38. Il significato del pollo
Il rumore scrosciante della pioggia fa da sottofondo alle risate chiassose che riempiono la sala comune, rendendo la mia voglia di studiare, già scarseggiante di suo, pari a zero. Sollevo lo sguardo dalla pergamena intonsa poggiata sul tavolo, e fisso fuori dalla finestra seminascosta dalle tende rosse. Il cielo grigio, uggioso, rispecchia un po' il modo in cui mi sento, mentre le gocce d'acqua che si abbattono violente contro il vetro mi ricordano che la mia voglia di spaccare qualcosa in testa a Scorpius, al momento è più elevata del normale. Perché, chiariamoci, io voglio sempre spaccare qualcosa in testa al mio ragazzo, solo che adesso il desiderio di farlo è quasi incontrollabile.
Ho un caratteraccio, lo ammetto, non conosco mezze misure, o sono calma o sono arrabbiata, o sono felice o sono triste. Sono tutta bianca, oppure tutta nera, il concetto è semplice. Non sopporto tante cose, tra le principali: il caldo afoso, parlare di mattina, il caffè con lo zucchero, i libri romantici, il rossetto, pozioni, la professoressa di divinazione, le verdure verdi e non riuscire a fare pace con Scorpius. Quest'ultima è particolarmente frustante, e favorisce a rendermi ancora più scontrosa.
Sbuffo, prendendomi la testa tra le mani e affondando le dita tra i capelli che oggi sono terribilmente arruffati e confusionari. Proprio come me. L'immagine di Scorpius, con gli occhi ardenti come tizzoni e le mani strette in due pugni lungo i fianchi, mi si para davanti alle palpebre e resta lì, a tormentarmi.
Ed io, che non ho mai avuto bisogno di nessuno, adesso tremo al pensiero di soffrire così tanto per la lontananza di un ragazzo.
«Se non mi dici cos'hai non posso aiutarti!» sbotto, decisamente infastidita dai continui sbuffi di Scorpius che, con le mani nelle tasche e lo sguardo annoiato, cammina al mio fianco riaccompagnandomi alla torre dopo la colazione.
Lo osservo, in attesa di una risposta, ma lui continua a fissare davanti a sé imperterrito. «Non ho niente» dice, secco. «E non voglio il tuo aiuto»
«Che ti prende dannazione?!» quasi urlo, fermandomi nel bel mezzo del corridoio. Scorpius si blocca, e con una calma glaciale mi pianta finalmente gli occhi in faccia.
«Succede che sei un'incoerente Rose, ecco che mi prende» ringhia, ed io che non ho la più pallida idea di cosa stia blaterando, aggrotto le sopracciglia senza capire. «Ho letto senza volerlo la lettera che hai spedito in risposta a tuo padre: "Sciocchezze, dovresti sapere che tutto ciò che dicono Al e James sono stupidaggini. Non potrei mai tollerare di stare con un viscido egocentrico vanitoso come Malfoy, non c'è pericolo."»
In un attimo il senso di colpa mi colpisce in pieno, perché non sono fiera di quello che ho raccontato a mio padre «Stai scherzando spero» è però quello che esclamo alterata, poiché sono terribilmente orgogliosa e non ce la faccio ad ammettere di aver sbagliato. «Non volevo che spedisse un'armata di Auror ad Hogwarts per arrestarti, dovresti esserne felice!» ed è vero.
«Tu non vuoi che lui sappia di noi, perché hai paura di deluderlo»
Ed è vero anche questo.
«Sono il figlio di Draco Malfoy, e ciò basta a rendermi un mostro ai suoi occhi. Tu hai la gloria eterna del tuo cognome, ed io lo schifo che la mia famiglia si è lasciata alle spalle. Logico. Pensavo che però ti saresti almeno sforzata di fargli cambiare idea, non che lo avresti assecondato. Evidentemente mi sbagliavo»
«Hai intenzione di continuare a trucidare con lo sguardo quella povera finestra ancora per molto?»
