Capitolo 1
Eros
La scritta AGENZIA UOMINI E DONNE sulla porta a vetri sembra qualcosa di serio, di un'azienda onesta, di quelle che ricerca modelli per realizzazioni televisive. Non si direbbe mai quello che nasconde in realtà questa scritta argentata ed elegante.
La spingo ed entro dell'atrio. È più di un anno che non metto piede qui dentro, ma non è cambiato niente. Ci sono gli stessi divanetti in pelle bianca con quelle piante finte più alte di te, gli stessi tappeti grigi argentati, e lo stesso bancone sulla sinistra. Pure Alice è sempre la stessa, con quel rossetto rosso acceso sulle labbra carnose e i capelli biondo platino raccolti in un'acconciatura antica. Porta ancora camicette striminzite.
Sgrana gli occhi e balza in piedi. «Eros? Sei davvero tu?» Fa il giro del bancone si piazza davanti a me, costringendomi a fermarmi al centro dell'ingresso. La scollatura della sua camicetta sta per scoppiare con quella quarta che si ritrova. «Che bello rivederti, era una vita che non venivi più a trovarci. Come stai?» Mi abbraccia e mi bacia sulle guance.
Le sorrido, in fondo mi fa piacere rivederla, anche se le sue attenzioni non mi sono mancate. «Sto bene, grazie. Tu?»
Mi sorride e si porta una mano nei capelli, come fanno le modelle in posa. «Bene. Non mi posso lamentare. Qual buon vento ti riporta qui dentro?»
«Manuel mi ha chiamato, penso voglia parlarmi.»
Lei unisce le mani e sgrana gli occhi, entusiasta. «Non dirmi che torni a lavorare con noi. Sarebbe bellissimo!»
Le lascio uno dei miei famosi sorrisi straccia-mutande. «Non credo proprio. Ormai ho abbandonato.» Mi volto e mi allontano verso l'ascensore.
Lei rimane a fissarmi dove si trova, al centro dell'ingresso, sospirando e sbavando come faceva prima. Ha sempre avuto un debole per me, e a quanto vedo non le è ancora passata dopo tutto questo tempo.
Premo il pulsante dell'ascensore e attendo che le porte si aprano, entro nell'abitacolo di un metro quadrato e premo il secondo piano.
Le porte si riaprono nel corridoio.
Anche questo non è cambiato per niente, ma forse hanno ritinteggiato le pareti. Questo beige leggero è troppo acceso e lucido per non essere nuovo.
Alla fine del corridoio, di fronte all'ufficio di Manuel, appare la scrivania di Emma, la sua segretaria sessantenne. Ha lo sguardo fisso sullo schermo del suo computer, gli occhi sembrano enormi attraverso quelle lenti spesse come fondi di bottiglia. Non deve essersi accorta del mio arrivo.
«Ciao, Emma. Buongiorno.»
Alza di scatto la testa canuta e abbassa gli occhiali fino alla punta del naso. «Oh, dio mio, Eros! Da quanto tempo! Che ci fai qui?» Strizza gli occhi in quel sorriso materno che ho sempre adorato.
«Manuel mi ha dato un appuntamento, ha detto che deve parlarmi urgentemente. Come stai?»
Lei si alza e aggira la scrivania. «Benissimo, grazie!» Mi prende per mano e mi bacia sulle guance. «Mi fa davvero piacere vederti.»
Ricambio il suo bacio. «Anche a me fa piacere vederti. Sembri ringiovanita.» Indico la porta dell'ufficio. «Manuel è libero?»
«Se ti ha chiesto lui di venire sono sicura che lo sia.» Torna a sedere alla sua scrivania e alza la cornetta del telefono interno. «Manuel? C'è qui Eros, dice che ha un appuntamento con te.» Annuisce. «Ok, lo faccio subito entrare.» Chiude il telefono e mi sorride. «Entra pure, ti sta aspettando.»
«Grazie, Emma.»
Mi avvicino all'ufficio di Manuel e busso.
«Avanti!»
Apro la porta e mi affaccio. «Posso?»
«Oh, Eros, vieni, vieni.» Mi fa cenno di entrare, si appoggia contro lo schienale della sedia e si accarezza la pancia. «Accomodati.» Indica le due poltroncine di fronte a sé. «Mi fa molto piacere che sei venuto subito. Come ti vanno le cose?»
