34. Ricordi travolgenti

Il Manor è silenzio, riesco a percepire l'amarezza di Scorpius rimbombare sul pavimento ad ogni suo passo. Ha le spalle tese, non si guarda attorno, immagino per paura di essere travolto dai ricordi.

Fanno male, i ricordi, soprattutto se sono felici. Zio George una volta mi ha detto che pensandoci, comprendi che non potrai più avere un rapporto di qualsiasi tipo con quella persona: non potrai più ridere alle sue battute, guardarla negli occhi, scompigliargli i capelli, stringerla. Ma nonostante questo la senti vicina, solo non abbastanza da poterla toccare. Ed è straziante perché ti manca, ti manca da morire, e il tempo che passa non fa in modo che faccia meno male. È come una ferita aperta che non si rimarginerà mai. Trascorrono giorni, mesi, anni, e il dolore è sempre lì, appena celato dalla consapevolezza che la tua vita non sarà più la stessa, perché ti è stata portata via la parte migliore di te.

Vorrei poter fare qualcosa per Scorpius, invece di seguirlo ammutolita. È devastante fissare dentro le sue iridi grigie e non vedere altro che un freddo sguardo vacuo.

«Rose» mi richiama «Questa era la mia stanza» dice piatto, soffermandosi davanti ad una porta che a me pare perfettamente identica a tutte quelle che abbiamo superato: di legno lucido, perfetta, senza il minimo segno che dimostri qualcuno prima di noi l'abbia mai toccata.

Abbassa la maniglia e non aggiunge altro. Non esita, non tentenna sulla soglia, entra a passo deciso lasciandomi interdetta ad osservare la sua schiena.

Lo seguo?

Ritrovarsi nella propria camera da letto dopo anni, è qualcosa di privato che immagino non voglia essere condivisa con qualcun altro. Credo.

Però se gli passasse per la testa l'idea di impiccarsi al suo prezioso lampadario da aristocratico, ce lo avrei per sempre sulla coscienza. Non posso permettere che lui compia un atto simile, quando Albus ha esplicitamente affidato la sua incolumità alla mia persona.

Faccio un respiro profondo, e dopo aver fatto scricchiolare pericolosamente un'asse di legno con la punta del piede, lo raggiungo.

Nessuno è più venuto qui, neanche gli Elfi Domestici addetti alla pulizia. L'odore pungente di chiuso mischiato a quello di qualche vecchio calzino in putrefazione, mi pizzica con forza le narici, ma non mi tiro indietro, dopotutto non è poi così diverso dalla puzza che si respira in camera mia dopo una partita di Quidditch. Fisso con attenzione ogni singolo centimetro per imprimere nella mente tutti i dettagli, perché magari, provando a capire quello che aveva nella testa lo Scorpius quattordicenne che ha tappezzato di roba le pareti, riuscirò a fare lo stesso con il sedicenne biondo platino che mi da le spalle.

Non riesco a vedergli viso. Se ne sta in piedi davanti ad una cassettiera dall'aria molto costosa — ignorando di essere nel bel mezzo di quello che potrebbe essere descritto come uno scenario apocalittico e di guerra — mentre stringe tra le mani qualcosa.

D'accordo Rose, usa il cervello, agisci.

Apro la bocca per smorzare la tensione con una battuta stupida e per niente appropriata, ma la richiudo rendendomi conto che peggiorerei solo la situazione.

Le gambe iniziano a muoversi nella sua direzione, senza prima consultare il cervello più Weasley che Granger — forse è meglio così, visto che non riesco a elaborare un piano d'azione decente — e senza che me ne renda neanche conto, la mia fronte si ritrova premuta contro la sua schiena tesa, e le mie braccia gli circondano il busto con forza.

Sono qui. Vorrei dirgli, ma so che lo sa già. Ne è come dimostrazione il fatto che lascia scivolare la mano sopra le dita che tengo intrecciate sui suoi addominali. Lo sento rilassarsi appena, e sono contenta di non essere completamente inutile.




Tre ore prima...





«Perché siete tutti fuori dalla stanza?»

Osservo con circospezione i mei amici seduti a gambe incrociate sul pavimento, davanti alla porta chiusa. Non lo troverei così strano — fare cose bizzarre è una prerogativa dei loro cervelli — se infilato nella toppa della serratura non ci fosse un calzino.

Adesso, una persona intelligente inizierebbe a correre il più lontano possibile da questo covo di matti, perché restando qui potrebbe iniziare ad accusare colpi di ritardo mentale. Ma siccome la mia divisa bagnata di pioggia è piuttosto fastidiosa da indossare, preferisco rischiare e attendere, con l'aria di chi si sente estremamente superiore ai propri interlocutori, chiaramente, che mi forniscano una spiegazione soddisfacente.

