CAPITOLO VENTISEI
A T T E N Z I O N E:
Ho avuto problemi con il telefono, scrivo quindi da computer e mi risulta difficile scrivere i nomi di alcuni personaggi visto che alcune lettere che uso non sono presenti sulla tastiera. Spero che la cosa non vi infastidisca, buona lettura <3
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Capitolo Ventisei: bianco e nero
"Meridiane nere,
intente a galleggiare
sull'umida acqua le pupille tue."- Avanguardia_dell_ortica on instagram
"Sei tornato!" Aveva urlato Shahrazād, alzandosi in piedi e spalancando le braccia. Styrkur aveva annuito, contento anche lui della calorosa accoglienza. Era riuscito a convincere Vardande a mandarlo alla fonte d'acqua per vedere la sua giovane amica.
Poteva considerarla sua amica?
Si chiedeva quanto ci avrebbe impiegato anche lei a ferirlo, non importava se fisicamente o psicologicamente. Si era detto che, per quei brevi istanti, si sarebbe goduto la sua compagnia.
"Avevi detto che avremmo giocato insieme." Aveva borbottato Styrkur, passandosi una mano tra i capelli folti. Era in imbarazzo, lui che nemmeno sapeva come si giocava ora si ritrovava a farlo con una ragazzina.
Shahrazād aveva annuito velocemente, prendendogli la mano per trascinarlo vicino a gli alberi. "I bambini della mia città giocano a prendersi, solo che poi se ti prendono ti fanno male. Che ne dici se tralasciamo quella parte e giochiamo a prenderci e basta?"
Anche lei era in ansia, non aveva mai avuto rapporti sani con gli altri bambini, solo una manciata di sporadici episodi che non si erano conclusi nei migliori dei modi. Styrkur aveva annuito, aspettando di ricevere altre direttive.
"Non giochi con loro?" Le loro spalle si erano sfiorate durante il cammino, lasciando Styrkur con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. La bambina al suo fianco aveva scosso la testa, calciando un sassolino.
"Oh no, loro non vogliono e non possono giocare con me."
Styrkur si era fermato, incredulo.
"E perché mai?"
Shahrazād aveva un'espressione triste in volto, non sapeva come rivelargli il suo piccolo segreto. Anche lui avrebbe smesso di voler giocare con lei se glielo avesse detto?
Si era puntata un dito verso gli occhi coperti da dei rovinati occhiali da sole dalla montatura arancione, mordendosi l'interno guancia. Quel giorno il sole non era coperto dalle nuvole e anzi brillava con più vigore del solito. Quei piccoli occhiali malmessi servivano a nascondere i suoi occhi malati.
"Mamma dice che mi hanno fatto una maledizione e quindi al sole i miei occhi diventano bianchi. Anche le mamme degli altri bambini la pensano così; non è sicuro far giocare un bambino con una persona maledetta." Aveva sorriso portando le mani dietro la schiena ed aspettando una reazione da Styrkur.
Lui aveva calpestato un'erbaccia, sconvolto.
"Nella città da cui vengo io nessuno voleva giocare con me per i miei occhi ed il mio aspetto in generale." Aveva omesso i particolari più cruenti, temendo di spaventarla.
Gli sembrava che si assomigliassero sotto questo punto di vista. Shahrazād aveva inclinato la testa per poi roteare gli occhi.
"Nella tua città sono tutti stupidi allora. Hai dei bellissimi occhi!" Aveva alzato un pugno in aria per dar più vigore alle sue parole mentre saltava su un rametto.
Styrku aveva tossito un paio di volte per coprire l'imbarazzo mentre si toccava le palpebre. Bellissimi?
Si era quindi sporto verso di lei, afferrando le stecche dei suoi occhiali per levarglieli. Lei non si era mossa, combattuta tra il timore e l'imbarazzo che lui vedesse quei suoi tremendi occhi.
Per qualche secondo lui non le aveva detto nulla, limitandosi ad ammirare quelle due pozze lattee.
"Il bianco è il mio colore preferito." Non sapeva cosa dirle oltre a quello, non era un esperto di complimenti, in tutta la sua vita ne aveva ricevuti talmente pochi da poterli contare sulle dita di una mano.
Ma quella ragazzina davanti a lui pareva trovarsi nella sua stessa situazione. Sua madre le aveva davvero detto che era stata maledetta? Styrkur si era sentito rabbrividire al solo pensiero, le sue mamme non gli avrebbero mai detto nulla di simile.
Shahrazād gli aveva sorriso, entusiasta. Lo aveva afferrato per le spalle e aveva fatto qualche saltello per arrivare a guardarlo dritto negli occhi. Lui le aveva quindi messo le mani sui fianchi, alzandola in aria per assecondarla nonostante non capisse cosa volesse fare.
