Parte 11 - "Ti svelo un segreto"
Mirko
Lascio la saracinesca del negozio a metà e dico al ragazzo dietro il bancone che può andare. In fondo, il nonno è ancora il proprietario e il ragazzo sembra più che sollevato di non dover trascorrere le due ore che mancano alla chiusura ad attendere clienti che non verranno.
Nell'espositore è rimasto un vassoio per metà ancora occupato dalle paste, e due torte su tre sono rimaste invendute. Mi guardo intorno: i tavolini avrebbero bisogno di essere sistemati, e le pareti rinfrescate, i quadri con paesaggi ad acquarelli sono antiquati e le cornici in legno hanno subito la visita delle tarme. Per via dei problemi di salute del nonno e dell'inesperienza del ragazzo, pur volenteroso, che ha preso in gestione il locale, c'è stata una lenta ma inarrestabile decadenza che ha impedito all'attività di guadagnarsi nuovi clienti.
Nonostante tutto, la pasticceria è l'unico posto dove mi sento davvero a cosa. Dopo quello che è accaduto al wine bar sono tornato nell'appartamento che condivido con Niccolò per studiare e farmi venire qualche idea sul video, ma l'ho trovato in dolce compagnia... sul divano. C'è mancato poco che litigassi anche con lui e quando mi ha chiesto come procede con Sofia ho girato i tacchi per non urlargli qualche parolaccia.
Sono andato a rifugiarmi dal nonno, almeno per studiare, ma anche lui ha percepito che qualcosa non andava, immagino da come non facevo altro che sbuffare fissando per troppo tempo la stessa pagina.
«Ti piace quella ragazza, no? È molto carina e gentile, non tutti hanno la voglia di ascoltare un povero vecchietto come me», mi ha detto.
Avrei voluto rispondergli che Sofia è un'abile bugiarda, ma non mi andava di deluderlo, e così, con la scusa di dover girare il video per il talent sono corso qui.
«La cosa più importante è la sincerità, devi essere sincero prima con te stesso e poi con gli altri», mi ha detto il nonno sulla porta, prima che un attacco di tosse sopraggiungesse.
Essere sinceri... sembrava facile, ma come si poteva esserlo quando non sai chi hai di fronte? Quando non sai neanche chi sei davvero?
Apro il frigo e le dispense per rendermi conto di quali ingredienti siano disponibili, spero che avanzi del tempo per preparare qualche torta non solo per il video, ma anche per la pasticceria. Il nonno mi ha detto che è un lavoro duro, ma a me non importa. Solo quando mi trovo ai fornelli, a pesare la farina o lo zucchero fino all'ultimo grammo, a separare il tuorlo dall'uovo in modo che neanche un puntino arancione rimanga nell'albume dimentico tutto il resto, e mi sento me stesso. La gente crede che la pasticceria sia questione di fantasia, ed è vero, lo è in parte, ma bisogna essere precisi fino allo spasimo.
Cioccolato, pere, confettura ai lamponi, mele, passo in rassegna le materie prime disponibili, tentando di farmi venire un'idea, ma nella mia testa risuonano le parole di Sofia, il modo in cui mi ha liquidato davanti ai suoi amici. Che razza di amici sono, poi, se non sanno quasi niente di lei?
Un tacchettio che proviene dall'ingresso mi fa sobbalzare. Un ladro?, penso con il cuore che accelera. Non faccio in tempo a reagire che la porta del laboratorio si apre. La figura che si materializza davanti ai miei occhi non è quella di un ladro, ma riesce ugualmente a farmi stringere lo stomaco e a farmi saltare il cuore in gola.
«Che accidenti ci fai qui? Questa è violazione di proprietà privata».
Sofia mi offre un sorriso appena accennato. «Sono venuta a scusarmi, e a rimediare». Tira fuori dalla borsa una telecamera di ultima generazione con tanto di treppiede. «Sono passata anche da tuo nonno e mi ha detto che eri qui a girare il video».
«E quindi?»
«E quindi sono qui per aiutarti, e poi mi devi ancora la lezione di cucina, e dobbiamo scegliere sia il dolce per San Valentino che la torta per il mio compleanno. Il giorno della festa si avvicina», mi spiega con tono condiscendente come se stesse parlando a un bambino.
Sbatto l'anta della credenza. «La festa a cui un povero sfigato come me non può partecipare, giusto?»
«Mi dispiace, davvero, è che certe volte apro la bocca come un riflesso incondizionato, e ti sembrerà meschino, ma non volevo finire sulla bocca di tutta a scuola prima della mia festa».
