Capitolo Due. Parigi, 1923

LES DEUX MAGOTS NON ERA PARTICOLARMENTE affollato, quella sera, forse perché Hemingway e la sua compagnia avevano lasciato il locale da un'ora circa ormai, trasferendo risate e bollicine di champagne lungo la passeggiata della Senna. 

Il giovanissimo Ernest si era trattenuto gran parte della serata con l'eterea donna lunare alla quale aveva donato il proprio cuore – non per la prima né per l'ultima volta –, ma, quando questa si era rifiutata di lasciarsi trascinare nuovamente nella baraonda dei suoi chiassosi amici americani, il poeta non l'aveva disturbata oltre con le sue avances indesiderate. La donna preferiva comunque la compagnia di Gertrude (1) – ora persa chissà dove tra le pieghe di velluto del suo ennesimo tradimento.

'Povera Alice', pensò il mietitore, avvolgendo le labbra eleganti attorno alla madreperla sottile del suo bocchino e inspirando una zaffata di nebbia calda e insapore.

Ismael poteva anche essere un angelo caduto, ma non sapeva spiegarsi perché agli umani piacesse tanto quel baccano paragonabile solo all'Inferno stesso. E per cinque notti consecutive, poi! Per non parlare di tutte quelle passioni travolgenti nate al tramonto e spirate all'alba. Altra cosa che, semplicemente, non riusciva a spiegarsi, ricadendo nella categoria di angeli asessuati e asessuali. 

Rilasciò il fumo e immediatamente il tepore che le si era formato al centro del petto evaporò. Tornò a sentire freddo, un gelo acido che le si aggrappava addosso dalla Caduta e che riusciva a tenere solo momentaneamente a bada con il grigiore nebuloso e rovente di una sigaretta. 'Non posso neanche tenerlo nei polmoni in eterno. Beh, tecnicamente potrei, ma-'

«Oh, salve» una voce angelica si intromise con piacevole sbalordimento tra i suoi pensieri e un'ombra bronzea prese posto sulla seggiola dirimpetto al suo divanetto imbottito, uno stretto tavolino a dividerle. Il mietitore diede un paio di colpetti al suo lungo stelo di sigaretta e seguì la cenere impalpabile piovere verso il legno lucido e sgombro – non aveva ancora preso l'abitudine di mangiare e bere per mantenere le apparenze.

«Di certo passi un sacco di tempo sulla Terra, per essere un Fedele.» notò, senza mai sollevare esplicitamente lo sguardo sulla nuova arrivata.

L'ultima volta che l'aveva vista, quasi quaranta anni prima, si trovava in un ospedale da campo e doveva raccogliere diciotto anime – diciassette, visto che il grazioso angelo all'altro capo del tavolo aveva deciso di metterci becco –, ma Ismael non dimenticava mai un volto, per quanto di sfuggita l'avesse guardato.

«Non chiamarmi con quel termine dispregiativo, per favore.» chiese l'altra con un sospiro rammaricato, studiando con aperta curiosità il locale – tutto mogano brillante e colonnate in marmo bianco – ed enorme fascino gli sparuti avventori ancora stravaccati sui divani e intenti a bere uno strano liquido frizzante, ridacchiando tra loro senza pensieri. 

L'aria era secca e tutto quel groviglio di profumi floreali, effluvi corporali e risate le dava alla testa, ma non riusciva a smettere di guardarsi intorno a occhi sgranati e sorridere rapita. Dunque quella era la vita mondana di un essere umano. Agli antipodi, certamente, dall'urgenza e sterilità di un'infermeria o, ancora, dalla fredda compostezza e soffocante seriosità del Paradiso. L'angelo di bronzo e oro si sentiva piacevolmente fuori posto.

«E come dovrei chiamarti, allora?» chiese il Penitente con studiata indifferenza, attirando su di sé la sua totale attenzione. 

L'angelo caduto era molto cambiato e, ora, anziché un ruvido saio color carbone, indossava un vestito corto con frange argentate e tintinnanti e un paio di guanti di pizzo nero lunghi fino ai gomiti affilati. La creatura di bronzo aggrottò le sopracciglia quando alzò le pupille sul turbante in seta con piuma di corvo affrancata dell'altra, ma non le sembrava certo il caso farle una ramanzina su modestia e sobrietà. Non con la domanda che le aveva appena rivolto. 