Richiudo la porta e mi accomodo davanti a lui. «Abbastanza bene, grazie. Di cosa volevi parlarmi, nella tua email mi hai fatto capire che c'è qualcosa di importante e sono curioso.»
«Sì, esatto, ci sono delle novità gustose.» Congiunge le dita e mi fissa con un sorrisetto sornione, freme dal volermi dire queste novità, lo vedo. «Hai presente Aditi Narayan?»
«Aditi Narayan? No... Aspetta, quel Aditi Narayan? Il proprietario della più grande piantagione di caffè dell'India?»
«Proprio lui.»
«E ti ha chiesto di procurargli due ragazze piacenti?»
Il suo sorriso si fa imbarazzante. «Meglio. Ho rimediato due inviti per la festa di sua figlia.»
«Quale festa?»
«La festa che ha organizzato per la figlia, e che si terrà in villa Cordato tra tre giorni.»
Sbatto le palpebre. «Wow, qui in Italia?»
«Sì, la figlia abita qui da tempo e ogni tanto lui viene a farle visita.»
«Non sapevo che avesse una figlia qui in Italia.» Non che mi sia mai interessato di questo tizio. È solo molto famoso per essere una persona molto ricca.
«In effetti è proprio per via della figlia che ti ho chiamato.»
Sposto lo sguardo attorno a me, spaesato. «Che c'entro io?»
Lui appoggia i gomiti sulla scrivania e congiunge i polpastrelli davanti al naso. «Devi sapere che durante questa festa Aditi vorrà conoscere il fidanzato della figlia, solo che lo sanno tutti che la figlia è zitella.»
Sono sempre più confuso. «E allora?»
«Come allora? La figlia in questione è la primogenita di Aditi, e come tale un giorno erediterà la piantagione di caffè, con tutto ciò che concerne. Ti immagini se potessimo mettere le mani sul fatturato che quella piantagione ricava al mese?»
«Sì, me ne rendo conto... ma non riesco a capire cosa c'entro io.»
Lui chiude gli occhi e si massaggia le tempie con i polpastrelli. «Pensa se fossi tu l'uomo che la figlia di Aditi presentasse a suo padre.»
Mi casca la mascella. «Stai scherzando?» Balzo in piedi, come se un ago mi avesse punto il fondoschiena. «Per chi mi hai preso, io ho lasciato questo mestiere!»
Alza entrambe le mani. «Calma, calma, Eros. Non ti sto mica chiedendo di andarci a letto.»
Gli rivolgo uno sguardo affilato. «E cosa, allora? A me sembra che mi stai chiedendo proprio quello!»
«Oddio,» si guarda attorno imbarazzato. «Potrebbe sembrare ma in realtà ti sto chiedendo proprio il contrario.»
Corrugo la fronte e mi rimetto a sedere. «Non ti seguo, spiegati meglio.» Sarò anche scemo ma mi ha incuriosito.
Si china in avanti e affila lo sguardo. «Quello che dovresti fare è sposare la figlia di Narayan e farti includere nel testamento. Poi divorziare.» Si china ancora di più. «Se il matrimonio non viene consumato...» Sussurra.
Che cosa? Sta dicendo sul serio? Gli è andato di volta il cervello!
«Ma ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo di fare?»
Si appoggia allo schienale. «Ti sto chiedendo di guadagnare tantissimi soldi, puliti, più di quanti tu abbia mai guadagnato in vita tua. E la cosa bella sarà la possibilità che ne verrà dopo, quando avrai una percentuale sicura del fatturato futuro della piantagione.»
Scuoto piano la testa. «È pazzesco...»
«Se ci pensi non lo è affatto.»
«Ma perché non lo fai fare a Pavesi... o a Micheli?»
«Perché Pavesi in realtà tra poco si sposa e Micheli... in realtà si sta occupando di un'altra faccenda. E poi sei tu l'uomo migliore che ho.»
«Che avevi.»
Sbuffa. «Non cambia niente.»
Sospiro. Sono tentato. Se ripenso ai soldi che facevo quando lavoravo per lui potrebbe valerne la pena. Però c'è un motivo per cui ho abbandonato.
Scuoto la testa. «Non puoi chiedermi questo. E poi io odio gli indiani, hanno tutta una serie di credenze strambe, le donne sono tenute segregate, gli uomini si credono tutti degli dèi scesi in terra...»
Mi fissa in silenzio per un po'. «Sei più riuscito a comprarti la macchina nuova?»
