I'll be good ✘ 4ª prova
I’ll love the world, like I should.
I’ll be good, I’ll be good,
for all of the times
that I never could.
Si svegliò all’improvviso, alle prime luci dell’alba.
Non gli ci volle nemmeno un secondo per concretizzare di aver sognato, di nuovo, la Torre di Astronomia.
Ci era stato molte altre volte, prima di quella sera.
In completo silenzio, solo per ammirare la maestosità della notte, per contemplare le stelle che punteggiavano il Lago Nero di una luce sottile, la luna che accarezzava d’argento la sua superficie, sempre increspata da qualche alito di brezza gelida. Per cercare di dare un sollievo a quel groviglio di pensieri che lo stava lentamente soffocando.
Ed era stato lì, immobile, ad ascoltare le tenebre e il fischio del vento, ad ascoltare il suono del mondo che, al contrario di lui, dormiva.
Perché erano mesi che Draco non dormiva.
Erano mesi che si svegliava madido di sudore, le grida trattenute che raschiavano dentro al petto, da incubi continui, nei quali il Signore Oscuro lo costringeva a guardare mentre uccideva suo padre, poi sua madre, poi lui.
Il solo pensiero del suo nome lo fece rabbrividire tra le coperte.
E allora restava lì, sporgendosi dal parapetto, per ore, immobile e in silenzio. Ma soprattutto, solo.
Draco non si era mai sentito solo.
Aveva sempre qualcuno pronto a stargli alle calcagna, ad eseguire ogni sua richiesta, ad accontentare ogni suo capriccio.
E in quelle sere d’inverno e di primavera era là, l’unico erede della grande famiglia Purosangue Malfoy, pateticamente solo.
Ma quella non sarebbe stata una sera come le altre. Così aveva risposto al saluto di Albus Silente.
Aveva ancora impresso davanti agli occhi il volto dell’anziano preside che lo implorava, non di risparmiargli la vita, ma di risparmiarla a se stesso.
E più percepiva la paura falciargli le gambe, più la rabbia saliva, più allungava la bacchetta contro il preside. Ma i tremiti non facevano che aumentare. Era arrabbiato, era terrorizzato.
Ed era disgustato da se stesso.
«Passa dalla parte giusta, Draco. Possiamo nasconderti meglio di quanto tu possa immaginare. E, cosa più importante, manderò dei membri dell’Ordine da tua madre stanotte, per nascondere anche lei. Tuo padre per ora è al sicuro ad Azkaban... quando verrà il momento potremo proteggere anche lui... passa dalla parte giusta, Draco. Tu non sei un assassino».
E in quell’istante, poche, semplici parole, gli erano tornate alla mente: «Chiedi a te stesso, Draco... vuoi davvero far parte di tutto ciò?»
Il suo braccio si era abbassato lentamente, scosso dai singhiozzi, e Silente aveva tirato un sospiro di sollievo.
Ma solo un momento dopo, nel frastuono della battaglia che infuriava poco più sotto, dall’ombra erano spuntati alcuni dei Mangiamorte, che erano riusciti a crearsi un varco, avvolti da mantelli neri di morte.
«Non ha fegato. Proprio come suo padre». Uno di loro aveva spintonato Draco da un lato ed erano avanzati verso Silente, lasciandosi il ragazzo alle spalle, come lupi attorno ad una preda ferita.
«Il Signore Oscuro è stato chiaro: deve farlo il ragazzo».
«Lo finisco io, a modo mio» aveva ringhiato Fenrir Greyback, ripulendosi rudemente il mento da un rivolo di sangue. Silente aveva appena schiuso le labbra per rispondergli, che qualcun altro lo aveva già fatto al posto suo.
«No!»
I Mangiamorte si erano voltati inorriditi.
Draco li aveva guardati, con il cuore che scoppiava, le mani sudate a stringere la bacchetta puntata ora contro di loro. Ma non tremava più, non abbassava più lo sguardo.
«Avrei dovuto farlo molto tempo fa» disse soltanto Greyback, sorridendo orrendamente.
Draco era arretrato di un passo, pronto a lanciare un qualsiasi incantesimo, aspettando soltanto un suo movimento. Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Greyback era stato colpito in pieno petto da una saetta di luce e scagliato contro uno dei merli di pietra.
Draco non aveva fatto nemmeno in tempo a voltarsi che qualcosa lo aveva colpito alla schiena, con lo stesso peso di un masso, e lo aveva scagliato a terra con il respiro spezzato, la vista appannata da lacrime che non si era nemmeno reso conto di aver versato.
Dietro la sua figura che si accasciava a terra, era comparsa quella di Severus Piton.