Dominique mi si siede di fronte, i capelli biondi raccolti in una coda e gli occhi chiari carichi d'empatia. Sospiro, aspettando che inizi a rimproverarmi perché il livello di stupidità presente nel mio corpo è davvero elevato e perciò me lo merito. «Ti prego, fa che la sfuriata sia veloce ed indolore»
«Sei più tarda di quanto pensassi» esclama e la pacatezza della sua voce è in netto contrasto con le parole. «Perché sei qui?»
«Perché non dovrei? È la mia sala comune...»
«Intendo, qui e non con Scorpius.» chiarisce, e in quell'esatto momento mi faccio la stessa domanda.
So che dovrei chiedergli scusa, mettere da parte l'egoismo e l'orgoglio. Ci sono cose più serie a cui dare importanza, dopo tutto. Ma è più forte di me, c'è qualcosa che mi frena e mi impedisce di agire correttamente. Forse è la paura. Si, probabilmente l'idea di espormi tanto e rendermi vulnerabile mi terrorizza. So anche che, al momento, Scorpius non ha voglia di vedermi, sentirmi, o parlarmi. Mi congratulo con me stessa, perché me lo sono scelta proprio bene. Ho sempre avuto un debole per le cose impossibili e, sicuramente, capire Scorpius, con quel suo carattere così stramaledettamente complicato e pieno di sfaccettature, è una di quelle.
«Gli sto lasciando spazio. Magari tra un giorno o cinque si dimenticherà dell'accaduto e tornerà»
«Non tornerà» infrange le mie speranze, quella sottospecie di migliore amica poco adatta ai discorsi motivazionali che mi ritrovo. «A meno che tu non vada subito da lui, ed ammetta di aver fatto una stupidaggine»
Ringhio, incrociando le braccia al petto, perché mia cugina ha ragione. Ed io odio essere dalla parte del torto.
Inconsciamente il mio sguardo saetta di nuovo verso la finestra, ad osservare scrupolosamente il cielo nella speranza di intercettare una Nimbus guidata da un biondo. Speranze vane, visto che il campo di Quidditch si trova dal lato opposto e la torre di Grifondoro affaccia sul cortile.
La sedia stride contro il pavimento quando mi alzo di scatto. Alcuni primini mi fissano moderatamente sconvolti, ormai quasi abituati ad i mei continui bruschi cambi d'umore. «Cercherò di farmi perdonare e se non vorrà starmi a sentire, lo prenderò a calci»
«Bel piano.»
***
Il bolide si schianta con forza contro la mazza che stringo tra le mani, e scompare dalla mia vista confondendosi tra la pioggia. Scosto i capelli incollati alla fronte con un gesto secco ed irritato, mentre Albus mi sfreccia accanto cercando di comunicarmi qualcosa con lo sguardo. Solo che non riesco a vedere ad un palmo dal mio naso, tanta è l'acqua che sta cadendo giù dal cielo, figuriamoci a decifrare il silenzioso messaggio dietro le sue palpebre assottigliate.
Colpisco di nuovo, con violenza, mentre Andrew ormai stanco di tirarmi contro bolidi, mi fa un gestaccio e cede il posto a Delphina. Non posso fermarmi. Non devo fermarmi. Se mi fermo è la fine. Commetto un errore gravissimo quando decido di prendere fiato, perché bastano pochi secondi e la faccia di Rose è di nuovo impressa davanti ai mei occhi, ed io sento l'irritazione che rimonta con rabbia dentro di me.
Irritazione causata principalmente dal fatto che se me la ritrovassi di fronte, con grande probabilità la perdonerei senza pensarci due volte. Ed io non posso perdonarla, almeno non subito e così facilmente.
