30. Strani odori e fumi sospetti

Martedì 09 Gennaio, ore 8:17. Hogwarts.

Le lezioni sono ricominciate da a stento due giorni, ed io già sono in ritardo per la prima ora di Pozioni della settimana. Adesso, in un universo parallelo distante anni luce dalla realtà, starei comodamente appisolata con la faccia dietro ad un calderone, godendomi l'ebbrezza della voce soporifera di Lumacorno, in completa tranquillità emotiva e spirituale. Perché magari, in un universo parallelo, non mi sarei ritrovata ad avere una migliore amica schizzata che, invece di svegliarmi come tutte le persone normali, si piazza a due centimetri dalla mia faccia, condividendo con la sottoscritta il suo alito non esattamente fresco di rosa, post luna piena.

«Rose» urla infatti la cosiddetta migliore amica, affaticata e stanca per la corsa giù da una delle rampe di scale, ignorando volutamente il mio sguardo omicida. Mi stupisce che dopo sedici anni di convivenza non abbia ancora capito che non deve rivolgermi la parola di prima mattina, soprattutto se con l'intenzione di toccare determinati argomenti. «Ascolta, non c'è niente di male se ti pia-»

Ora il mio sguardo assatanato deve averla spaventata. Probabilmente la cravatta slacciata e la bacchetta incastrata nella crocchia disordinata di capelli, devono contribuire a rendermi spaventosa «Dominique, lo affrontiamo non parlandone, ricordi?»

La sera prima.

«Dom avevi ragione» sono le parole che butto fuori tutto d'un fiato, e che mai avevo pensato di dire ad alta voce, spalancando la porta della nostra camera. La maniglia è solida e fredda sotto le mie dita, inaspettatamente rende tutto più reale, perché io sono davvero qui, e sto per rivelare alla mia migliore amica qualcosa che mi cambierà la vita.

Lei, impassibile, alza gli occhi dallo specchio, affatto turbata dall'urlo disumano carico di ansia, agitazione e paura che ha appena lasciato le mie labbra «Spiegati meglio Rose, ho ragione su un sacco di cose, non posso ricordarle tutte»

Certo, ovvio. Chiederei troppo se mi aspettassi che Dom mi rendesse tutto più facile, magari sorridendomi o facendomi cenno di accomodarmi — dove, poi, visto che i letti sono così pieni di vestiti che fatico a vedere il piumone sotto — improvvisamente mi ricordo che questa è anche la mia stanza e che, di conseguenza, non ho bisogno che qualcuno mi inviti a sedere, così scavalco gli svariati ostacoli che campeggiano sul pavimento e mi lancio a peso morto su quella piccola parte di materasso ancora integra.

«Tu sai chi» bisbiglio, fissando il suo riflesso nello specchio con intensità.

«Voldemort? È morto Rose, lo sai»

Lo fa apposta, naturalmente. Agito un piede velocemente, decisa a sputare fuori ogni cosa, perché magari dirlo a qualcuno mi farà capire quanto in realtà sia assurdo «Avevi ragione sul fatto che mi piace... lui»

«Scorpius» puntualizza con un sorrisino eloquente ad incurvarle le labbra.

«Non dire quel nome»

«E come dovrei chiamarlo?» alza gli occhi al cielo, perché è evidente che il mio è un comportamento infantile.

«Potresti non chiamarlo» propongo speranzosa, sporgendo il viso verso di lei per farle capire quanto sono ridotta male. Il mio cervello è andato, riproduce a ripetizione tutte le scene intime che ci sono state tra me e l'individuo, presto impazzirò.

«E come facciamo a parlare di lui, non chiamandolo?» è esasperazione quella nella voce di Dominique, ne sono sicura. Nessuno sa incurvare le sopracciglia verso l'alto come lei.

«Non parlandone»

«D'accordo, se ti fa sentire meno idiota lo rispetto» la mano che tiene la spazzola azzurra non è della stessa idea, si infila tra i capelli biondi con irritazione, come se da un momento all'altro fosse pronta a scaraventarmela dritta in fronte. E lo capirei se lo facesse, davvero. Anche io vorrei lanciarmi una spazzola in fronte «Domani mattina...» non mi piace affatto il modo in cui ha appena pronunciato domani mattina. Perché domani mattina, potrebbe voler dire un mucchio di cose «...devi raccontarmi tutti i dettagli della vostra uscita notturna»

Dominique ha appena detto devi, e non è come se io potessi oppormi.