«State qui impalati a godervi la vista?» aveva scandito le parole aspramente. «Dov’è Silente?»
I Mangiamorte si erano girati contemporaneamente verso il parapetto, ma del vecchio preside non c’era più traccia.
«Si è dileguato mentre questo marmocchio traditore ci distraeva con il suo atto eroico» aveva sputato uno di loro con ripugnanza, puntandogli la bacchetta in testa.
«Non ti azzardare» lo aveva bloccato Piton. «Ciò che gli ho lanciato lo terrà buono. Annegherà nel suo stesso fallimento. Un traditore non merita altro».
I Mangiamorte parvero concordare.
Fenrir si era rialzato a fatica, e due Mangiamorte lo avevano spintonato davanti a loro, pestando il corpo del ragazzo per superarlo.
Severus Piton gli aveva lanciato un ultimo sguardo, prima di scomparire nell’ombra, lasciandolo ingabbiato nel suo stesso corpo.
Alcuni, infiniti istanti dopo, l’ultima cosa che aveva visto era stata il volto di Albus Silente.
Poi le palpebre erano calate sui suoi occhi stremati e non c’era stato altro che il nero.
Un paio di giorni dopo si era risvegliato in una piccola casa, sicura e ben sorvegliata, in una cittadina inglese babbana.
E così aveva vissuto per due, lunghi anni, da un posto all’altro, sempre in movimento. La sua unica sicurezza era la compagnia di sua madre. Piton stesso aveva aiutato i membri dell’Ordine ad entrare a Villa Malfoy per poterla mettere in salvo.
Silente era nascosto chissà dove, nell’attesa che la morte scoccasse la sua freccia, e i Mangiamorte seguitavano a seminare terrore ovunque.
Draco aveva imparato molte cose, in quei due anni. Più che crederlo, lo sperava.
Il perdono, il pentimento, forse l’umiltà.
Ma soprattutto, aveva imparato a convivere con se stesso.
Poi gli era giunta voce che i seguaci di Voldemort intendevano liberare suo padre da Azkaban, e Draco aveva trovato bizzarro come da una prigione cruenta, suo padre sarebbe caduto direttamente nelle mani della morte stessa.
E aveva seguito l’istinto.
Aveva abbandonato sua madre e ciò che era diventata la loro casa per quel periodo, per gettarsi nelle fauci della follia più totale: salvare suo padre da un’uccisione certa.
E le cose, ovviamente, non erano andate secondo i piani.
Dei passi concitati scricchiolarono sul parquet e la porta si spalancò bruscamente, facendolo sobbalzare sul materasso.
Una donna piuttosto bassa, dai folti capelli rossi e con un grembiule giallo legato attorno alla vita, entrò nella stanza con un verso di sforzo. Tra le mani teneva a fatica un cesto ricolmo di vestiti, salviette e lenzuola pulite, che le nascondevano la visuale.
«L’aiuto io» si offrì Draco, balzando subito fuori dal letto.
Nell’esatto istante in cui parlò, la donna lasciò andare tutto quanto per terra.
«Oh! Per la barba di Merlino!» gridò tutta agitata, spalancando le braccia. «Sei sveglio!»
Era talmente contenta che gli stritolò le guance con entrambe le mani. «Ragazzo mio, hai dormito per tre lunghi giorni. Ti davamo quasi per spacciato...»
«Mia madre?» chiese Draco con apprensione. «Mia madre sta bene?»
«Sì, sì, lei sta bene, tuo padre anche, ora sono insieme. I membri dell’Ordine sono riusciti a salvare entrambi in tempo, ma era troppo rischioso mandarvi nello stesso posto e tu eri troppo malridotto. Oh, sono Molly Weasley, comunque!»
Draco tirò un sospiro liberatorio e le strinse la mano che gli porgeva. «Piacere, signora Weasley».
«Vieni, vieni!» esclamò lei scavalcando freneticamente tutto ciò che aveva lasciato cadere, «gli altri devono sapere che ti sei ristabilito».
La porta della camera dava su un salotto ben illuminato. Diverse persone vi erano riunite e parlavano a bassa voce, tutti volti più o meno conosciuti.
«Lui da solo contro venti Mangiamorte, si può essere più stupidi?» sentì dire da quello che molto probabilmente era uno dei fratelli Weasley.
«O coraggiosi». Draco riconobbe all’istante la voce dolce e pacata del suo ex insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Remus Lupin.
Non capì se il silenzio fosse calato per quell’affermazione o perché qualcuno lo avesse visto uscire. In meno di un attimo, tutti gli occhi furono su di lui.
«Draco» disse Lupin con un caloroso sorriso.