Vorrei mandarla al diavolo, per quanto ne so mi sta prendendo in giro, magari per riderne con i suoi amici, ma l'espressione supplichevole sul suo viso mi fa morire le parole in gola.
Lei interpreta il mio silenzio come un incoraggiamento a continuare. «Coraggio, hai pensato al dolce da fare? Che dolce ti viene in mente pensando a me?»
«Un torrone dal cuore duro come la pietra».
Le sue labbra si increspano in un sorriso e una fossetta le piega la pelle agli angoli della bocca. «Non attirerebbe le simpatie dei giudici. Sistemo la telecamera e ti aiuto», dice risoluta.
«Devi indossare il grembiule». Indico, rassegnato, l'armadietto sul fondo della stanza, mentre ne indosso uno anche io.
«Beh, questo almeno è bianco senza pennuti».
Trattengo una risata, ma non ammetterò mai ad alta voce che a casa del nonno ho scelto il grembiule con la gallina per provocarla. Con gli ingredienti presenti nella dispensa potrei preparare una torta che in passato riscuoteva un certo successo con i clienti, a cui però voglio aggiungere un tocco personale. La ricetta la ricordo abbastanza bene, e spero che la mia idea non sia solo originale, ma anche efficace.
«Facciamo la torta Alexander, è una ricetta dell'Est Europa», dico a Sofia, mentre lei prepara il treppiede, «ah! E dovrai impastare ancora»
Sofia alza gli occhi al cielo. «Chissà perché non mi sorprende».
Preparo la farina, le mandorle tritate, il burro, lo zucchero, un po' di cannella e una manciata di chiodi di garofano in una ciotola, e, dato che mi sento gentile, nonostante la presenza di Sofia riesca a innervosirmi e a confondermi in egual misura, comincio a impastare al posto suo.
«Quando ti è venuto in mente di prendere il posto di tuo nonno qui?», Sofia mi riscuote.
Non capisco perché finga ancora che gli interessi qualcosa della mia vita, ma immagino che sarebbe imbarazzante trascorrere le prossime ore in silenzio.
«L'ho sempre voluto, il nonno mi ha trasmesso la sua passione e non potrei sopportare di stare lontano da qui sapendo che la pasticceria sta andando in malora, mia madre invece vorrebbe altro. E tu? Che progetti hai dopo il liceo?»
Sofia fissa gli occhi sulla telecamera per evitare il mio sguardo. «Non ci ho pensato, con i miei non ne ho ancora parlato».
«Perché no?» Le passo l'impasto affinché lo continui a lavorare. L'odore delle mandorle e delle spezie si insinua nelle mie narici, ma a poca distanza da Sofia, sento anche il suo profumo alle rose. La vedo immergere le mani nella pasta, prelevare un po' di farina e spargerla sulla spianatoia, ma come al solito riesce a farsela finire in fronte. Non sembra voler rispondere alla mia domanda, e se prima avevo qualche dubbio adesso ho la certezza che i rapporti con i suoi genitori non siano idilliaci, forse è per questo che si è intristita quando ha rivelato al nonno di essere figlia unica. Prendo di nuovo la parola per toglierla dall'imbarazzo. «Vorrei far tornare questa pasticceria ai fasti del passato, quando ci venivo la domenica c'era sempre un sacco di gente e nei giorni feriali non mancava mai qualche cliente pronto a ordinare una torta o un vassoio di paste».
Sofia si illumina. «Dovresti fare qualche cambiamento, a cominciare dall'insegna».
«Se hai intenzione di suggerirmi un nome straniero solo perché va di moda, risparmiatelo».
Lei corruga la fronte. «Volevo suggerirti di cambiare i caratteri e il colore della scritta, ogni colore comunica un sentimento, non lo sapevi?»
«Certo», mento. «Dobbiamo mettere un po' di sale nell'impasto».
«Perché? È una torta salata?», Sofia continua a impastare energicamente, non lo ammetterò mai, ma dall'ultima vota è un po' migliorata.
«Non sai proprio niente di pasticceria... il pizzico di sale si mette anche nei dolci per esaltare il sapore degli altri ingredienti».
«Se lo dici tu...»