È principalmente questo il motivo per il quale adesso mi ritrovo ad avere il fiatone e le guance rosse come due peperoni: un'ora e mezza della mia vita passata a raccontare di un'avventura in motocicletta, con la voce impastata dal sonno e il dentifricio ad impiastricciarmi la faccia, invece di darmi una mossa e fiondarmi a fare colazione.

Lumacorno non mi ucciderà, lo so. Così come non ucciderà mai Albus nonostante potrei pulirmi il sedere con la sua media in pozioni, e il livello dei calderoni che fonde e che riesce a far saltare in aria, sia sorprendentemente elevato. Sarebbe troppo per il vecchio professore, fare fuori una dei figli dei salvatori del mondo magico, e il diretto discendente della sua adorata Lily Evans in Potter.

«Lo senti anche tu?» chiede Dominique, sgusciata furtivamente al mio fianco, con un accenno di mascara colato sotto agli occhi — evidentemente truccarsi e correre allo stesso tempo non è il suo forte — nell'esatto istante in cui mettiamo piede nei sotterranei.

Annuisco distratta, annusando l'aria con circospezione. Le pareti sembrano impregnate di un forte odore, un profumo, che si diffonde per tutta la lunghezza del corridoio. Rallento il passo, respirando a pieni polmoni, estasiata.

È come avere un miscuglio di fragranze intese e famigliari proprio sotto al naso. Sento la cioccolata fondente dei brownies appena sfornati da nonna Molly, l'odore delle estati focose alla Tana: l'acqua dolce del lago sulla pelle, il sole che picchia sui campi di grano, il vento leggero tra i capelli, il limone nel tè freddo, le Burrobirre ghiacciate a mezzanotte, le risate sguainate tra l'erba tagliata. C'è anche qualcos'altro, un profumo che avvolge tutti gli altri senza perdersi all'interno di essi o sovrastarli. Semplicemente c'è.

«Richard Finnegan deve aver rovesciato, di nuovo, le piume di Jobberknoll a terra» borbotto tra me e me, avanzando con calma verso la classe di pozioni «Causano effetti allucinogeni»

«Già» annuisce vistosa la bionda «Busso io e tu parli»‌ annuncia poi, poggiando le dita sulla maniglia.

***
«...ma ricordate, non produce il vero amore, poiché esso non si può creare artificialmente. Sù sù, ora a lavoro, e fate attenzione alle uova di Ashwinder, sono molto delicate»

Fisso i due banchi vuoti davanti al mio, stranito. È un'abitudine per me, ormai, lavorare con le gambe di Rose che zampettano da una parte all'altra, proprio a portata di sguardo. Così com'è un'abitudine rubarle gli ingredienti dal banco, senza dover stare in fila davanti alla dispensa per interi minuti. La verità è che non riesco a concentrarmi senza la sua voce nelle orecchie che, vivacemente, racconta quello che ha sognato o lo strano sapore del pane a colazione.

Avere, tra l'altro, l'odore del suo shampoo che aleggia per la classe, non aiuta.

«Scorpius» Albus dice solo Scorpius, ma è chiaro che il tono con il quale lo pronuncia sta a significare molto di più, come ad esempio: allocco rincitrullito, decerebrato, mentalmente rimbecillito «Smettila di stare lì impalato e togliti di mezzo, devo passare. L'acqua di luna e il peperoncino in polvere non appariranno magicamente sul nostro banco»

«Lo penso anche io, vai a prenderli»‌ avanzo appena, permettendogli di raggiungere la dispensa, con gli occhi ancora incollati sui posti vuoti.

Albus sbuffa, mi insulta, e sfoggiando un sorriso mieloso riesce a non fare la fila e correre ad accaparrarsi gli ingredienti.

«È una pozione di livello avanzato» una voce modulata, appositamente resa femminile in maniera troppo marcata, mi informa che Juditte Parkingson ha appena poggiato il suo gomito ossuto sul mio banco «Non credo di essere in grado di farla, potresti aiutarmi?»

