Parte 5 - Appuntamento disastroso



L'odore di fumo e di urina nel bagno è insopportabile. Mi avvicino alla finestra, lasciata sempre aperta, proprio per rendere l'aria più respirabile. Inspiro una boccata di aria umida e fredda. Nel bagno di questo liceo ci sono solo due possibilità: prendersi una bronchite o assorbire il cattivo odore. Ovviamente, far sì che i miei vestiti firmati, scelti con cura maniacale, possano impregnarsi di quel tanfo è fuori discussione.

«Sei perfetta», Caty mi dice, sistemandomi l'orlo del maglioncino fucsia.

«Il trucco com'è?»

Caty si avvicina per scrutarmi, i suoi occhi si stringono in una fessura. «È come quando sei arrivata stamattina. Mi devi prestare il tuo fondotinta».

Rinuncio a dirle per l'ennesima volta che uso solo una crema colorata per non sembrare cadaverica durante l'inverno. Una ragazza appena entrata tira fuori una sigaretta. Non mi piace ammetterlo davanti a Caty, ma me lo farei anche io un tiro, giusto per rilassarmi. Le parole e il tono di Mirko continuano a ronzarmi nella testa e a farmi accelerare il battito cardiaco, quel tipo mi ha reso terribilmente nervosa.

«Ci sarà molto alcol alla tua festa?», Caty mi riscuote.

«Ovvio», le rispondo con sufficienza. Tra noi cala un silenzio inconsueto. Ultimamente mi sono resa conto che non abbiamo molto da dirci, forse perché non ci facciamo le domande giuste. «Chiederò a Niccolò di portare qualche suo amico alla festa, contenta?»

Lo sguardo non le si illumina come avrei sperato. Ampie volute di fumo, proveniente dalla ragazza entrata poco fa, mi raggiungono, mi arrendo e ne inspiro un po'.

Quando la campanella dell'ultima lezione suona, decretando la nostra libertà, rivolgo a Mirko un 'ultima occhiataccia. Ce ne siamo scambiate parecchie durante le ultime ore, e in quel muto duello sono sicura di aver vinto, anche se adesso lui mi sta rivolgendo un sorrisetto ironico.

«Buona fortuna», mi sussurra, giungendo alle mie spalle, tra la calca di studenti che corre fuori impaziente e non esita a spintonare chi rallenta il passo. Dio, lo odio.

Percepisco l'odore della pioggia prima ancora di vederla scrosciare sulla soglia dell'edificio. Gli ombrelli colorati si aprono uno a uno davanti ai miei occhi, e le imprecazioni si sovrappongono le une alle altre. I miei stivaletti in suede son spacciati, e Niccolò non ha avuto neanche la gentilezza di passarmi a prendere. No, dobbiamo incontraci all'angolo opposto dei giardinetti davanti alla scuola, a metà strada tra la sua facoltà e il mio liceo.

«Non è proprio un gentiluomo mio cugino», Mirko dice ancora alle mie spalle, facendomi trasalire.

Mi volto esasperata. «Non hai qualche piatto speciale da preparare? Niccolò mi ha detto che vostro nonno ha una pasticceria, potresti andare là, anche se credo che faresti perdere a quel povero uomo tutti i clienti, specialmente se ti mostri in pubblico». I suoi occhi si adombrano e la fronte si arriccia in mille pieghe. Colpito. Metto un libro sopra la testa nel tentativo di ripararmi e scappo via. Non voglio sentire la sua risposta, e non mi importa dei suoi occhi tristi, No, non me ne importa un bel niente, mi dico mentre raggiungo Niccolò.

Ma al punto prestabilito non c'è nessuno, gli altri sono corsi via, le macchine sfrecciano veloci creando spruzzi di acqua e fango che rischiano di finire sulle gambe degli ignari passanti, e io sento un senso di umiliazione farsi strada dentro di me. Poi il suono di un clacson. Riconosco l'auto di Niccolò. Quel bastardo non è neanche sceso per venirmi incontro. Lo raggiungo e apro la portiera, ma nella fretta, affondo un piede in una pozzanghera. Merda. Posso dire addio al mio morbido stivaletto di suede. Era un modello esclusivo comprato un paio di anni fa con mia madre, ma sempre di moda. Ed è tutta colpa di Mirko, che mi fa innervosire talmente tanto da non capire più nulla.

«Andiamo in un posto caldo a bere qualcosa», Niccolò mi dice, e poi mi dà un bacio leggero sulla guancia.