«Professore» rispose Draco scendendo le scale di legno, preceduto dalla signora Weasley. «Non sapevo che anche lei fosse qui».
«Beh, è stato uno di quelli che ti hanno salvato» replicò una donna, seduta accanto a lui sul bracciolo di una poltrona.
Era giovane, con occhi scuri e gentili, e portava i capelli corti, di colore rosa. «Ninfadora Tonks» si presentò allungando una mano, ma ora che Draco l’aveva guardata, non servivano presentazioni. «Ma ti prego, chiamami Dora».
Un sorriso triste affiorò sul volto del ragazzo. «Sei mia cugina, d’altronde, Dora».
Il sorriso della giovane si allargò mentre lui le stringeva la mano, e Draco si fece mentalmente la promessa di conoscerla meglio.
«Mando un messaggio ai tuoi genitori» asserì una donna dai lunghi capelli biondi e l’accento francese. Fleur Delacour, la riconobbe Draco, la
Campionessa del Torneo Tremaghi.
«Hai dormito per tre giorni, lo sai?» gli domandò Kingsley Shacklebolt, abbandonando la sua tazza di tè.
Dall’altra parte della sala, dietro ad altri due ragazzi dai capelli color carota, Draco recepì l’occhiataccia di Ron Weasley.
«Sì. Sì, la signora Weasley me lo ha detto».
«Cose che capitano quando ti salvano la vita» bofonchiò qualcuno. Draco si girò verso Harry Potter, seduto su un divanetto accanto ad Hermione Granger. Il prescelto sollevò gli occhi dalla Gazzetta del Profeta e i loro sguardi si scontrarono.
«Sono passati due anni, Potter» rispose lentamente Draco, «le cose cambiano».
«Non per me».
«Allora diciamo le persone. Le persone cambiano». Inspirò a fondo. «Io sono cambiato».
Harry sospirò nervosamente e guardò altrove.
«L’ultima volta che ho visto il professor Silente mi ha detto che siete partiti alla ricerca degli Horcrux» affermò allora Draco.
Per un lungo attimo, nessuno rispose.
«È così» mormorò alla fine Hermione Granger, contorcendosi le mani. Sembrò ragionare su cosa fosse meglio dire. «Ma è stato praticamente tutto inutile. Ce ne manca uno, che è all’interno di Hogwarts, e poi un altro ancora, che non sappiamo dove sia. Potrebbe essere ovunque. E le difese di Tu-Sai-Chi non fanno che rafforzarsi, giorno dopo giorno».
«Io lo so» disse Draco, di getto. «Io... credo di sapere quale sia uno degli Horcrux che vi mancano».
«Siamo tutt’orecchi» sbuffò Ron.
Draco non ebbe esitazioni.
«Nagini».
Una parte di sé, quando era in presenza di Voldemort, lo sospettava.
Ma il solo pensiero che il Signore Oscuro potesse capire che, anche nel più profondo del suo inconscio, lui avesse intuito qualcosa, lo intimoriva, e così aveva respinto tutto. Voldemort era capace di qualunque cosa, e lui questo lo sapeva bene.
Ma ora che poteva dirlo ad alta voce, ora che poteva dirlo senza paura, ne aveva la certezza.
Tutti si guardarono fra loro, per un lungo minuto, ma solo uno sguardo era puntato su Draco. Harry si decise ad alzarsi in piedi e si avvicinò a lui di qualche passo.
«Dammi un motivo, Malfoy» mormorò aspramente quando gli fu di fronte. «Un solo motivo per cui ora dovrei fidarmi di te».
Draco non potè dirsi sorpreso, né aveva da pensare. Lo aveva fatto a sufficienza, in quegli ultimi due anni.
Era tempo di agire.
Alzò lo sguardo su di lui e lo guardò negli occhi. Lo sfregiato, il bambino che aveva sfidato, insultato, invidiato, odiato.
«Perché anch’io, come te, Potter, ho persone a cui tengo più della mia stessa vita».
Harry rimase per un attimo fermo a fissarlo, dubbioso, come se si aspettasse di cogliere anche il minimo segnale di falsità nel suo sguardo.
Ma poi, alla fine, annuì.
«Molte cose ho pensato che ci sarebbero successe nella vita, Fred...» sussurrò George al gemello, dal fondo del salotto.
«Ma un Malfoy dalla nostra parte...» replicò Fred, appoggiandosi con le braccia incrociate al petto alla spalla del fratello.
«Mai!» urlarono insieme, e si diedero il cinque.
Il suono delle risate dei membri dell’Ordine della Fenice riempì la stanza di luce, più di quanto lo fece quella dell’alba.
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