«Inizia con l'accendere il fuoco» rispondo atono, inclinando la testa, senza riuscire a trattenermi dallo stirare un sorrisetto strafottente da manuale.

Mi sfiora un braccio civettuola «Grazie del consiglio» e lo mette in pratica, sotto lo sguardo attento di Demetria Smith.

«Scusi per il ritardo Signor Professore» è inconscio, non me ne rendo neanche conto, gli occhi saettano veloci alla ricerca della figura longilinea di Rose che, spavalda e a testa alta, ha appena fatto il suo ingresso in classe, sorridente, seguita da Dominque. «C'è stato un contrattempo»

Il triplomento di Lumacorno ondeggia quando lui agita le braccia «Oh care non importa, non importa. Prendete posto, trovate gli ingredienti per la pozione sulla lavagna»

Stringo un labbro tra i denti, costringendomi a posare lo sguardo sul vecchio libro accanto al calderone, perché Rose adesso è davvero qui e l'odore del suo shampoo non è più un'allucinazione.

Un tonfo. La rossa ha appena lanciato la borsa con i libri a terra, si arrampica sullo sgabello con la gonna che svolazza, e arriccia appena il naso.

«Buongiorno dolcezza» esclamo mellifluo, piantando i gomiti sul banco per sporgermi verso di lei.

Lascia ciondolare le gambe, apparentemente affatto toccata dal nomignolo che ho appena utilizzato «Datti una regolata» dice, ignorando il mio saluto «Quanto cavolo di profumo hai messo questa mattina? Stai impestando l'aula»

La osservo sorpreso, con il cuore che inizia a battere all'impazzata e gli angoli delle labbra che non possono fare a meno di curvarsi verso l'alto.

Tento di replicare, ma Albus torna leggiadramente, buttando sul banco i vari barattoli «Che fatica, l'Amortentia»

Rose spalanca gli occhi e con uno scatto repentino i suoi capelli sferzano per aria, adagiandosi poi sulla schiena che si sbriga a rivolgermi.

Giuro, per un attimo credo di aver visto le sue guance tingersi di rosso.

***
Stupida. Stupida. Stupida. Stupida...

Come ho fatto a non capire che si trattava di semplice, dannata Amortentia e non di una piuma allucinogena? Come posso essere la figlia di Hermione Granger se nella zucca non ho altro che segatura ed escrementi di civetta? Ma soprattutto, com'è possibile che io abbia praticamente appena rivelato a Scorpius Malfoy, anche se in modo non esplicito, che mi piace?

Non merito di esistere. Magari questa pappetta viola che ristagna nel calderone è abbastanza tossica e potente da stendermi in un colpo solo. Mi risparmierebbe l'imbarazzo di avere due paia di occhi incollati alla schiena.

«Dominique» bisbiglio, con la faccia di una a cui hanno appena ammazzato il gatto «Lui lo sa»

La mia migliore amica, nota per afferrare le cose al volo, corruga la fronte e mi batte una pacca su una spalla «Lui chi? Sa che cosa?»

Sbuffo e con forza disumana strappo un pezzo di pergamena, intingendo un dito nella pozione appiccicosa che sta straboccando sul nostro banco. Sono la nuova idiota che si è invaghita di Scorpius Malfoy, la nuova idiota che glielo ha sbattuto in faccia come una cosa da niente, la nuova idiota che si è fatta abbindolare da lui, la nuova idiota che farà la fine di tutte le altre.

Traccio con il polpastrello linee tremolanti che assomigliano a lettere, e una volta finito, lo allungo affranta nella direzione della mia migliore amica.

***
«Questa ti sembra forse una luminosità madreperlacea?»

«No»

«Neanche un pochino?»

«Albus, è arancione»

«Beh, magari se ci butto dentro un po' di zolf-» Scorpius mi interrompe bruscamente, proprio nel bel mezzo della mia riflessione sul metodo più efficace per salvare la nostra Amortentia che, di essere anche solo vagamente simile alla descrizione nel libro, proprio non ne vuole sapere.

