempre pensato al mio matrimonio come a un giorno felice, un giorno in cui avrei sposato l'uomo che amo... che non mi odia. Il vestito non ha molta importanza se il requisito fondamentale non è disponibile, e adesso, con il mio lehenga choli addosso, sono tutto tranne che felice.
Bussano alla porta e Teja si affaccia con il mio Sari tra le braccia. «Tu pronta adesso?»
A malincuore, annuisco. Non posso cacciarla una seconda volta.
Lei si avvicina con la sua solita espressione indecifrabile e prepara il sari, fa un nodo all'angolo e lo inserisce dentro il bordo dei pantaloni del mio lehenga, me lo avvolge attorno alla vita una volta e lo ripiega tra le dita fino alla fine, saranno sei metri di stoffa in tutto. Me lo gira attorno al corpo un'altra volta e il resto della stoffa me lo posa sulla spalla sinistra, in modo che il lembo finale mi accarezzi il fondoschiena. Assicura la parte libera attorno alla cintura e il lembo che resta lo ripiega tra il pollice e l'indice della mano, come a formare un ventaglio, fino a raccoglierlo tutto e ad assicurarlo al bordo della gonna.
Fa un passo indietro e mi guarda, accenna un sorriso. «Tu essere bella, Kalpana.»
Sposto lo sguardo al mio riflesso. Il rosso acceso, adornato da ricamo Gota dorato, mi fa sembrare una principessa. L'oro che mi hanno messo addosso, dalla coroncina all'orecchino al naso, e perfino i vari bracciali e anelli, mi fanno risplendere come se fossi una stella.
In perfetto contrasto con la mia faccia avvilita.
Teja si volta e raccoglie i miei vestiti in giro per la stanza. «Sentire te fortunata per matrimonio con italiano?» Piega i pantaloni del mio pigiama e li rimette nel cassetto.
Fortunata? «Non saprei, Teja. Tutto quello che volevo era non sposare Hiresh.»
Chiude l'armadio e si avvicina al letto. «Mister Narayan avere deciso al posto di te, questo è importante.» Afferra le lenzuola e le stende in ordine sul materasso, sprimaccia il cuscino e ripiega il lenzuolo. «Fretta di sposare solo io no capire. Cerimonie di fidanzati no festeggiare come se no importare.» Scuote la testa, contrariata.
Torno a guardare il mio riflesso. «Voglio credere che le cose si sistemeranno anche per me.» E che dopo un iniziale smarrimento io ed Eros potremo imparare a conoscerci e a rispettarci, se non ad amarci come si conviene tra moglie e marito. Ammetto a me stessa che se la situazione non fosse così mi sentirei la donna più fortunata del mondo a sposare un uomo come lui. Per quel poco che lo conosco ho sentito la sua anima, la sua bontà, la sua forza, la sua educazione. La sua essenza è simile alla mia, ne sono certa.
Teja mi passa alle spalle per uscire dalla mia stanza, la sua espressione indecifrabile mi lascia addosso uno strano senso di fastidio.
Con un sospiro mi volto verso la porta per seguirla verso il mio destino.
Susanna appare all'improvviso davanti a me, si appoggia allo stipite e segue Teja con lo sguardo. Fa una faccia indispettita e scuote la testa, mi guarda e sorride. «Sei bellissima, Clio. Togli il fiato.» In due passi mi raggiunge e mi prende per mano. «Devo ammetterlo, le vesti da sposa indiane sono qualcosa di spettacolare.»
Abbasso lo sguardo sul mio vestito. «Sì, è vero. Anche a me sono sempre piaciute molto.»
In un attimo afferra entrambe le mie mani e le stringe tra le sue. «Non aver paura per questa unione. Lo so che non sembra nascere sotto i più buoni auspici, ma nessuno può sapere meglio di me quanto tu ti meriti di essere felice. Vedrai che tutto si sistemerà. Il tuo dio dell'amore imparerà ad amarti, altrimenti vuol dire che non ti merita.»
Non so se sono io a meritare lui. «Non voglio illudermi, Susanna. Anche se ammetto che la mia speranza è uguale alla tua.»
Mi tira a sé di colpo e mi abbraccia. «Il bene trionfa sempre, Clio, basta solo saper aspettare il momento giusto.»
Un magone improvviso mi chiude la gola e una lacrima scappa solitaria. Mi stacco dal suo abbraccio e la asciugo. «Grazie.»
«Dai, andiamo.» Mi posa una mano sulla spalla e mi accompagna in salone. Teja, Deepika e altre donne indiane sono in attesa di festeggiare il mio matrimonio. Se non ci fossero state loro non avrei nemmeno trovato il modo di prepararmi come si deve.
Alcune mi guardano e ridacchiano sotto i baffi.
«Che c'è, che avete da ridere?»
Mi indicano la porta alle mie spalle, mi volto e un ragazzo con una vistosa macchina fotografica a tracolla mi sorride. «Pronta per qualche scatto?»
Oddio...
Susanna si copre la bocca e ride dietro la mano.
«Tu lo sapevi!»
«Scusami... avrei dovuto dirtelo, ma mi è passato di mente quando ti ho visto con quella faccia avvilita. Ma adesso la tua faccia mi fa troppo ridere.»
Getto gli occhi al cielo. «E va bene... facciamo queste foto.»
***
Il giardino d'ingresso dell'ambasciata è adornato con ghirlande enormi di fiori appese alle pareti e attorno al pozzo nella aiuola al centro. Nastri colorati e che pendono come scie luminose di stelle cadenti. È maestoso.
Per fortuna che il fotografo è dovuto correre a prendere altri rullini che si era dimenticato, altrimenti avrebbe preteso di scattare altre fotografie con questo sfondo. Dopo tre scatti mi ero già stancata di essere in posa.
Alcuni bambini sono rimasti qui a suonare e ballare, ci sono un paio di bambine vestite e truccate come se fossero grandi, ballano a ritmo della musica etnica.
Avanziamo verso la porta che dà nel corridoio pieno di opere d'arte e il mio cuore inizia a farsi sentire, a sbattere contro la cassa toracica come se volesse uscire. Ad ogni passo sbatte più forte.
Saliamo i gradini e percorriamo il corridoio. Tutti gli occhi delle opere d'arte sono puntati su di me, mi stanno giudicando. Loro hanno il potere di vivere in eterno, come tutte le cose più belle che esistono su questa terra, per questo si possono permettere di giudicare. E io non sono degna di passare loro davanti.
Entriamo nel grande salone dove si svolse la festa di papà. Gli invitati sono seduti a terra, dividono la zona in due. La cerimonia è già a buon punto, come è di prassi nell'usanza indiana. Di fronte al sacerdote che recita testi sacri, al centro tra i due gruppi di persone, Eros è seduto a terra, vestito di bianco e adornato d'oro. In testa ha un enorme turbante rosso con una piuma al centro.
I battiti del mio cuore si fanno più insistenti, più forti.
Mi avvicino alle sue spalle ma prima che possa raggiungerlo si volta. I suoi occhi seri e penetranti mi trafiggono.
Perdo un battito.
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