Oddio, ecco che ci risiamo. «No, ma lo sai che per me quella Citroen non è solo un mezzo di trasporto, è un ricordo─»
Agita di scatto le mani in aria. «Ok, ok, lascia perdere la macchina. Che ne dici dei tuoi genitori? Se accetti potresti comprare loro la casa che si meritano e farli vivere la pensione nel modo più sereno possibile. E poi, sbaglio o devi ancora finire di pagare il tuo mutuo?»
Sbuffo. «Questo è un ricatto.»
Sbatte appena la mano sulla scrivania e sorride. «Oh, andiamo, non ti sto mica puntando una pistola contro. Ti sto solo chiedendo di pensarci su. Tutto qui.»
«Tzé, mi dispiace, posso dirti già da ora che non mi presto a una cosa simile.»
«No, non voglio che tu mi dia una risposta adesso, voglio che ci pensi prima su, poi mi dirai. Ti do ventiquattro ore di tempo.» Mi lancia un'occhiata da cucciolo indifeso. «Fallo per la nostra amicizia.»
Scuoto la testa e mi alzo. «Ci vediamo.»
«Ci penserai, vero?» Mi fissa speranzoso.
Apro la porta. «Ciao, Manuel.» Esco e la richiudo dietro di me.
Emma alza uno sguardo sorridente ma subito il suo sorriso svanisce e corruga la fronte. «Tutto a posto, Eros?»
Scuoto la testa e butto fuori una grossa boccata d'aria. «Sì. Grazie, Emma, tutto a posto.»
Mi allontano con i suoi occhi addosso, raggiungo l'ascensore e scendo al pian terreno.
Non riesco a crederci, davvero mi ha proposto di sposarmi con una zitella indiana solo per salvare il suo culo lardoso? Si trovi un altro coglione da proporre a quella zitellona. Se non è ancora sposata ci sarà un motivo, e non lo voglio scoprire.
Le porte si riaprono sulla hall e una mora con due occhi enormi in piedi di fronte alle porte mi guarda, meravigliata. Ha lunghi capelli mossi, vaporosi e lucenti, un vestitino corto che mette in mostra due gambe lunghe e perfette e un balcone fiorito di una terza abbondante.
Non male.
Mi segue con gli occhi color miele mentre le passo accanto e mi sorride. «Buongiorno.» Osserva la mia persona dall'alto in basso e torna a sorridermi.
Le faccio un sorrisetto e avanzo verso l'uscita. Deve essere un nuovo acquisto, non me la ricordo una così. Con la coda dell'occhio la vedo che continua a guardarmi da sopra la spalla, forse pensa di essere invisibile.
Sì, lo so, è un bell'involucro, e pure il tuo non è male. Ma non mi interessa. Mi è bastata la mia scorsa esperienza per decidere di tenere le donne lontane da me.
Alice balza in piedi e con una corsetta aggira il bancone della reception, vi si appoggia e sorride. «Vai già via, Eros?»
«Sì, abbiamo finito.»
«Oh.» Con un'altra corsetta mi raggiunge di fronte all'entrata. «E quindi quanto altro tempo passerà prima che ti riveda?»
Poso una mano sulla maniglia. «Non lo so, mi dispiace.» Le rivolgo un sorriso di circostanza ed esco per strada.
Inforco gli occhiali da sole e mi avvicino alla mia macchina, in cima alla via. Infilo la chiave nello sportello e un foglio che si muove sul parabrezza attrae la mia attenzione. Porca miseria, mi hanno fatto una multa!
La afferro e per poco non la strappo. Venticinque euro e cinquanta centesimi, da pagare entro cinque giorni altrimenti aumenta. Ma per cosa? Per aver parcheggiato in controsenso? Ma che cazzo! Non sono andato in controsenso, ho visto il posto libero in cima alla via e mi ci sono fiondato, invece di fare il giro e rischiare che qualcuno me lo soffiasse!
E che palle!
Accartoccio la multa e la ficco in tasca, questa la contesto! Sperando che non sarà solo una perdita di tempo.
Monto in macchina e metto in moto, inserisco la freccia ed esco dal parcheggio, faccio inversione a U e qualcuno mi tampona, di colpo vengo sbalzato in avanti, sbatto di prepotenza il petto contro lo sterzo.
Mi tasto il punto colpito, porca miseria, che dolore!
Oggi non è proprio giornata!