"Si, hai proprio degli occhi belli. Assomigli un po' ad un serpente, lo sai?" Lui aveva annuito in risposta, preso alla sprovvista. Come avrebbe dovuto prendere quelle parole?
Shahrazād si era poi fatta rossa in viso, aggiungendo un: "il serpente è il mio animale preferito," per poi tornare con i piedi per terra e iniziare a correre.
"Prova a prendermi, se ci riesci!"
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Gabriele aveva preso la rincorsa, spingendo sulle gambe per saltare sul ramo quassi avvizzito di un vecchio albero. Si trovava in un ambiente caldo nel quale si sfioravano i quarantacinque gradi, l'aria risultava umida e pesante tanto da farlo ansimare per la fatica.
Ogni passo era faticoso, ma non poteva fermarsi: aveva ancora molto lavoro da fare. Aveva promesso a Seth di parlare con Vårdande e l'avrebbe accontentato, ma alle sue condizioni.
Il loro accordo iniziale era stato di spedirle una lettera in cui spiegavano l'accaduto ma, si era detto Gabriele, non sarebbe stato meglio farle una visita? In quel modo sarebbe stato più facile controllare una sua eventuale reazione spiacevole.
Non era elettrizzato all'idea di dover lasciare la cartomante in vita, sarebbe stato molto più semplice ucciderla e liberarsi del problema. Ma Seth aveva insistito, voleva parlarle e di certo non voleva vederla morta.
Gabriele si era chiesto da quando avesse iniziato a prendere ordini dalla fastidiosa vocina di Seth, si era però convinto che Vårdande non sarebbe stata un gran problema per lui.
Seguiva la sua carovana da ormai due giorni per accertarsi che nessuno del palazzo lo seguisse e la preoccupazione iniziava a montargli in petto. Doveva ancora mettere le mani su Shahrazād e riportarla a Cameron, Dio quant'era impegnato!
In una prossima vita, si era detto Gabriele, voglio rinascere animale.
Tu non sei mai nemmeno nato, aveva ribeccato Seth intimandogli di continuare a camminare.
L'ultima volta che Gabriele era stato nella carovana di Vårdande gliela aveva distrutta nel tentativo di trovare una pozione smaterializzante, ma non era riuscito a trovare nulla.
La carovana si era finalmente fermata con uno scossone; Gabriele si era quindi arrampicato sull'albero a lui più vicino, nascondendosi tra le fronde.
Vårdande era scesa con le gambe tremanti e l'espressione nauseata, aveva toccato due volte la carovana tracciando in aria tre piccoli cerchi: dalle mani della cartomante erano fuoriuscite due vampate di colore bluastro che, come se stessero danzando, si erano avvolte attorno alla carovana.
Un incantesimo protettivo, aveva dedotto Gabriele.
La donna si era guardata attorno un attimo decidendo poi di sedersi sugli scalini arrugginiti della carovana per riposare. Aveva chiuso gli occhi, inspirando profondamente dal naso come a volersi rilassare.
Poco ne sapeva Gabriele che, in verità, Vårdande stava percependo il suo odore. L'anziana si era trovata a sorridere, per nulla sorpresa.
Non le servivano le sue carte per sapere che qualcuno la seguiva da ormai due giorni. Aveva raccolto da terra un bastoncino sul quale vi ci aveva soffiato sopra, con la mano sinistra l'aveva poi agitato con vigore usandolo successivamente per tracciare un cerchio attorno al suo corpo.
Gabriele non capiva cosa stesse facendo, a lui pareva una bambina che giocava a fare i disegni sul terreno.
Patetica.
Vårdande non aveva mai smesso di sorridere mentre dalla tasca estraeva un sacchetto in tela viola, spargendone il contenuto ai suoi piedi. Sale, stava spargendo sale.
"Pensavi fossi così stupida da non accorgermi di te, straniero?" Aveva borbottato lei, chiudendo gli occhi ancora una volta.
Le sue orecchie stanche avevano percepito un ronzio, uno spostamento d'aria, e poi un tonfo proprio davanti ai suoi piedi. Gabriele era atterrato come un gatto, rimanendo a quattro zampe davanti alla donna.
Si era dato vagamente dello stupido: doveva aspettarselo da una cartomante.
"Straniero mi chiami te, non riconosci tuo fratello?" Gabriele si stava divertendo a schernirla mentre, nella sua testa, Seth gli urlava di dirle che non era affatto suo fratello.
Ma Vårdande non aveva aperto gli occhi, limitandosi ad agitare una mano in aria come se la sapesse lunga.
"Fratello, dici. Vedo che continui a prendermi in giro, straniero." La voce di lei era dura, a tratti divertita, ma Gabriele riusciva a percepire quella nota di disprezzo che tanto allegramente le colorava la voce.