Una domanda scomoda, specie visti i loro ruoli e fazioni, ma non prese in considerazione nemmeno per un secondo l'idea di mentirle.

«Raphael.» si presentò quindi, non sapendo cosa aspettarsi come reazione.

Ismael inspirò rumorosamente e lasciò cadere il bocchino con dita d'un tratto intorpidite. 

La sigaretta rotolò a terra e andò a finire contro il suo tacco d'osso, ma non mosse un singolo muscolo per chinarsi a raccoglierla. La spense comunque con un lieve cenno di mano, dato che non voleva incendiare il suo locale preferito di Parigi e crearsi così del lavoro indesiderato.

«È uno scherzo, vero?» riuscì infine a sbottare con voce graffiante. Un Arcangelo!, tra tutti gli esseri celesti in cui potesse temere d'imbattersi durante il suo esilio tra i mortali. E nemmeno un Arcangelo minore! Ismael fece per alzarsi, un'espressione indecifrabile sul bel viso spigoloso, nonostante dentro di sé fosse in completo tumulto.

Raphael piantò gli incisivi perfetti nel labbro inferiore e allungò una mano verso il Caduto, supplicandolo con lo sguardo di non andarsene.

«Ti prego, non è mia intenzione disturbarti né tanto meno offenderti. In alcun modo. – sottolineò, sospirando tra sé quando l'altra tornò rigidamente a sedere, con gli occhi neri che lanciavano saette livide e le labbra strette in una linea esangue. – Ma ti ho vista qui e volevo scusarmi per essermi intromessa, quella volta in Sudan.»

Al che Ismael sbuffò dal naso, prima di recuperare il suo bocchino in madreperla. Era un poco sbeccato su un angolo, ma lo riparò passandovi brevemente sopra il polpastrello dell'indice. E, nel frattempo, si interrogava sul da farsi. Millenni e millenni prima, molto prima della nascita di Cristo o anche solo dell'invenzione della ruota, erano stati proprio gli Arcangeli a eseguire il Suo Ordine di cacciarli dal Paradiso e dritti in una pozza di acido e sofferenze inimmaginabili, quindi il rancore e il tradimento erano sì antichi, ma di certo non dimenticati. 

«Cosa ti porta qui? A Parigi, intendo.» buttò lì Raphael con tono improvvisamente sottile, nervoso.

L'altra inarcò incredula un sopracciglio argentato, strappata, impreparata, al suo guardingo rimuginare. Quell'Arcangelo stava seriamente tentando di intavolare una conversazione con lei? Lo sapeva, vero, che Paradiso e Penitenti non erano esattamente in termini amichevoli? I Penitenti erano, dopotutto, a un passo dal diventare Demoni in tutto e per tutto e arricchire così le schiere dell'Inferno.

«Mi prendo una vacanza dal Marocco (2).» si limitò a dire, studiandola con rinnovata attenzione, tanta da trascendere la paranoia e la diffidenza.

«Ho sentito del Rif. Una faccenda davvero triste. Da quanto va avanti, ormai?»

Ismael scrollò le spalle, non volendo davvero ripensare agli orrori visti negli ultimi mesi... anni, decenni, secoli. Gli uomini non cambiavano mai e mai imparavano dai propri sbagli. Su questo erano molto simili a certi Caduti di cui Ismael non avrebbe fatto nome.

«Non penso finiranno tanto presto.» si ritrovò poi ad aggiungere, sorprendendo quasi se stessa. Chi era ora quella intenta a chiacchierare amabilmente con il nemico?

«Tu ti occupi di morti in guerra, quindi?» tentò l'Arcangelo, puntando con un lieve sorriso gli occhi bronzei sulle dita inguantate dell'altra, intente a tormentare la sigaretta spenta e fredda.

«Morti violente.» corresse automaticamente Ismael. 'E cosa c'è di più violento della guerra?'