Lo osservo in tralice, attraverso il fumo denso e puzzolente che sale in diagonale dal basso. Sento i capelli incollati alla fronte, che mi finiscono dentro agli occhi e mi impediscono di assumere l'espressione vagamente infastidita e accusatoria — è colpa tua se l'Amortentia puzza di catrame, gli starebbero dicendo le mie pupille, se non stessero lacrimando — che vorrei assumesse la mia faccia.

«Ascolta» esclama, sembra serio. E se c'è una cosa che ho imparato dalla vita, è che lo sguardo serio di Scorpius equivale ad un sto per rivelarti un segreto, che poi, alla fine, si rivela sempre qualcosa che tutti già sapevano e che lui, troppo cretino e testardo, ha impiegato una notevole quantità di tempo per capire.

«Spero per te che sia importante» borbotto, serrando le mani attorno al mestolo che sta venendo risucchiato dal fumo fluorescente della pozione. Non mi aspetto che mi aiuti, infatti, girandomi a guardarlo, lo trovo comodamente appoggiato al muro.

«Credo di piacere a Rose»

Quindi è vero, il mio migliore amico è realmente così cerebralmente tardo da ostinarsi a mettere un credo, all'interno della sua dannata frase. Lo fisso in silenzio, o almeno, quella era l'intenzione. Tossisco, sventolandomi il viso per allontanare la puzza acre che per poco non mi bruciava i polmoni, e lo fulmino con lo sguardo allo stesso tempo.

«Ma davvero?» il mestolo è andato, è completamente in fiamme, e non c'è niente che io possa fare per salvarlo «Che mente acuta, la tua. Io non l'avrei mai capito»

«Stai facendo del sarcasmo Severus?»

Piega le labbra, infastidito. Certo, il genio si aspettava che mi congratulassi con lui per avere annunciato la notizia più ovvia dell'anno. Fissa corrucciato la mia faccia, credo. E si, io sono l'unico in questa stanza a poter dire credo e ad avere il beneficio del dubbio: il mio viso è all'interno di una nuvola arancione che puzza di morte, è lecito che non abbia la certezza di dove stia precisamente guardando Scorpius.

«Non lo farei mai Hyperion, lo sai»

«Quindi? Tu lo sapevi già da tempo e non me lo hai detto?»

Mi correggo, cerebralmente tardo non rende bene l'idea. Gli occhi da pesce lesso con cui mi osserva mi fanno arrivare alla conclusione che: specie di scimmia sottosviluppata, gli si addice di più.

«Io te l'ho detto, razza di idiota, e tu mi hai dato un pugno»

***
«ROSE!»

Il mio nome, appena fuoriuscito dalle labbra sconvolte della mia migliore amica, attira l'attenzione dei pochi studenti che sembrano avere la loro pozione sotto controllo, tra i quali Soraya Feliz, perfettamente padrona della situazione e con tutti i capelli in ordine, che solleva gli occhi verdi con espressione neutrale — sbaciucchiare Fred l'ha resa meno acida e fastidiosa del solito, tant'è che questa mattina mi ha persino ceduto il posto in bagno — e li posa per una manciata di secondi su di noi, prima di tornare a triturare le uova di Ashwinder.

«Dominique taci» sibilo, strattonandole un braccio.

«Sei una stupida» ribatte lei, che evidentemente non ha ben chiaro il significato della parola taci. «Ma come ti è salt-»

«Lo so, non ricordarmelo. Adesso che faccio? Non riesco neanche a guardarlo in faccia»

«Semplice» la strana luce diabolica che le brilla negli occhi, mi fa desiderare di avere la bacchetta a portata di mano e non dentro la tracolla, troppo distante dal punto in cui mi trovo per essere raggiunta in pochi attimi «Devi affrontarlo»

«Non se ne parla nemmeno»

«Immaginavo l'avresti detto» afferra la brocca di vetro contenente la polvere di luna, e se la rigira tra le mani «Per questo ho già pensato al piano B»

Io lo so, cosa ha intenzione di fare, e non mi piace per niente.

«Dom...»

«Mentirei se ti dicessi che mi dispiace» ghigna, alcuni riccioli biondi sudaticci — la pozione di Alice, al banco accanto al nostro, emana un vapore bollente — le incorniciano la faccia angelica, contribuendo a farla sembrare una schizzata «Ringraziami, in infermeria avrai un sacco di tempo per preparare un discorso decente»

Detto questo, con uno slancio, mi spacca la brocca in testa.