Alzo lo sguardo nello specchietto retrovisore, dal cofano della macchina che mi ha investito si alza un fumo grigio.
Scendo dall'auto e raggiungo il bagagliaio della mia auto, del tutto rincalcato all'interno.
«Porcaputtana!»
Dallo sportello della macchina che mi è venuta addosso scende una ragazza tra i venticinque e i trent'anni con una salopette di jeans e due lunghe trecce castane. Appeso al collo ha un cellulare con una cover di plastica rosa.
«Mi scusi, mi scusi tanto!» Alza le mani e si avvicina. «È tutta colpa mia, non l'ho proprio vista.»
Eh, chissà per quale motivo, con quel cellulare al collo...
«La sua macchina ha subìto il danno maggiore.» Le indico il fumo che esce dal suo radiatore.
Lei cade dalle nuvole, volta lo sguardo e sgrana gli occhi. «Oh, porca miseria!»
Quando si dice donna al volante...
Sbatte le palpebre e alza le mani per tranquillizzarmi. «Pagherò tutti i danni... mi dispiace, non l'ho proprio vista, io... oh, che disastro!»
«Vabbè, non si preoccupi.» Meglio che la calmo prima che le prenda un infarto. «Adesso ci conviene compilare il CID e─» Uno strombazzare insistente mi fa voltare oltre la sua macchina, si è già formata una discreta fila. «Ma prima credo sia meglio spostare le macchine e lasciare libero il passaggio.» E intanto memorizzo la sua targa. Non vorrei che questa se la svigna.
«Certo, certo...» Fa per tornare in macchina ma si blocca. «Ehm... potremmo evitare di coinvolgere l'assicurazione? Sa, ho preso la patente da poco e... mi si alza il premio assicurativo...»
Hai preso la patente da poco e giocavi al cellulare? Chi te l'ha data, Paperino?
Sospiro. «Capisco...»
***
Spingo la porta di casa dietro di me, si chiude con un rumore sordo. Lascio andare un grosso sospiro. Dio, che giornata pesante!
Faccio cadere le chiavi nel vaso sul mobile dell'ingresso e il cellulare inizia a squillare di colpo. Sbuffo e lo prendo dalla tasca, mi sta chiamando mia madre... avrei dovuto immaginarmelo.
«Pronto, ciao, mamma.»
«Ciao, tesoro. Come va, hai mangiato?»
«Mamma, sono appena tornato a casa.»
Alzo lo sguardo sullo specchio dell'ingresso; oddio, cosa sono quelle borse sotto gli occhi?
«E cosa mangi?»
Alzo gli occhi al cielo. «Non lo so, non ho avuto nemmeno il tempo di togliermi le scarpe.»
«Hai ragione, scusa. Al lavoro tutto a posto?»
Vado in cucina e apro il frigo: uno yogurt, un tubetto di maionese mezzo spremuto, una birra aperta che non mi ricordo da quant'è che è lì, e un torsolo di insalata. «Sì, tutto bene.» Lo richiudo.
«E quindi adesso che fai, ti cucini qualcosa?»
«Ehm... mi sa che esco a mangiare una pizza.» Torno nell'ingresso e recupero le chiavi dal vaso.
«Non hai fatto la spesa nemmeno oggi, vero?»
Roteo gli occhi. «Mamma, ho finito di lavorare mezz'ora fa.»
«Perché non vieni a mangiare da noi?»
Non ci penso proprio. «Ma no, non ti preoccupare, ho proprio voglia di sedermi in pizzeria e gustarmi una bella capricciosa.» Apro la porta ed esco sul pianerottolo.
«D'accordo, ma il prossimo fine settimana vieni a mangiare da noi, ok? Tuo padre vuole imbiancare il salotto e mi piacerebbe che gli dessi una mano.»
«Va bene, mamma. Dai, ti saluto, ci vediamo sabato.»
«Ciao, amore mio, a sabato.»
Mi manda un bacio e chiude la chiamata.
Sospiro di nuovo e rimetto il cellulare in tasca, da quella posteriore estraggo il portafogli e inizio a scendere le scale. Lo apro e prendo l'unica banconota da venti euro che contiene. Cazzo, ho solo questi?
Direi che più che pizzeria al massimo un pezzo di pizza al taglio e una lattina. E manca ancora una settimana al giorno di paga.
Sabato devo andare per forza a mangiare dai miei,anche se preferirei di no.
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