«Prendiamo aria, Sev. Respira anche tu con noi»

Scorpius ha appena detto Sev e non è come se io potessi ignorare la gravità della situazione. Glielo leggo negli occhi che, oltre ad essere turbato dalla presenza pelosa sotto uno dei nostri baldacchini, c'è dell'altro. Ed io so di cosa si tratta.

«C'è un ragno, è così?»

«Già»

Il barlume brillante nelle iridi grigie non ha niente a che vedere con l'aracnofobia.

***

Le tende rosse della nostra stanza sono spalancate, ed io non sono assolutamente in ansia. Non mi interessa se dei ragazzini del primo anno troppo audaci, potrebbero spiccare il volo e posizionarsi davanti alla vetrata che Rose ha deciso di non coprire. Dopotutto non è come se mi trovassi al centro della camera in mutande.

Fisso corrucciata la rossa in questione per una manciata di secondi, con occhi concentrati e le labbra serrate, pensando a quanto, in una scala da uno a dieci, questa situazione sia opportuna per rivelarle quello che ho da dire. Solo che, durante il calcolo preciso e matematico che si sta svolgendo nella mia testa, ai numeri si sovrappongo svariate domande quali: perché Rose non sta studiando per gli esami? Dove sarà andata Roxanne con le mie scarpe da ginnastica? Quella è cioccolata? Perché sono in mutande?

Così emetto un verso misto ad uno sbadiglio e un colpo di tosse, per attirare la sua attenzione, e la butto lì con nonchalance «Hai notato anche tu che c'è un alta tensione sessuale tra Dominique e James?»

Il silenzio che segue mi informa che forse parlare in mutande di attrazione sessuale, in una scala da uno a dieci si colloca all'incirca al due, che sicuramente non è appropriato.

«Cosa?» Rose si strozza con il succo di zucca che stava tracannando in una posizione che solitamente è sconsigliata per bene, quindi se adesso inizierà a soffocare sarà solo colpa sua, e non mia per non aver tenuto la bocca chiusa. Gli occhi nocciola che mi stanno fissando come se avessi detto la baggianata del secolo — quando in realtà è evidente che c'è moltissima attrazione sessuale repressa tra quei due — è come se stessero gridando "Alice, ma che diavolo stai blaterando"

«Non l'hai notato» annuisco flebilmente perché non è possibile che nessuno dei miei amici noti mai niente. O sono tutti degli idioti con gli occhi foderati di prosciutto, oppure sono io che ho doti speciali capaci nel captare segnali banali come: James che cerca sempre contatto fisico toccando i capelli di Dominque, abbracciandola, camminandole vicino. Dom che non riesce ad evitare di cercarlo con lo sguardo non appena entra in una stanza. I sorrisi complici, le risate...

«No» ammette pensierosa, ed io sono consapevole che quella non è la faccia di chi si sta struggendo per capire come ha fatto a non accorgersene, ma di chi non vede l'ora di rimediare, pedinandoli.

«Credo siano in Sala Grande, andiamo?»

Solleva le sopracciglia, facendomi sentire come se avessi detto la cosa più stupida del mondo, di nuovo — e non è così — la mia frase ha perfettamente senso, e non c'erano allusioni ambigue all'interno «Alice» dice, e non mi piace il modo pacato con cui pronuncia il mio nome. Solo io posso pronunciare i nomi nella gente in modo pacato «Non posso. Sai che giorno è oggi?»

Io, che sono l'inglobazione vivente di tutti i libri e il sapere dell'universo, so esattamente che giorno è oggi. Perciò non esito a rispondere «Mercoledì diciassette gennaio» mentre la voce di Rose si sovrappone alla mia. «Il compleanno della madre di Scorpius»

«Ah.»

«Già.»

«Comunque c'è alta tensione sessuale anche tra voi due»

Soddisfatta della mia uscita di scena, ammiro la porta che mi sono appena chiusa alle spalle, prima di iniziare a scendere le scale del dormitorio.

Poi mi ricordo di non indossare i pantaloni.

***

«Tieni Scorp, questa è arrivata durante il pranzo, ma tu eri già andato via»

Fissiamo tutti Dagon, in attesa che estragga qualcosa dalle sembianze di un lettera pomposa, dal mantello. Lo fa piano, titubante, ed io vorrei solo che il mondo la smettesse di turbare il mio migliore amico, così. Non c'è suspense, ma l'aria è comunque carica di agitazione. Il nome Draco Malfoy campeggia in bella mostra sul retro della busta, elegante ma scritto di fretta.

Scorpius sbianca — per quanto la sua pelle già cadaverica glielo permetta — e allunga la mano per afferrarla, sicuro, con le spalle dritte e austere, perfettamente padrone della situazione. Se non lo conoscessi considererei il suo comportamento menefreghista, apatico forse, ma siccome so tutto di lui e si, quando dico tutto intendo davvero tutto, anche le cose che avrei preferito non sapere, sono assolutamente consapevole che quelle spalle dritte nascondono solo un corpo teso come una corda di violino.