***
La Mcgrannitt è sopraffatta dall'indignazione. È intuibile capirlo dalla posizione austera delle sue spalle, dal fatto che me lo stia ringhiando in faccia da svariati e interminabili minuti — inaccettabile Weasley, inaccettabile — e dalle sue sopracciglia che con tutta l'autorità del mondo sono schizzate verso l'alto, non appena le parole scritte sul foglietto che Lumacorno mi ha ordinato di recapitarle sono state recepite dal suo cervello.

«Procurare un trauma cranico ad una sua compagna di casa...» ripete, con le labbra che si assottigliano sempre di più ad ogni parola «Scandaloso»

«Professoressa, egregia professoressa» Alice sbuca da dietro l'angolo in tutta fretta, con i capelli arruffati sulla fronte, la borsa a tracolla piena fino a scoppiare di appunti scritti ordinatamente, con una calligrafia pulita e leggibile, e con gran parte della divisa ricoperta di una strana sostanza melmosa «Non espella Dominique, le giuro che non intendeva davvero spaccare una brocca in testa a Rose, è stato un incidente!»

Ovvio. Alice non riesce a fare a meno di immischiarsi in ogni situazione, sfoggiando le vesti di avvocato difensore. Le sorrido lievemente divertita, e lei mi scocca un'occhiata rabbiosa che sta chiaramente a significare "più tardi facciamo i conti"

«Signorina Paciock» la Preside pronuncia il suo nome esasperata, mi stupisce che gli occhi non le siano ancora usciti dalle orbite «Se ne vada, o sarò costretta a spedire in punizione anche lei»

«Dom è una brava studentessa» replica con fervore, senza farsi intimidire dalle palpebre assottigliate della Mcgranitt «Le giuro che non farà mai più niente di simile»

«Lo spero bene» è la risposta pronta che riecheggia per il corridoio «Anche se mi aspetto di tutto da voi delinquenti»

«Adesso, se mi permette, delinquenti è un'esagerazione» dico, raddrizzando la schiena con l'intenzione di difendere quel branco di scellerati, che compone la mia famiglia «Più che altro astuti comb-»

«Delinquenti è perfetto» mi interrompe Alice, fulminandomi «Dominque sarà puntuale per la punizione, glielo prometto. Io stessa farò in modo che raggiunga il luogo da voi stabilito, senza deviazioni» 

«Si» sbuffo, incrociando le braccia al petto «come ha detto lei»

***

«Assurdo» James agita le braccia inviperito ed è chiaro che con quell'assurdo, voglia dire un mucchio di altre cose, che però la presenza di Madama Chips non gli permette di pronunciare «Inammissibile, gravissimo, incredibile, indecente...»

«Hai reso l'idea, fratello» i piedi di Fred sono poggiati mollemente sul lenzuolo bianco della mia brandina, e immagino che il maggiore di Potter non esiterà a troncarglieli, se non la smette di interrompere la filippica che ha intenzione di finire con un numero spropositato di aggettivi, mirati ad esprimere tutto il suo disgusto. Ma Fred non ha paura, conosce il suo migliore amico e sa che James non troncherebbe mai i piedi della squadra, a poche settimane dalla partita. Così come non stenderebbe mai Dominque con uno schiantesimo a freddo, nonostante mi abbia spaccato una brocca in testa — con tutte le migliori intenzioni — e mi abbia procurato un trauma cranico.

La luce bianca che filtra dalle tende tirate dell'infermeria, sommata al forte odore di antisettico e alla voce pericolosamente alta di mio cugino, contribuisce ad aumentare la persistente sensazione di dover vomitare che provo da quasi un'ora. Potrei farlo addosso a lui, e non nel secchio che Madama Chips mi ha piazzato sotto al naso, ma quando si parla di Quidditch niente può fermare James, neanche un'ondata maleodorante di vomito.