Aveva provato a muoversi verso la donna, venendo fermato di nuovo dalla sua voce.
"Non te lo consiglio, giovanotto. Oltrepassa questo cerchio e ti assicuro che vivrai il resto dei tuoi giorni maledicendoti."
Gabriele l'aveva vista abbandonare il suo sorriso mentre apriva gli occhi, guardandolo come se non fosse affatto sorpresa di sapere che era lui.
Le aveva creduto e, di conseguenza, aveva fatto un passo indietro per sedersi a terra. Nella sua mente Seth strillava di lasciargli il controllo, ma Gabriele non l'avrebbe mai fatto.
Vårdande lo guardava come si fa con un cadavere, le pareva di star osservando il corpo morto di quello che un tempo era stato suo fratello. Non sapeva chi aveva davanti ora: un assassino, un impostore, quale era l'opzione giusta?
"Perché sei venuto da me?" La voglia di accarezzargli una guancia la tormentava, in lui riconosceva gli stessi occhi che aveva da bambino, ma gli mancava qualcosa.
Gabriele aveva ghignato, allungando una mano.
"Lascia che te lo mostri." La voce di Gabriele era dolce, invitante. Più che un angelo pareva il miglior tentatore dell'inferno. Vårdande aveva osservato la mano tesa, indecisa.
Seth non avrebbe mai avuto il potere di entrarle nella testa, quella era un'arte riservata alle streghe. Chi era quel ragazzo? Sapeva di non potersi fidare, ma una parte di lei se ne infischiava.
Dopotutto era partita per andare a morire.
La cartomante aveva alzato il mento, afferrandogli la mano con finta convinzione. Attorno a loro due il mondo aveva preso a vorticare, inghiottendoli.
Vårdande non ne era rimasta sorpresa: sapeva come funzionavano le visioni, ciò che la preoccupava era come facesse lui a saperlo.
Si era trovata in piedi nella radura, nel bosco in cui aveva perso Seth molti anni prima. Si era sentita trapassare il corpo da quello di un bambino che correva velocemente.
Stava assistendo alla scena del rapimento.
Accanto a lei si era palesata la figura trasparente di Gabriele che, pazientemente, osservava a sua volta. Silenziosamente avevano osservato il corpo di Seth venir trascinato via mentre provava a dimenarsi, Vårdande provava un senso di impotenza enorme.
Aveva lasciato che accadesse tutto ciò, era colpa sua.
Gabriele le aveva quindi poggiato una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e "andiamo", le aveva detto. Erano bastati due battiti di ciglia per portarli alla meta seguente: la cella in cui Seth era stato tenuto segregato.
La cartomante aveva osservato con tristezza il corpo di Seth venir ricoperto di lividi, l'istinto l'aveva spinta avanti per afferrare Seth e trascinarlo via ma Gabriele era stato veloce a prenderle la mano.
"Ora arriva la parte principale." Aveva sorriso maniacalmente, chiudendo gli occhi per sentire le parole dell'uomo sconosciuto. Era qui che era nato, tra il sangue e il sudore di un corpo non suo.
Gabriele ricordava perfettamente il momento in cui aveva preso possesso per la prima volta di quel corpo. Ricordava la confusione, la pesantezza e la stanchezza. Aveva pianto non sapendo chi fosse, cosa fosse e loro l'avevano torturato; no! Era sobbalzato al ricordo delle parole del suo misterioso capo.
Non è tortura, è addestramento. Ti addestreremo per divenire un angelo al servizio di Dio.
Vårdande aveva osservato a sua volta la così detta nascita di Gabriele, paralizzata. Le gambe le erano cedute lasciando che le sue ginocchia si scontrassero contro il terreno freddo della cella.
Aveva gattonato fino ai piedi di Seth per provare a toccarlo, a confortarlo, ma non poteva. Le sue mani lo oltrepassavano. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe andata così.
L'aveva sentito urlare dal dolore mentre spalancava gli occhi iniettati di sangue. La cartomante aveva singhiozzato con la testa premuta a terra, maledicendo gli uomini che gli avevano fatto tutto ciò.
Gabriele aveva roteato gli occhi, nonostante fosse incuriosito dalla reazione di Vårdande: era questo che provava? Gli pareva assurdo che qualcuno potesse disperarsi così tanto per un altro essere umano.
Le aveva quindi afferrato una mano, guardandola con aria severa.
"Andiamo." E ancora una volta erano spariti.
Vardande si era vista passare davanti a gli occhi una moltitudine di ricordi diversi, alcuni ritraevano gli sfiancanti allenamenti di Gabriele, altri erano discorsi tra lui e Seth, e poi ancora scene di giornate frammentate.