«Ehi Capitano!» l'urlo di Kieran proviene da un punto imprecisato del campo «Abbiamo un'infiltrata» mi guardo attorno, cercando di captare altro. «Si Hanna, lo so che è la sua ragazza, ma potrebbe essere venuta per spiare le nostre tattiche di gioco»
Perdo un battito e senza che possa controllarlo, il mio sguardo corre tra gli spalti alla ricerca di una chioma vermiglia. Non è difficile individuarla, il rosso spicca come un lampo nel buio nonostante la fitta pioggia. Come attirato da una calamita, cambio direzione e mi dirigo senza ulteriori indugi nella sua direzione.
Incrocio i suoi occhi castani ancora prima di riuscire a mettere i piedi per terra. Ci fissiamo, ed io sto cercando di dirle che mi è mancata con tutto il silenzio di cui sono capace, quando invece dovrei mettere su un cipiglio ed aspettare che si scusi.
«Sei arrabbiato con me?»
«Direi di si»
«Puoi smettere di esserlo, per favore?»
***
Smetto di nascondere l'oggetto incriminato dietro la schiena, quando il mio ragazzo assume quell'aria saccente, vagamente infastidita, di chi la sa lunga e non lascerà perdere facilmente. «Okay Fred, ho macchiato la tua felpa preferita, lo ammetto. Cosa posso fare per farmi perdonare?» sbuffo, fissando i suoi occhi scuri accigliati.
C'è qualcosa di autoritario, e allo stesso tempo tremendamente affascinate, nel modo in cui tiene ben dritte le spalle, mentre la luce delle candele gli illumina i capelli, facendo risaltare incredibilmente ogni sfumatura rossa presente sulla sua testa incasinata.
Finge di pensarci su. Ed io lo so che sta fingendo, perché il sorrisino eloquente che gli incurva le labbra è leggermente sospetto. «Noi. Cibo. Letto. Adesso»
«Oh wow» non posso fare a meno di ridacchiare divertita «sto insieme ad un bambino gigante»
***
«Tu lo sai che non funziona così, vero?» dico, mordendomi l'interno della guancia per reprime un sorriso. E ciò non va bene, perché io al momento non ho affatto voglia di sorridere, anzi, tutt'altro. Ma non riesco ad impedirlo, soprattutto a spiegarmelo.
Rose fa un passo avanti. L'ombrello magico che schizza fuori dalla sua bacchetta e le ripara la testa, adesso si trova anche sopra la mia. «E chi lo dice? Insomma, esistono delle regole che espongono quale è il modo giusto per scusarsi o come smettere di essere arrabbiati? E soprattutto, se esistono, qualcuno dovrebbe davvero farmele leggere»
Sbuffo, l'unico problema è che il mio sbuffo non ha niente a che vedere con lo sgomento o il fastidio, al contrario, quello che è fuoriuscito dalle mie labbra è il suono di un ragazzo che si è lasciato destabilizzare da due paia di occhi scuri, e non sta riuscendo nel suo intento di rimanere freddo e distaccato.
«Ho fatto un errore, non è il primo e non sarà l'ultimo, e mi dispiace tantissimo di averti ferito. Io voglio stare con te, non mi importa se mio padre non sarà contento. Quindi, per Godric, puoi tornare ad essere la marmellata nel mio panino al burro d'arachidi?»
Schiudo la bocca sorridendo, moderatamente sconvolto, perché questa è la mia normalità e sono felice che Rose sia così dannatamente Rose.
«Dipende» dico, senza smettere di guardarla negli occhi «Che gusto di marmellata sono?»
Faccio appena in tempo a stringerla tra le braccia, che in un secondo le sue labbra si schiantando sulle mie, e la mia schiena non può fare altro che trovare incredibilmente confortante il cemento degli spalti.
***
Slaccio il mantello, accaldato, sventolandomi una mano davanti al viso e sollevando il ciuffo di capelli dalla fronte sudata. Fred mi fissa come se fossi matto, stringendosi nelle spalle per enfatizzare che siamo a febbraio e non ad agosto, e che quindi il mio comportamento è del tutto inappropriato. La pensa così anche Anita Torres, munita di sciarpa, guanti e paraorecchie, la quale non la smette neanche per un secondo di osservarmi scrupolosamente, cercando di capire quale sia il problema che mi affligge.