«Dobbiamo allenarci. Come faremo altrimenti battere i Serpeverde?» le mani affondano tra i capelli, tirandoli verso l'alto «Severus... quella piccola merda...» digrigna i denti «La coppa dev'essere nostra»

«Potter, Weasley, ve lo ripeto: fuori di qui» Poppy lascia cadere una bottiglia verde proprio sul comodino accanto al mio letto. La forza con cui sbatte il vetro contenente un liquido dall'aspetto inquietante e per niente commestibile, non si addice affatto alle mani paffute e alla cuffietta rosa che le copre la testa «Lasciate risposare vostra cugina»

Parole sante...

Ma se Fred sa per certo che James non gli taglierà i piedi, io sono sicura che non lascerà questa infermeria prima di aver espresso verbalmente, fisicamente e in qualsiasi altro modo possibile tutto il suo sdegno.

«Giammai» è infatti ciò che grida poco dopo, fracassandomi i timpani. Magari poi mi accascerò a terra in preda ad un attacco di cuore, e questo sarebbe decisamente un netto miglioramento rispetto alla situazione attuale «Il mio portiere ha la testa fasciata. Siamo sicuri che sotto quelle bende non ci sia del cervello in bella vista? Ma soprattutto, le bende riusciranno a tenere la materia cerebrale dove deve stare, durante la partita?»

«Potter, le assicuro la signorina Weasley sarà perfettamente in grado di giocare, tra tre settimane, il giorno della partita. Ora. Se. Ne. Vada.»

Un rumore secco fa scattare gli occhi dell'infermiera verso la porta che si è appena spalancata con grazia degna di nota e, prevedibilmente, le palpebre di Madama Chips si assottigliano maggiormente, tant'è che devo mordermi la lingua per non chiederle come faccia a vedere. Resto immobile, mentre le pupille di James saettano veloci dalle tre figure sulla soglia, a me.

«Non è orario di visite!»


***
Scorpius Malfoy è lì, con le mani nelle tasche e l'espressione accigliata di chi è troppo orgoglioso per ostentare preoccupazione. Eppure, nonostante la posizione rilassata delle spalle, è evidente che stia venendo divorato dall'agitazione. Si capisce, lo capisco, perché sono mesi che studio ogni suo movimento, ogni battito di ciglia di troppo, ogni comportamento inusuale.

Lancio uno sguardo a Rose, stesa immobile nel letto con gli occhi leggermente lucidi per via della botta in testa, e la benda bianca in netto contrasto con i capelli rossi sparsi sul cuscino. Poi, fisso Fred, scattato in piedi come una molla perché lui sa che questo è il momento. Lo sa da come Scorpius si avvicina lento, con la zucca perfettamente intatta e la camicia bruciacchiata, lo sa perché io lo so. E quando io so qualcosa, automaticamente la sa anche Fred.

«Allora noi andiamo Poppy» sorrido mieloso, ricevendo in risposta uno sguardo truce «si prenda cura della testa della squadra»

La velocità con cui raggiungiamo Malfoy, non stupisce nessuno dei presenti, che si limitano a guardare la scena dispiaciuti per la cattiva sorte toccata al ragazzo che, con facilità disarmante, si sta lasciando trascinare verso l'uscita.

È giunta l'ora del discorso.

***
James e Fred sono a pochi centimetri dalla mia faccia e questo è tutto così sbagliato, perché se qualcuno entrasse in quest'aula vuota immersa nella semioscurità, si farebbe una strana idea degli affari loschi che stanno avvenendo qui dentro. È solo il momento del discorso — momento frustrante al quale ho cercato di sfuggire per settimane, aggrappandomi con le unghie e con i denti a qualsiasi barlume di opportunità per darmela a gambe. Come quando lunedì mi sono gettato di proposito nella serra numero quattro, in cui i Tassorosso del primo anno stavano svasando delle piante di Mandragora, ottenendo come risultato quello di essere trascinato per i piedi fino in infermeria. Poco dignitoso, certo, soprattutto perché a trascinarmi erano quattro undicenni tra cui una ragazzina con le treccine e un fiocco rosa, ma almeno ho ritardato questa tortura — e poi, non è come se potessi spigare ad un possibile disturbatore che sicuramente, invece di fare irruzione in una delle migliaia di altre aule vuote, si fionderà senza ritegno in questa, che non è come sembra, perché quando non è come sembra tutti automaticamente pensano che invece si, è proprio come sembra. E quindi, di conseguenza, si diffonderebbero in giro strane voci riguardo Scorpius Malfoy e i due ragazzi che gli respiravano in faccia.