«Che fai, non la apri?» chiede Kieran, mollemente poggiato sul suo materasso. L'occhiata fulminante che gli rifilo, riesce a spaventarlo tanto da fargli spalancare le palpebre intimorito «Non che io desideri che tu lo faccia, ovvio. Ma se vuoi un po' di privacy possiamo andarcene»

«Non ce n'è bisogno» afferma Scorpius, senza tremolii sospetti nella voce, posando con una certa urgenza gli occhi su di me, prima che le pupille si puntino sulle parole d'inchiostro. In un attimo sono dietro di lui. Le lettere arrotondate di Draco riempiono la mia visuale, e nella stanza regna il silenzio.

Caro Scorpius
Come stai?

Ho sentito che sei uscito con la figlia della Granger, le voci corrono veloci, non sorprenderti che siano arrivate fino a me. Spero che tu sia felice.

Oggi come sai è il compleanno della mamma, ed io vorrei passarlo con te. Puoi venire, se ti va. In caso decidessi di raggiungermi la Mcgranitt ha acconsentito a farti usare il camino nel suo ufficio. Ti aspetto al Manor alle sette, possiamo cenare insieme.

-Papà.

«Non voglio andare da solo»

«E perché dovresti? Credi che io sia qui solo per abbagliarti con la mia bellezza?»

«Al... grazie, ma ti dispiace se-»

«Vai»

«Posso sapere dove?»

«Fatti gli affari tuoi Kieran»

***

«Cosa c'è che non va?» domando per la milionesima volta alla mia ragazza, scrutandola con attenzione. I capelli neri le ricoprono la schiena come una lunga macchia d'inchiostro, sospira senza sollevare la faccia che ha affondato nel cuscino, e non pare intenzionata a guardarmi.

«Niente Fred, lasciami in pace»

Alzo gli occhi al cielo, e la raggiungo sedendomi sul materasso nella speranza che non mi butti giù con un calcio. «Sei triste» esclamo con ovvietà.

«Non è vero» mente, sapendo benissimo che io so che lo sta facendo.

«Non puoi imbrogliare un imbroglione. Sei triste. Pensa a qualcosa di bello. Pensa a me, ad esempio»

Ridacchia ed io sono felice di riuscire a strapparle un sorriso.

***

«Avanti»

Scorpius entra, bello nonostante il viso abbattuto ed i capelli arruffati di chi non si è preso la briga di pettinarsi «Quelle stupide scale sessiste mi hanno scaraventato a terra» annuncia allargando le braccia per aggiungere maggiore drammaticità alla sua affermazione.

«Spero che ti sia fatto male» sorrido gioiosa, perché non importa che giorno sia oggi, sapere che qualcuno o in questo caso qualcosa ha inflitto del male fisico a Scorpius — chiaramente sempre rientrando nei canoni prestabiliti da Alice — mi rende sempre particolarmente euforica.

Chiudo VanityWhich, poggiando il boccale di Burrobirra sul comodino. Lui resta lì, al centro della stanza con uno sguardo perso che non mi piace affatto. È più forte di me, voglio vederlo ridere, sorridere, voglio che sia felice, è così da sempre e non so spiegarmelo. Ma dopo tutto non c'è bisogno di analizzare ogni mia singola azione, ci sono emozioni che si provano e basta.

Gli faccio spazio sul materasso, lanciandogli una muta richiesta di raggiungermi. Un attimo dopo il suo corpo è steso accanto al mio, e dei ciuffi biondi mi solleticano la fronte.

«Il tuo soffitto è sporco» esclama pacato, non riuscendo a tenere la bocca chiusa per più di due secondi «È davvero disgustoso»

Sbatto le palpebre stralunata, perché non è possibile che Scorpius usufruisca della mia gentilezza in modo così sgarbato. Io gli offro pace e serenità e lui insulta i mei averi. Che poi abbia ragione e che il soffitto sia effettivamente sporco e disgustoso non ha importanza. La melma verde che lo incrosta è frutto di un esperimento mancato, messo in atto con Dominque al secondo anno, toglierla sarebbe come strappare e buttare una parte delle mia vita «Sei talmente stronzo»

«Sto solo cercando di essere sincero» gira il viso ed io faccio lo stesso. La distanza tra i nostri nasi è davvero ridotta, ma non c'è niente di sbagliato in tutto ciò, perché il posto del suo naso è spiaccicato contro il mio e da nessun'altra parte.

«Beh, smettila»

Una risata bassa e roca riempie il silenzio, prima di scomparire gradualmente e lasciare di nuovo spazio alle chiacchiere attutite che provengono dai ragazzi in cortile, e al respiro affannoso di Alice che finge di non esistere in bagno.

Gli occhi di Scorpius sono ancora fissi nei mei, ed io non riesco a pensare a nulla che non sia il barlume di spensieratezza nelle sue iridi grigie.

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