«Che hai?» Fred mi radiografa in attesa di una risposta soddisfacente. Come se io sapessi sempre cosa ho e cosa non ho. Sbatto le palpebre infastidito, perché solitamente è il suo compito capire quello succede, sia al mio corpo che alla mia anima. Ma evidentemente deve aver messo da parte le sue responsabilità, per potersi cimentare in domandestupidologia. Grugnisco irritato, accantonando il piatto con il pranzo che al momento mi sembra così disgustoso. Insomma, il bacon e le salsicce non dovrebbero puzzare di carcassa morta, dico bene?
«Non ho voglia di parlare» ribatto seccato, infilandomi in bocca una foglia di insalata dall'aspetto esageratamente verde ed invitante.
«James» mi richiama, piantandomi gli occhi nocciola in faccia, nel suo tipico modo al metà tra il serio e l'autoritario che sfoggia solo in determinate circostanze. E per un attimo, solo un attimo, è quasi strano vederlo fare il responsabile, perché non è credibile, ed il fatto che non lo sia per uno al di fuori di me, non significa che però per me non lo sia. Andiamo, capelli rossi e tutto, ma quando vuole sprizzare saggezza ci riesce alla perfezione. «Se hai un problema dovremo parlarne, è così che si affrontano le cose»
«Io i problemi li ignoro nell'attesa che spariscano, oppure me ne creo uno più grande per poter dimenticare il primo» affermo con convinzione, e la frase mi sarebbe uscita drammatica al punto giusto se solo non avessi emesso un verso vagamente simile ad un rantolo.
Fred continua ad esaminarmi, fino a che una scintilla di comprensione non gli balena nell'iride scuro «Fratello, devi andartene da qui... ora!»
***
Decido che per oggi la mia squadra è abbastanza stremata, solo quando un tuono rimbomba in lontananza, con la stessa violenza di uno schianto. Viro con la scopa, deciso ad avvicinarmi al suolo il più in fretta possibile, mentre una figura prestante in divisa, che riconosco essere Kieran, segue il mio esempio e mi affianca durante la discesa.
«Tempesta in arrivo, Capitano!» urla, come se non fossi qui anche io, e non me ne rendessi conto da solo.
Provo a trasmettergli tutto il mio disappunto con un'occhiataccia, ma il vento è talmente forte che mi impedisce persino di ruotare il viso nella sua direzione. «Raduna gli altri» ordino con autorità degna di un leader «Io vado a raccattare la Pluffa»
Un lampo squarcia il cielo e mi taglia la strada, facendomi perdere il controllo della scopa.
***
«Malfoy, sei un deficiente!» faccio la mia entrata in scena, furiosa, rossa in viso, e con l'intenzione di ridurre a brandelli quel che resta del mio irritantissimo ragazzo. Andiamo, è passata solo un'ora da quando ci siamo riappacificati, come miseriaccia è possibile che i mei istinti omicidi nei suoi confronti non diminuiscano mai?
«E tu sei bellissima quando ti arrabbi»
Alzo gli occhi al cielo, gesto assolutamente naturale e che mi ritrovo a compiere svariate volte al giorno — e svariate è un numero indefinito compreso tra molte e decisamente molte — soprattutto quando sono in sua presenza. È un po' come se fosse una via alternativa allo schiantesimo, decisamente meno dolorosa, certo, ma su Scorpius ha lo stesso effetto.
Lo vedo infatti assumere un'aria colpevole, ma allo stesso tempo soddisfatta, quando vado a sedermi al suo fianco, sul lettino dell'infermeria, con le braccia incrociate ed i capelli arruffati dalla corsa. «Scusa» dice «effettivamente allenarsi quando fuori è incorso una bufera, non è stata un'ottima idea. Avevi ragione, come sempre. Ma guarda il lato positivo, almeno adesso che sono fuori gioco, voi Grifondoro avrete una speranza di batterci»
«Sta zitto» sbotto, osservando accigliata la benda bianca che gli fascia una parte della testa, e i graffi rossi ancora ben visibili sul viso. Il Platano Picchiatore non scherza mica. Provo a trasmettergli tutto il mio disappunto con uno sguardo, magari se riesco anche a farlo sentiere tremendamente idiota, perché a causa sua ho rinunciato ad un pranzo strepitoso che comprendeva almeno cinque cosce di pollo, destinate al mio stomaco.