«Platinette, siediti»

Fred dice siediti a pochi millimetri dalle mie labbra — ambiguo, molto ambiguo — con apparente pacatezza. Sostengo lo sguardo, mentre nel frattempo, nel mio cervello si creano numerosi scenari apocalittici tra cui quello in cui io afferro una sedia e gliela spacco in testa, per poi fuggire. Solo che sono sicuro che se spaccassi una sedia in testa al suo migliore amico, James gambe da razzo Potter mi raggiungerebbe in un secondo per poi attentare alla mia vita.

Decido che se Fred ha detto siediti, allora sedersi è la cosa più saggia e meno pericolosa da fare. Lo pensano anche le mie chiappe, adesso premute contro il legno della sedia, che si congratulano con me per aver fatto la scelta giusta.

«Messieur Castagna, a te la parola»

***

Ore 23:40, Sala comune di Grifondoro.

Soddisfatto di aver intimorito Scorpius — un po' meno di aver trascorso tutto il pomeriggio in biblioteca a cercare un dannato libro sull'Animagia che non puzzasse di muffa, in modo che consultandolo non mi lasci le dita impregnate di un odore sgradevole — cammino baldanzoso verso la torre, non riuscendo più a trattenere un sorriso soddisfatto, immaginandomi la gioia che proverò sbattendo il volume polveroso sulla trasfigurazione umana, in testa a Fred.

«Mimbulus mimbletonia» supero il ritratto della Signora Grassa con ancora il mantello dell'invisibilità sulla testa, ridacchiando della sua faccia sconvolta, ed entrato nella sala comune, lo ripongo con cura sopra il braccio.

Mi osservo intorno, consapevole che dopo essermi passato una mano con foga tra i capelli, questi adesso sono semplicemente gloriosi e degni di far parte del mio corpo. Aguzzo la vista, sistemando gli occhiali sulla punta del naso, notando solo in quell'istante una figura longilinea immersa tra la stoffa della poltrona rossa.

Corri James, scappa... è quello che grida a pieni polmoni la mia coscienza, che ha inquietantemente la stessa voce di Fred. Preferirei che le voci nella mia testa non fossero la stessa del mio migliore amico, mutata appositamente a seconda della situazione. Ad esempio, quando sto per fare qualcosa di immorale, il canto lirico di un Fred cinquenne mi squarcia le orecchie.

Ma a quanto pare, quest'oggi la coscienza viene rispedita a calci nel sedere da dove è venuta, dall'irrazionalità.

«Ehi, è tardi, non vai a dormire?» mi sporgo oltre lo schienale della poltrona. Dominque solleva la testa in alto per guardarmi in faccia. Ha i capelli leggermente arruffati e le guance arrossate dal fuoco, ed è bellissima.

Adesso dovrei strangolarla, perché ha spedito in infermeria il mio portiere senza motivo e se Grifondoro perderà la partita sarà solo colpa sua, ma guardandola mentre mi sorride stanca non posso fare a meno di far evaporare tutti i mei istinti omicidi.

«Prima devo finire i compiti di Trasfigurazione» sbuffa ammiccando alla pergamena che ha sopra le ginocchia «ma non ci capisco niente. Ho lucidato trofei tutto il pomeriggio e vorrei solo buttarmi nel letto»

Ed è proprio lanciando uno sguardo ai calcoli banali che spiccano sul foglio, che mi sento orgoglioso di tutti gli Eccezionale presi con la Mcgranitt. Perché finalmente non ascoltare una parola delle sue lezioni ed avere un'innato ed inspiegabile talento per la trasfigurazione, serve a qualcosa, oltre a trasformare i piedi dei Serpeverde in zampe di rana e diventare in un Animago.

«Vuoi che ti aiuti?»

Sorride riconoscente «Sarebbe fantastico»



















«La trasformazione intesa (t) è direttamente influenzata dal peso corporeo (a), ferocia (v), potere della bacchetta (w), concentrazione (c) e una quinta variabile sconosciuta (Z), come descritta nella seguente formula matematica, capito?»