«Un periodo molto pieno, questo. Gli umani di certo non si risparmiano.» notò Raphael, prima di potersi fermare. Il Caduto sollevò le sopracciglia e la fissò, tra incredulità e divertito interesse, mentre l'altra creatura prendeva a farfugliare delle scuse per il suo commento di cattivo gusto.

«E tu perché sei qui, Arcangelo? Non hai un Coro da governare?» la interruppe, quando ne ebbe abbastanza di tutti i suoi borbottii pietosi.

«Oh no, no no! – si affrettò a rispondere Raphael, sollevata da quel cambio repentino di argomento. – L'organizzazione del Paradiso è molto diversa, ora...»

Ismael non ebbe cuore di farle notare il suo sarcasmo e l'ascoltò – non tanto distrattamente e annoiata quanto avrebbe voluto far sembrare – mentre le spiegava di come e quanto fossero cambiate le cose Lassù. Per fare un esempio, gli Arcangeli non usavano più il pugno di ferro sui loro sottoposti ed erano considerati più come amministratori che non come sovrani dei Cieli. Certo, Lui Si Era Ritirato nuovamente chissà dove, quindi erano teoricamente loro a comandare, ma non avevano un potere assoluto come, invece, nei giorni antecedenti alla Caduta. Teniamo delle riunioni ogni tot decenni ed è tutto molto più burocratico e ordinato, tenne a sottolineare Raphael, notando l'occhiata storta dell'altra.

Dopo circa mezz'ora di spiegazioni senza pause, l'Arcangelo si lasciò scappare uno sguardo per il locale e, finalmente, notò i pochi altri avventori presenti.

«Perché ci guardano tutti?»

'Oh, grazie all'Inferno', sospirò silenziosamente il Caduto.

«Guardano te, a dire il vero.» commentò poi, sistemandosi meglio la collana attorno al collo affusolato. 

A differenza delle altre donne di mondo intente a divertirsi a Les Deux, il suo non era un grazioso filo di perle color cipria, ma un pesante serpente con scaglie d'argento possessivamente avvolto alla sua gola in tre giri. Occasionalmente diventava un anello molto meno vistoso, ma la moderazione non era la moda del momento e a Ismael piaceva tenersi al passo con i tempi.

«Perché?»

«Tirerò a indovinare, ma suppongo perché ti trovano esotica e per come sei vestita.» replicò non senza una nota di tagliente ironia che passò, ovviamente, del tutto inosservata alla sua controparte di bronzo.

«Cos'ho che non va? – domandò Raphael con confusione palpabile, abbassando lo sguardo corrucciato sul suo semplice vestito a maniche lunghe, color panna. – Mi sono accertata prima di scendere e le donne vestivano così.» Aveva persino fatto lo sforzo di prendere borsetta e scarpe Oxford coordinate!

«Dove e quando?» volle sapere il mietitore con un sopracciglio inarcato verso l'alto, in attesa.

«Domenica mattina, in chiesa, naturalmente.»

'Naturalmente', le fece mentalmente il verso Ismael, trattenendosi a stendo dal roteare gli occhi al soffitto ad archi del Café.

«Ed eccoti la risposta. Ogni vestito ha una sua occasione e funzione, e tu ora sei in un bar, di sera, vestita come una brava religiosa a una funzione domenicale.» 'Per non parlare poi della tua carnagione da isole caraibiche.'

Raphael si lasciò scappare un mezzo lamento, il viso scuro d'imbarazzo, e si pizzicò con unghie estremamente curate la stoffa morbida di una manica. Eppure era sicura di essersi amalgamata bene tra i mortali, quella volta. Non come con quell'incidente di dieci anni prima...

«Gli umani sono così complicati.»

«Oh, tu non ne hai idea.» ghignò il Penitente, prendendosi un attimo per godersi pienamente la totale desolazione dell'Arcangelo.


(1) Gertrude Stein e Alice Toklas

(2) La guerra del Rif (1921-1926) è stata una guerra coloniale combattuta tra tribù rifiane (il Rif è una catena montagnosa del nord del Marocco), francesi e spagnoli.

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