Sogghigna, e se non fosse già ridotto così male, mi premurerei di rompergli il naso con un pugno ben assestato. «Mi piace quanto ti preoccupi per me»
«Non sono preoccupata» mento, sapendo che lui sta che lo sto facendo. Probabilmente riesce persino a sentire i battiti accelerati del mio cuore. «Mi sto solo accertando che tu non sia morto, sai, Albus ne rimarrebbe traumatizzato»
«Capisco» annuisce con aria grave, e ciuffi di capelli biondi gli ricadono davanti agli occhi, rendendomi impossibile continuare a tenergli il muso «allora adesso puoi andare, immagino»
«Si infatti» concordo, e restare da solo è decisamente quello che si merita per avere ignorato i mei avvertimenti. «Fammi spazio» è però quello che dico, accoccolandomi contro il suo petto immediatamente dopo, perché infondo tutti in questo castello sanno che sono l'anti-coerenza fatta persona.
***
«Santissimo Padfoot!» sbotto in preda al panico, mentre il cuore mi martella ad una velocità fuori dal normale nel petto.
Cerco di regolarizzare il respiro, perché sulla testa del mio migliore amico c'è un palco di corna grande quanto una casa, ed io devo assolutamente trovare un modo per spostarlo discretamente dal corridoio.
***
«Ehi Al, vado in infermeria dal Capitano, vieni?» mi urla dietro Andrew, ignaro che Scorpius probabilmente adesso sta meglio di tutti noi messi insieme. Perché è questo che il mio migliore amico fa: riesce a trasformare una brutta esperienza in qualcosa di indimenticabile. Già me lo immagino intento a godersi le premure di Rose, all'asciutto, mentre io trasporto il suo borsone di piombo fino al dormitorio.
«No» rispondo categorico, voltandomi.
Cammino soprappensiero senza curarmi dell'orda di studenti affamanti che si dirige nella direzione opposta alla mia. L'odore familiare di cibo è ben percepibile anche a diversi metri di distanza, ma non mi stuzzica. Abbasso le palpebre che d'un tratto sembrano così pensanti, e se mettermi a dormire rannicchiato in un angolo non fosse terribilmente imbarazzante, sarebbe la prima cosa che farei.
La divisa incollata alla pelle, un misto di pioggia e sudore, non favorisce inoltre a farmi sentire meglio. Mi metterei a correre per raggiungere i sotterranei, se solo percepissi ancora le gambe.
Stringo la mano sul manico della scopa che porto in spalla, ed evito lo sguardo penetrante di una ragazza che ha tutta l'aria di volermi mangiare. Pessima mossa, davvero pessima mossa, e se Rose o Scorpius fossero qui me lo starebbero dicendo ridendomi in faccia. Perché in effetti sbeffeggiare e prendere in giro la gente è esattamente qualcosa che i miei due migliori amici farebbero.
Travolgo qualcuno, nel vero senso letterale della parola. E questo qualcuno — qualcuna, per l'esattezza — non pare giustamente entusiasta di essere stata travolta dal mio corpo sudato. Perciò non mi offendo quando mi tira un calcio in mezzo alle gambe e si alza in piedi alla velocità della luce, senza smettere neanche un secondo di insultarmi.
«Cacca di Troll, infido pus di Bubotubero, sottospecie di-»
Me lo merito. È la giusta punizione per non aver fatto attenzione a dove metto i piedi, nessun rancore. Per questo quando sollevo la faccia verso l'alto nella posa più dignitosa che un ragazzo steso a pelle di leone in mezzo al corridoio si possa permettere, con nessun rancore intendo chiaramente «Porca Morgana, guarda dove vai imbecille!»