«Forse, dillo un'altra volta»

La sala comune è deserta, io e Domi siamo gli unici studenti rimasti. Il fuoco nel camino scoppietta ancora, riesco a vedere le fiamme rilesse nell'iride azzurro della bionda. Appollaiato sul bracciolo della poltrona, le indico la riga del libro ingiallito, sul quale ci siamo soffermati. «Allora...» inizio sicuro, girando il viso per guardarla. Mi si rivoltano le budella quando mi rendo conto che siamo troppo vicini.

Ci fissiamo in silenzio, ed io mi ripeto che se avesse voluto si sarebbe spostata subito, allontanando impacciata il viso dal mio, perché non c'è niente che la trattiene, perché questo non è giusto.

Impiego qualche secondo a realizzare cosa sta succedendo. La mia mano si è appena mossa senza che io le abbia detto di farlo, semplicemente è corsa ad aggrapparsi disperatamente alla nuca di Dominique. È il suo naso quello che sfrega contro il mio, il suo e non quello di Katie Holler che mi sporca le labbra di cioccolato con la scusa di baciarmi. Il suo e non quello lentigginoso di Susanne Cooper o di Anita Torres, il suo e non va bene, ma allo stesso tempo è stramaledettamente giusto perché il posto del suo naso è spiaccicato contro il mio e da nessun'altra parte.

Chiudo gli occhi, poggiando la fronte su quella di Dominique, che non smette di guardarmi da sotto le ciglia lunghe. Tento di regolarizzare il respiro, ma avere il suo profumo che aleggia nell'aria non aiuta. Così come non aiutano le piccole mani bianche piazzate sulle mie spalle.

«James...»

Si, è il mio nome quello che ha appena pronunciato quindi dovrei davvero sollevare le palpebre e smetterla di stringere il labbro tra i denti, perché quello che mi pizzica la lingua è indubbiamente il sapore del sangue.

Gli occhi azzurri sono di nuovo legati ai mei, ed eccola la strana sensazione allo stomaco. Sbuffo frustato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quelle iridi magnetiche che mai, per niente al mondo, dovrebbero fissarmi in quel modo.

Poi succede e non ha senso. Spingo la nuca di Domi in avanti come se ne dipendesse la mia vita e trattengo le sue labbra in un bacio che le sporca la bocca di sangue. È amaro, ma lei lo succhia via e non se ne cura, afferrandomi il viso con le mani. Il mio corpo agisce senza che me ne renda conto, e si protende schiacciandola contro lo schienale della poltrona e ancorando un palmo all'altro bracciolo rosso.

E non è un sogno. Dominique è davvero qui, posso sentire le sue mani fredde che mi scompigliano i capelli, la sua bocca morbida che si muove sulla mia, l'odore dello shampoo alla vaniglia che usa. Io la posso stringere, abbracciare, toccare, consapevole che sarà solo per poco, perché poi tutto questo finirà ed io dovrò tornare a far finta di non essere innamorato di lei, mia cugina.

Preso a godermi il momento, mi accorgo solo più tardi che la coda che appare e scompare a intermittenza dal mio sedere, mi ha appena strappato i pantaloni e ha iniziato a scodinzolare freneticamente.

Merda.

Sbarro gli occhi e, costretto a mantenere il mio segreto beh, segreto, mi allontano bruscamente «Ehm...» balbetto con le labbra che ancora fremono, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal viso indecifrabile di Dominique. Afferro un libro a caso dal tavolo, e me lo porto dietro la schiena con l'intento di coprire la cosa apparentemente insolita che è spuntata sulle mie chiappe «Mi sono appena ricordato che... Fred, si lui, devo colpirlo»

Sbatte le palpebre perplessa «Devi colpire Fred»

«Con un tomo di duemila pagine» preciso

«Devi colpire Fred con un tomo di duemila pagine» ripete sempre più confusa.

«Esatto»

«Okay»

Cammino all'indietro, con la consapevolezza di essere e sembrare un imbecile, allungando la mano alla ricerca della ringhiera «Buonanotte»

La coda riprende a scodinzolare quando il mio sguardo si sofferma per qualche attimo di troppo sulle labbra rosse e dischiuse di Dominique, che mi scruta con le spalle sprofondate nella stoffa della poltrona.

«'Notte James»

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