Stendiamo la pasta in tre dischi, una volta cotti li tiriamo fuori dal forno e li spalmiamo con la confettura di lamponi, il suo profumo mi fa sempre pensare a una giornata di sole da trascorrere immersi nella natura. Sistemo gli strati uno sull'altro, il risultato non è male, ma manca il tocco finale e il mio ingrediente segreto. Sofia si pulisce la fronte con la mano, ma anche quella è sporca, e riesce solo a imbiancarsi di più. È solo per pietà che prendo un tovagliolo e la pulisco, giusto all'attaccatura dei capelli. La sua pelle, come sospettavo è d'alabastro intonso, senza la minima imperfezione. Deve essere l'unica ragazza della sua età che non ha un brufolo, possibile che questa fortuna sia capitata a una tipa insopportabile come lei?
«Che fai?». Lei è rimasta immobile, sotto il mio tocco, i suoi occhi sgranati sembrano quelli di una bambina.
«Ti pulisco, perché in pasticceria la pulizia e l'ordine sono la prima cosa». Lo faccio solo per questo, mento a me stesso, non certo per esserle ancora più vicino e sentire il calore del suo corpo.
«Ero pulitissima», non finisce la frase, che l'espressione stupita degli occhi si tramuta in un guizzo malizioso. So già quello che farà prima ancora che la farina mi arrivi in faccia. La sua rista esplode cristallina, e giuro, che io vorrei soltanto strozzarla.
«Poi mi toccherà tagliare tutto questo dal video, che combini?» Ma la sua presenza è chiaramente deleteria per la mia persona, tanto che come un bambino ho a mia volte preso un po' di farina e gliel'ho lanciata, lei aggira il bancone per sfuggirmi, e io la rincorro, afferrandola per la vita. Ridiamo e vibriamo insieme, ma quando la risata si esaurisce cala tra noi un silenzio che vale più di mille parole. Siamo su un terreno minato e oltrepassare il confine che separa la ragazza più popolare della scuola e lo sfigato di turno, può solo portarci altri casini. E poi c'è la maledetta scommessa, e il fatto che lei voglia Niccolò. Come un trofeo, lo so, ma comunque lo vuole. Vuole un tipo come lui.
«Il video te lo monto io, entro domani». Lei mi promette, e io la lascio andare, sentendo già la mancanza della sua vita sottile tra le mie braccia.
Inspiro profondamente per scacciare via le emozioni che mi hanno travolto. Devo pensare alla cucina, come sempre ho fatto quando non ho avuto idea di come affrontare una situazione. «Dobbiamo preparare solo la copertura, adesso». Prendo la panna e lo zucchero. «La vuoi montare tu? È una nuova cosa da imparare».
Sofia annuisce, e io come attirato da una calamita mi ritrovo al suo fianco, ufficialmente per controllare che faccia bene il suo lavoro.
«Adesso è il momento del mio tocco personale, continua a mescolare dall'altro verso il basso, così...», le faccio vedere il movimento prendendole il polso.
«È liquore, maraschino?» Sofia deve averlo riconosciuto dall'aroma, mentre io lo verso a filo nella panna.
Annuisco. Finalmente assemblo la torta, questa volta senza che Sofia intervenga, e la ricopro con la crema che abbiamo appena preparato. Il risultato non è affatto male, secondo la tradizione questo tipo di torta dovrebbe essere tagliata a rombi, ma io preferisco lasciarla nella classica forma tondeggiante.
Sofia spegne la telecamera e la rimette nella sua borsa. «Dovremmo farci un bicchierino», mi dice, puntando gli occhi sulla bottiglia di maraschino.
«Sei minorenne, non ci penso proprio».
Lei non sembra avermi ascoltato e si avvicina per prendere la bottiglia sulla credenza alle me spalle.
«Ma chi sei, Catone il censore? Ti svelo un segreto, ma non devi dirlo a nessuno».
«Sentiamo». Di bere ne avrei voglia anche io, se non altro per dimenticare l'assurda situazione in cui mi sono infilato.
«Il giorno del mio compleanno è oggi, il primo febbraio. Sono maggiorenne. Brindiamo».
Non so se mi stia prendendo in giro, e la mia incertezza deve trasparire dal mio viso, perché lei sbuffa e prende dalla borsa quella che sembra essere la sua carta d'identità. «Non guardare la foto», mi intima, aprendola davanti ai miei occhi.
Leggo la data del suo compleanno, che, in effetti, è oggi, ma gli occhi inevitabilmente finiscono sulla sua fototessera. La frangetta nera che le copre la fronte, i capelli cotonati come se fosse un diva degli anni Ottanta, mi fanno inevitabilmente scoppiare a ridere.