«Cinque punti in meno a Serpeverde» annuncia la ragazza con autorità, ed io noto solo in quel momento la spilla da Prefetto che luccica sul suo maglione chiaramente con i colori dei Grifondoro. «Ora alzati, stai creando un ingorgo»
Effettivamente studenti curiosi rallentano solo per guardarmi, puntarmi il dito contro, e ridacchiare. Tutto ciò non è affatto degno di me.
Torno in posizione eretta lentamente, con un sorriso rilassato sulle labbra, come se mi capitasse tutti i giorni di osservare da così vicino il pavimento e ormai ci fossi abituato.
Le punto gli occhi in faccia, mentre lei solleva le sopracciglia verso l'alto imperterrita, per niente turbata dal fatto di essere almeno di una spanna più bassa. Riesce a sprizzare contegno e autorevolezza anche con i capelli arruffati dalla caduta, e gli occhi nocciola socchiusi. Ha le braccia incrociate ricoperte di lentiggini, e picchetta le dita sull'avambraccio, aspettandosi forse delle scuse o quant'altro, l'unica cosa che però esce dalla mia bocca è «Sono Albus»
«Sai Al, un giorno ti prenderai un'enorme sbandata per una ragazza incontrata per caso, magari, e lì ci sarà davvero da ridere. So che non sembra, ma con le donne sei davvero un imbranato»
«Non mi interessa» replica lei stizzita «E comunque cacca di Troll ti si addice di più»
Sbatto le palpebre stralunato, senza riuscire a controllare il sorriso sinceramente divertito che va ad incresparmi le labbra.
Mi volta le spalle; una cascata di mossi capelli rossi le ricade sulla schiena, lasciandomi a scrutarla allontanarsi incuriosito.
Mando a benedire tutti i mei buoni propositi, tra i quali anche quello di fiondarmi nella doccia e smettere di sembrare appena uscito da una fogna, e le vado dietro. Le corro dietro, per l'esattezza, visto che ha già attraversato metà corridoio ad una velocità supersonica, e l'affianco con nonchalance.
«Allora... come ti chiami?»
«Non sono affari tuoi»
Non mi perdo d'animo, infilo le mani nelle tasche e cerco il suo sguardo. Lo trovo già puntato su di me intento a trucidarmi con convinzione, così torno a sorridere. «Sai che lo scoprirò comunque? Ho svariati cugini nel mondo del crimine. E poi se non me lo dici dovrò iniziare a chiamarti Prefetto Perfetto oppure Bubotuberina, sarebbe imbarazzante per entrambi»
Sospira affranta «Minerva. Mi chiamo Minerva»
«Colpo di fulmine, dici? Non ci credo. L'unica cosa di cui mi potrei innamorare a prima vista, è il nuovo modello di Nimbus FastProWind.»
***
«Buongiorno egregissima professoressa» sorrido a trentadue denti, ripetendomi mentalmente che il mio comportamento non sembra affatto sospetto. Non lo è. Penso. Perché la Mcgranitt potrebbe leggermi nel pensiero e a quel punto sarebbe la fine. Non ho niente da nascondere. Il mio migliore amico non è un cornuto, giuro! «Mi duole disturbarla a quest'ora così inopportuna, ma-»
«Che succede, Weasley?»
Ed è logico che lei trovi la mia espressione facciale sinonimo di catastrofe, guardandomi allo specchio crederei la stessa cosa anche io. «Volevo chiederle... per scopi puramente accademici, s'intende, come si fanno sparire le corna?»
C'è un istante, un solo istante, in cui il cipiglio della Preside prende una piega estremamente confusa e al tempo stesso autoritaria, poi l'ira funesta nel suo sguardo viene sostituita da una profonda e pacata comprensione, che mi lascia spiazzato.
