Cammino

Cammino lungo un sentiero di pietre:
non massi fermi e pesanti,
ma sassolini piccoli piccoli
che ad ogni mio passo tintinnano,
si scostano,
lasciando il posto al mio incerto intercedere.
Cammino
e mi pervade un senso di pace,
una quiete che sono quasi incapace di esprimere,
di trasformare in parole.
Dir non so quale sia il motivo di questo mio vagare,
la meta di tale cammino sembra non giungere mai.
E neppure mi importa, d'altronde
che senso ha guardare sempre dove vai?

Cammino e cammino.
Il mio sguardo saltella qua e là,
tra fili d'erba sottili e lontane cime imbiancate.
Proseguo
finché d'un tratto mi imbatto in un curioso scenario:
un tronco seduto, o meglio, sdraiato
con intrecci di rami schiacciati dal peso
e radici cadenti, come papaveri appassiti.
Mi avvicino e contemplo.
"Sembra solo" penso,
"potrei fargli compagnia.
Sì, riprenderò la via
del ritorno domani."
Così, timidamente, mi siedo poco distante
cercando di non fare rumore.
Il muto compagno non sembra nemmeno avvedersi del mio arrivo.
Fa niente,
mi accovaccio lo stesso sulla sua schiena graffiante.
Finalmente un po' di riposo...

Mi sveglia un movimento percettibile appena.
Ancora assopita,
impiego un po' a capire cosa sia:
noto che dall'albero
i rami si allungano, destati da un lungo torpore,
e quasi mi coprono
come a volermi riparare dal vento che,
ora che scende la notte,
è battente.
Una foglia si distende e mi sfiora leggera;
come una mano, raggiunge la mia.
Un dolce pensiero allora mi illumina:
e se avessi trovato il mio luogo sicuro?
Forse era qui che dovevo arrivare.
Stavo cercando di giungervi e neanche lo sapevo.

Mi cullo in questo fantasticare
che, ahimè, dura ben poco
sebbene a me paia una vita intera.
Un attimo dopo, infatti,
accade l'impensabile.
Il mio appoggio diventa instabile,
i rami si ritraggono,
si contorcono.
Le foglie spariscono,
svanisce la favola.
Sussulto, mi volto e poi resto immobile:
mi agghiaccia la vista
del tronco che si sgretola.

Non so più che fare,
mi viene da urlare, ma la voce si blocca.
Riesco ad alzarmi
ma anche il terreno diventa cedevole,
i piedi senza un appiglio.
Persino il cielo vacilla
fino ad infrangersi in miliardi di pezzi
che crollano,
mi cadono addosso,
mi graffiano.
E i sassi tremano, tutti insieme,
e il frastuono è assordante
e l'aria mi sfugge.
L'ossigeno sembra sparito.
Anzi no,
lo vedo: si è condensato in tante bollicine
che ora fuggono lontane,
sempre più lontane
da me.

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