Nonostante avesse assistito al discorso che era stato fatto a Seth ancora non capiva molte cose. Com'era possibile che gli umani avessero un'arma del genere? Un'arma in grado di scindere la coscienza e di creare una seconda personalità.
Era inaudito, gli umani a stento avevano di che vivere e ora si scopriva che potevano compiere tali atrocità. Vårdande aveva, comunque sia, riconosciuto Città dei Santi dai ricordi di Seth- o di Gabriele.
Aveva corrucciato le sopracciglia, affranta. Conosceva bene quella città, era la stessa dalla quale Styrkur era fuggito, la stessa nel quale l'avevano torturato.
Cosa diamine si annidava in Città dei Santi?
"Dov'è Seth?" Aveva domandato a Gabriele, portandosi una mano al petto. Aveva visto il giovane alzare lentamente l'indice, puntandoselo in testa con uno sguardo torvo, buio.
"Proprio qui dentro, ma non è autorizzato ad uscire."
La cartomante si era leccata le labbra mentre veniva scaraventata nuovamente in uno spazio buio della coscienza di Seth e di Gabriele. Questa volta si era ritrovata seduta su una sedia al fianco di Gabriele: qualcuno gli stava parlando, imponendogli dei compiti.
Aveva riconosciuto la madre di Shahrazād con sorpresa, cosa ci faceva lei con Gabriele?
Li aveva sentiti discutere di un attacco, di riprendersi la ragazza dai capelli rossi e di porre fine al regno dei Quattro. C'era qualcosa che non andava, ne era sicura. Sapeva già che era stato Gabriele ad uccidere Cassiopea, ma quello che non immaginava era che parte del piano fosse rapire Shahrazād per portarla dai genitori.
Cosa ci avrebbero guadagnato, gli abitanti di Città dei Santi, nella ripresa della ragazza? Perché stavano aiutando i genitori di Shahrazād? Qualcosa non andava.
La visione era finita, Gabriele avrebbe dovuto riportarla alla realtà ma allora perché si trovava ancora lì, e dov'era finito il ragazzo?
"Sorella," si era sentita dire, ma da dove veniva quella voce? Pareva infinitamente più dolce e buona di quella di Gabriele, più simile a quella di Seth. Si era voltata in tutte le direzione, cercando disperatamente il fratello.
"Non puoi vedermi, da anni ormai non sono altro che una voce."
A Vårdande era tremato il labbro inferiore; avrebbe voluto piangere e abbracciare il fratello, chiedergli scusa per non averlo protetto e medicargli le ferite. Seth osservava tutto ma nessuno osservava lui.
Vedere la sorella era stato fonte di incredibile entusiasmo in lui, ringraziava Gabriele per l'opportunità che gli stava dando. Gli pareva molto invecchiata, stanca e triste. Non era così che se l'era immaginata per tutti quegli anni, sperava che i suoi fratelli sarebbero cresciuti bene e invece nulla era andato come desiderava.
Prätda era rimasto senza Scelta, Wëskø era ancora più solo, Terseo era divenuto paranoico e Styrkur pareva determinato ad ucciderlo. Per alcuni aspetti si poteva dire che Seth non fosse mai realmente cresciuto, per questo possedeva ancora un animo da bambino.
Avrebbe voluto risolvere tutto, fare tutti felici e riabbracciarsi con i fratelli.
"Non è stata colpa mia, ho provato a fermarlo." Seth si era messo a piagnucolare, sperando che la sorella gli avrebbe creduto. Ed era stato così; Vardande si era seduta a terra e aveva annuito, piangendo.
"Lo so, amore. Sapevo che non saresti mai stato capace di simili atrocità. Avrei dovuto proteggerti, è tutta colpa mia se ora ti trovi in queste condizioni." La donna si era piegata su se stessa, piangendo lacrime che sapevano di senso di colpa.
"Non è stata colpa tua, non potevi fare nulla." Desiderava abbracciarla e rassicurarla, non era affatto colpa sua ma di quei bastardi che l'avevano rapito.
Per un attimo a Vårdande era parso di vedere la figura di Seth, ma era subito sparita. Al suo fianco si era invece palesato Gabriele con espressione confusa in volto. Per qualche secondo aveva perso il controllo del suo corpo e la cosa non gli piaceva affatto.
"Il tempo della riunione di famiglia è terminato, andiamo." Senza ascoltare le proteste di Vårdande l'aveva afferrata per le spalle, catapultandola di nuovo nella realtà.
Quando aveva aperto gli occhi di Gabriele non vi era più traccia, ad impregnare l'aria vi era l'odore acre dei capelli dell'uomo.
Seth era riuscito a prendere il controllo.
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