Mi prendo un momento per guardarlo: è bello, anche quando è visibilmente stanco a causa dello studio o dio solo sa cosa, ma il mio cuore non batte a causa sua. Batterà, mi dico.

Le pareti del locale dove Niccolò mi ha portato sono sfumate di azzurro, come se fossero dipinte con l'acquerello, il resto della sala è arredata con tavoli bianchi e poltroncine di pelle morbida dello stesso colore. L'aroma del caffè si insinua nelle mie narici e mi conforta così come il calore della sala. Gli altri clienti si lamentano della violenza del temporale, e il tintinnio delle tazze di ceramica e dei bicchieri di vetro fa da sottofondo alle loro conversazioni. A basso volume si diffonde tramite gli altoparlanti una canzone pop trasmessa da una nota stazione radio.

«Un aperitivo o una cioccolata calda?», mi domanda Niccolò che nel frattempo si è liberato del suo giubbotto di jeans.

«Un aperitivo», rispondo per darmi un tono e perché sospetto che a lui piaccia quello. Voglio solo che mi trovi interessante e che venga alla mia festa. Non sarà poi così difficile, nonostante quell'uccellaccio del malaugurio di suo cugino.

Lo sguardo di Niccolò punta dritto verso la mia scollatura e io mi innervosisco ricordando le parole di Mirko. In ogni caso, oggi Niccolò è sfortunato: dato che ha voluto vedermi subito fuori la scuola non ho potuto indossare l'abito nero e il mio maglioncino ha una castigata scollatura squadrata.

Il cameriere ci porta le bibite che abbiamo ordinato, e poi un vassoio con rustici e salatini. Grazie a dio, penso, sentendo il mio stomaco brontolare.

«Mirko mi ha parlato di te», Niccolò esordisce, mentre si porta il bicchiere alle labbra.

Fantastico. Non avrà certo speso delle parole piacevoli, e in parte posso capirlo. «Io e tuo cugino non abbiamo mai parlato tanto, non mi conosce».

Lui mi scruta, e io cerco di rivolgerli uno sguardo sensuale. Ho letto un articolo una volta su come si faccia: socchiudo gli occhi, consapevole delle mie ciglia lunghe e nere e della profondità del mio sguardo, poi sbatto un po' le palpebre. Dovrebbe funzionare. Trattengo il fiato, ricordando che il mio ultimo e unico fidanzato amava i miei occhi.

Niccolò avvicina il suo volto al mio. Già un bacio?, penso. Sarei pronta a darglielo.

«Ti è andato qualcosa nell'occhio?», Niccolò domanda.

Sento il volto andare a fuoco. Mi passo prontamente una mano sull'occhio. «Non è niente», dico con scioltezza. Se questo è l'inizio, non oso immaginare il resto.

Niccolò sbocconcella un rustico e mi parla della vita da universitario, non dello studio, ma delle feste che a suo dire sono imperdibili, poi passa a elencarmi i suoi hobby come se stesse facendo un colloquio di lavoro. Attacca a elencare i giocatori del fanta-calcio, e di come sia ingiusto che non segnino mai i suoi, ma solo quelli degli amici. Io non lo sto veramente seguendo, la mia attenzione si è volatilizzata alla parola fanta-calcio, e se non sto sbadigliando lo devo solo alla mia capacità di concentrami sugli occhi blu, di innegabile bellezza, di Niccolò. Mirko, invece, non mi pare li abbia blu... sono verdi, se non ricordo male. Il pensiero di Mirko mi innervosisce ancora, addento anche io un rustico anche se ormai la fame mi è passata. In tutto questo tempo Nicolò non ha fatto alto che parlare di sé, sembra che lo stia facendo apposta a rendersi odioso, ma io non dimentico la mia missione.

Adesso che Caty sa che sono uscita con Niccolò lo avrà saputo tutta la nostra classe e poi la scuola. Sofia che riceve il due di picche dal bell'universitario... no, non posso essere sulla bocca di tutti, e poi Mirko ne sarebbe felice, avrebbe il suo momento di gloria, da sfigato a cugino di quello che ha rifiutato la ragazza più popolare. Poso una mano su quella di Niccolò, lui tace per un momento e mi guarda con aria annoiata. «Vuoi andare?», me lo chiede come se sperasse in una risposta positiva.

Vorrei urlargli che quest'appuntamento fa schifo e lui non è il solo ad annoiarsi, ma mi contengo. «Tra due settimane c'è una festa, è per i miei diciotto anni. Mi farebbe davvero piacere che venissi».

