Scrivi
"Scrivi", sussurra una voce.
"Scrivi, vedrai che succede."
"Ma che senso ha vomitare parole confuse
su pagine ignare" chiedo,
"che altro non possono se non soccombere e, esili,
arrendersi al peso di carichi altrui,
tutt'altro che stabili?"
Nessuna risposta.
Rimango in attesa, ma niente.
Il sussurro è svanito.
Stranita, mi alzo, nella speranza di arrestare
l'errante percorso della mente. Torno alla vita
di sempre. O almeno ci provo.
Ancora una sforzo, l'ennesimo.
Per quanto li voglia tenere lontani,
i pensieri spingono verso quel dolce richiamo,
prigionieri di chissà quale truce incantesimo.
Dubito. Esito.
In uno stato di silente delirio
camuffo il fragile con l'invincibile,
il forte si mostra al posto dell'ansimante.
Me ne accorgo appena, ma d'improvviso
è tutto così distante.
Ed io resto in bilico, vittima di un vortice
al limite del logico.
E torna la voce, di nuovo, sicuramente complice
di un tale attentato,
di un villano gioco studiato per trarmi in inganno.
Combatto. Mi affanno.
Non l'avranno vinta.
Dopo una battaglia estenuante, mi ritrovo,
come non saprei dirlo,
a fissare il soffitto, sdraiata sul letto.
Un foglio accanto. La penna è poco più in là.
Mi giro e cerco la voce,
ma non c'è più.
Sono stanca di oppormi
e poi, se ci penso, ora tutto appare così vicino,
così semplice.
Sarebbe tanto terribile tentare,
dar voce a tutte le tempeste rinchiuse a lungo, tacite?
In un ultimo istante di follia,
o forse nel primo attimo di lucidità,
allungo la mano e inizio.
Scrivo come non facevo da giorni.
Che dico, come non avevo mai fatto.
Mi abbandono al dolce ondeggiare del polso,
che si muove mio malgrado.
Il tocco è leggero, la traccia che lascia un coltello affilato.
Le parole scorrono in modo ineluttabile, ormai,
confluendo là dove da sempre destinate.
Inutile pensare a qualsiasi tentativo di resistenza;
la ritirata, a questo punto, non è considerabile.
Quasi interdetta, resto in attesa nella mia stanza.
Aspetto.
Aspetto.
Ed ecco, succede qualcosa.
Non capisco come, ma si elevano castelli,
si dipingono paesaggi tutt'intorno.
Era giorno, un attimo fa,
ma basta delle ciglia un battito e della penna un movimento
per far spuntare la luna,
per far cessare il fermento,
ora assopito tra le tenebre della notte.
Mi circondano alberi alti alti
che se ne stanno eretti e zitti,
riempiendo il silenzio con la sola maestosa presenza
delle chiome tenere,
delle cortecce ruvide.
Il cuore mi batte forte.
Scrivo ancora.
Cambio scena.
Sento il sole arrossarmi le guance,
si staglia alto in cielo, caldo e fiero;
delle nuvole nemmeno l'ombra.
Mi trovo su un veliero:
odo onde che si infrangono,
passi che colpiscono pesanti il ponte.
"Capitano!" urla qualcuno.
E d'improvviso, nonostante il frastuono,
al di sopra delle voci scottanti e scottate dei marinai,
ecco che la sento di nuovo.
"Scrivi."
È tornata.
Mi allontano e intravedo una figura.
Troppo agitata per trovarla familiare, la inseguo,
ma inizia a scappare.
Lei corre, io corro:
un inseguimento frenetico,
una folle gara
tra strade ghiacciate e pozzi profondi,
un'amara sfida che ci lascia sfinite.
Siamo l'una di fronte all'altra, ora,
ma ancora non la vedo.
Allora capisco.
Uso inchiostro e carta come specchio e,
senza alcun ritocco, riesco a vedere l'immagine riflessa.
Allora capisco.
La stratega, la nemica, non è altri che me stessa.
La voce era la mia.
Tutto si dissolve:
nessun veliero, scomparsi gli alberi.
Sono di nuovo nella mia stanza.
Pensieri sinceri
e parole, finalmente all'unisono.
Non c'è più traccia di reticenza,
solo una penna stretta nella mano.
Con spirito e cuore legati, finalmente in accordo,
solo ora ricomincio a respirare.
L'aria mi inonda, mi sospinge da dentro.
"Scrivi."
Non c'è altro che possa fare.
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