«Le direi che ho ciò che le serve...» tiene gli occhi ben piantati dei mei «per saziare la sua sete di conoscenza, s'intende. Vado a prenderglielo»
***
Lunedì 18 febbraio, ore 17:29.
Hogwarts.
Il tramonto nascosto allo sguardo dagli alberi privi di foglie, staglia nel cielo una spruzzata di rosa, giallo e rosso che, inesorabilmente, mi riconduce ad un'unica persona: Rose, la quale rannicchiata sotto il mio braccio con il naso reso scarlatto dal freddo, muove le mani e racconta con enfasi qualcosa riguardo qualcuno, a cui però non presto attenzione. La sua voce è squillante, piacevole da ascoltare, ed è soprattutto in netto contrasto con l'ambiente smorto e silenzioso che ci circonda. Alterno lo sguardo dalla superficie agitata del Lago Nero, agli occhi brillanti della mia ragazza, che è così piena di vita, sorridente ed esuberante, che io non posso fare a meno di sentirmi tremendamente felice e in pace con il mondo.
I ciuffi di capelli rossi sfuggiti alla treccia scompigliata, le sferzano davanti al viso mossi dal vento. È un gesto semplice quello che si ritrovano a compiere le mie dita: spinte dalla voglia di non perdersi neanche un centimetro di quel faccino lentigginoso, le portano con delicatezza che mai avrei associato alla mia persona, alcuni riccioli dietro l'orecchio.
Mi sorride ed è bellissima.
È indescrivibile il modo assolutamente indecente in cui mi si attorciglia lo stomaco, come se fossi talmente leggero da riuscire a sollevarmi da terra. È una sensazione strana, lo ammetto, sconosciuta, anche, ma che mi piace da impazzire. «Ti amo» dico senza pensare, perché effettivamente pensare prima di agire non è il mio forte. Mi rendo conto di ciò che è appena uscito dalla mia bocca, quando Rose interrompe bruscamente il suo speculare su una possibile relazione tra James e Fred, rimanendo a bocca spalancata.
In un attimo il panico più assoluto si impossessa di ogni microcellula presente nel mio corpo, perché ho appena detto alla ragazza per cui ho perso la testa che sono innamorato di lei, ottenendo in risposta solo un tacito cenno d'assenso con il capo.
Sono già psicologicamente pronto a prendere la rincorsa e gettarmi senza ripensamenti nell'acqua, sperando in una morte rapida e indolore, magari per congelamento, quando Rose esclama sicura di sé «Sei la mia coscia di pollo preferita, Scorpius»
È una Weasley quella che ho di fronte, quindi immagino che in un qualche modo contorto la sua frase abbia perfettamente senso. Solo che al momento il mio cervello ha deciso che spegnersi era la cosa più saggia da fare, e perciò mi ritrovo a brancolare nel buio. «Cosa?» chiedo infatti, strabuzzando gli occhi giusto un po'.
Il problema, uno dei tanti, non è che una pigna di mi ha appena colpito in testa causandomi un possibile trauma cranico, ma che non è la voce della mia ragazza quella che risponde. «È il suo modo per dirti che ti ama anche lei, cretino»
«Albus» annaspo, fissando sconvolto la figura sospesa a tre metri da terra, che ha appena assistito alla rivelazione dei mei sentimenti. «cosa ci fai su quell'albero?»
«Sto osservando Minerva»
«Come uno stalker?» sghignazza Rose, affatto turbata dalla presenza irritante di quel maniaco del mio migliore amico. Immagino che sia una cosa di famiglia, quella del non provare vergogna, intendo.
«No, cerco solo di capire perché mi piace»
Sbuffo, fintamente infastidito «Allora noi ti lasciamo al tuo... lavoro»
Ed è bizzarro, quasi quanto la posa da koala che ha assunto per stare in equilibrio su un ramo, il modo in cui sceglie di congedarci.
«Se andate in dormitorio, non fate sesso sul mio letto»
‼️Prossimo capitolo: epilogo‼️
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