Lo vedo ritrarre la mano, un po' sorpreso. «Non so, Sofia, è un po' presto per sapere cosa farò tra due settimane, e poi, scusa, ma non è San Valentino?»

«Hai una ragazza?»

«No, ma potrei averla tra due settimane», mi dice con aria poco credibile.

Il mio piano sta andando letteralmente a monte. Addolcisco il tono: «Non devi darmi una risposta adesso»

«Mirko viene?»

Ho l'istinto di rovesciargli in testa le ultime gocce della mia bibita. Mirko alla festa non c'entrerebbe nulla, non ha fatto gruppo con nessuno, e non è nella lista esclusiva... So che suona tutto molto infantile, ma mancano pochi mesi alla fine del liceo e non ci tengo a perdere la faccia proprio adesso.

«Se vuoi...», dico sibillina.

«Ti riporto a casa», lui chiude il discorso.

Fuori il temporale è scemato, e tra le nubi bluastre si è persino fatto strada un raggio di sole. Niccolò mi riporta a scuola, e da lì prendo il motorino che aveva parcheggiato questa mattina e me ne torno a casa.

Nell'elegante atrio del palazzo in cui vivo i miei passi rimbombano sul pavimento di marmo verde. La guardiola è vuota a quest'ora, e la maggior parte dei condomini starà riposando o sarà già andata al lavoro. Decido di non prendere l'ascensore, ma di salire le scale a piedi. L'esercizio fisico è un buon metodo per distrarsi dai propri problemi, e anche se arrivo davanti alla porta di casa con il fiatone ho la sensazione di aver fatto qualcosa di buono, come se avessi scalato una montagna. Infilo le chiavi nella toppa della serratura, e quando apro la porta vengo accolta dalla casa silenziosa e vuota. Non mi sorprende, ma mi intristisce. Mi libero dello zaino e degli stivaletti. I miei piedi sono freddi e bagnati. L'appuntamento con Niccolò è andato male e, in fondo, desidero solo che lui venga alla mia festa, ma in momenti come questo fantastico su un ragazzo che mi avvolga i piedi in una coperta calda e li tenga sul suo grembo, un ragazzo che mi prepari il the o la cioccolata, a cui possa dire che ho sto leggendo Guerra e Pace e domandargli cosa ne pensa.

Faccio da sola, tanto ormai mi sono abituata. Prendo un plaid e mi sdraio sul divano, mentre il telefono squilla. È Caty, che vorrà sapere come è andato il mio appuntamento. Benissimo, le scrivo, mentendo spudoratamente. C'è un altro messaggio non letto. Il cuore mi salta in gola quando vedo chi è il mittente. Papà. Lo apro ansiosa. Non so se verrò il giorno della tua festa, ma ci vedremo, non ti preoccupare. Respingo il senso di vuoto e di delusione che rischiano di farmi andare di traverso quello che ho mangiato. Papà non verrà e così la mia speranza che lui e la mamma possano parlarsi alla festa va a farsi benedire. Perché si ignorano dopo quello che è successo? Perché non riescono a unire il loro dolore?

Allontano il telefono stizzita. I miei genitori ultimamente non fanno che deludermi. Come immaginavo la mia festa sarà una farsa: non ci saranno le persone che amo davvero, e il peggio è che sono stata io stessa a costruirmi questa vita.

Devo farmi assolutamente venire un'idea per convincere Niccolò a venire, possibilmente senza dover invitare quello scorbutico e odioso di Mirko. Accendo la tv, e mi soffermo su un canale che dà in replica gli episodi di Gossip Girl. Un ragazzo come Chuck non lo troverò mai, ma può sempre venirmi un'idea. Blair, una delle protagoniste, compare sullo schermo, in questa puntata è alle prese con il burlesque. Beh, non sono disposta a spingermi a tanto per Niccolò, e anche se volessi farei una figura ridicola.

Provo davanti allo specchio alcuni movimenti, e mi sento in imbarazzo. Al contrario di ciò che pensa l'intera scuola, ho avuto solo una storia importante finita proprio durante il secondo ginnasio. Le volte in cui ho fatto l'amore con il mio ex prima che ci lasciassimo posso contarle sulla punta delle dita. Il riflesso che vedo è quello di una ragazza troppo longilinea, e anche se gli altri mi dicono che non è vero, le parole di Mirko mi tornano in mente: «Non c'è niente da vedere». No, il burlesque o qualsiasi altro tipo di spogliarello non funzionerebbe. Devo trovare qualcos'altro, mi dico, e comincio a dare un'occhiata ai social.

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