Ultraviolence ✘ 5ª prova

Loving him was never enough,
this is ultraviolence.

C’erano una volta l’odio e l’amore.

C’era l’amore cieco di una per la conoscenza e l’odio nell’udire la sua smania di libertà dell’altro. Lui rimaneva sordo; credeva che, non affrontando il discorso, le sarebbe passata.

Helena era un corvo, un corvo dalle lunghe ali nere, che desiderava soltanto spiccare il volo.

Ma lei apparteneva a lui, non al mondo. Lui l’amava, perché non riusciva a capirlo? Perché, ancora, si era messa in testa di andarsene soltanto per la sua ingordigia di sapere?

E lei era volata via, una notte, nella disperazione, con il diadema di sua madre.

C’erano anche state le lacrime, nel supplicarla di tornare, e c’erano state solo le sua labbra serrate, prive del calore di un sorriso.

E infine, il serpente aveva morso con tutto il veleno della sua lama il povero, piccolo corvo. C’era stato sgomento, e poi solo dolore.

Ma non è a quel momento, nelle luci di un remoto tramonto d’inverno, che Helena vuole pensare.

Harry Potter le dice una sola parola: «Grazie». E l’eco dei suoi passi mentre corre via colma il silenzio del corridoio.

Sussulta quando avverte il tintinnio impercettibile delle catene alle sue spalle.

«Hai fatto bene» mormora, quando è certo che si sia accorta della sua presenza, «a dirglielo». I boati lontani della battaglia fanno tremare le mura antiche del castello. «Ma cosa succederà se Harry Potter non dovesse vincere?»

«Quale sarà la differenza per noi?» risponde Helena, in un sussurro amaro. «Siamo fantasmi. I fantasmi perdono ogni giorno».

«E questa è colpa mia».

La Dama Grigia si volta lentamente. Resta ad osservare per un attimo la sua figura sottile, a pochi metri da lei. Il sangue argenteo sui suoi abiti luccica viscidamente alla luce fredda della luna. I suoi grandi occhi glaciali la scrutano, quasi timorosi di sostenere il suo sguardo.

«E questa è colpa tua».

Il barone abbassa il capo, le catene del rimorso aggrovigliate come edera attorno a lui. Quasi come le catene che le aveva messo per il terrore di perderla.

Il mantello di Helena si scosta senza che lei neppure si muova, e la ferita scarlatta emerge nel candore dell’abito.

Il suo volto pallido, incorniciato dai lunghi capelli scuri, si contrae in una smorfia di pianto.

«E tu che dicevi di amarmi» ride, una risata lacerata e rabbiosa.

Il barone rialza il volto, avvilito. «E ora, senza dubbio, mi odi?»

Lei pare quasi sospirare tra le parole. «E ora, senza dubbio, ti odio».

«Helena...»

Gli occhi le si riempiono di lacrime, per un breve attimo, e poi svanisce, volando via in un bagliore di luce bianca. Scompare in un istante, nell’eco del suo nome.

C’erano una volta l’odio e l’amore.

Ma quale mente assennata o cuore impavido mi sa dire chi, oggi come oggi, è diventato l’uno e chi l’altro?

E chi sono io per dirlo?

Sono solo la morte, colei che li ha imprigionati entrambi.

L’ultimo sussurro del barone si disperde sotto il cielo stellato, immobile a guardarmi, mentre, ridendo, sfioro con le dita i cuori di streghe e maghi.

«Di amarti, non ho mai smesso».

-- 520 parole

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