«Cafone!» Lei mi colpisce con la borsa sul braccio. «Sappi che era di gran moda tra le mie amiche quell'acconciatura, l'avevamo vista su una passerella alla Fashion week londinese».
«Certo, certo», dico tra i singulti.
Sofia afferra la bottiglia e ne beve un sorso, senza chiedere neanche se ci sia un bicchiere.
«E poi sarei io il cafone?»
Lei alza le spalle come se non le importi affatto. Le prendo la bottiglia dalle mani, e ne bevo un sorso anche io. Il liquore mi brucia la gola, ma presto avverto una piacevole sensazione di calore. Il cuore mi batte più forte, deve essere soltanto l'effetto dell'alcol. Sofia, che mi sta davanti, con la sua bellezza e con il suo cuore difficile da raggiungere, come gli strati di confettura ai lamponi della torta che abbiamo appena preparato insieme, non c'entra niente. E da quando paragono Sofia ai dolci? Sento che la situazione mi sta sfuggendo di mano e mi vengono in mente le mille canzoni sull'innamorarsi di chi non ti piace che io ho sempre deriso, ma che adesso appaiono perfettamente calzanti alla mia situazione.
Metto via la bottiglia, ormai quasi vuota. «Ascolta, io rimango qui a preparare altre torte, tu puoi andare»
Sofia sembra delusa, ma come al solito le espressioni che mi pare di cogliere sul suo viso sono impercettibili e durano quanto il battito d'ali di farfalla, presto sostituite dal suo sorriso sicuro. «Dobbiamo ancora decidere la ricetta per il dolce di San Valentino e per la mia torta di compleanno».
Indico un cassetto della credenza alle sue spalle. «Lì c'è il catalogo, scegli quella che più ti piace».
Sofia comincia a sfogliarlo. «Questa», indica con la sua unghia smaltata di un blu brillante.
«È una torta nuziale...»
«E allora? Sarà una festa speciale, e poi la voglio a strati, ma ogni strato deve essere diverso. Uno può essere fatto con la torta che abbiamo preparato stasera».
Questa ragazza è incredibile: continua a parlare della sua festa come il grande evento dell'anno, e non si fa scrupoli a farlo con me che non sono invitato, perché non rientro nelle grazie del suo gruppo di amici né nelle sue. Chi sarebbe tanto insensibile? Non che io voglia andarci alla sua festa, ma si tratta di avere un po' di tatto.
«Bene, scrivi tutto e mandami un messaggio», le dico.
Lei esita, e io non posso evitare di punzecchiarla. «Ti do un compito».
«Non siamo a scuola», lei protesta, e mi guarda come se le avessi chiesto di infrangere la legge.
«Ti sto dando lezioni, e tutti i maestri danno compiti». La vedo aprire la bocca per replicare, ma la precedo. «O così o niente».
«Non farò la pasta sfoglia né la pasta frolla».
«No, ma dovresti essere capace di fare una torta da sola, che cavolo... dai, te ne do una facile. Torta di mele con crema al vino. Ti devo scrivere il nome?»
Sofia afferra la borsa. «No, grazie. Lo ricorderò benissimo. Ci vediamo tra due giorni a casa mia. Non voglio fare una figuraccia con tuo nonno».
«A mio nonno stai simpatica».
La vedo sorridere, e non è il sorriso che usa di solito per dimostrare quanto sia sicura di se stessa, ma è un sorriso dolce, tinto di tenerezza. «E lui a me, come ti ho detto una volta peccato che tu...»
«Sì, sì», la interrompo con un cenno della mano, «non ho preso da lui».
Sofia afferra la borsa e il giubbino. «Alle 17, sii puntuale».
«È un appuntamento?»
«Preferirei morire».
La seguo fino alla sala principale.
«Cosa vuoi adesso?», lei si volta di scatto, sentendo i miei passi.
«Voglio solo controllare che non tu sbatta la testa sulla saracinesca semi abbassata».
Mi fulmina con lo sguardo, e con una certa abilità si piega per passare sotto la saracinesca e uscire dalla pasticceria. Intravedo i fari delle automobili, e le luci arancioni dei lampioni, quando guardo l'orologio mi accorgo che sono passate circa due ore da quando sono arrivato, e a me è sembrato un minuto.
Torno in laboratorio, e metto la torta in frigo. Ho voglia di farne un'altra, diversa, questa volta. Cucinare, soprattutto dolci, è un modo per non pensare alla scuola, agli esami di maturità, alle difficoltà di rilevare la pasticceria, alle proteste di mia madre. A Sofia.
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